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Da "In cerca di Masaniello"
di Lara Mastrantuono
Giudicare l'indolenza, la rassegnazione, il fatalismo come
tratti fondamentali dello stile di vita partenopeo è un luogo comune da
sempre ben radicato. Tra le virtù universalmente riconosciute al popolo
di Napoli c'è forse l'arte di arrangiarsi, o la cucina e il bel canto,
ma non certo la grandezza eroica e lo spirito di sacrificio necessario per una
rivoluzione.
Tali preconcetti sono alla base dello stupore e dello scetticismo
con cui l'opinione pubblica (soprattutto gli analisti politici) accolsero le prime
notizie della rivolta di Masaniello. Non soltanto il significato di ciò
che accadeva non venne colto, ma vi fu, da parte di chi avrebbe dovuto sentirsi
minacciato, una clamorosa sottovalutazione del pericolo.
Questo giudizio erroneo influì in modo decisivo sul
corso della rivolta. Difficile dire cosa sarebbe avvenuto se le autorità
avessero compreso dall'inizio la portata dell'emergenza. Di certo i rapporti di
forza, e l'esito dei primi scontri, sarebbero stati ben diversi...
A posteriori, non possiamo che assegnare agli avversari di
Masaniello il fardello di una miopia assoluta e di una profonda ignoranza (dovuta
a disinteresse, se non addirittura a disprezzo) per la storia della città
che governavano.
Chiunque avesse guardato con occhio obiettivo al passato di
Napoli, infatti, avrebbe scorto tutti i precedenti di cui aveva bisogno per allarmarsi.
Senza bisogno di giungere al Masaniello seicentesco, sarebbe stato sufficiente
pensare a cosa avvenne nel corso dell'ultimo conflitto mondiale.
Dal 27 al 30 settembre del 1943, come forse non tutti sanno,
la città di Napoli insorse contro gli occupanti nazisti. Hitler, furioso,
telegrafò al feldmaresciallo Kesserling ordini terribili: i guastatori
della Wehrmacht e i panzer, testualmente, dovevano lasciare dietro di loro soltanto
"cenere e fango". Ma in quelle magnifiche quattro giornate, una popolazione
in gran parte femminile, quasi senza armi, inflisse all'esercito tedesco l'unica
sconfitta popolare da esso subita nel corso della guerra.
La routine è la nostra stampella. Se si spezza cadiamo in
ginocchio.
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano
L'agente scelto Moretti avvertì il sat-com vibrare contro
la stoffa della tasca interna del giubbotto. Si liberò bruscamente dei
piccoli questuanti che lo attorniavano implorando centesimi di euro, che gli strattonavano
il vestito, che lo assillavano con improbabili storie di genitori malati e di
fami ataviche.
Con calma e circospezione, si guardò intorno in cerca
di un luogo appartato. Scelse il rudere di una chiesa, vittima di chissà
quale passato vandalismo e mai più restaurata, intorno al quale si aggirava
solo un branco di cani d'aspetto tremebondo.
Dietro un basso muretto di mattoni sbrecciati, vide un paio di
travi crollate su cui erano incongruamente cresciuti folti ciuffi di margherite.
L'agente vi si sedette, aprì il giubbotto, controllò ancora una
volta che nessuno lo stesse tenendo d'occhio, portò il comunicatore all'orecchio.
- Sì?
- Qui Boselli. - disse la voce all'altro capo dell'apparecchio
- Dove ti trovi? Non riesco a tracciarti.
- Aspetta. - replicò Moretti. Pigiò un pulsante
sul fianco del sat-com e attese il bip! di conferma.
- Ho acceso il segnale. - avvertì. Poi il suo tono si
fece cupo. - Ma la consegna è tenerlo disattivato, lo sai.
La voce ridacchiò. - Che stronzata. Come se quei morti
di fame potessero intercettarci... Comunque, adesso ti vedo. Tre, sette, uno...
Ho capito. Sarò da te tra un paio di minuti.
- Muoio dalla voglia. - brontolò Moretti, spegnendo il
comunicatore.
Poi si alzò per sgranchirsi le gambe. Il ginocchio non
doleva più, ma continuava a manifestare la sua voglia di protagonismo con
sporadiche fitte e un continuo prurito intorno all'articolazione, laddove i trapianti
di pelle sintetica erano attecchiti. La clavicola, dal canto suo, non voleva essere
da meno, e lo tormentava ancora con periodiche punture di fastidio e un'irritante
contrattura dei fasci muscolari.
Anche in quel momento, gli sembrava di avere una lastra di cemento
tra la base del collo e l'attacco dell'omero. Moretti provò a sollevare
il braccio, a toccarsi con la mano la sommità della testa. Sollecitò
l'articolazione per quanto gli era possibile; alla fine, grugnendo per lo sforzo,
tornò a sedersi, frugò nelle tasche alla ricerca del flacone, tirò
fuori le pillole, ne inghiottì tre in rapida successione.
Non più di una al giorno, almeno per la prima settimana,
aveva raccomandato il medico. Moretti fece una smorfia, poi ne mandò giù
altre tre con ostentazione.
Dottori del cazzo, pensò. Lo avevano tenuto per
giorni e giorni senza stimoline, lo avevano infilzato d'aghi come un puntaspilli,
gli avevano infilato sonde in ogni orifizio disponibile, lo avevano lasciato appeso
ai cavi della trazione come un quarto di bue, e alla fine di tutti quei supplizi
non poteva dirsi neppure soddisfatto del lavoro...
Il ronzio del motore lo destò dal suo malumore. Voltandosi,
Moretti scorse una motocicletta male in arnese che emergeva dal fronte del traffico
e gli si avvicinava sollevando mulinelli di polvere e immondizia. A cavalcioni
della sella affusolata c'era Boselli. Anche lui, come Moretti, era in borghese.
- Jacques? - azzardò il nuovo arrivato, incerto - Sei
tu?
Moretti annuì seccamente, sfiorando con le dita lo strato
di plasticarne che gli addolciva la curva del naso e gli alzava gli zigomi. Detestava
subire sedute di camuffamento, ma facevano parte della consegna.
- Belle trecce. - lo canzonò il collega - Una perfetta
acconciatura kazako-rasta. Complimenti.
Moretti gli scoccò un'occhiata truce. - Stronzo... Almeno
io non sono vestito come un pagliaccio.
L'altro accettò il colpo con aria sorniona. Dimostrava
una ventina d'anni, era robusto, le gambe lunghe, i capelli color mattone tagliati
a spazzola, gli occhi chiari. Indossava una casacca di tessuto plastificato tinta
a colori vivaci, portava uno zainetto XL-free sulle spalle, stivaletti russi alla
caviglia, braccialetti di moda tra i teenager, e una bandana intorno al collo
come il protagonista della soap-opera che spadroneggiava sulla RTV.
- Monta, Jacques. - ingiunse - Dobbiamo andare.
Moretti salì a cavalcioni della motocicletta, sistemandosi
alle spalle del collega. Infilò il casco in monofibra che l'altro gli porgeva
e gli fece cenno di essere a posto. Boselli mise in moto e s'immise nel flusso
del traffico, imboccando la corsia da cui era appena giunto.
- Sei già in missione... - considerò, parlando
all'interfono - Sono sorpreso, Jacques...
Moretti faticò qualche istante a individuare il microfono
inserito nel casco, poi rispose di malumore. - Perché?
- Be', ti avevo visto piuttosto conciato, lassù al Cardarelli.
- Lo ero. - ammise.
- Be', allora cosa ci fai già in giro?
- Ho chiesto di prendermi un periodo di congedo... Domanda stracciata.
- Ti sei fatto l'infermiera, almeno? - ghignò Boselli,
schivando di pochi centimetri il furgone Iveco di un venditore ambulante - Era
un bel pezzo di carne, ricordo...
L'altro si morse le labbra. Ci aveva pensato più volte...
Perché non le era saltato addosso, a quella puttanella, quando finalmente
lo avevano liberato dalla trazione? Cos'era stato a trattenerlo? Il senso d'intimità
che nonostante tutto si era stabilito tra loro, in quei giorni di aghi nella pelle
e di silenzio? I pensieri strani, quei fastidiosi scrupoli figli dell'astinenza?
Non avrebbe saputo dirlo.
- No... - ammise, a denti stretti.
- Davvero? - Boselli sembrò stupito - Da non credere.
- Invece è così. - tagliò corto Moretti.
Boselli diede gas. - Be', puoi tornare e darle il dovuto a tuo
comodo: lei non scappa di certo. - poi ridacchiò. - Di' un po', l'hai mai
fatto con una ragazza imbottita di stim? È fantastico!
Moretti brontolò qualcosa di riflesso, senza il minimo
interesse.
- I civili non reggono le nostre miscele. Ascolta: il mese scorso
mi sono fatto la fioraia all'angolo di Capodimonte. Era un pezzo che mi tirava,
quella zoccola... Ho aspettato che abbassasse la serranda per chiudere il negozio,
sono entrato e ho sbarrato la porta. Poi l'ho sbattuta sul tavolaccio e l'ho costretta
a tirare una boccata... Vuoi?
Moretti guardò contrariato l'inalatore logorato dall'uso
che l'altro gli stava porgendo.
- No, grazie. - disse di malumore: avrebbe preferito che il collega
tenesse entrambe le mani sul manubrio - Ho appena fatto il pieno.
- Come vuoi. - concesse l'altro.
Continuando a guidare la motocicletta con un braccio solo, schiacciò
il tubetto, lo scosse finché il preparato in esso contenuto non cambiò
colore, lo infilò nella narice e inspirò profondamente. I suoi occhi
chiari si appannarono per un istante, poi divennero luccicanti di soddisfazione
chimica.
- Dicevo... l'ho costretta a tirare un fiato. Avresti dovuto
vederla, dopo... - ghignò - Non riusciva assolutamente a controllarsi.
Strillava e si dibatteva, ma il corpo le andava per conto suo. Le ho fatto di
tutto, e non ho avuto neanche bisogno di legarla. Mugolava come una gatta in calore...
Alla fine voleva denunciarmi. Stupida... - ridacchiò ancora - Certa gente
non riesce davvero a capire.
Moretti non espresse alcun commento. Boselli intuì finalmente
il cattivo umore del collega, e decise d'interpretarlo a suo modo.
- Non essere incazzato per il tuo congedo, Jacques. - disse in
tono leggero - Il Comando ha respinto tutte le domande: siamo in emergenza.
- Lo so. - mormorò Moretti, tornando con la mente alla
figura incappucciata che incombeva nei suoi incubi da quella notte di fiamme e
di vetri infranti.
- Emergenza Masaniello. - specificò Boselli - Hai visto
il nuovo proclama di quello stronzo?
- Un po' difficile ignorarlo. - bofonchiò Moretti - Sta
su tutti i siti della Rete.
- Infatti. Abbiamo fatto vedere i sorci verdi, a quei rottinculo
de Il Mattino, ma non è servito a un cazzo...
Moretti, che cominciava a essere infastidito dalla petulanza
e dalla volgarità del collega, ripiombò nel silenzio.
- Sai cosa penso? Quei finocchi dell'informazione hanno troppa
libertà. - proseguì Boselli, sterzando per imboccare una strada
laterale meno affollata - Ha ragione "Denti di ferro". Hai sentito il
suo discorso alla RTV?
- Il discorso di chi? - chiese Moretti, perplesso.
- Jean Lecherche. I ragazzi lo chiamano così per l'innesto
vocale che...
- Lascia perdere. - tagliò corto Moretti, ormai decisamente
nervoso - Qual è la situazione?
Boselli accondiscese. Il suo tono divenne più eccitato.
- Warn-con4... Lo so, è un po' poco, ma sempre
meglio di un calcio nei coglioni. Sarrese si sta battendo per il tre. Per il momento,
però, il Comando rifiuta.
- A Francoforte devono avere altre idee. - mormorò a mezza
voce Moretti. Chissà perché, quel pensiero lo rendeva particolarmente
depresso.
- Come? - chiese l'altro, che non aveva afferrato.
- Lascia perdere, Nico. Va' avanti.
Boselli scrollò le spalle. - Livello quattro, dicevo.
Pattuglie intorno a tutti gli hot spot della mappa, convertiplani in volo h24,
presidi in forze a Poggioreale, Capodichino e al Porto... - fece lampeggiare le
frecce, sorpassò un veicolo da trasporto dalla targa improbabile, con tutta
l'aria di essere stato rubato - A noi stronzi, come al solito, è toccata
l'infiltrazione. Il Comando vuole informazioni di prima mano.
- Seguiamo una traccia precisa? - s'informò Moretti.
L'altro annuì. - Qualcuna...
Accostò, spense il motore e smontò. - Siamo arrivati.
Puntò il dito verso un edificio poco distante. - Vedi
quel portone?
- E allora?
- L'ho tenuto d'occhio tutta la notte. È l'ora di salire e dare
un'occhiata dentro. Vieni con me.
Moretti lasciò la motocicletta in equilibrio precario
sul suo cavalletto incrostato di fuliggine e andò dietro al collega. Il
portiere dello stabile lanciò loro uno sguardo interrogativo, ma l'espressione
truce dei due uomini lo indusse a farsi da parte.
Salirono alcune rampe di scale, fermandosi su un pianerottolo
ornato da felci in grandi vasi di plastica verde. Boselli si avvicinò alla
parete, prese tra il pollice e l'indice quella che sembrava una farfalla notturna,
la girò, le premette il polpastrello sul ventre. Gli occhi dell'insetto
emisero uno scintillio.
- Da qui non è passato nessuno. La quaglia ha preso il
volo. - sentenziò l'uomo, riponendo la farfalla-sensore nello zainetto
- Non resta che entrare.
Moretti lanciò al collega uno sguardo inespressivo. Perché
doveva parlare tanto? La testa gli doleva. Forse aveva bisogno di un'altra pillola...
- Scostati. - lo esortò Boselli - Questa è la specialità
di zio Nico.
Osservò con cura professionale la serratura, fece scorrere
le unghie lungo la fessura per la carta d'identificazione. Alla fine sembrò
soddisfatto.
- Siemens Saesam II. - gongolò - Dovrei averla...
Aprì lo zaino, vi frugò dentro, ne trasse un minuscolo
digipad. Lo accese, picchiettò brevemente sulla tastiera, lo puntò
contro la serratura. I led si accesero in sequenza. La porta si aprì con
un sibilo.
- Prego. - disse Boselli, sardonico.
Moretti entrò nell'appartamento sbuffando. In quel momento,
avrebbe voluto solo potersi stordire con l'alcool e le stim, e poi dormire per
una settimana.
- Non vuoi sapere come riesco a fare questi giochetti? - lo punzecchiò
il collega.
- Sinceramente no. - replicò lui in tono cupo, guardandosi
intorno.
- Sei il solito stronzo. - commentò Boselli, deluso -
Be', io te lo dico lo stesso. Siemens, SGS-Thompson, AEG, Philips e quasi tutti
gli altri paperoni europei dell'elettronica hanno firmato un accordo: ogni loro
chip ha una funzione di controllo "dormiente", sensibile a un codice
noto ai reparti speciali. Se ci gira possiamo bloccare i sistemi di autoguida,
intercettare le comunicazioni, aprire le serrature elettroniche e tanti altri
scherzetti. Oggigiorno, se ti difendi con la cibernetica, è come se girassi
a chiappe nude in un locale di froci... Ecco perché io uso una Yamaha di
vent'anni fa. - concluse, strizzando l'occhio.
Moretti rifiutò ostentatamente di prestare attenzione
alle rivelazioni da quattro soldi del collega. Gli voltò le spalle e rimase
chiuso nel suo silenzio.
Che pallone gonfiato, pensò. Volgare e imbecille.
I tipi come lui mi danno allo stomaco. Il problema è che ce ne sono tanti,
alla Sezione...
Badando bene a dargli sempre e comunque le spalle, si diresse
alla porta scorrevole che chiudeva l'angolo del piccolo soggiorno.
- Io mi occupo del bagno. - disse freddamente - Procedura standard.
Tu fa' quel che ti pare.
Senza aspettare conferma, varcò la porta scorrevole e
accese la luce del minuscolo cubicolo. Il soffitto s'illuminò di un chiarore
diffuso.
Le pareti e il pavimento erano rivestiti da piastrelle color
papiro; un armadietto a muro tracimava pettini, spazzolini e necessaire
per il trucco, segno inequivocabile che la casa aveva un'occupante femminile.
Un accappatoio ripiegato giaceva in ordine sull'asciugatore a microonde. L'uomo
l'annusò: appena umido; odori leggeri, lavanda e talco, nessun profumo
particolare.
Uno specchio rettangolare cinto da una cornice bianca si estendeva
dal lavandino al pensile portasciugamani. Moretti batté le palpebre, si
vide riflesso: spalle larghe, la sinistra più alta della desta, addome
asciutto, collo nervoso; viso reso irriconoscibile dal camuffamento, espressione
guardinga e rancorosa, paradigma del suo stato d'animo.
Distolse lo sguardo. Non aveva voglia di confrontarsi con l'uomo
nello specchio, meno che mai di affrontare con lui una discussione. Ne sarebbe
uscito certo sconfitto.
Meglio concentrarsi sul lavoro. Dalla tasca interna del giubbotto
trasse l'equipaggiamento "H". Aprì la busta, scelse un paio di
pinzette e un set di provette, si inginocchiò di fronte al water e nel
box doccia, eseguì con coscienza la procedura.
Quando ebbe finito, tornò nel salone. Boselli era intento
a battere il perimetro del piccolo ambiente in tappe devastatrici. Aveva già
sventrato i divani, strappato le tende, rovesciato i vasi, abbattuto i pensili,
sparso mimose e bouganville sul tappeto pseudocinese, lacerato la carta da parato,
sfondato le scansie dell'angolo cottura. E proseguiva con metodicità, con
evidente intenzione di non lasciar nulla intatto.
- Stai cercando qualcosa in particolare, Nico? - chiese Moretti,
in tono neutro.
- No. - disse lui, affondando il coltello d'ordinanza nella stoffa
dipinta a tulipani.
- Cosa stai facendo, allora? Ti stai divertendo?
- Yep! - esclamò Boselli - Ho aspettato tutta la notte
che questa stronza tornasse a casa. Devo pur ripagarmi in qualche modo, non credi?
- Hai controllato il terminale? - disse Moretti, asciutto.
- Stavo per farlo. - l'uomo accese lo strumento, meditò
qualche istante di fronte alla richiesta di password, impugnò nuovamente
il digipad.
I controlli d'accesso si arresero docili. Boselli scorse il registro
delle ultime chiamate.
- Interessante... - mormorò, mentre lo schermo si riempiva
dell'immagine d'una donna corpulenta dai capelli turchese.
Moretti diede un'occhiata, provando una vaga sensazione di familiarità.
- La tizia che cerchiamo... - disse controvoglia - Chi è?
- Ah! - esclamò Boselli, illuminandosi d'un sorriso fatuo
- Ti è restata un po' di curiosità, in fondo! Perché fai
la scena del lobotomizzato, allora?
- Va' all'inferno, Nico.
L'altro rise. - Più tardi, magari. Adesso ci aspetta una
visita a una vecchia signora... Andiamo.
Non si curarono di chiudere la porta dell'appartamento. Scesero
le scale, scoccarono una seconda occhiata truce al portiere, intento a sorvegliare
le attività di un gruppetto di scugnizzi elemosinanti all'angolo del palazzo,
attraversarono la strada, inforcarono la motocicletta.
Boselli salì davanti, eccitato; Moretti dietro, cupo:
il suo senso di malessere in quel momento toccava un vertice. Sentiva di disprezzare
il vanitoso collega che lo accompagnava, di detestare la squallida missione che
gli era stata assegnata, di odiare quella città psicopatica e l'intero
mondo...
Partirono. La strada correva ai fianchi della Yamaha, ma Moretti
quasi non se ne accorse. Era stato vittima altre volte di una depressione simile.
Mai, però, quando aveva in corpo così tanta stimolina.
Era quest'ultimo pensiero, soprattutto, a renderlo inquieto.
Dentro di lui, lo intuiva, si era rotto qualcosa di più profondo di una
clavicola o di un ginocchio, qualcosa di tremendamente più importante,
che si era spezzato forse in modo definitivo.
- Ho tracciato la chiamata. - blaterò Boselli, in un tono
che gli parve odioso - Ci siamo.
Moretti si guardò intorno. Non aveva badato alla strada,
ma dovevano essere dalle parti di Agnano. Non che la folla di ambulanti, scugnizzi
in lacrime, contrabbandieri e taroccatori fosse diversa lì che in altri
punti della città...
Accostarono di fronte a una schiera di palazzi a tre piani di
architettonica bruttezza. La facciata era verde bile, i balconi sembravano registratori
di cassa, i vetri polarizzati alle finestre guardavano il mondo come occhi strabici.
I platani intorno agli edifici erano consunti dalla necrosi ossida, come del resto
l'intero patrimonio boschivo della metropoli.
Boselli spense il motore, controllò le indicazioni del
digipad, si diresse con passo sicuro verso uno dei portoni. Suonò.
L'abbaiare di un cane precedette di qualche istante il Chi
è?
Boselli indirizzò un'occhiata propositiva al collega.
Moretti scosse la testa. L'altro atteggiò i lineamenti del viso a un plateale
punto interrogativo.
Di malumore, Moretti scrollò le spalle. - Improvvisa.
- ingiunse.
- Siamo colleghi di sua figlia, signora. - azzardò Boselli.
Una sezione della porta si fece traslucida. Oltre il composto
attivo, adesso polarizzato, apparve la figura corpulenta della matrona che i due
avevano visto al terminale. Di nuovo, Moretti trovò che i tratti della
donna avevano un che di familiare. L'aveva mai vista? Probabilmente no, si disse.
Eppure gli rammentava qualcuno.
- Siamo preoccupati, signora. - insistette Boselli - Non vediamo
sua figlia da due giorni. Ne ha notizie?
La matrona restò qualche istante in silenzio. La sua espressione
era stolida, e Moretti intuì che aveva difficoltà di comprensione.
- Come dite? - balbettò.
Boselli ripeté la richiesta. Questa volta la porta si
aprì. Ai piedi della donna, un dog-tek agitava la coda di plasticarne e
fissava gli intrusi con occhi sintetici e acquosi.
- Siete amici di Lara? - chiese, con una giovialità appena
oscurata dall'ansia. Le ciglia finte, malamente sistemate, le donavano un'aria
bizarra. Un monile di vistosi cristalli orbitali scintillava intorno al collo
carnoso.
- Amici intimi. - confermò Boselli, impassibile.
- Oh! Che cari...
- Sa dove possiamo trovarla?
- Mi dispiace, tesori. - si scusò lei - Lara non si fa
sentire da Martedì. È molto disdicevole da parte sua, lo so... Quella
ragazza mi farà morire di crepacuore. Lasciare sua madre senza notizie
così a lungo... Tipico del suo segno.
Moretti, disgustato, ammiccò in direzione del collega.
- Sta dicendo la verità. - bisbigliò Boselli, leggendo
il report del digipad - Almeno ne è convinta.
- Stiamo perdendo tempo, allora. - disse cupo - Andiamo.
L'altro sorrise, scoprendo i denti. - Non aver fretta.
Estrasse la pistola d'ordinanza, sparò al dog-tek. Diede
una spinta alla matrona, mandandola a sbattere contro la parete.
Ed entrò.
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