Epilogo
Quando guardo gli scugnizzi di Forcella mi trafigge una pietà,
ingiustificata, certo irrichiesta, per queste creature innocenti, condannate dai
potenti a diventare, senza speranza, vili e cattive.
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano
- Mi ricevi, Lara?
- Perfettamente, Teresa.
- Provo ad attivare il video, allora.
- Sono pronta.
Lara batté le palpebre per adattarsi alla luce improvvisa.
Le immagini presero a formarsi, prima simili a forme scure che emergessero dalla
nebbia, poi sempre più nidite.
Il visore le procurava un formicolio leggero intorno alle tempie,
ma per il resto l'illusione era perfetta. Teresa era una decina di centimetri
più alta di lei, per cui la prospettiva le era insolita. Tutto sommato,
però, le occorse solo qualche istante perché la visione le risultasse
naturale.
Il giardino della clinica era una macchia di verde assediata
dai massicci palazzi del Vomero. Un vecchio olmo si ergeva con pervicacia a sfidare
le muraglie di cemento. Gli faceva corte un drappello di alberi più giovani,
qualche ulivo, e una quercia dal tronco grottescamente contorto. Più lontano,
una siepe di pitosfori di un intenso color smeraldo faceva cortina al cancello
d'ingresso.
I rami ondeggiavano alla brezza. Cirri sottili si ricorrevano
in cielo. La cacofonia dei clacson dalla vicina tangenziale si stemperava contro
le barriere sonore curve sul giardino come madri che proteggessero i loro piccoli.
- Quando sei pronta, io entro.
- Te lo dico ancora una volta, Teresa. Non sei obbligata a correre
questi rischi per me. Non ho nessun diritto di chiedertelo.
Lara sentì il sorriso dell'altra come un contrarsi degli
attuatori interni al casco.
- Il debito che noi tutti abbiamo nei tuoi confronti è
troppo grande perché io riesca a saldarlo, Lara. Non lo faccio per riconoscenza,
non ci provo neppure. Lo faccio perché posso.
- Ma è pericoloso. Lei sarà certamente sorvegliata.
- Io sono un'infermiera. - obiettò Teresa - La mia presenza
qui è perfettamente naturale.
Lara si morse le labbra. - Sì, ma...
- E poi... - aggiunse Teresa - dobbiamo provare il Coax20. Quale
occasione migliore?
- E... se intercettassero il segnale?
- Impossibile.
- Perché?
- Jacques dice che non possono. Lo ha spiegato, ricordi? Dopo
che lui e i compagni lo hanno riprogrammato, il trasmettitore cambia portante
due volte al secondo, seguendo schemi... come li ha chiamati? Markoviani?
Lara scosse la testa, facendo tintinnare il visore. La facilità
con cui i lazzari si impadronivano degli strumenti e dei concetti scientifici
propri dei loro avversari non finiva di stupirla.
Eppure, considerò, era meno sorprendente di quanto sembrava.
La gente di Napoli, meditò pensierosa, era sempre stata maestra nell'arte
dell'imitazione e della contraffazione. In quel frangente, semplicemente, i suoi
compagni di lotta avevano volto la loro tradizionale abilità in un "modello
giapponese", e avevano dato il via a un'analisi (artigianale, ma non per
questo meno efficace) delle armi e dei dispositivi tecnici del nemico. Forse non
sarebbero riusciti a pareggiare le forze in campo, ma almeno ci provavano. E forse,
rifletté, ci voleva proprio una rivoluzione per dare il "la"
a quel massiccio trasferimento di tecnologia che chi governava la città
e il continente aveva sempre negato.
L'immagine tremolò, e Lara capì che Teresa stava
sistemandosi le stanghette degli occhiali che ospitavano i sensori del Coax.
- D'ora in avanti dovrò proseguire in silenzio - sussurrò
la giovane infermiera - Tu, però, continua a parlarmi... Io vedrò
di risponderti, in qualche modo...
- Come?
- Vediamo... Darò un colpo di tosse per dire "sì",
e deglutirò per dire "no". Ti sta bene?
- D'accordo. - approvò Lara.
- Attenzione, entro.
Come Lara si aspettava, c'era una guardia all'angolo del corridoio.
Era di mezza età, d'aspetto pingue e annoiato. La sua uniforme grigia e
gialla era stazzonata, l'AIM regolamentare pendeva impolverato dalla sua spalla.
Quella dimostrazione di scarsa marzialità non sorprese
affatto Lara. Di certo, si disse, con la rivolta in corso il comando della Sezione
Speciale aveva disposto che tutti gli uomini validi fossero di pattuglia per le
strade. Il piantonamento dei sospetti doveva essere stato delegato alle riserve.
Una microcamera brillava all'angolo del soffitto, rivelata da
una lama di luce proveniente dal finestrone con le imposte a losanga che areava
l'ambiente.
Forse ce n'erano altre, pensò Lara. Ma non costituivano
un problema, concluse: Teresa non aveva partecipato a nessuno scontro, e di certo
non era schedata. Anche il suo momentaneo abbandono del posto di lavoro al Cardarelli,
del resto, non era insolito, in quella città e in quei giorni di caos.
Forse, considerò Lara, la sua assenza non era neppure stata notata.
Attraverso gli occhi di Teresa, Lara fece correre lo sguardo
lungo la corsia.
Non tutte le brande erano occupate: un gruppetto di degenti era
raccolto, chi in piedi, chi seduto, chi reggendosi a un bastone, a formare un
capannello vivace seppure composto.
- Vai laggiù, Teresa. - propose Lara - Voglio vedere.
La giovane infermiera diede un colpo di tosse. Avanzò
lungo il corridoio di piastrelle bianche, che risplendeva di quel candore opaco
così tipico dei detergenti dei grandi ospedali. I suoi sandali di legno
echeggiavano piano contro la ceramica di poco prezzo.
Quando fu abbastanza vicina, i pazienti in cerchio sembrarono
notarla. Alcuni assunsero un'espressione imbarazzata, altri contrariata. Ma i
più si fecero da parte, lasciando intravedere il fulcro intorno a cui ruotava
il capannello.
Lara sorrise. Dovevo immaginarlo, pensò.
La tinta turchese dei capelli era scomparsa. Le piccole cicatrici
al mento e intorno all'occhio destro avevano cancellato gli effetti del lifting
e dato strada all'inevitabile ritorno delle rughe. La gamba in trazione e le bende
intorno alle mani la facevano sembrare fragile nonostante la pienezza del corpo
che si intravedeva oltre il lenzuolo.
Eppure, si disse Lara, sua madre appariva in forma: quella signora
dai capelli d'argento e dai segni profondi come abissi intorno agli occhi appariva
vera, attiva e vitale, come se il simulacro di plastica e ciglia finte avesse
lasciato il posto all'originale, e si fosse dimostrato alla fine indegno di sostituirlo.
- Che succede qui? - chiese Teresa, in tono professionale.
Dalla cerchia di malati si levò un coro di proteste.
- Andiamo, infermiera, non facciamo niente di male!
- Non diamo fastidio a nessuno!
- È il nostro turno! Abbiamo aspettato tanto! Non può
rimandarci nella nostra corsia, adesso!
- Non sarebbe giusto!
- Sì. Se vuole, la signora lo farà anche a lei.
Lara, attraverso gli occhi di Teresa, inquadrò direttamente
sua madre. Sembrava essersi ripresa più che bene dallo shock dell'aggressione
e della violenza subita. La cartella clinica recitava, tra gli altri sintomi,
"amnesia". Evidentemente, considerò con afflizione Lara, la mente
di sua madre aveva pietosamente rimosso il ricordo.
- Lei dovrebbe riposare, signora. - osservò Teresa.
- Oh, naturalmente, mia cara... - assentì l'altra. Nel
sorriso sereno di sua madre, Lara vide che la dentatura rifatta non era più
perfetta, ma che tutto sommato l'effetto adesso era migliore, perché più
naturale.
- ...ma questi cari amici aspettano il loro oroscopo. - aggiunse
- Come posso deluderli?
Lara seguì lo sguardo sorpreso di Teresa. Si chiese come
sua madre avesse potuto trovare le figure dei tarocchi anche in ospedale. Scosse
la testa, sorridendo: certe cose non erano cambiate affatto.
- Vuole che legga le carte anche a lei, signorina? - propose
la matrona.
- Accetta. - sussurrò Lara.
Teresa deglutì.
- Lo so, è una sciocchezza. - insistette Lara - Ma voglio
assicurarmi che stia bene.
Teresa tossì. - D'accordo, signora. Cosa dice di me la
sua sfera di cristallo?
L'altra assunse un aria compita, e cominciò a disporre
i tarocchi in fila sul lenzuolo.
- Odio e amore. - disse seria, e Lara ne fu quasi deliziata
- Due facce della stessa medaglia. La strada per il cuore di chi le sta vicino
è stata aspra, e lo sarà ancora in futuro. Ma lei è felice,
perché chi la ama... è un soldato, vero signorina? Finalmente le
è accanto, e ha capito quanto lei sia importante. Non la lascerà
più andare.
Lara si rese conto che Teresa tratteneva il respiro, colpita.
- Non ce la puoi fare con mia madre. - l'assicurò - In
queste cose è imbattibile.
- La ringrazio, signora. - mormorò Teresa - Adesso, però,
mi permetta di sistemarle lo schienale.
Incurante delle proteste, la giovane infermiera allontanò
gli altri pazienti, impostò i comandi del letto in modo che lo riportassero
in posizione orizzontale, e infine sistemò il guanciale in posizione più
comoda.
Nell'ultimo movimento, quando le sue labbra furono accanto all'orecchio
della matrona, sussurrò poche parole. - Lara sta bene. Non deve preoccuparsi
per lei... È al sicuro. Ah... le manda questo.
Fece scivolare l'involto sotto il lenzuolo. Poi si allontanò
con viso impassibile e incedere professionale.
- Non avresti dovuto farlo. - la riprese Lara - Un rischio inutile.
Vederla era già sufficiente, per me.
Teresa non replicò. Neppure con un cenno. Non ce ne fu
bisogno. Le bastò invece lanciare un ultimo sguardo alla donna dai capelli
d'argento, appena prima di varcare la soglia della corsia, perché Lara
si rendesse conto di avere torto.
Perché l'espressione radiosa che illuminava il viso di
sua madre, mentre carezzava con le dita i segni dello Zodiaco della collana di
pietre orbitali, era qualcosa che la ripagava di ogni dramma che entrambe, vittime
prima che protagoniste di quella guerra, avevano dovuto subire.
Il coltello è un mezzo. Siamo noi a decidere cosa farne,
se aprire una portiera
o chiudere una discussione.
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano
Il cielo era plumbeo. Un gregge di nuvole gravide di pioggia
e di presagi opprimeva la città. Nell'aria, neppure un soffio di vento
osava smuovere la minaccia incombente.
Poi un fulmine, di un candore acceso, si abbatté proprio
sulla cima del vulcano, squarciando la cortina di grigio. L'acquazzone venne giù
con furia, allagando in un niente vicoli e terrazzi, facendo oscillare i cornicioni,
picchiettando avidamente sul tettuccio delle automobili, costringendo i passanti
a un'affannosa ricerca di riparo.
Altri strali luminosi saettarono tra le nubi, e lo scroscio d'acqua
divenne torrenziale. Rivoli di fango cominciarono a tracimare dai canali di scolo
dei marciapiedi e a scorrere via, quasi che la pioggia volesse mondare la città
dalle sue lordure e dai suoi peccati.
Le sirene d'allarme dei veicoli presero a echeggiare il rombo
dei tuoni.
- E si dice che a Napoli non piove mai... - commentò Lara,
sbirciando dall'imposta socchiusa.
- La tempesta passerà. - replicò l'uomo dal viso
coperto, a bassa voce - E tornerà 'o sole.
- Questo è fatalismo. - obiettò la giovane, sorridendo.
L'uomo non smise di esaminare lo schermo del computer. Era robusto,
tarchiato, e odorava di tabacco. La benda nera avvolta malamente intorno al viso
ne celava i contorni.
- Al contrario. È speranza.
Lara, nonostante l'impazienza, si trattenne finché gli
occhi dell'altro non raggiunsero l'ultima riga.
- Allora? - disse infine - Che te ne sembra?
- Che aggio 'a di', giurnalist'? - ammise l'altro, impressionato
- I tuoi proclami sono fantastici. Uno migliore dell'altro.
- Ti ringrazio. Ma volevo sapere se...
- Aspetta. - l'uomo si slacciò il nodo sotto il mento
e svolse la benda, liberando il naso e la bocca. Sembrò respirare di sollievo.
- Non dovresti farlo, Salvatore. - lo redarguì Lara -
Potrebbe entrare qualcuno che non sa.
- Song' io che non so. - replicò sbuffando l'uomo
- Come faceva a respirare, il ragazzo? Io soffoco!
La donna fece per insistere. Rinunciò. Si staccò
dalla finestra e raggiunse l'uomo. Afferrò i capi della benda e ne saggiò
l'elasticità.
- Lascia stare: te la sistemo io.
L'altro abbozzò un tentativo di sottrarsi all'operazione.
Poi sembrò rassegnarsi. Chinò docilmente il capo e lo offrì
a Lara.
- Tu sei capace di sistemare tutto, vero? - disse in tono blandamente
sarcastico.
Lei fissò il nodo e rimase un attimo a contemplare il
risultato del suo lavoro. Non ne sembrò particolarmente soddisfatta, ma
decise che era comunque sufficiente.
- Sistemare tutto? - ripeté - Magari fosse così...
Il registro serio, sincero, di quelle poche parole sembrò
colpire l'uomo. La fissò a lungo, come se cercasse delle risposte ai suoi
dubbi. Il silenzio, tra loro due, era colmato soltanto dal ronzio della pioggia.
- Cosa pensi, giurnalist'? - chiese alla fine - Cosa ne
pensi, pe' 'o vero? Ce la faremo? Vinceremo?
Lara rimase taciturna. Si voltò, si accostò nuovamente
alla finestra e guardò il panorama, quasi a cercare fuori di sé
il responso che dentro non aveva.
La luce vivida dei lampi rischiarava a tratti i toni plumbei
del cielo, dando tocchi di colore impressionista a un quadro altrimenti cupo,
fiammingo. La sagoma del vulcano, ovattata dalle nubi, chiudeva brutalmente l'orizzonte
a sud; a ovest, lontano, la superficie del golfo era increspata dalle onde e flagellata
dalla grandine; a est e a nord, la metropoli si offriva ai suoi occhi col suo
usuale, caotico, folle scenario di cemento.
Lara abbassò lo sguardo. E, all'improvviso, senza neppure
rendersi conto di averlo cercato, lo trovò.
Al riparo di un vecchio porticato consunto dagli anni e dallo
smog, un gruppo di scugnizzi di quartiere giocava ignorando il temporale.
Era un pugno di ragazzini magri, minuscoli, d'aspetto rapido
e nervoso. Avevano messo da parte, a causa della pioggia, l'eterno pallone di
cuoio sdrucito, e avevano variato il gioco in una sorta di pantomima bellica,
una di quelle sfide tra bande a metà strada tra la sceneggiata napoletana
e I ragazzi della via Paal che Lara aveva veduto altre volte svolgersi
nei rioni popolari della città.
Questa volta, però, lei vide qualcosa di diverso. I ragazzi
erano scalzi, ma questo non era insolito. Vestivano delle casacche bianche, ma
neppure questo la sorprese.
Era la benda con cui si erano coperti il viso ad affascinarla.
Nera, avvolta su se stessa, una via di mezzo tra un turbante indiano e la maschera
di Pulcinella, era un segnale, un simbolo sul cui significato era impossibile
ingannarsi.
- Sì. - disse all'uomo alle sue spalle, senza distogliere
gli occhi dallo spettacolo - Vinceremo.
Fine.
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