"2038: la rivolta", di Francesco GrassoLiber Liber
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Prefazione | Epilogo

4

Masaniello è tornato
Pino Daniele

Lara indietreggiò, prossima al panico. La visione, assolutamente inaspettata, superava in orrore e spavento ogni sua immaginazione.

L'occhio sinistro dell'uomo, che la maschera aveva sino a quel momento celato, era un bulbo deforme e velato dal tracoma. Il destro, che finalmente ella poteva vedere in piena luce, era un pozzo cerchiato di nero, obliquo, malsano; la pupilla, dilatata, galleggiava nella rete rossa dei capillari. Le sopracciglia quasi non esistevano, la fronte era devastata da ulcerazioni e protuberanze carnose. Il naso era adunco, gli zigomi asimmetrici, le guance incavate e di colorito verdastro. Le orecchie, piccole e deformi, ricordavano quelle di un animale. Misere ciocche di capelli grigi, rade e scarmigliate, erano tutto ciò che copriva il cranio dalla forma irregolare.

- Capisci ora perché porto una maschera, signora giornalista? - mormorò il Giustiziere, amaro.

- Co... cosa ti è successo? - balbettà Lara, mordendosi le labbra, vincendo a stento l'impulso di fuggire - Sei... sei sempre stato così?

- Vuoi dire la mutazione? Oh, sì: un regalo di mia madre. E di quei bastardi che la imbottivano di Sale Lucente nonostante che fosse incinta. Forse anche mio padre... Mamma diceva che erano in molti a farsela, a quei tempi, specie quando non aveva soldi per la dose... Immagino che fosse uno spacciatore anche lui. Se è così, gli salderò il conto, uno di questi giorni.

Lara rabbrividì. - Mio Dio...

L'uomo si accese una grossolana "bionda" di tabacco mutato, tossì, aspirò caparbiamente il fumo acre.

- Quegli infami mi hanno fottuto la vita. Mia madre si è bruciata il cervello, con quella merda, ma a me è andata peggio. All'orfanotrofio, il dottore parlava di geni corrotti e pubertà... Non so che cazzo volesse dire... So che fino ai quattordici anni non ho avuto problemi: stavo bene, mi sentivo a posto. Poi il mio corpo è impazzito, come se all'improvviso fosse saltato su e si fosse messo a urlare. Mi hanno contato una trentina di tumori addosso, tutti maligni. Una notte sentii una discussione tra quei professori del cazzo in tuta bianca e guanti di lattice: non capivano come fossi ancora vivo, volevano farmi a pezzi per vedere come riuscissi a respirare... All'alba fuggii dall'ospedale. Da allora sopravvivo col disgusto di guardarmi la mattina allo specchio e scoprire i regali della notte...

Fece una smorfia che forse voleva essere un sorriso - Sai quanti anni ho adesso, signora giornalista?

Lara esitò, poi si fece forza, posò di nuovo lo sguardo sull'orrore di quel viso.

- Non saprei... Trenta? Trentacinque? - rispose, tenendosi volutamente bassa.

Lui scosse la testa. - Diciotto a Settembre. Ammesso di arrivarci. Ma prima di schiattare, te lo giuro, manderò all'inferno quanti più possibile di quegli infami.

Vincendo il ribrezzo per la sporcizia e gli insetti, Lara si impose di sedere. La disperazione che impregnava la voce roca di lui la colpiva quasi fisicamente, facendola star male. Ma non era solo pietà... All'improvviso, Lara diede un nome a ciò che provava: vergogna. Vergogna, per aver voluto a ogni costo penetrare un segreto doloroso che non le spettava, insistendo, ostinata e vigliacca come un ladro che si incaponisca a violare un bene che non gli appartiene; vergogna, perché tutti i suoi problemi professionali, personali, umani, non erano nulla di fronte all'orrore racchiuso in un singolo secondo della vita di questo sfortunato ragazzo costretto a mascherarsi...

Arrossì, deglutì, si asciugò gli occhi umidi. Non servì a molto.

- Perché eri alla manifestazione? - chiese, con un filo di voce.

- Tutti avrebbero dovuto esserci. - replicò senza molta convinzione - Questa città è una merda.

- Perché hai lottato contro la Polizia?

Lui scrollò le spalle. - Anselmo e Salvatore... Ero con loro. Ho visto la SSI che li caricava... Non potevo permettere che finissero a Poggioreale, o all'obitorio.

- Anselmo e Salvatore? I due uomini in macchina?

Il giustiziere annuì. - A volte mi aiutano nella caccia. Non capisco sempre quello che dicono, ma conoscono tutti e sanno chi fa girare la roba nei quartieri... A loro piace portarmi dagli spacciatori e restare a guardare lo spettacolo. - tirò un'altra boccata di fumo, poi la sua voce si abbassò - Ho chiesto loro di cercare i depositi di Sale Lucente. So che ne esistono... Quegli infami la fanno arrivare in città e l'ammassano in posti sicuri prima di venderla... Io voglio trovarli, questi depositi, e distruggerli con le mie mani, uno dopo l'altro.

Finché non ti uccideranno, pensò Lara. Ma è questo ciò che vuoi, vero? La tua sola via di fuga... L'assoluta noncuranza con cui lo sconosciuto la stava mettendo a parte dei drammi più intimi della sua vita era ciò che più la turbava. Lara conosceva quel meccanismo mentale: era la facilità con cui chi ha deciso di farla finita si libera di ogni suo avere.

In quell'istante lei capì che la disperazione dell'altro aveva superato ogni limite, e che solo la rabbia gli permetteva di sfuggire alla follia. Ed era tale, quella disperazione, da varcare la distanza che li separava e da coinvolgerla.

Negli occhi umidi, nel groppo alla gola, nel brivido che avvertiva lungo la sua schiena, Lara all'improvviso riconobbe un sentimento che non riusciva a esprimere a parole, doloroso, incomunicabile e tuttavia autentico, quasi un'esperienza religiosa: un'irrazionale, assurda, assoluta fratellanza verso quel ragazzo sfortunato. E capì che, senza alcun dubbio, quella notte la sua vita sarebbe cambiata.

La storia la fanno coloro che non sanno di farla.
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano

Lara osservava Carmine Lamberti passeggiare avanti e indietro, nervosamente, col viso ombroso, nel corridoio ornato di sempreverdi. L'uomo aveva bussato alla porta del caporedattore quattro volte nell'ultima mezz'ora, e altrettante volte gli era stato risposto di attendere. Lara sorvegliava placidamente il suo andirivieni tormentato, con attenzione, ma badando che questi non si accorgesse di essere osservato.

Non che fosse un bello spettacolo, pensò la donna: Lamberti era un uomo volgare e sovrappeso, di mezza età, le labbra carnose e tumide, i folti capelli grigi e un reticolo di capillari rotti sugli zigomi, come se sulle sue guance fosse stata stesa una calza di nailon. I suoi vestiti, dozzinali, erano di un paio di misure più piccole di quanto avrebbero dovuto, e si battevano disperatamente, sul fronte delle cuciture, in un epico tentativo di arginare la valanga di grasso che tentava di tracimarne.

- Mezz'ora... - borbottava - in conferenza RV da mezz'ora. E io qui ad aspettarlo! Al diavolo!

- Calmati, Carmine. - l'esortò un collega.

- Calmati un cazzo!

- Credo che stia parlando col direttore, ragazzi. - azzardò Rita.

- Che ne sai?

- Stamattina ha sentito anche il funzionario di MediaNet... - spiegò la ragazza - Parlavano della battaglia di Bagnoli.

Gli occupanti dell'open space che ospitava la redazione si misero svogliatamente ad ascoltare. Lara sfiorò nervosamente un orecchino, ma non fece commenti.

- Battaglia di Bagnoli! - sbuffò Lamberti - Un pazzo drogato guida una carica di morti di fame contro la Polizia, e fior di professionisti perdono la testa! Battaglia! Al diavolo!

- Mia sorella lavora al Cardarelli... - protestò Rita - Hanno un reparto che scoppia di agenti feriti.

- Luisa De Paolis, di MediaNet, è ricoverata con prognosi riservata. - aggiunse un secondo membro della redazione.

- Al diavolo! Il mese scorso, al San Paolo, gli ultras hanno fatto ben peggio!

- Il mese scorso il Prefetto non ha richiesto una visione in anteprima dei servizi giornalistici. - intervenne placidamente Lara - In altri tempi, per molto meno si sarebbe parlato di censura.

Lamberti mosse la mano infastidito, come a scacciare un insetto molesto. - Al diavolo, è una buffonata! Un professionista serio non dovrebbe perdere tempo con simili stronz...

Si interruppe all'istante, poiché la porta dell'ufficio del caporedattore si stava aprendo. Lara notò che Carmine s'irrigidiva di riflesso. Le sembrò quasi di vedere le orecchie dell'uomo farsi puntute come quelle di un segugio che fiuti la preda.

Attilio uscì dall'ufficio a larghi passi. Gocciolava sudore dalla punta del naso. La sua camicia avana era diventata grigiastra intorno alle ascelle. Sulle lenti dei suoi occhiali, notò oziosamente Lara, si era formato uno strato grigiastro di condensa. La cravatta era scomparsa.

- Carmine! - bofonchiò - Dobbiamo puntare sul caso Bagnoli! Ignoreremo le ingerenze del Prefetto e di chi gli sta dietro!

Poi abbassò la voce e assunse un registro circospetto. - Il direttore pensa a un'edizione straordinaria, capisci? Io sono d'accordo, e vorrei che te ne occupassi tu. Non ci sono problemi, vero?

- Naturalmente no, capo. - confermò all'istante Lamberti, docile e scattante - Un'edizione straordinaria, certo. Io stesso volevo proporlo, capo. Mi sembra indispensabile.

- Molto bene. - commentò Attilio, soddisfatto - Sapevo di poter contare su di te. Mettiti al lavoro.

- Lo farò, capo. Grazie per l'incarico, capo.

Lamberti restò rigido fin quando l'altro non fu rientrato nell'ufficio, chiudendosi la porta addosso come una coperta. Lara osservò la scena con interesse, incerta tra il disprezzo e l'ammirazione per le indiscutibili doti del collega.

- Com'era la storia del professionista serio, Carmine? - chiese dolcemente.

- Non ora, Mastrantuono. - ribatté lui, sgarbato. Doveva essere proprio contrariato, pensò Lara, per ammettere di conoscere il suo cognome: in genere fingeva d'ignorarlo.

- A proposito. - cambiò discorso lei - Ho il materiale che mi avevi chiesto l'altro giorno.

- Cosa?

- I risultati della mia inchiesta, ricordi?

L'uomo si esibì di nuovo in quel gesto secco della mano che, sospettava Lara, avrebbe dovuto dimostrare una superiore insofferenza verso le insulsaggini.

- Puoi tenerlo. Ho cambiato incarico, come hai visto.

- D'accordo. - assentì Lara, in tono amabile, carezzandosi gli orecchini - Quando vuoi, qui c'è tutto quanto ho raccolto sul giustiziere mascherato...

Lamberti le voltò le spalle e si allontanò con affettazione verso il suo cubicolo.

- Dieci minuti. - mormorò lei.

- Come dici? - fece Rita.

- Dieci minuti. - ripeté - Tornerà tra dieci minuti. Il tempo perché anche un deficiente come Lamberti afferri il messaggio che gli ho lanciato.

L'altra batté perplessa le palpebre color caramella, mettendo in mostra le lunga ciglia finte.

- Non capisco.

- Logico. - commentò Lara, laconica - Per te ne occorrerebbero almeno trenta.

La collega le rivolse uno sguardo stolido, rivelando un non perfetto allineamento delle pupille, mai curato, anzi sfoggiato sotto la sensuale etichetta di "Strabismo di Venere". Poi, non ricevendo altre spiegazioni, si rifugiò confusa nel bunker di tinture e profumi che dominava la sua scrivania.

Lara controllò l'orologio, fiduciosa della propria previsione.

Per ingannare l'attesa, si dedicò a osservare il moncone di panorama cittadino reciso dalla cornice della finestra. L'ala opposta dell'edificio, che le chiudeva la visuale, aveva una facciata ingiuriata dal tempo, rifatta di stucco e tinteggiata di un verde menta, dominata dalla scritta "Mattino di Napoli" a grosse lettere nere. Il gocciolio di una grondaia aveva parzialmente eroso la prima parola, cosicché la scritta si leggeva "Matti di Napoli", una dizione che a parere di Lara non era meno appropriata dell'originale.

Oltre l'angolo, con qualche difficoltà, ella riusciva a scorgere uno scorcio di cielo color tarocco, un brandello di golfo, e un ammasso di brutti edifici che nuotavano nel caldo di quel Giugno precocemente afoso.

La cupola iridescente del Centro Direzionale sembrava una bolla di sapone gonfiatasi tutto intorno ai grattacieli; il nastro d'acciaio della Monorotaia, che scintillava a trenta metri dal suolo, ricordava una falce in procinto di decapitare i palazzi. Lara pensò che, pur avendo ereditato il ruolo della vecchia funicolare, non ne aveva serbato il fascino.

Poi il suo sguardo corse giù, per le strade, nel brulichio della folla mattutina. Pedoni, venditori ambulanti, contrabbandieri di merce e di software pirata, questuanti, donne cariche di pacchi ingombranti... Oziosamente, pensò alla miriade di storie, di personaggi, di spunti e situazioni che scorrevano sotto i suoi occhi. Voci fuori campo, frantumi di interviste, tanti archetipi di marginalità che tuttavia, nel complesso, formavano il tessuto connettivo di un vivere quotidiano...

La Napoli dei suoi tempi, come aveva vergato in tanti appunti, era una città surreale, allo stesso tempo gaia e disperata, mite e cruenta, comica e rabbiosa. Era ancora, secondo una tradizione vecchia di secoli, un Eden anarchico di tarallucci e vino; ma si era fatta anche, e soprattutto, un girone infernale dove la violenza e l'odio si espandevano come gas perfetti sino a occupare ogni spazio disponibile...

Negli anni Lara aveva assistito a quest'evoluzione drammatica, dapprima con curiosità professionale, poi con sospetto, infine con profonda inquietudine. C'era qualcosa di profondamente sbagliato, ormai ne era certa, nella struttura sociale della città, e soprattutto nelle decisioni dei suoi governanti.

Ma l'ingiustizia, rifletteva spesso, non aveva piegato del tutto Napoli: nessun luogo al mondo, ne era convinta, poteva ancora competere in follia e vigore con la metropoli che incombeva rabbiosa oltre il fragile baluardo della sua finestra...

Allo scadere dei dieci minuti, la donna distolse la sua attenzione da quei pensieri oziosi, e vide che Lamberti era di ritorno. All'altezza degli occhi di Lara, l'adipe dell'uomo caracollava lungo il corridoio, avvicinandosi alla sua scrivania come una nave da cabotaggio alla banchina di un porto.

- Hai dimenticato qualcosa? - s'informò lei, gentilmente.

- Ho avuto un'idea. - considerò l'altro, illuminandosi di un buonsenso vanitoso.

- Davvero? - replicò lei, incoraggiante.

Lui annuì. - Diavolo, forse c'è una relazione tra gli spacciatori uccisi e quel pazzo che ha picchiato la Polizia. Addirittura, c'è la possibilità che il tuo "giustiziere" e questo caporivolta siano la stessa persona.

- Il tuo intuito è geniale. - mormorò Lara, caricando le parole di tutta l'ammirazione che riusciva a mettere insieme senza cadere vittima della nausea - È una fortuna averti come collega.

- Bisogna sapermi apprezzare. - approvò lui in tono lusingato. Le cuciture dei suoi pantaloni scricchiolarono minacciosamente.

- In effetti, credo di averci pensato anch'io.

Lui corrugò la fronte, come a farne defluire i pensieri. - Davvero?

Era realmente così stupido? si chiese Lara. Sì, concluse, lo era senza alcun dubbio.

- Non compiutamente come hai fatto tu. - lo rassicurò con un sorriso docile - Però ho buttato giù qualche riga su quest'ipotesi.

- Ah! - esclamò lui, incerto.

- Ecco, prendi. - gli disse Lara, porgendogli un disco ottico - Sono i risultati della mia inchiesta, e anche un elenco dei riferimenti sulla Rete. Sono certa che tu saprai adoperare queste informazioni molto meglio di me.

- Uh... naturalmente. - bofonchiò Lamberti, interdetto. Stava quasi per aggiungere un "grazie", notò Lara, segno inequivocabile di quanto fosse rimasto confuso. Ma seppe trattenersi, e mentre si allontanava aveva già riacquistato il suo consueto incedere tronfio.

- E adesso aspettiamo che la ruota cominci a muoversi... - mormorò la donna, tamburellando pensosa le dita sulla scrivania.

Trincerata sul bastione degli ombretti, Rita l'osservava con aria sospettosa.

Da "In cerca di Masaniello"
di Lara Mastrantuono

Nei giorni che seguirono quel primo incontro, la mia principale preoccupazione fu di non espormi.

Certo, sarebbe stato facile ottenere un'esclusiva sulle dichiarazioni di Masaniello, addirittura arrogarmi il ruolo di sua portavoce verso i media. Tuttavia, mi sentivo troppo coinvolta, troppo turbata e affascinata dalla storia che intravedevo dietro la maschera nera per essere in grado di svolgere anche quel semplice ruolo con la dovuta professionalità.

Così lasciai che i miei colleghi lanciassero inchieste, che gli opinionisti azzardassero congetture, che i talk-show in RTV e i chat sulla Rete sviscerassero l'argomento, calamitando a dovere l'attenzione dell'opinione pubblica. A tempo debito, pensavo, sarei entrata anch'io in partita: per il momento potevo rimanere in panchina.

Non ultimo, c'era il pensiero della mia sicurezza personale. Quella in cui stavo per schierarmi a fianco di Masaniello era una guerra. E in guerra, si sa, le pallottole non fanno distinzioni tra soldati e cronisti. Delegare ad altri l'onore (e l'onere) di firmare i primi articoli era anche un modo di minimizzare il rischio che sapevo esistere.

E non sbagliavo...

L'acqua delle idee, da sola, non lava i panni sporchi della Storia.
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano

Avvenne in un istante, nella frazione di secondo tra la sorpresa e l'attivazione degli istinti di reazione.

Un attimo prima Lara era in strada, nella luce stanca del giorno che muore, diretta come ogni sera alla fermata della Monorotaia, intenta a destreggiarsi tra la folla dei bambini questuanti e degli assillanti venditori di merce rubata; un attimo dopo aveva un cappuccio calcato sulla testa e una legione di mani che la stringevano, la strattonavano, le negavano qualsiasi via di scampo. Aprì la bocca per gridare aiuto; gola e narici le si colmarono del gusto dolciastro e crudele dell'anestetico. Perse i sensi.

Si risvegliò in una stanza in penombra, dal soffitto basso e il pavimento di piastrelle sconnesse. Polvere e ruggine galleggiavano nell'aria. La testa le doleva, e le orecchie si rifiutavano di restituirle più che strani suoni ovattati, come se lì intorno qualcuno stesse accordando un quartetto di bizzarri strumenti musicali.

Si fregò gli occhi, più curiosa che spaventata, e si guardò intorno.

Una serie di scansie metalliche dividevano la stanza in due ambienti di pochi metri quadrati. Lampadine nude pendevano dal soffitto e spandevano una luce bluastra che pennellava d'irrealtà gli oggetti. Carcasse metalliche arrugginite, tubi catodici sfondati, vecchie tastiere e frantumi di circuiti elettrici giacevano alla rinfusa in grosse scatole di cartone, dando a Lara l'impressione di essere finita nella bottega di un robivecchi. Una porticina, in lamiera sommariamente verniciata di bianco, sembrava essere l'unica via d'uscita. Ed era chiusa.

Non era sola: un paio di sedie malmesse, simili a quella su cui si trovava, ospitavano due uomini che la fissavano con intensità inquietante.

- Ma... io vi conosco! - esclamò Lara.

- Anche noi ti conosciamo, compagna... o devo dire "giornalista"? - replicò Anselmo.

Il viso del vecchio, notò Lara, sembrava ancor più cotto dal sole dell'ultima volta che lo aveva veduto. Poteva avere settant'anni, forse qualcosa in più. Aveva labbra arse e una fronte solcata dalle rughe. I suoi capelli radi e la barba irregolare erano come stoppie in un campo di terra nera.

- Cos'è questo? - sbottò la donna - Un rapimento?

- Statt' citta, guagliona! - l'aggredì il secondo uomo, balzando in piedi. Era un tipo tarchiato dal viso cartilaginoso, i capelli lunghi legati a coda di cavallo e un pizzo argenteo sul mento aguzzo. Odorava di tabacco.

Entrambi gli uomini indossavano gli stessi abiti con cui Lara ricordava di averli visti tre notti prima: jeans e giubbotto di poliestere il vecchio, camicia a quadri e calzoni chiari larghi alle caviglie l'altro.

- Simm' nuie ch' facimm' i dummand'! - bofonchiò ancora quest'ultimo.

- Lasciami fare, Salvatore. - lo redarguì Anselmo.

Poi si rivolse nuovamente a Lara - Sta' tranquilla, giornalista, non abbiamo intenzione di farti del male... Vogliamo solo capire cos'hai in mente.

- Che significa?

- Ci hai preso bene in giro, l'altra sera... Ma noi non siamo stupidi, e come vedi non ci è stato difficile rintracciarti...

- Nuie nun simm' fessi. - approvò con gravità Salvatore.

Lara si mosse nervosamente sulla sedia. La sua mano corse agli orecchini, istintivamente confortata che i gioielli non fossero spariti.

- Non capisco. Cosa volete da me?

- Oh, sì che capisci. - Anselmo batté col palmo della mano sullo schermo di un vetusto terminale di Rete, che si accese con qualche scarica di troppo.

- È opera tua, vero? - inquisì il vecchio, puntando allo schermo e alla pagina del Mattino che vi appariva.

Lara scorse i titoli. La notizia più in risalto era la battaglia di Bagnoli. La firma era quella di Lamberti.

Non aveva ancora potuto leggere il pezzo, e ne colse l'occasione: con compiacimento, si rese conto che stilato era esattamente secondo la falsariga che lei stessa aveva velatamente suggerito al collega, inclusa la descrizione del leader della rivolta, che ovviamente glissava su ciò che si celava dietro la maschera. Il Mattino, a quanto sembrava, questa volta aveva battuto tutti.

- Non perdiamo tempo. Sappiamo quel che hai fatto l'altra sera, e quel che lui ti ha detto. - Anselmo si chinò in avanti, si avvicinò a Lara, entrando nel cono d'ombra prodotto dal corpo di lei. La luce livida brillava sull'arco delle sue sopracciglia; il volto e la barba erano inghiottiti dal buio.

- Perciò te lo chiedo di nuovo, e questa volta bada di non farmi incazzare... Cos'hai in mente?

Lara si scosse. La collera per essere stata rapita e condotta in quel luogo inquietante contro la sua volontà aveva superato una soglia invisibile.

- Ora basta! - protestò.

- Cosa?!

- Voi cosa sareste per lui? - sibilò, incurante degli sguardi cupi dei due uomini - Padrini? Consiglieri spirituali?

- Tu sta' pazziando co' foco, guagliona! - sbottò Salvatore, astioso.

- E tu piantala con questa lingua da sceneggiata! - replicò Lara, esasperata - Non sei capace di parlare italiano?

L'uomo fece per alzarsi nuovamente dalla sedia, ma Anselmo fu lesto a intervenire. Pose una mano sulla spalla del compagno, con forza, e la tenne lì finché non fu certo che questi fosse in grado di controllare la sua rabbia.

- Va bene? - chiese.

- Lasciami!

- Va bene? - ripeté a voce più alta.

Salvatore scrollò le spalle. - Vabbuono.

Anselmo si rivolse a Lara.

- Sta' attenta con le parole, giornalista. - la redarguì.

- Altrimenti cosa? Mi taglierete la faccia? Mi stuprerete?

Il vecchio strinse i denti e rimase immobile per un lungo istante. Poi sospirò con aria stanca.

- Potresti essere mia figlia... - lo sentì mormorare Lara, distinguendo appena le parole, al punto che pensò di essersi sbagliata.

Anselmo si alzò, andò alla vicina scansia, prese una bottiglia colma di un liquido ambrato, ne versò generosamente il contenuto in tre bicchieri.

- Credo che dovremmo calmarci, tutti quanti. - disse - Prendi, giornalista.

Lara scrutò con sospetto l'alcolico. Poi, vedendo che i due compari bevevano con tranquillità, si risolse a portarlo alle labbra. Il vino era corposo e sapeva di selvatico, ma tutto sommato ne sentiva il bisogno. Mandò giù l'intero bicchiere. Anselmo tornò a riempirlo in gesto distensivo.

- Dovrebbe esserci anche qualcosa da mangiare. - mormorò - Ne vuoi?

- Quel che vorrei è tornare a casa. - replicò la donna, stringendosi nell'abito sgualcito.

Con sorpresa di Lara, i due uomini rimasero tranquilli. Si era aspettata un nuovo scoppio d'ira, invece nessuno dei due batté ciglio. Constatandolo, anche la sua collera si affievolì.

Controvoglia, accettò il tramezzino che Anselmo le stava porgendo. Lo fissò incerta, tentando di decifrarne il contenuto. Infine ne addentò un angolino, cauta.

- Rispetta di più il cibo, giornalista. - la bacchettò il vecchio - Non tutti in questa città possono permettersi di disprezzarlo.

Lei ignorò il rimprovero. - Dove siamo?

- Pomigliano. - rispose secco Anselmo.

- Cos'è questo posto?

- Un vecchio magazzino. - disse di malumore l'altro.

- Magazzino? - ripeté la donna.

- C'era uno stabilimento dell'Alenia, qui sopra, anni fa...

Lara riprese coraggio. - Non mi avete risposto. Chi siete voi per lui?

- Sta' attenta con lui, giornalista. - l'ammonì Anselmo - Lui non è come noi: è diverso.

Quell'accenno bastò a sgonfiare all'istante ciò che restava dell'aggressività di Lara. Il senso di colpa tornò a dominarla.

- Sì, lo so... - assentì in tono grave, mordendosi le labbra - Ho visto il suo viso, il suo corpo, ciò che riesce a fare.

- Non hai visto nulla. - mormorò il vecchio, scuotendo la testa.

- Chillo è diverso 'cca! - aggiunse Salvatore, puntandosi un dito alla tempia.

Lara sussultò. - Vuoi dire che è pazzo?

- Forse. - mormorò ancora Anselmo, pensoso - Forse qualcosa di peggio. Lui non è un uomo come gli altri. È come se... gli mancasse qualcosa.

- Che significa? - esclamò Lara, confusa.

- Lui non ha paura. - il vecchio allargò le braccia, fissò il compagno, ne ottenne un cenno di consenso, proseguì - E, bada, non voglio dire che è coraggioso... Proprio non prova la paura... Non ne è capace.

- Non sente il dolore! - aggiunse Salvatore, passando finalmente a un linguaggio che Lara riusciva a comprendere.

- Non ha mai fame, sete, stanchezza... Chillo nun è un ommo! - concluse, lapidario, tornando al dialetto.

Anselmo annuì. - Sì, soprattutto non ha limiti.

- Che significa?

Il vecchio mosse le mani nell'aria, in un gesto vago. - L'altra sera è stato gentile con te, ha risposto alle tue domande... Non è così?

- Be', sì. Lui...

Anselmo la zittì con uno sguardo serio. - Credimi, col medesimo umore avrebbe potuto ucciderti a mani nude, e poi divertirsi a bruciare il tuo cadavere. Oppure avrebbe potuto spezzarti braccia e gambe, strapparti la carne a morsi e mangiarla davanti ai tuoi occhi ancora coscienti.

- L'ho visto farlo. - confermò Salvatore, laconico.

Lara sussultò. Il suo primo pensiero fu rifiutare quelle rivelazioni. Poi ricordò le foto della Polizia, i rapporti leggendo i quali aveva cominciato a interessarsi al giustiziere: si parlava di mutilazioni, di corpi sventrati, di siringhe incandescenti nelle cornee, di segni di unghie e denti sui cadaveri... Ripensò al suo incontro con il ragazzo incappucciato.

A loro piace portarmi dagli spacciatori e restare a guardare lo spettacolo, aveva detto il giustiziere. Rabbrividì.

- Se mi state dicendo la verità... - azzardò - Se veramente è un pazzo... Perché lo aiutate?

Anselmo e Salvatore si guardarono negli occhi. A Lara sembrò quasi di cogliere, nell'aria stantia di quella stanza polverosa, i lunghi messaggi che i due uomini si scambiavano senza parole.

- Che male può farci, Anselmo? - considerò alla fine l'uomo tarchiato - Dille tutto.

Da "In cerca di Masaniello"
di Lara Mastrantuono

Al museo nazionale di S.Martino c'è un ritratto. La targa non riporta il nome dell'autore. Recita semplicemente "Tommaso Aniello, agitatore politico napoletano, 1620-1647".

L'uomo dipinto sulla tela ha il volto glabro, tondo e roseo come quello di un bambino. Porta sul capo un berretto di stoffa nera e regge tra le dita qualcosa che somiglia a una pipa. I suoi occhi, neri come l'umore di seppia, fissano il visitatore con aria di sfida. In quello sguardo è facile intravedere il carattere fiero, combattivo, dell'uomo che guidò l'assalto al Palazzo Reale, che incendiò la piazzaforte della gabella, che abbatté le porte delle carceri, che costrinse il viceré duca d'Arcos a concedere alla città una costituzione e a nominarlo, lui figlio di un pescatore, Capitano Generale del Fedelissimo Popolo.

Di fronte al quadro, sulla parete occidentale della sala, si apre un'ampia bifora. Il visitatore che vi si affacciasse noterebbe come l'antica abbazia, oggi museo, domini la città e il golfo.

Ad attrarre l'occhio, il bastione turrito del Maschio Angioino, dal candore della pietra tufacea annerito dai secoli; il sanguigno Castel dell'Ovo, dalla triste sagoma di vascello arenato sugli scogli; la ferita irregolare di piazza Dante, i graffi lunghi e sottili di via Toledo, di via Carlo III, di via Foria; il tracciato morbido della costa, da Torre Annunziata sino alla collina di Posillipo. Sull'orizzonte, Capri a sinistra, Ischia e Procida a destra. E, su tutto, l'ombra del Vesuvio, puntuta come una freccia, cupa come un monito.

Dal dipinto, lo sguardo di colui che si fece chiamare Masaniello sembra indugiare sulla bifora. L'uomo del ritratto pare contemplare il panorama, come a ricercare assonanze tra ciò che si staglia oltre il vetro e la Napoli dei suoi tempi, quel Seicento barocco e spietato dove pestilenze, guerre e carestie regolavano il tempo concesso agli uomini e dove la figura di dio si confondeva con quella del re di Spagna. Quel Seicento dove lui nacque, visse e combatté. Dove fu pezzente e condottiero. Dove fu nemico da esecrare ed eroe osannato.

Dalla tela di un artista senza nome, attraverso l'abisso dei secoli, Tommaso Aniello guarda la città. Che fu il suo regno. Per nove giorni.

C'è sempre un momento per la verità, e alla verità basta un momento
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano

- Non sono certo di avere le risposte che cerchi. - mormorò Anselmo - Non più.

L'uomo mandò giù l'ultimo bicchiere di vino. La bottiglia era vuota.

- Ho una gran confusione dentro, ed è difficile dirti da che parte sto. Una volta le cose erano più semplici... C'era rispetto, e onore. Ci davamo da fare: contrabbando, si taglieggiava, ma non c'era tutto questo sangue, e in fondo la gente ci sentiva vicini.

- Mi stai dicendo che sei un camorrista? - l'interruppe Lara, sbalordita.

Anselmo si esibì in un mezzo sorriso. - Camorra è una parola dai molti significati, giornalista, non tutti meritati... Diciamo che facevo parte di una famiglia, i Pascarella...

- Pascarella?

Il vecchio scrollò le spalle - Vedo che il nome non ti dice nulla: una volta dettavano legge a Ponticelli e dintorni. Sono passati più di dieci anni... Oggi i Pascarella non esistono più. Sono stati cancellati dal piombo dei nuovi arrivati.

Lara batté le palpebre. - Parli della guerra Castellammarese? Quella del '15?

Il vecchio scosse la testa. - Non fu una guerra: fu un massacro. Quella era gente nuova, mai vista. Avevano un'organizzazione militare, armi, appoggi e risorse incredibili.

- È 'o vero. - confermò Salvatore - Incredibili.

- Comprarono tutti quelli che era possibile corrompere e fecero a pezzi gli altri. Poi cominciarono a vendere quella merda luccicante.

- L'exitrazina? - fece Lara.

- Exitrazina... - confermò Anselmo, allargando le braccia - Noi a volte spacciavamo... coca, per lo più... ma non avevamo mai sentito parlare di un veleno simile. Da un giorno all'altro ne portarono quintali e si dedicarono solo a quella...

Il suo volto cotto dal sole si atteggiò a una maschera pensosa. - Anche oggi, sono gli unici a trattare il Sale Lucente... E sai una cosa, giornalista? Lo vendono solo a Napoli. Già a Roma è introvabile.

- Dici sul serio? - esclamò Lara, stupita. - Com'è possibile?

- Se neanche voi dell'informazione ne sapete niente, la merda è proprio nera. - meditò il vecchio.

- Ormai ho rinunciato a capire: mi basta essere sopravvissuto. - scrollò le spalle. - A volte penso che io e Salvatore relitti di un naufragio...

L'uomo tarchiato annuì, solidale. Passò una sigaretta al vecchio, che lo ringraziò con silenziosa complicità, battendogli una mano sulla spalla.

- In questi anni ci siamo uniti ad altri superstiti. Reduci di tutte le sconfitte, gente che si è battuta sempre dalla parte del torto. Sfollati, barboni, squatters scampati alla distruzione dei Centri Sociali...

- So di chi parli. - mormorò Lara, stuzzicandosi l'orecchino destro.

- Poi incontrammo lui. - Anselmo tacque un istante, pensoso - Non abbiamo mai saputo il suo nome... A te lo ha detto?

La donna si irrigidì. - No. Mi ha detto tanto, ma non il suo nome. Forse non ne ha neppure uno...

Lara si morse le labbra. I due uomini avevano risposto alle sue domande; ora era il suo turno: doveva guadagnarsi la loro fiducia.

- Non ha nulla. - disse - Solo la rabbia. È così solo, così disperato. Io non voglio intromettermi tra voi e lui, credetemi. Voglio solo aiutarlo: nessuno merita un'esistenza così penosa.

- Hai ragione. Nessuno. - assentì il vecchio, amaro. - A volte mi fa troppo schifo vivere così.

Poi sembrò riprendere il controllo. S'inventò un tono ironico - E come vorresti aiutarlo, giornalista? Gli offrirai un lavoro? Un posto al circo?

- Non so ancora. - ammise Lara - Ma credo che, più di ogni cosa, gli gioverebbe riconoscersi in un simbolo, sentirsi addosso un'identità. Un ruolo, che gli dia una speranza.

- Ruolo? Identità? - ripeté Salvatore, dubbioso - Che maronn' dici, guagliona?

Anselmo lo zittì con un gesto. Negli occhi del vecchio si era accesa una luce. - Forse capisco cosa intendi, giornalista. Va' avanti...

Troppo intelligente, si disse Lara. Non poteva ingannarlo: doveva essere sincera.

- Non c'è molto altro. - confessò - Solo idee confuse, progetti appena abbozzati. Ho bisogno di tempo, ma troverò un modo d'aiutarlo. Per ora mi basta che non si faccia uccidere.

Li fissò negli occhi, severa. - Sapete anche voi che è questo il suo scopo. Lui vuole farla finita. Per questo cerca i depositi di exitrazina: per assalirli e uscire di scena con un bel massacro.

Anselmo sbarrò gli occhi, allarmato. - Aspetta un momento, giornalista. Cos'è questa storia dei depositi?

- So che vi ha chiesto di scoprire dove si trovano. Non dovete. Non finché io abbia trovato il modo di...

Si interruppe. I due uomini si guardavano tra loro, sconcertati.

- Che succede?

- Temo... temo sia troppo tardi, giornalista.

 

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