"2038: la rivolta", di Francesco GrassoLiber Liber
Copertina | Prologo
01 | 02 | 03 | 04 | 05 | 06 | 07 | 08 | 09 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 | 15 | 16 | 18
Prefazione | Epilogo

15

La sperimentazione, riferita nel seguito del documento come "Progetto 82", è stata impostata su un campione statisticamente significativo della popolazione comunitaria. Inizialmente si è ricercato uno strato censuario rappresentativo dell'universo oggetto di studio (ceppo europeo, cultura occidentale, grado di istruzione e di sviluppo fisico standard, ecc.), una collocazione geo-economica ottimale (tensione sociale, disoccupazione, scarsa coscienza civica), una modalità di esecuzione facilmente replicabile e monitorabile.

Le classi sotto-proletarie residenti nell'area metropolitana di Napoli incarnavano tutti i requisiti richiesti, e sono state perciò scelte per l'esperimento. Quando è stato necessario, i parametri politici ed economici dell'area sono stati modificati (o esasperati), finché lo scenario non si è presentato soddisfacente.

Identificato il target, si è sviluppato il vettore. L'enzima trans-genico KJH82 (Khrisnagandha - Jones - Hokuto, in onore ai ricercatori che lo hanno sintetizzato) è stato polimerizzato su un substrato collagenico. Si è realizzato così un composto organico battezzato exitrazina, lievemente tossico ma tollerato (in piccole quantità) dal sistema immunitario umano.

L'exitrazina, sostanza cristallina facilmente solubile, può penetrare nel sistema sanguigno con una semplice iniezione ipodermica, può essere ingerita con gli alimenti, o ancora essere inalata allo stato gassoso.

Imponendo ai soggetti campione un'assunzione regolare di exitrazina, si è registrato (in tempi dell'ordine del mese solare) un accumulo di KJH82 nelle ghiandole genitali (tessuti ovarici nelle femmine, testicoli nei maschi). Esaminando la generazione successiva, nel settantacinque per cento dei casi si è osservata una modifica del patrimonio genetico.

Di tale percentuale, il novanta per cento risulta composta da mutazioni rispondenti ai parametri impostati, il nove per cento da mutazioni letali (causa di decesso entro il primo anno di vita), e il restante uno per cento da mutazioni inaspettate, non previste, dalle caratteristiche ancora sotto indagine.

Il Progetto 82 è tuttora in corso. Il numero attuale di soggetti sotto dosaggio controllato di exitrazina si aggira intorno alle ventimila unità. Duemila bambini sono stati e sono tuttora sotto osservazione. Tra questi, 1350 hanno con certezza assunto il profilo caratteriale ereditario che rappresentava il fine ultimo della sperimentazione. Non possiamo ancora definirlo un successo globale, ma si tratta di un risultato estremamente incoraggiante.

È da sottolineare l'aspetto finanziario del progetto. In pieno accordo con le linee strategiche della Nuova Ricerca Europea (vedi cfr. Eureka2000, EuroJoint Focus Group) la nostra sperimentazione non impegna risorse esterne, ma risulta anzi totalmente auto-finanziata. Il budget necessario, unito a un non trascurabile surplus finanziario, proviene dallo stesso campione oggetto del test.

Questo brillante risultato è stato reso possibile donando alla molecola dell'exitrazina proprietà narcotiche e neurotropiche. L'exitrazina possiede, dal punto di vista biologico, interessantissimi effetti collaterali: di fatto, il suo ruolo da vettore chimico viene a essere totalmente oscurato dalle sue capacità di sostanza stupefacente.

La realizzazione di una struttura di vendita e diffusione capillare dell'exitrazina alla popolazione ha costituito, nella vita del progetto, un parentesi pregna di interessanti traguardi secondari...

Joseph B. Sarrese, Rapporto 82

Le pareti della grotta vibravano ancora, risuonando sonoramente come la cassa armonica di uno strumento a corde. Lara fissò col cuore in gola le crepe irregolari, lunghe e scure come presagi, disegnate sulla volta giallastra di tufo, e la polvere sottile come ricordi che ne cadeva piano. Rabbrividì.

- Non preoccuparti, giornalista. - sussurrò Anselmo, a rassicurarla - Questo tunnel ha cinquecento anni, ha resistito a ben altro che il nostro petardo.

- Non tremavo per questo. - replicò la donna.

- Per cosa, allora?

- Pensavo a ciò che abbiamo ascoltato, alla registrazione, ai dati che abbiamo visto...

Il vecchio corrugò la fronte. - Allora?

Lara era terrea in volto. - Quei reparti speciali dell'ospedale, i bambini sottoposti a biopsie cerebrali, le vivisezioni... Non riesco a farmene una ragione.

- Vuoi dire che non ci credi?

Lei deglutì. - Magari potessi farlo.

Anselmo annuì, comprensivo ma con gravità rancorosa. - Ne hai parlato a Masaniello? A te lui ha raccontato molto più che a chiunque altro. Forse...

Lara scosse la testa. - Ho provato. Sai cosa mi ha risposto?

- Cosa?

- "Storia lunga, orribile" ha detto "Non vorresti sentirla".

Anselmo annuì. - Dovevo immaginarmelo.

Flebili bagliori rischiararono in lontananza il tunnel, rivelando agli occhi di Lara complesse strutture di pietra, archi, volte, stalagmiti alte come canne d'organo, macigni immensi e rampe che si perdevano nell'oscurità. I colori variavano dal giallo del tufo al verde delle deiezioni di pipistrello, dal nero dei rivoli d'acqua al bianco del gesso e delle ragnatele.

- Non avevo idea... - mormorò.

- Cosa?

- Non avevo idea che la collina di Posillipo fosse un simile groviera. - ripeté la donna, sottovoce, quasi temesse di contaminare il silenzio umido di quella grande bolla nella roccia.

Anselmo annuì con aria vissuta. - Tutta Napoli è un... un "groviera", come dici tu, giornalista. Una vera città sotterranea, il posto ideale per nascondersi. Quando ero più giovane io...

Dalla sua posizione, Stefano segnalò con la torcia. Anselmo si zittì. Lara segnò nel suo libro di ricordi di essere in debito di un ringraziamento verso l'uomo dalle orecchie a punta: l'aveva appena salvata da una delle inesauribili storie di camorra del vecchio, e ciò costituiva un merito non trascurabile.

Stefano accese e spense la torcia sette volte. Lampi di luce rossastra, occhi di drago nella semioscurità di quell'antro informe e avvolto dagli echi.

- Soltanto sette uomini. - mormorò Anselmo - Non dovremmo avere problemi.

- Sono ben armati.

- Non importa.

- Pensi che la frana possa tenere fuori gli altri a lungo?

- Credo di sì.

- Quanto?

Anselmo scosse la testa. - Non so. Questo potrebbe dircelo quel tuo... Moretti.

- Peccato che non sia qui.

Il vecchio carezzò la sua Beretta. - Non importa: il tempo ci basterà, in un modo o nell'altro. Avanti... Procediamo come stabilito.

Il panico è una buona coperta di sicurezza.
Puoi usarlo per coprirti, chiudere gli occhi e fingere che nulla faccia più differenza,
perché il peggio è garantito
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano

- Movimento. - segnalò il sergente, leggendo il suo strumento alla fioca luce del visore del casco.

- Dove?

- Cinquanta metri. Nord ovest.

- Ho rilevamento anch'io, signore. - echeggiò un secondo soldato.

- Anch'io. - approvò un terzo.

- Spegnete le torce e passate all'infrarosso! - ringhiò Sarrese - In fretta!

- Idioti... - aggiunse tra sé, mentre gli uomini eseguivano l'ordine con qualche imbarazzo - Cosa ho fatto per meritarmi simili incapaci?

- Signore... - azzardò il sergente, tenendo lo sguardo fisso a terra, e strascicando gli stivali grigi con la banda laterale gialla.

- Cosa c'è?

- Non sarebbe meglio aspettare che la pattuglia in retroguardia liberi il passaggio dalla frana? Siamo rimasti in pochi, e...

Sarrese squadrò gelidamente il sottoposto. Era un uomo di colore, dai tratti del viso grezzi, quasi fossero stati appena abbozzati nel mogano, e folti baffi, sporchi di cenere e di terra rossastra.

- Ha paura, sergente? - inquisì.

- Non è questo, signore. - protestò il sottufficiale.

- E allora?

- L'esplosione ha procurato gravi danni alla squadra. Abbiamo molti feriti, e...

- Va bene. - tagliò corto Sarrese, glaciale - Lasci pure la testa della colonna e vada a occuparsi di loro.

- Io... Va bene, signore. - acconsentì l'altro. Nella voce, netto, un registro di sollievo. - Agli ordini.

Sarrese lo guardò allontanarsi. Vene azzurre, pulsanti, affiorarono sulle sue palpebre candide. Poi scomparvero. La pelle perfetta del suo viso tornò a distendersi.

- Brandi?

- Signore? - rispose prontamente un agente al suo fianco, un giovane colosso dal naso rotto e dallo sguardo bovino.

- Il sergente Ortega. Codice due.

- Codice due? - ripeté l'altro, in tono incredulo - È sicuro, signore?

- Codice due. - scandì Sarrese, fissandosi distrattamente le unghie.

Il giovane agente batté le palpebre, sconcertato. Poi sembrò irrigidirsi. Alzò il FAL, sfiorò col dito i comandi a sensore posti sul grilletto. Sparò.

Il proiettile colpì con precisione crudele, conficcandosi alla base del collo del sergente, nei pochi millimetri di carne lasciati scoperti tra l'elmetto anatomico e il giubbotto corazzato.

Il sottufficiale stramazzò al suolo senza un lamento. I suoi arti si agitarono scompostamente, poi rimasero immobili. Il terreno morbido della caverna si colorò di rosso.

Sarrese passò in rassegna con lo sguardo quanto restava della sua squadra.

- Ci sono problemi? - chiese in tono di sfida.

Gli rispose solo il silenzio.

Il memobox di Sarrese comunicò un avviso tattico. L'uomo annuì, pensieroso.

- Alta probabilità di cedimenti della volta. - disse ai suoi - Niente granate.

- Movimenti a nord, a nord ovest e a est, signore. - balbettò Brandi.

- Rilevo tracce termiche, colonnello - disse un altro agente.

- Quante?

- Molte. Credo... credo che siamo circondati.

Un sibilo. Un tonfo. Sarrese guardò ai suoi piedi. Un coltello si era piantato nel terreno, a pochi centimetri dalla punta del suo stivale. L'acciaio vibrava ancora.

- In nome dell'esercito popolare di Masaniello... - gridò una voce dal ventre oscuro della caverna - ...vi ordino di gettare le armi.

- Gas. - replicò tranquillamente Sarrese, infilandosi i filtri nelle narici.

Gli uomini in giallo e grigio, come l'ufficiale aveva sperato, reagirono positivamente alla sua freddezza. Si disposero a coppie, schiena contro schiena, impugnarono i lanciatori e lasciarono partire le cariche chimiche.

Si udirono tre tonfi e tre sibili in rapida successione, poi il foop degli involucri che si laceravano.

Dalle rocce intorno, imprecazioni e scariche di pallottole. Stormi di pipistrelli, spaventati, si levarono in volo dalla volta, disperdendosi nei meandri della grotta. Alcuni agenti, colpiti, barcollarono. Ma i loro corpetti erano pesantemente blindati, e riuscirono a rimanere in piedi.

In pochi secondi il gas, denso come nebbia, invase la caverna, sollevando una cortina impenetrabile tra gli assedianti e gli assediati.

- Presto, metti questi! - farfugliò Anselmo.

Lara fu lesta ad afferrare i tamponi che il vecchio le porgeva. Erano umidi, odorosi, della consistenza del cotone. Lei li palleggiò tra le dita, perplessa, non sapendo cosa dovesse farne.

- Legali con un fazzoletto! - le ingiunse Anselmo, facendole vedere come sistemava i suoi intorno al viso cotto dal sole. - E speriamo che si tratti solo di L-5.

- Altrimenti? - ansimò la donna, respirando a stento attraverso il tessuto greve del tampone.

- Altrimenti niente. - tagliò corto il vecchio - Abbiamo vissuto anche troppo.

- Cosa? - ansimò Lara, sperando di aver sentito male.

- Mi dispiacerebbe solo perché non vedrò la fine di questa storia... - tagliò corto Anselmo.

Lara sussultò. Si toccò gli orecchini, sforzandosi di ricordare qualche brandello di preghiera. Non vi riuscì: la sua mente era un muro imbiancato dalla tensione.

- Eccoli che arrivano! - esclamò Anselmo, tossendo.

- Corrono! Come fanno a non finire contro le rocce?

- Vedono nella nebbia. Ma è logico: hanno gli infrarossi, quei bastardi... Ci sarà mai qualcosa che non hanno?

- Che facciamo? - chiese la donna.

- Tu fermati qui, giornalista: è il posto più sicuro.

Per qualche istante, Lara meditò su una possibile replica che suonasse eroica. Mi hai già invitata a questo ballo, ricordi? oppure L'unico posto sicuro è col nemico di fronte e un'arma in mano! o ancora Sono loro che devono avere paura, non io!

Appuntò quelle frasi per migliori usi futuri, e tacque. Anselmo aveva ragione: non era una combattente, e doveva accettare il suo ruolo. Erano altri i modi in cui avrebbe potuto essere utile.

Si appostò dietro una delle tante colonne di roccia che si alzavano sino a raggiungere la volta della caverna, e attese. Poco a poco, la tensione lasciò il posto alla voglia di capire, di assistere agli eventi. Era un momento decisivo, lo sentiva.

Negli squarci nel muro di nebbia, sipari della battaglia si aprivano e si chiudevano di fronte ai suoi occhi, illuminati dai lampi degli spari, sciabolati di luce dal raggio delle torce impugnate a mano o legate alle canne dei fucili, soffusi di chiarore dallo stesso gas e dai suoi misteriosi processi chimici.

Scorse Stefano, il colorito cianotico e gli occhi iniettati di sangue, che tossiva immerso nei vapori di nebbia, sputando saliva mista a sangue scuro. Lara lo vide puntare il fucile contro un agente della Sezione che gli si avvicinava e premere il grilletto. Il colpo echeggiò a lungo, riverberando contro le pareti, stillando nuove piogge di polvere di roccia dalla volta.

Il suo avversario, un uomo massiccio, dal collo taurino, sussultò. Ma non cadde. Si volse subito nella direzione del colpo ricevuto e alzò il suo FAL. Il cerchio violaceo del laser di puntamento si accese sul petto di Stefano.

Il lazzaro imprecò, si strappò dal viso il tampone e si gettò addosso al soldato prima che questi avesse il tempo di premere il grilletto. Rotolarono nella polvere, avvinghiati. Nessuno intervenne. Le volute del gas isolavano quel duello solitario, riservando la scena ai soli occhi angosciati di Lara.

Interminabili secondi dopo, Stefano si rialzò, mentre il suo avversario restava a terra, la lama di un coltello affondata nella gola. L'uomo dalle orecchie a punta gli strappò il visore infrarosso e lo lanciò a Pascià, che sopraggiungeva.

Ma era stato il suo ultimo sforzo. Lara lo vide afflosciarsi, la lingua ormai nera fuori dalla bocca, in un estremo tentativo di trarre ossigeno dall'aria avvelenata che lo circondava.

Un refolo di nebbia cancellò la scena. Lara batté le palpebre, aspettando l'aprirsi di un arco varco.

E il gas, impietoso, si squarciò, rivelandole una scena inaspettata e agghiacciante. Due uomini della Sezione Speciale, appostati al riparo di una parete di nebbia, facevano strage di lazzari, colpendo metodicamente e con precisione letale, uno dopo l'altro, uomini, donne e ragazzi.

I loro bersagli erano guidati dal tizio allampanato e dalla donna scura dagli occhi pungenti, i due membri del Collettivo che Lara ricordava di aver conosciuto durante la sua prima riunione al rifugio clandestino. Costoro abbaiavano ordini confusi e facevano sparare i loro uomini alla cieca, non rendendosi assolutamente conto della posizione dei due cecchini. Il gas doveva alterare la percezione, pensò con angoscia Lara: non sapeva spiegarsi in altro modo perché quei disgraziati restassero lì, caparbi, a farsi massacrare.

I corpi cadevano l'uno sull'altro, come spighe in una mietitura di sangue. Lara non avrebbe saputo contarli, ma erano decine. Con la coda dell'occhio, vide Pascià vagare nella nebbia alla ricerca della sorgente degli spari. L'uomo con le braccia artificiali, valutò Lara, non era stato individuato dai cecchini, e aveva buone possibilità di prenderli d'infilata.

- Pascià! - gridò, incurante di rivelare la sua posizione - Alla tua destra!

Il lazzaro afferrò subito la situazione, e fu pronto a reagire con energia.

- Questo è per Gloria, figli 'i zoccola! - gridò, rivolgendo la canna del fucile contro i refoli di gas e facendo partire una serie di raffiche furibonde.

La maggior parte dei colpi, vide con angoscia Lara, andarono a vuoto. Uno dei proiettili staccò schegge di roccia dalla parete, che rimbalzarono prendendo al viso uno dei cecchini. Imprecando, costui lasciò andare il suo AIM e prese a fregarsi gli occhi.

L'altro, sul viso un'espressione imperturbabile che sconvolse Lara, si guardò intorno alla ricerca del nuovo avversario. Al visore che portava sugli occhi, il calore corporeo di Pascià dovette apparirgli distintamente nella nebbia, perché il soldato sprecò una sola pallottola. L'uomo senza braccia cadde senza un lamento.

Lara smise di respirare. Il cecchino si era accorto anche di lei. E la fissava.

Come un passero incantato da un serpente, la donna vide il laser di puntamento che la cercava bucando la cortina di gas, sempre più vicino, sempre più mortale, finché non arse violaceo sulla sua carne.

Nessuna direzione in cui fuggire, nessun posto in cui nascondersi. Era finita.

- Sono morta. - pensò Lara, chiudendo gli occhi in attesa del colpo finale.

- Masaniello! Masaniello!

Le urla le fecero capire che, per qualche strano motivo, il suo momento era stato rinviato. La donna batté le palpebre e scrutò nella nebbia. Spalancò gli occhi per la sorpresa.

Il manipolo di lazzari doveva aver approfittato della distrazione dei cecchini per riorganizzarsi, e adesso era decisamente passato al contrattacco. Ripetendo ossessivamente il nome del Vate della rivolta, i membri del neonato "Esercito Popolare", incuranti delle pallottole, erano balzati addosso ai due agenti della Sezione, li avevano sopraffatti con la forza del numero, e adesso li stavano letteralmente facendo a pezzi.

Quando le urla cessarono, e la mischia si diradò, Lara azzardò un nuovo sguardo. I lazzari ancora in piedi non erano molti, osservò la donna. E, tra i sopravvissuti alla carneficina, Lara non riusciva a scorgere traccia dei due membri del Collettivo. Erano le due figure stese sul terreno, appena alla base del pendio? Forse: fuori dal cerchio delle torce, il chiarore era troppo fioco per distinguere alcunché.

Ma non sembrava che l'assenza dei capi mitigasse l'ardore degli uomini. Ormai, pensò Lara, lo scontro era andato ben oltre il punto di non ritorno.

- Laggiù! - sentì Anselmo che gridava - Ecco gli ultimi!

Lara aspettò che le lanterne dei lazzari venissero puntate nella nuova direzione. Fu allora che li vide.

Sarrese e due uomini attendevano a piè fermo in una zona della caverna libera dal gas, un piccolo pianoro di qualche decina di metri di lato, a ridosso di un arco di pietra il cui apice si perdeva nell'oscurità.

Ciò che restava dell'esercito di Masaniello investì Sarrese e i suoi con furia cieca. Lara vide gli uomini in divisa esitare, arretrare, addossarsi alla parete e sparare sempre più concitatamente.

All'improvviso Sarrese fece cenno ai suoi soldati, indicandosi le orecchie. Loro annuirono. Lara non fece in tempo a chiedersi cosa l'ufficiale avesse in mente. Un ronzio penetrante pervase la grotta, dapprima solo fastidioso, poi sempre più intenso, sempre più acuto, sempre più insopportabile.

La donna sentì un dolore atroce esploderle nei timpani, come se avesse ricevuto all'improvviso una stilettata incandescente. Fu colta dalle vertigini. Si portò le mani alle orecchie e premette con forza, tenendo di resistere a quella tortura. Urlò, ma senza sentire il suono della propria voce. Cadde in ginocchio, mugolando, con gli occhi pieni di lacrime.

Quando ormai credeva, o sperava, di impazzire dal dolore, il suono cessò. Si scosse, attese che il mondo smettesse di tremare e acquisisse di nuovo contorni definiti. Si guardò intorno: i lazzari erano a terra; alcuni gemevano contorcendosi; altri giacevano immobili, in pose scomposte, innaturali.

Sarrese incombeva su di lei. Alla sua destra e alla sua sinistra, due agenti in tenuta cenere e nicotina gli facevano ala. Avevano acceso di nuovo tutte le luci del loro equipaggiamento, ostentatamente, come per dimostrare di avere ormai in pugno la situazione.

- Venti metri - considerò quietamente l'ufficiale - Proprio sul limite d'efficacia del blast-sonic.

Lara non riusciva ancora a rimettersi dagli effetti del colpo sonico, e soprattutto dall'enormità dell'accaduto.

- Cosa... come... - balbettò.

- Lei è sempre fortunata, giornalista.

- Sono... sono tutti morti?

Sarrese scosse la testa. Il suo viso dalla pelle perfetta non rivelava la minima emozione.

- È davvero deprecabile, ma devo rispondere di no... - ammise in tono professionale, come se la carneficina che li circondava fosse una semplice dimostrazione accademica.

- Ma...

Lui diede una pacca sul calcio dell'arma sonica. La somiglianza con un revolver era solo apparente: in realtà, visto da vicino, il dispositivo ricordò agli occhi di Lara più un telecomando che una pistola.

- Questo prototipo non fornisce ancora la potenza richiesta dalle specifiche. - considerò in un registro di rammarico. - Al momento provoca soltanto lesioni cerebrali... Lesioni notevoli, devo riconoscere.

All'improvviso, cambiò tono. - La Seagate, giornalista.

- Cosa...?

- L'unità bio-zip. Quella che mi avete rubato.

Una sferzata di orgoglio, potente come adrenalina, fece riprendere Lara, almeno per un istante.

- L'ho qui con me, figlio di puttana, ma non ti servirà a niente. - sibilò, stringendo i denti per resistere al ronzio che ancora echeggiava nelle sue orecchie.

- Davvero? - commentò Sarrese, tranquillo.

- L'abbiamo letta e duplicata. Possiamo renderne pubblico il contenuto quando vogliamo.

Per la prima volta, lui parve divertito. - Perché, pensate che io voglia lasciarlo privato?

La donna batté le palpebre, confusa. - Cosa?

- Sono quasi vent'anni che curo il progetto 82. - ridacchiò Sarrese - È ben ora che ne illustri i risultati... E che ne riceva il giusto riconoscimento. - aggiunse.

Lara, interdetta, indietreggiò, incespicando, riuscendo solo a malapena a reggersi in piedi.

- Non... non capisco...

- Pensava che volessi indietro la mia unità per paura che la leggeste? Lei è una sciocca.

Sarrese ripose l'arma sonica nella custodia alla cintura. Incrociò le braccia e sorrise: una smorfia finta, raggelante, orribile.

- Mi preme il possesso del documento originale. Lei sa come vanno le cose nel mondo della ricerca... C'è sempre qualcuno pronto a batterti sul tempo, plagiando la tua pubblicazione e firmandola al posto tuo... E, lei sarà d'accordo, la paternità del progetto 82 rappresenta un titolo non indifferente. Mi seccherebbe davvero trascorrere i prossimi sei mesi a combattere battaglie legali. Le vincerei, intendiamoci, ma provo più gusto a battermi in scontri reali... Perciò, le ripeto: mi renda la mia bio-rec. Adesso.

Lara pensò che l'arma sonica doveva averle annebbiato il cervello, o che i rudimentali filtri di Anselmo non l'avevano protetta a dovere dal gas: ciò che sentiva non poteva essere reale.

Batté le palpebre, respirò a fondo, senza riuscire a liberarsi dalla sensazione di galleggiare in un limbo onirico e crudele, dove le coordinate del buon senso e della morale si erano smarrite, dove la stessa verità era deformata.

- Pubblicazione? Titolo? - ripeté, attonita e furiosa, forse furiosa perché attonita. - Di cosa stai parlando, figlio di puttana? Il tuo "progetto 82" è un incubo! Uomini ridotti a esemplari da laboratorio, manipolazioni genetiche, indottrinamento, droga... Come osi chiamare questi orrori "ricerca"?

Sarrese rise senza trattenersi. Lara, lucidamente, capì che l'avrebbe uccisa: glielo leggeva in quegli occhi tondi, assurdamente infantili.

- Sciocca ragazzina... Crede davvero che il progetto 82 sia l'unico esperimento in corso sulla popolazione di questa città?

- Cosa?

Lui gettò indietro la testa. La sua sagoma si interpose tra il fascio di luce proiettato dal fucile d'assalto dei due agenti e la parete della caverna. Sul tufo e le ragnatele si stagliò un'ombra minacciosa, deforme.

- Le classi inferiori sono serbatoio di cavie umane per definizione. Specie in città come questa, dove le condizioni ambientali creano campioni numericamente significativi. Lei crede davvero che io sia stato il primo?

Lara arretrò ancora. Sentiva le gambe molli; il suo senso d'equilibrio rispondeva solo a tratti. Sotto la suola delle sue scarpe, il terreno cosparso di bossoli scricchiolava sinistramente.

- Non... non ti credo. Le persone non si usano come cavie.

Sarrese restò divertito. Ma sul suo viso corse un'ombra di disappunto.

- Temo che lei usi il vocabolo "persona" in modo inappropriato. Non vorrà porre, spero, i membri delle classi inferiori al mio stesso piano... Non è solo un concetto deprecabile: è del tutto errato.

Lara pensò che se avesse ascoltato un'altra volta ancora la parola "deprecabile" avrebbe cominciato a urlare. La fraseologia di Sarrese l'irritava quanto e più del tono trionfale, arrogante della sua voce. Classi inferiori? Da quanto tempo non sentiva un termine simile?

- Io... - tentò di protestare, ma senza successo: la testa le doleva, le orecchie martoriate continuavano a fischiarle. Avrebbe voluto bere qualcosa di forte, ma lì non c'era nulla, solo lei e quel pazzo assassino in divisa.

Sarrese compì un gesto ampio con la mano, ad abbracciare la distesa di corpi inerti che punteggiavano il terreno della grotta.

- Queste misere creature hanno in comune con me un'origine biologica, forse, ma nulla di più. A separare i membri della mia classe e costoro ci sono decenni di tecnologia, nuove branche scientifiche, ritrovati, mezzi, risorse e privilegi che lei neppure immagina...

Sorrise di nuovo. - Ma vedo che non afferra. Mi permetta allora di chiarire con qualche esempio. Quanti anni crede che io abbia, giornalista?

Assurdamente, Lara si trovò a pensare all'ultima volta che qualcuno le aveva rivolto la stessa domanda, in una casa abbandonata alla polvere e ai ricordi. Le sembrava fosse trascorsa un'intera vita, da allora.

- Non risponde? - insistette Sarrese - Non importa, difficilmente potrebbe indovinare... Ho compiuto settantanove anni da pochi giorni. Sono perfettamente sano, e potrò conservare l'aspetto e la forma fisica attuale per almeno altri tre decenni. Le tecniche di bio-innesto a disposizione della mia classe lo consentono senza problemi. Mi guardi bene, e poi mi dica: cosa ho in comune io, o quelli come me, con questi bipedi quasi senzienti, con queste misere bestie da laboratorio?

Lara sbarrò gli occhi. Settantanove anni? Sarrese era più anziano di Anselmo? La donna sovrappose il viso regolare, perfetto dell'uomo in divisa all'arabesco di rughe, bruciato dal sole e dagli scempi della vita, del vecchio camorrista; accostò l'ottimismo vincente, da dominatore, del colonnello, con il pessimismo rancoroso, da settantenne che intravede la fossa scura, dell'amico dai capelli grigi. Il paragone suonava di una crudeltà indicibile.

- Loro non sono... noi non siamo cavie. - ripeté, cocciuta nonostante la debolezza che si sentiva addosso - Non siamo sudditi da rendere geneticamente schiavi.

- Siete già schiavi. - tagliò corto l'uomo - Molti di voi sono persino felici di esserlo. Io cerco solo di rendere il processo più rapido.

Di nuovo, Sarrese gettò indietro la testa. - Adesso basta, però: lei mi ha fatto perdere anche troppo tempo, giornalista.

- Brandi. - ordinò al giovane colosso che gli era al fianco - La prigioniera ha indosso un'unità Seagate che mi appartiene. Codice undici, prego.

Lara vide l'agente della SSI avanzare minaccioso verso di lei. Tentò di voltarsi e fuggire, ma il suo senso dell'equilibrio la tradì di nuovo. Cadde a terra carponi, mentre le orecchie le ronzavano furiosamente e il mondo le vorticava intorno.

Con gelida efficacia, il soldato le piantò un ginocchio sulla schiena, immobilizzandola, e cominciò a frugarle violentemente i vestiti. La stoffa si lacerò con un suono acuto, come urla di bambini contro la roccia.

- La... lasciami, animale. - protestò la donna, tentando disperatamente di opporsi, mentre l'uomo le strappava di dosso la blusa e i calzoni elastici della tuta, gettandoli poi lontano.

- L'ho trovata, signore. - esclamò l'agente, soppesando il dischetto bruno sul palmo della mano.

- Molto bene. - commentò Sarrese. Poi ghignò. - Ma la prego, Brandi, continui: la prigioniera potrebbe nascondere ancora qualcosa d'interessante.

L'agente, con docilità assoluta, obbedì all'ordine, tornando a chinarsi su Lara. La donna, senza fiato, si dibatté debolmente, in bocca il sapore orribile della vergogna e dell'umiliazione.

- Anche la biancheria. - specificò serafico Sarrese - Servizio completo, Brandi.

- Maledetti... maiali... - ansimò Lara, sopraffatta dalla rabbia impotente.

Il colonnello assunse un'espressione sorniona. - Pudore, giornalista? E perché? Le ho già dato un'occhiata una volta, ricorda? Ora che ci penso... - ghignò ancora - Avevamo lasciato qualcosa in sospeso... Possiamo rimediare adesso.

Lara, ancora immobilizzata dal peso di Brandi e dai postumi del colpo sonico, sentì che i suoi slip le venivano abbassati fino alle caviglie. Gridò, mentre veniva afferrata brutalmente per i fianchi e costretta ad allargare le gambe.

Osò alzare la testa. Sarrese incombeva su di lei, adesso. Si era slacciato i calzoni con intenzioni inequivocabili. Il pene dell'uomo era roseo, regolare, neppure troppo turgido, la pelle sottile, una corta peluria bionda all'inguine e intorno ai testicoli.

Alle spalle del colonnello, il terzo agente della Sezione aveva abbassato il suo fucile d'assalto, ed era intento ad osservare la scena con aperto interesse.

- La tenga bene ferma, Brandi. - ordinò Sarrese - Ho intenzione di farle male.

Lara tentò di mordere la mano che l'agente le stava calcando sul collo. Ma, prima che potesse stringere i denti, si trovò libera.

Avvertì uno spostamento d'aria, rapidissimo. Poi un urlo. Rotolò sulla schiena, appena in tempo per vedere Brandi scagliato violentemente contro l'arco di pietra che chiudeva il piccolo pianoro. Il volo dell'uomo fu assurdamente soave, una parabola di perfetta armonia alla luce delle torce.

Ma l'impatto fu atroce: Brandi rovinò a terra e giacque immobile, la schiena piegata in un angolo non previsto dall'anatomia umana.

Uno, due, tre secondi. Agli occhi della donna, scene accelerate, immagini quasi stroboscopiche. Lara vide il secondo agente che puntava il FAL, il cerchio violaceo del laser che cercava il bersaglio; un corpo smunto che correva a una velocità folle; un cencio che svolazzava, nero forse più di fuliggine che di tintura. Un nuovo urlo, un nuovo volo verso il nulla.

- Che fine avevi fatto? - ansimò Lara, provando un sollievo tale da dimenticare persino di coprirsi.

- Non avevo voglia di combattere. - tagliò corto Masaniello, le parole come foglie secche sotto la lingua - Volevo solo lui.

Indicò Sarrese, che non sembrava capacitarsi della velocità di quell'attacco. Era immobile, i calzoni ancora abbassati. Non spaventato, solo incredulo.

- Una sola domanda, infame. - ringhiò il ragazzo - Sei tu mio padre?

 

<<< indietro

avanti >>>

inizio pagina