"2038: la rivolta", di Francesco GrassoLiber Liber
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Prefazione | Epilogo

12

L'America è 'rrivata, s'è pigliata 'e meglio posti 'e chesta città
Mentre nuje jettammo 'o sang' dinto 'e Quartieri e 'a Sanità
Pino Daniele

Il sole precipitava tristemente oltre la cortina di cemento. La sera saliva e si diffondeva inesorabile, avanzando in una lama netta e scura che ghigliottinava i palazzi.

Il genofalco si librò nell'aria, incerto. Volteggiò sull'incrocio intasato dal traffico, tornò indietro, batté le ali meccaniche e cabrò di nuovo. Uno sparuto stormo di rondini gli si affiancò, ma bastò uno stridio sintetizzato dalla sua ugola in kevlar per far allontanare quei curiosi ingenui e inopportuni.

A dispetto del nome, la sagoma del genofalco ricordava più quella tondeggiante di un gabbiano che il profilo a freccia di un predatore. Ma se la mimetizzazione gli aveva imposto altre forme, il suo ruolo era pur sempre quello del cacciatore, e nessun abitante del cielo poteva permettersi di equivocare.

- Dannato chindogu! - sibilò Boselli, sterzando per stargli dietro - Rottame tecnologico! È già la terza volta che passiamo di qui! Ci sta facendo girare in tondo!

Poi, rivolto al compagno. - Con cosa l'hai caricato?

- Tessuti. - replicò secco l'altro, senza guardarlo in faccia.

- I soliti capelli e unghie? Perché stenta tanto a trovare la traccia, allora?

L'altro rimase in silenzio. E questa volta, finalmente, Boselli non poté fare a meno di cogliere il suo malumore.

- Sei nero, Jacques?

Silenzio.

- Non ti è piaciuto lo show laggiù, a casa della vecchia?

Finalmente, Moretti reagì. - Perché l'hai fatto, Nico?

Il suo tono risentito sorprese il collega. - Che ti prende?

- E me lo chiedi? È stato disgustoso.

L'altro strabuzzò gli occhi, incredulo. - Disgu... che? Di che cazzo stai parlando?

- Lo sai benissimo. - ringhiò Moretti, nauseato al pensiero di ciò che si erano lasciati alle spalle una manciata d'ore prima.

- Stai scherzando? Ehi, Jacques, non è la prima volta che ci divertiamo un po' fuori ordinanza... Ricordi la perquisizione all'Eremo dei Camaldoli? Ricordi le suore? Allora non hai fatto obiezioni. Mi sbaglio?

Moretti si morse le labbra, torvo. Il fatto che l'altro avesse ragione non bastava a giustificarlo. Niente affatto. Boselli era un bastardo. Un totale, irreparabile, compiaciuto bastardo. Cultore della violenza inutile, amante della sopraffazione, artista della tortura e del pestaggio. Una volta, doveva riconoscerlo, l'aveva ammirato, se non altro per la naturalezza con cui eseguiva quegli exploit di efferatezza. In quel momento, la sua sola presenza bastava a disgustarlo.

- Fammi un favore, Nico. - concluse, cupo - Sta' zitto.

L'altro schioccò la lingua. - Come vuoi... Guarda: l'uccello ha trovato la pista.

Moretti alzò lo sguardo. Nel chiarore turpe del tramonto, il genofalco piegava le ali e compiva cerchi sempre più stretti, puntando un edificio massiccio e scuro circondato da un reticolato rugginoso, affacciato sul litorale come un enorme scoglio turrito.

- Guarda guarda... - commentò Boselli a mezza voce - La vecchia base NATO. Un buon nascondiglio...

- Credevo fosse stata sigillata. - mormorò Moretti, in un tono che tradiva tutto il suo disinteresse.

- Yep! - assentì l'altro - Quando gli yankee sono andati a casa dopo gli accordi di Brest, hanno lasciato trappole termiche, bio-tossine, recinzioni elettrificate... Evidentemente ci sono topi molto laboriosi, da queste parti... - accostò, spense il motore, smontò - Andiamo a vedere.

Nascosta la Yamaha dietro una staccionata, i due avvicinarono all'edificio, guardingo Boselli, con aria apatica Moretti. Il terreno intorno alla base, una volta curatissimo, si era ridotto a una discarica di rifiuti. Sul vecchio campo da baseball, un branco di cani randagi si disputava un osso sanguinolento. Un pubblico di gabbiani assisteva pigramente allo scontro dagli spalti colorati di ruggine. Il vento sollevava mulinelli di polvere. Il suono della risacca, lontano, parlava di tempi andati, migliori, rimpianti.

Boselli si accostò alla recinzione, controllò il digipad, scosse la testa.

- Qui c'è tensione. - avvisò - Non si passa. Proviamo più a sud.

Cabotarono la barriera per alcune centinaia di metri. Ogni tanto Boselli dava un'occhiata al suo strumento e storceva la bocca.

- Eppure dev'esserci... - mormorava.

Moretti sollevò la testa, cercando il genofalco. Non dovette faticare molto a trovarlo: l'uccello bionico era appollaiato sul tetto di uno degli edifici della base, e compiva esercizi motori di auto-diagnosi. I suoi sensori ottici lampeggiavano, deboli ma nettamente visibili, se uno sapeva dove e quando guardare.

- Ci siamo. - esclamò Boselli. - Ecco.

Moretti seguì istintivamente lo sguardo del collega. Non vide nulla di strano: quel segmento di recinzione era del tutto uguale agli altri.

- Allora? - disse, in tono piatto.

- Tensione zero, Jacques. - rispose l'altro, trionfante - Hanno isolato questo tratto e messo un passante intorno. Vedi i cavi?

Moretti annuì, apatico.

- Dev'essere una specie di uscita di sicurezza. - valutò l'altro, scrutando intorno - Ingegnoso... Scavalchiamo, avanti.

L'uomo si arrampicò agilmente sulla recinzione, s'issò a cavalcioni, atterrò dall'altro lato. Dopo un istante d'indecisione, Moretti lo seguì.

Nessuno in giro. Quella solitudine era inquietante. Moretti vide il nervosismo affiorare sul viso del collega. L'altro dovette superare una soglia personale di tolleranza, perché tirò fuori l'inalatore e si servì una boccata abbondante di stimolina. Pochi secondi, e il suo volto tornò a distendersi nell'abituale ghigno di sfida.

- Vuoi? - offrì.

Moretti non gli rispose neppure. Gelido, puntò il dito sull'edificio su cui incombeva il genofalco.

- Andiamo laggiù.

Evitarono l'ingresso principale. Sul retro si apriva una sbrecciata porticina di servizio e la serranda di un montacarichi. Oltre la soglia, una rampa di scale conduceva verso i piani interrati. Entrarono e si chiusero la porta alle spalle. Poi cominciarono la discesa.

- Senti anche tu? - bisbigliò Boselli.

Moretti annuì. Una musica dai ritmi ancestrali faceva vibrare le pareti, sempre più forte man mano che procedevano verso il basso.

Sintobatterie, pensò Moretti, Basso-Moog, vibrochitarre... Note strane si rincorrevano attraverso l'aria. Chiuse gli occhi: non udiva nulla di simile dai tempi dei raid nei Centri Sociali, quando gli accordi del posse scandivano il ritmo dei pestaggi.

- Andiamo a vedere. - sbottò, abbandonando la tromba delle scale e dirigendosi decisamente verso la sorgente della musica.

- Aspettami, cazzo! - protestò Boselli, risalendo tre alla volta i gradini che aveva appena disceso. - Cos'è questa fretta, accidenti?

Senza badargli, Moretti si addentrò in un corridoio polveroso, lo percorse in tutta la sua lunghezza. Boselli arrancava dietro. Varcarono un divisorio di lamiera. E all'improvviso non furono più soli.

- Guarda guarda... - commentò Boselli - Guarda guarda...

Il vasto ambiente in cui erano giunti rivelava in numerosi dettagli un passato da hangar di rimessaggio. Vecchi copertoni d'aereo giacevano accatastati in pile traballanti lungo una parete corrosa dall'umidità. Cavi elettrici e guarnizioni in gomma erano aggrovigliati assieme intorno a fusti metallici divorati dalla ruggine. Il pavimento era cosparso d'antiche macchie d'olio dalle forme di test di Rorshach...

Ma se i segni del passato non erano stati ancora rimossi, il presente riservava una nuova identità a quell'antro di cemento. Un palco di lamiera, un paio di metri più alto del pavimento, ospitava una band intenta a esibirsi in un sintrock sfrenato. Moretti distinse due, tre musicisti, chiaramente dilettanti, che si dimenavano intorno alla selva degli amplificatori Akai e delle centraline a laser.

Davanti a loro, il pubblico: una piccola folla di corpi frementi nella semioscurità umida del locale, uomini e donne, che pogavano, pogavano con violenza, con rabbia, senza respiro, come se vi si giocassero l'anima. I loro movimenti erano onde e creste di spuma nella notte. Pallottole di rock sibilavano fuori dal palco, sparate dalle vibrochitarre della band e riflessi in echi distorti dalle pareti rivestite d'isolante ignifugo.

- Guarda guarda... - continuava a berciare Boselli, un tocco d'eccitazione nella sua voce - Credevamo di averli spazzolati tutti, questi posti. Invece ce ne sono ancora. Incredibile...

Indicò la folla, che li ignorava - Credo che il nostro camuffamento non serva a un cazzo: quegli imbecilli sono talmente fatti che potrebbero sbattersi la propria sorella... o il proprio fratello. Guarda come saltano... Si ammazzano a testate in faccia!

- Vedi il nostro bersaglio? - tagliò corto Moretti, torvo.

- Con questo buio? Scherzi? Non troverei neanche il mio pisello, quaggiù!

- Ma dev'essere in quest'edificio. - insistette Moretti - Il genofalco...

L'altro gettò indietro la testa. - Lo so, lo so. Adesso ci infiliamo l'equipaggiamento X e diamo un'occhiata in giro. - schioccò le labbra con aria incerta. - Ci serve dell'acqua... Dove sarà il cesso?

Moretti indicò con un gesto del mento verso la propria sinistra, dove una porticina lungo la parete lasciava trasparire un'affilata lama di luce.

- Credo sia quello laggiù.

L'altro approvò. - Ne ha tutta l'aria. Andiamo.

La maniglia girò a vuoto nella mano di Boselli. Grugnendo, l'uomo diede una spallata. L'uscio cedette facilmente. Entrarono e bloccarono la porta alle loro spalle.

- Però! - commentò Boselli, sarcastico - Niente male. Le latrine della Centrale a Capodimonte sono una vera fogna a confronto.

Fece scorrere il dito sul bordo dei lavandini, ritraendolo appena velato d'umidità. - Lo sai, Jacques - ghignò - Mi ero sempre chiesto cosa facessero tra una manifestazione e l'altra, questi idioti. Non avrei mai pensato ai concerti e alle pulizie domestiche...

- Tira fuori le lenti, Nico, avanti. - lo zittì l'altro, spazientito.

- Yep! - assentì Boselli, mettendo mano allo zaino - Equipaggiamento X di prima scelta, Jacques, non i chindogu che ci davano in addestramento. Con queste puoi vedere in posti più scuri del culo di un negro. Dicono che ti fottano le cornee, ma secondo me sono stronzate. Certo funzionano molto meglio di quegli occhiali fotomoltiplicatori del cazzo che usano i nostri paperoni, Sarrese in testa. E poi...

Il rumore dello sciacquone gli spense la frase sulla lingua.

- Merda! - sibilò - C'è qualcuno.

Moretti fece cenno di tacere. Poi puntò l'indice oltre la fila dei lavandini. C'erano quattro porte lungo la parete. Una di queste si stava aprendo. Velocemente, l'uomo si appiattì contro la parete.

- Perché non le hai controllate prima, dannazione? - bisbigliò, teso.

- Americani del cazzo! - ribatté l'altro - Perché non le hanno fatte con lo spazio alla base, come le porte di tutti i cessi del mondo?

Sul riquadro della porta apparve una donna. Era giovane, asciutta, un piccolo crocifisso al collo, occhi verdi e una selva di riccioli rossi a cingerle il capo. Vide i due uomini e sobbalzò.

- Ehi! - esclamò, in tono risentito - È il bagno delle donne, questo!

Boselli roteò gli occhi. Poi si rivolse al compagno con un gesto plateale, battendo il pugno contro il palmo dell'altra mano.

- Hai visto, idiota? Ti avevo detto che era il cesso sbagliato, ma tu niente, cocciuto come un commercialista di Zurigo! Perché devi farmi fare sempre queste figure di merda?

- Uscite di qui! - protestò la donna, sospettosa.

- Sì, certo. - concesse Boselli, parlando in fretta e avvicinandosi lentamente - Il fatto è che il mio amico Alphonse, qui, doveva vomitare. Non sopporta l'alcol, lui. Quando esagera, hai suoi attacchi e combina un vero schifo. Dovreste vedere il risultato: nessuno riesce a credere che una poltiglia simile possa essere uscita dallo stomaco di un uomo... Insomma, anche stasera ha mescolato il Jack Daniel's con il Limoncello, è diventato verde bottiglia e mi ha implorato: "Bartolomeo, trovami un cesso prima che erutti anche l'ostia della prima comunione, proprio qui in mezzo ai compagni che ballano"...

- Chi siete, voi due? - inquisì la donna, socchiudendo gli occhi - Non vi ho mai visto.

Boselli completò la sua manovra di avvicinamento, non smettendo per un istante di parlare. - ...e questo è niente: una volta si è messo a vomitare su un vagone della monorotaia. La poveretta seduta di fronte a noi è svenuta. Ho dovuto rompere un finestrino e lasciare che svuotasse lo stomaco sui tetti di Procida, o avrebbe corroso il pavimento del vagone.

Scattò. Un colpo maligno col taglio della mano sulla trachea. La donna si portò le mani alla gola, boccheggiando. Boselli la spinse brutalmente contro la parete, inchiodandola con il suo peso.

- Adesso facciamo un bel gioco, amica mia. - disse crudele. - Come ti chiami?

- G-gloria. - ansimò la donna, gli occhi velati dalle lacrime.

- Bene, Gloria. Facciamo un bel gioco, dicevo. Io ti farò delle domande e tu mi risponderai con la verità. Semplice, vero? Non perdere tempo a gridare aiuto: quegli ossessi che pogano di là non potrebbero mai sentirti, con il casino che hanno nelle orecchie...

- Chi... chi siete?

Boselli, con aria gioviale, le affibbiò un manrovescio. - Beeep! Primo errore. Sono io che faccio le domande. Attenta: al secondo sbaglio si paga pegno.

La donna ammutolì. Un rivolo di sangue le scaturì dal labbro inferiore. Moretti distolse lo sguardo, irritato col collega, e soprattutto con se stesso.

Boselli estrasse il digipad, regolò lo schermo alla massima luminosità e lo mostrò alla sua prigioniera.

- Stiamo cercando questa donna. - sibilò - Dov'è?

- Non... non l'ho mai vista. - balbettò l'altra.

L'uomo gettò indietro la testa. - Beeeeeep! Secondo errore.

Senza preavviso, le diede una ginocchiata alla bocca dello stomaco. La donna si accartocciò su se stessa con un gemito. Boselli la prese per i capelli, la trascinò verso il water, la costrinse in ginocchio.

- Hai visto, Jacques? - gongolò all'indirizzo del collega - Gli yankee non usano le turche. Comodo, vero?

Ghignando, sollevò la tavoletta, impose entrambe le mani sulla testa della donna, la spinse nella tazza, faccia nell'acqua, tenendola ferma mentre lei si dibatteva.

- Cristo, Nico, hai il flacone di Verosint! - esclamò Moretti, disgustato - Usalo e facciamola finita.

- Yep! - approvò l'altro, brutalmente gioviale - L'userò senz'altro. Ma prima lasciami divertire un po', vuoi?

Allentò la presa in modo che la donna potesse rialzare la testa e respirare. Lei boccheggiò, tentò di scalciare, ma l'uomo l'immobilizzò facilmente, mostrando di aver buona pratica di quel tipo di interrogatori.

- Allora? Ti è tornata la memoria? - chiese sarcastico. Poi, senza attendere risposta dalla donna, le fece rituffare nuovamente la testa nel water.

Qualcuno bussò alla porta. Colpi appena avvertibili contro il fondale sonoro del concerto, eppure concreti, inequivocabili.

- Hai sentito? - esclamò Moretti, con la gola secca.

L'altro scrollò le spalle con noncuranza. - Niente di grave: qualcuno che se la sta facendo sotto. Si stancheranno...

Poi tornò a dedicarsi alla sua vittima. La tirò su. Lei si afflosciò sul pavimento con gli occhi vitrei.

- Di già? - si lamentò Boselli - Ho capito: ci vuole qualcosa di caldo. Un po' di brace sui capezzoli, magari, o una cicca tra le cosce. Hai una sigaretta, Jacques?

Moretti gli voltò la schiena, tremando d'irritazione e di disgusto. Lo sguardo gli cadde sullo schermo del digipad, ancora acceso.

Con sorpresa, riconobbe il viso che vi campeggiava. Era dunque lei la donna che stavano cercando? La giornalista dell'ospedale? Si diede dello stupido. Naturalmente era così. Come aveva fatto a non afferrare?

E mentre i fili sciolti nella sua mente si annodavano insieme, il malumore che Moretti provava si mutò in quella sensazione che lo aveva colto allora, in quel letto di trazione, di fronte alle domande della donna le cui tracce seguivano dall'alba. I dubbi che erano sbocciati allora come semi al disgelo tornarono a fiorire, nutrendosi della contrarietà e della nausea che lo pervadeva. E all'improvviso, egli capì l'enormità dell'orrore e della prevaricazione cui stava assistendo.

I colpi alla porta continuavano. Moretti si voltò duro verso il collega. Boselli incombeva sulla donna semisvenuta, ed era intento a strapparle i vestiti di dosso.

- Ora basta! - ingiunse - Lasciala!

L'altro lo guardò inespressivo. Poi sorrise. - Vuoi fartela prima tu? E va bene, zio Nico è generoso. Ti cedo il turno.

Moretti lo colpì sulla bocca. Boselli barcollò, un'espressione incredula sul viso volgare. Si portò le mani alle labbra, le ritrasse sporche di sangue.

- Ti sei bevuto il cervello, Jacques? - strillò.

Moretti non si lasciò distrarre. Fissava le mani dell'altro, e si accorse subito di cosa Boselli stava facendo.

- Non toccare la pistola, Nico.

L'altro abbassò ancora di più la mano.

- Lasciala stare, ti ho detto: possiamo ancora chiuderla qui.

- Ma certo, Jacques. - approvò l'altro, afferrando il calcio della Beretta alla cintura e facendo per estrarla.

Moretti gli fu addosso, gli afferrò il polso, strinse. Boselli tentò un calcio al basso ventre. Moretti schivò, recuperò l'equilibrio, afferrò anche l'altro polso del collega. I colpi alla porta erano martellate, adesso.

- Questo ti costerà caro, Jacques! - minacciò Boselli, finalmente spaventato.

- Lo so. - ribatté Moretti, serio - È ora che io cominci a pagare.

Il suo braccio destro scattò veloce. Il diretto colpì Boselli sulla fronte, all'attaccatura del naso. L'uomo cadde all'indietro, incespicò sul corpo di Gloria, rovinò contro il lavabo, colpì con la nuca il piano di ceramica smaltata. Prima di toccare terra, era già privo di sensi.

Moretti si chinò sulla donna, che singhiozzava debolmente, la prese in braccio con tutta la dolcezza di cui era capace.

- Mi dispiace. - disse, e non riuscì ad aggiungere altro.

Poi si diresse alla porta, che tremava sotto i colpi provenienti dall'esterno. Tolse la sbarra con cui Boselli l'aveva bloccata, l'aprì.

Dieci paia d'occhi lo guardarono spiritati.

- Abbiamo bisogno d'aiuto. - disse semplicemente.

La vita è come l'anticamera di un cavadenti: c'è sempre chi sta peggio di te.
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano

- Uccidiamoli.

Moretti, l'acconciatura rasta zuppa di sudore, sollevò gli occhi verdi dal pavimento e squadrò amaro gli uomini di cui era prigioniero. Il capo, rifletté, doveva essere quel vecchio dal viso rugoso che tamburellava sul ginocchio le dita rese nodose dall'artrite. Diede un'occhiata carica di disprezzo a Boselli: il suo compagno si massaggiava la nuca contusa con aria di sfida.

- Sì - sentì dire dal vecchio - È la cosa migliore.

Moretti si sentiva troppo stanco per perorare la sua causa. Boselli, però, aveva ancora qualche risorsa: si agitò contro i legacci e provocò sprezzante.

- Se volete tagliarci la gola, fatelo adesso! - gridò sputando saliva - Forse è la vostra ultima occasione!

Al fianco del vecchio, un secondo uomo ridacchiò, scuotendo le spalle ampie e la testa calva. - Mi spiace disilluderti, settantuno, ma se conti sull'arrivo dei tuoi ti sbagli. Puoi anche spegnere il segnalatore: questo posto è completamente schermato.

- Idioti... Credete che basti? - insistette Boselli.

L'altro esplose in una risata plateale. - Ah, capisco... Stai pensando al tuo gallinaccio. Be', eccotelo. Mi dispiace, i miei lo hanno un po' spennato...

L'uomo scostò una coperta sul pavimento, lasciando Boselli a fissare esterrefatto i resti del genofalco. Boselli, all'improvviso, sembrò sgonfiarsi. Quando riaprì la bocca, la sua voce tremava.

- Io... io sono solo un soldato... - balbettò in tono supplichevole - Eseguo ordini...

- Piantala. - mormorò Moretti, disgustato.

L'altro si illuminò, come se avesse scorto la salvezza. Puntò il dito verso il collega.

- Lui è un agente scelto. È lui che dà gli ordini. Io sono solo un sottoposto, sono una vittima come voi. Volevo disertare e unirmi alla rivolta: per questo mi ha colpito, laggiù nel cesso. Io...

Moretti avvampò di rabbia. Il suo primo impulso fu di saltare addosso a Boselli, ma si sentiva troppo stanco, troppo svuotato. Scrollò le spalle, rassegnandosi agli eventi.

L'uomo calvo ridacchiò ancora. - Davvero divertente, settantuno. Ma dimmi, perché dovremmo crederti?

- Vi dimostrerò che sono dei vostri! - farfugliò ancora Boselli, sputando parole come proiettili contro Moretti - Cosa volete che faccia? Che uccida io stesso questo porco macellaio, questo nemico del popolo? Lo farò con piacere! Anche subito!

L'altro si grattò pensieroso le orecchie a punta. - Tu gli credi, Anselmo?

Il vecchio si accese una sigaretta. - Sì, credo che lo farebbe. Non che questo dimostri nulla. - commentò tranquillo. Poi guardò oltre la spalla dei prigionieri - Tu che ne dici, Masaniello?

Dall'angolo in ombra della stanza, la voce roca si levò raggelante. - Perdiamo tempo. C'è un solo modo di trattare questi infami.

Cerco la regione cruciale dell'anima, laddove il male assoluto si oppone alla fraternità.
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano

Lara alzò la testa, perplessa. Le era sembrato di udire un grido. Un urlo disperato, un vertice di terrore e dolore concretizzatosi in suono. Si affacciò al corridoio, ascoltò, ma senza distinguere nulla oltre gli echi del silenzio. Forse si era sbagliata. Tornò al capezzale di Gloria, le versò ancora dell'acqua.

- Grazie... - farfugliò la donna.

Lara le sollevò maggiormente la testa. La donna respirava a fatica. Le ecchimosi circondavano la pelle candida del suo collo in una spietata collana di macchie violacee, sulla quale la catenina con la croce di legno risaltava minuscola e inerme.

- Lascia perdere.

- No, dico davvero.

- Pensa a riprenderti. - replicò Lara - Sei tu, adesso, ad aver passato un brutto momento.

L'altra scrollò le spalle, sottili e delicate. - Fa parte del mio cammino. - mormorò in tono fatalista.

Lara le sistemò meglio il guanciale e fece per andare, ma Gloria la fermò sulla soglia.

- Non andartene.

Lei batté le palpebre, interdetta. - Hai bisogno di riposo.

- Ti prego.

- Ma...

- Non voglio restare sola.

- Forse c'è... - balbettò Lara, vagamente a disagio - ...qualcuno che dovrei avvertire? Voglio dire... una persona particolare?

Gloria annuì, massaggiandosi la gola offesa. - Lui verrà presto, io lo so. Ti prego, aspettalo con me.

Lara sedette sul materasso accanto alla donna. Sorrise incerta. Accennò qualche gesto imbarazzato di rassicurazione. Poi, non sapendo cosa fare delle mani, le portò a carezzare gli orecchini.

C'era un atmosfera strana, lo aveva colto, tra la gente che divideva quei sotterranei un po' rifugio un po' baraccopoli. Era un'intimità complice, una comunanza e una confidenza che univa a livelli più profondi del conscio. Lara non capiva bene perché ciò avvenisse: forse, pensava, era la consapevolezza di non avere più tempo per il riserbo a unire così tanto persone tra loro estranee. Si chiese quanto avrebbe impiegato per disfarsi anche lei delle difese e delle convenzioni di una vita.

- Lui chi è? Tuo marito? - domandò.

- Qualcosa del genere. - rispose Gloria. Poi fece leva su un gomito e si issò sul materasso, lo sguardo perso nel vuoto.

- Ero ancora una bambina, quando lo vidi per la prima volta. - mormorò.

- Capisco. - approvò Lara.

- Lui era l'uomo più bello che avessi mai visto. - proseguì l'altra, come non l'avesse nemmeno ascoltata - Alto, bruno, gli occhi d'angelo, il corpo di un divo del cinema...

- Come.. come si chiama? - chiese Lara, imbarazzata.

- Guido. Ma tutti lo chiamavano 'o Pascià... - Gloria sorrise - Era un mito per tutte le ragazzine di Secondigliano, e io ero tra loro. Gli andai dietro per anni, sognandolo a occhi aperti, andando ad assistere alle partite di calcetto del quartiere solo per vederlo, affacciandomi al balcone quando sentivo rombare la sua vespa, conservando come tesori le rare parole che lui mi rivolgeva... Non che non mi avesse notata, ma era sempre circondato da ragazze magnifiche, donne fatte, al cui confronto io ero un'adolescente brufolosa e insignificante...

Gloria vuotò di nuovo il bicchiere, riprese in tono da confessionale. Lara, sempre più a disagio, si sforzò di trovare il modo di arginare quelle confidenze così intime, che la donna eruttava come spinta da singhiozzi della memoria, viscerali, inarrestabili.

- Gloria, io...

L'altra la ignorò. - Era talmente pieno di vita, di vigore, irradiava come un sole e il mondo splendeva intorno a lui... Lo amavo da lontano, e aspettavo, perché sapevo che non era il mio momento. Lui non giocava con me, no. Avrebbe potuto schioccare le dita quando voleva e io sarei caduta ai suoi piedi. Altri ne avrebbero approfittato, lui non lo fece mai. Forse mi considerava un'amica insolita, una ragazza strana e silenziosa ai margini del suo mondo. A volte mi sorrideva con l'aria di chi aveva capito, e poi si allontanava da me avvolto in quel vortice di energia vitale di cui erano illuminate le sue giornate...

- Non è... un po'... passivo, amare così? - azzardò Lara.

- Ognuno lo fa a suo modo. - replicò Gloria - Non credi?

Lara pensò ai suoi trascorsi sentimentali, pochi dei quali sereni. Non poteva che essere d'accordo con l'altra.

- Credo di sì.

- Io sentivo di dover aspettare. Era il mio cuore a dirmelo.

- E cosa successe?

La donna deglutì, si abbandonò con la schiena contro il materasso, fissò il soffitto

- Un giorno, al cantiere dove lavorava avvenne uno dei quegli orrori criminali che voi giornalisti chiamate "incidenti sul lavoro". Il software di controllo di una motoscavatrice aveva un baco. Ci furono sei operai morti e dieci feriti prima che il capo cantiere riuscisse a isolare il gruppo elettrogeno...

- Mio Dio...

- Ci fu un processo, ma il proprietario dell'impresa non aspettò la sentenza. Scappò in Sudamerica coi fondi della ditta. Sei mesi dopo Guido fu dimesso dal Cardarelli, e scoprì che insieme ai pezzi del suo corpo se n'erano andati il lavoro, gli amici, le donne che fingevano di adorarlo, il rispetto del quartiere e la fortuna, che lo aveva sempre ingannato con un falso sorriso...

Gloria incrociò lo sguardo di Lara - Ma io ero lì, pronta a prendermi cura di lui. Per me lui non era cambiato, era ancora l'uomo che avevo sempre amato. Dovevo solo farglielo comprendere. Passammo dei momenti difficili, ma lui alla fine capì le verità più importanti, si convinse che c'è un cammino tracciato che ci trascende, e che Nostro Signore non toglie mai nulla ai suoi figli se non per dare in cambio una gioia più grande.

- Gloria!

L'uomo entrò di corsa nella stanza senza nemmeno guardarsi intorno. Lara fece appena in tempo a sollevarsi dal letto.

Il nuovo arrivato si precipitò al capezzale di Gloria, l'investì con voce gravida di apprensione.

- Amore, amore mio... Me l'hanno appena detto. Come ho potuto lasciarti sola? Non potrò mai perdonarmelo.

Gloria tossì in cerca di aria, e l'uomo si allontanò per farla respirare. La donna si riprese subito.

- Lara, lui è Guido.

- Tutti mi chiamano Pascià. - aggiunse l'uomo, visibilmente sollevato.

Lara si sforzò di non fissare quelle che dovevano essere state le braccia del nuovo arrivato. Il destro era cauterizzato appena sopra il polso, e il moncherino, solcato da orribili cicatrici bluastre, sporgeva oltre la stoffa della camicia. Il sinistro era scomparso fin oltre il gomito, rimpiazzato da una protesi plastica d'aspetto scadente che terminava in tre dita prensili.

- Io... io vi lascio... - balbettò - Avrete molte cose da dirvi.

Gloria fece per obiettare, ma Lara uscì in corridoio e si chiuse la porta alle spalle, restituendo alla coppia nella stanza la sua intimità.

- Buona fortuna. - disse, senza preoccuparsi che i due potessero sentirla. Non ne avevano bisogno.

 

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