"2038: la rivolta", di Francesco GrassoLiber Liber
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Prefazione | Epilogo

Prologo

Napulì, creature vuttate 'mmiez' a 'na vi'
crisciute cu pippate 'e cucai'
Puggiuriale rint' 'o desti'

99 Posse

La Fiat Punto color poltiglia avanzava stentatamente, quasi che il motore funzionasse ancora soltanto grazie alla miracolosa intercessione del San Gennaro pencolante sul parabrezza. Il clacson asmatico tossì una, due, tre volte, sovrastando con difficoltà i borbottii della marmitta che si intravedeva lesionata oltre l'orlo della carrozzeria. Solo al quarto colpo riuscì a destare l'attenzione degli uomini sonnecchianti all'angolo della strada.

Vincenzo detto 'o sciccoso guardò scettico l'auto del potenziale cliente alla luce incerta dei lampioni, aggrottò le ciglia e lanciò un muto interrogativo al giovane dall'aria cupa che gli sedeva accanto. Costui annuì senza muovere un muscolo facciale più del necessario.

- Curdo o nigeriano. - sentenziò, tirando una rapida boccata di fumo e gettando poi il mozzicone della Camel di contrabbando su un cumulo di rifiuti bellicosamente sorvegliato da gatti scheletrici - Macchine sgarrupate ma soldi in tasca. Va' a vedere cosa vuole.

- Vabbuono. - convenne l'altro, alzandosi - Ma tu prendi 'o fierro e statte accuorto. Con chillo fetiente in giro, non si è mai abbastanza sicuri.

Dal lato del passeggero, il finestrino della Punto si abbassò con un cigolio catarroso, e un braccio maschile emerse dall'abisso d'ombra dell'abitacolo. La mano era ampia, dai muscoli ben disegnati sotto la pelle, e dai tendini tesi. Tra il dito indice e il medio, un foglietto grigio-verde lanciava maliziosamente il suo richiamo di filigrana.

Vincenzo si avvicinò con circospezione, attento a non imbrattare nel fango grigiastro dei canali di scolo le scarpe di buona fattura. Il vicolo era deserto; la scritta azzurra Forcella boys, tinteggiata a spray fosforescente da una mano ignota, campeggiava sui muraglioni imbiancati dei palazzi. L'occhio giallo del semaforo notturno, incongruamente scampato alle pietre degli scugnizzi di quartiere, ammiccava con monotona complicità. Una luna smorta occhieggiava negli squarci tra le nuvole, pennellando d'argento la lamiera color cattivi pensieri della Fiat, rivelando sulle sue fiancate un ammasso di sfregi, complessi e contorti come la tela di un ragno confuso.

- Cosa, cugino? - biascicò Vincenzo.

- Sale lucente. - rispose l'altro.

La voce era bassa, gutturale. Le vocali erano strascicate, distorte, pronunciate quasi a fatica. - Chi ti manda? - chiese Vincenzo, sospettoso.

- Amici.

- Amici di chi?

- Di questa. - chiarì la voce roca, sventolando il denaro.

Vincenzo afferrò con mossa esperta la banconota, e ne saggiò la consistenza con le unghie rosee. Il risultato dell'ispezione sembrò dissipare ogni dubbio: il foglio da cinquanta Euro scomparve, inghiottito voracemente dalla tasca della giacca in biotessuto. Poi, come in un gioco di prestigio, sul palmo dell'uomo comparve la bustina. Oltre la trasparenza della plastica sterile, le piramidi dei cristalli di exitrazina rilucevano iridescenti. Vincenzo l'avvicinò alla mano del cliente, fin quasi a sfiorarne le dita; poi, crudelmente, la ritrasse.

- È orbitale, cugino. - stuzzicò, puntando il dito al cielo - La mandano gli amici dalla Galileo... La carta non basta per questa meraviglia. Aggiungine un'altra.

- Certo. - mormorò il cliente. - Ecco...

Vincenzo non ebbe il tempo di stupirsi della brevità di quella contrattazione. I suoi occhi registrarono un lampo, la visione fugace di un volto mascherato. Poi, una morsa di ferro si chiuse sul suo polso. Fu strattonato brutalmente in avanti, con violenza, contro la portiera che si apriva. Il suo naso si ruppe nell'impatto, imbrattando di sangue e cartilagine la lamiera. Il braccio gli venne torto crudelmente all'indietro. L'osso del polso si ruppe col rumore d'un guscio nello schiaccianoci.

- Anto'! - urlò, accecato dal dolore - Aiut...

Non riuscì a completare l'invocazione. Il suo avversario lo afferrò per la gola e strinse. Un istante dopo, le sue vertebre cervicali si spezzarono.

- Sang' 'i maronn'! - gridò il giovane cupo, balzando in piedi e puntando nello stesso movimento la pistola.

- Spara, infame!

L'altro non se lo fece ripetere. Premette il grilletto sputando tra i denti avanzi di bestemmia.

Il colpo riverberò con fragore contro le facciate malmesse dei palazzi, echeggiando all'istante in mille luci di finestre aperte l'una dopo l'altra come occhi curiosi. I gatti scheletrici schizzarono a rintanarsi sotto i cassonetti d'immondizia; un barbone dalla pelle scura, che dormiva rannicchiato in un bozzolo di schiuma d'imballaggio all'angolo opposto della strada, scattò in piedi come se avesse sentito lo starter di una gara e corse via in cerca di riparo.

Il giovane cupo strinse le palpebre, abbagliato dal lampo dello sparo. Quando le riaprì, il passeggero della Fiat era in ginocchio, piegato in due, le mani a comprimere il ventre devastato dal proiettile. Gli si avvicinò cautamente, la pistola ancora puntata, il dito che si agitava nervosamente sul grilletto limato.

- Togli chilla maschera, fetiente! - ingiunse - Toglila o...

Non lo vide neppure scattare. Un colpo al braccio, violento, e l'arma volò lontano. Il giovane arretrò, la mano al coltello alla cintura, il terrore che serpeggiava lungo la schiena. Quando le sue dita toccarono il cuoio dell'impugnatura, sentì d'essere salvo. Poi i suoi occhi caddero sul ventre dello sconosciuto, e il suo cuore perse un battito.

Oltre la stoffa strappata, il sangue, che un attimo prima scorreva a fiumi, si era arrestato, e i fasci muscolari lacerati stavano ricrescendo: tessuti nuovi si spingevano contro le labbra della ferita come una marea montante di carne; legamenti e cartilagini si ricostruivano, s'intrecciavano, si annodavano a un ritmo sovrannaturale.

Paralizzato dal terrore, il giovane cupo vide lo sconosciuto frugare nelle tasche di Vincenzo e riappropriarsi della banconota. Poi l'uomo si assestò la maschera sul viso e prese ad avanzare con la perentorietà di una scala reale servita. Sul suo ventre, i lembi di carne intorno allo squarcio ebbero un ultimo fremito, infine si congiunsero. La pelle si distese sui fasci muscolari di nuovo intatti, e ogni segno della ferita scomparve, come se non fosse mai esistita.

Il respiro ansante dello sconosciuto fu l'ultimo suono che il giovane udì.

 

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