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Gli uomini sconfitti non dovrebbero parlare delle loro battaglie
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano
Moretti ne aveva abbastanza dell'ospedale. Le due lunghe operazioni
con cui i chirurghi gli avevano rimesso insieme, a mo' di mosaico, la gamba destra
e la clavicola devastata lo avevano prostrato. La microsonda che gli drenava quotidianamente
il pus dai polmoni intossicati dall'urticante era divenuta, nei suoi pensieri
rancorosi, un aspide che gli mordeva le carni.
Ad abbatterlo definitivamente, ne era consapevole, era stata
però l'astinenza forzata dalle biostimoline, astinenza che si prolungava
ormai da oltre una settimana. I sintomi della privazione erano ogni giorno più
forti, e l'agente scelto non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a tollerarli.
Si sentiva fiacco, svuotato di ogni forza, di ogni aggressività; il suo
corpo gli appariva vergognosamente fragile, inadeguato, orribilmente limitato
in forza e resistenza al dolore. Non si era mai sentito così debole, e
odiava tale sensazione.
Ma, ancor di più del decadimento fisico, era la progressiva
corruzione del suo raziocinio a spaventarlo. Moretti avrebbe dato un braccio per
provare di nuovo l'abbraccio obliante di sicurezza, di verità assolute
delle stimoline.
Priva della dose quotidiana, la sua mente una volta serena, al
sicuro da ogni dubbio, si era ritrovata vuota, indifesa, spaurita. Battaglioni
di interrogativi inquietanti lo avevano vigliaccamente assalito alle spalle; pattuglie
di scrupoli lo avevano circondato, lui vagolante nella steppa nebbiosa delle colpe,
e lo avevano portato, somma di ogni orrore, a riflettere senza alcuna certezza
definita. Forse era stato ciò che aveva visto a Bagnoli a scatenare il
processo. Non lo sapeva: di certo, quando chiudeva gli occhi, rivedeva ancora
quella scena da incubo, e dentro di sé gridava.
Solo e senza altra possibilità, aveva cominciato a interrogarsi.
Idee balzane gli erano ronzate in testa come convertiplani in picchiata. Punti
di vista differenti, addirittura contrari a ciò che gli era stato inculcato
durante l'addestramento gli erano balenati agli occhi. Lui allora aveva trasalito,
cercando di ricacciarli indietro, ma non vi era riuscito del tutto... L'agente
scelto teneva duro, ma si sentiva sempre più teso, sempre più irritabile.
Sapeva che, se qualcuno non lo avesse tirato fuori in fretta da quella stanza
silenziosa dipinta di bianco, ben presto sarebbe crollato.
- Signor Moretti?
- Sì?
- C'è una visita per lei.
L'agente scelto squadrò acidamente l'infermiera. Era una
ragazza graziosa, vivace, dagli occhi d'inchiostro e i movimenti aggraziati. Una
bellezza tipicamente napoletana: mora, verace, carnalmente sensuale. Moretti l'odiava.
- Non voglio visite. - sibilò - Voglio le mie razioni.
Lei scosse la testa con un sorriso dolce. - Ha sentito il dottore:
niente stimolanti. - replicò, con l'aria di scusarsi - Non finché
è sotto drenaggio.
Lui non si lasciò convincere dall'apparente rammarico
della ragazza. Puttanella sovversiva, ringhiò in silenzio. Ne
ho viste tante come te... Quando mi toglieranno i tiranti faremo i conti. Su questo
stesso letto.
- La sua visita, signore. - insistette l'infermiera, controllando
con professionalità il display degli strumenti di monitoraggio - Posso
farla entrare?
- Chi è? - chiese lui, sgarbato.
- Una giornalista del Mattino.
- Che vada all'inferno!
- È autorizzata. - replicò la ragazza, picchiettando
leggermente sul tubicino della flebo.
- Che diavolo vuole da me?
La ragazza scrollò graziosamente le spalle. - Intervistarla,
credo. A proposito della battaglia di Bagnoli, a quanto dice...
Moretti cambiò espressione. Non gli piaceva parlare di
quell'episodio; ma c'erano anche delle domande, nel plotone di dubbi che lo tormentava,
di cui in un modo o nell'altro voleva la risposta.
- Va bene. - sbottò - Falla entrare. E poi sparisci.
- Fino all'ora dell'iniezione. - concesse la ragazza, imperturbabile.
- All'inferno!
Moretti tentò di mettersi a sedere sul letto, ma rinunciò
dopo aver conquistato a stento una dozzina di centimetri. Imprecò silenziosamente.
Poi si scosse. La giornalista era di fronte a lui.
- Buongiorno. - esordì la donna - Come si sente?
- Signora... - Moretti lesse il nome sul NOS appuntato sulla
camicetta di Lara - ...Lamberti?
- Mi chiami Lara. - fu pronta a replicare lei, sorridendo pudicamente,
grata che il lettore di chip identificativi del Cardarelli fosse eternamente fuori
uso.
- Signora Lara. - ripeté Moretti, torvo. - Ho staffe d'accrescimento
imbullonate nelle ossa, il mio ginocchio è sotto vetro al reparto Patologia,
e mi hanno infilato su per il naso un tubo largo come la Monorotaia per Procida.
Come crede che mi senta?
- Non saprei... - ammise la donna, azzardando un'aria svanita
- Magnificamente?
Stupida oca, pensò Moretti. Poi la guardò
attentamente. Il risultato dell'ispezione parve deluderlo. Magra da far paura,
chiacchierona e senza dubbio vergine, considerò. Ma certo: a chi
verrebbe mai in mente di farsi un chiodo del genere? Sembrerebbe di scoparsi un'antenna
Yagi.
- Permette qualche domanda?
- No. - replicò seccamente Moretti.
Lara lo ignorò tranquillamente. - Lei fa parte della Sezione
Speciale Interni delle Forze Armate Europee, agente? - chiese, accomodandosi garbatamente
sulla sedia che affiancava il bilanciere per la trazione.
- No, dei boy scout. - bofonchiò lui.
- Davvero? - fece lei, candidamente - Credevo che fossero stati
disciolti.
- Non ancora. - ghignò lui - Prima aboliremo l'Ordine
dei Giornalisti.
D'un tratto, Moretti decise di averne abbastanza di quella schermaglia:
nelle dispute meramente verbali non si era mai divertito troppo.
- Guardi. - disse, agitando il piede sinistro, nudo, sino a farlo
sporgere grottescamente oltre l'orlo affilato del lenzuolo usa-e-getta.
Lara, incuriosita, obbedì.
Sull'esterno del piede, all'altezza della caviglia, un piccolo
tatuaggio contornava il rigonfiamento dell'articolazione. La donna socchiuse gli
occhi, distinguendo sorpresa il cerchio di stelle dell'Unione Europea, seguito
da un simbolo che non conosceva, d'aspetto vagamente orientale, e da una lunga
sequenza di linee parallele di vario spessore.
- Lì c'è il mio curriculum. - disse Moretti, in
tono ancora sgarbato - Grado, matricola, gruppo sanguigno, allergie, addestramento
specifico...
- Capisco. - considerò lei, colpita - In effetti, credo
che i boy scout non abbiano nulla del genere...
- No davvero. - confermò lui, con cattiveria - È un'esclusiva
della Sezione.
Lara assunse un'espressione innocente. - Mi spiace, non sono
capace di leggere i codici a barre. - confessò, attenta a dosare il sarcasmo
- Le dispiace dirmi semplicemente il suo nome?
- Jacques Xavier Moretti. - disse lui, asciutto - Nato a Nizza
il ventinove gennaio 2009. Qualifica agente scelto. Gruppo sanguigno AB, Rh positivo.
- Molto gentile. - ringraziò placidamente Lara.
Moretti si agitò indispettito, per quanto gli consentivano
i tiranti cui era appeso. - Durerà ancora molto, quest'intervista?
- Solo poche domande. - assicurò la donna, carezzandosi
l'orecchino.
- Sarà meglio.
Lara decise di venire al punto. - Mi dica... Come mai la SSI
presidiava la manifestazione di Bagnoli?
- Che significa?
- Non era un compito più adatto alla Polizia locale?
Lui scosse la testa. - Sospettavamo la presenza di sovversivi.
E avevamo ragione...
All'improvviso, l'uomo sembrò irrigidirsi - Comunque,
di chi fosse la competenza non è un mio problema: la Sezione Speciale interviene
dove le viene ordinato.
- Capisco. - Lara si sporse in avanti sulla sedia, puntellando
i gomiti sulle cosce. La sua voce si fece tesa, allusiva.
- E chi dà ordini alla Sezione Speciale, agente?
Lui batté gli occhi di un verde sciropposo, indignato.
Quella giornalistucola stava esagerando: in altre circostanze avrebbe troncato
su due piedi l'intervista, l'avrebbe addirittura minacciata di arresto...
Ma, con sorpresa, in quel frangente scoprì di non esserne
in grado. In quel momento, appeso al gancio come un quarto di bue, prostrato fisicamente
e intellettualmente, Moretti realizzò che la domanda della donna era più
che valida. Egli stesso, ammise a se stesso, non era più certo di conoscerne
la risposta.
Nel constatarlo restò di sasso. Cosa gli stava accadendo,
in quella sordida prigione silenziosa, così lontana dai paradisi ovattati
della stimolina?
- Non capisco. - mormorò, in un registro incerto.
Lara intuì di aver toccato un nervo scoperto. Valeva la
pena, si chiese, di colpire più a fondo? Senza dubbio, si disse. Ormai
si era esposta, usurpando un NOS che non le spettava, mentendo, mascherando la
sua indagine personale per un'inchiesta del giornale. Tanto valeva insistere:
non avrebbe avuto mai più un'occasione altrettanto favorevole.
- Gli alti ufficiali della Sezione Speciale rispondono direttamente
alla Commissione Europea, non è così?
Moretti la guardò inespressivo. - E lei che ne sa?
- Be', ricordo che all'epoca si parlò di una sorta di
FBI europeo... Mi è sfuggito qualcosa?
- L'FBI risponde al Congresso americano? O al Gabinetto di Stato?
Da quando? - Lui provò a scrollare le spalle. Dovette rinunciarvi. - Comunque,
il paragone non regge. Non più, dopo gli accordi di Parigi.
- Parla delle privatizzazioni?
Moretti annuì. - Lo snellimento delle strutture statali.
- precisò, usando il termine udito all'Accademia.
- Riformulerò la domanda, allora... - Lara si sfiorò
l'orecchino - Chi detiene il pacchetto di maggioranza della SSI?
- EuroBank possiede una golden share. Non è un
segreto. - commentò Moretti, asciutto.
- Davvero?
- Per essere una giornalista mi sembra piuttosto ignorante. -
disse lui, bruscamente - Per quale quotidiano ha detto di lavorare?
La breccia stava per chiudersi, Lara se ne rese conto con disappunto.
Si diede mentalmente della stupida.
Calma, si disse: è vulnerabile, ma devi lavorartelo
con attenzione.
- Se ho capito bene, agente... - insistette, scandendo bene le
parole - La Sezione Speciale prende ordini da EuroBank. Dunque il vostro non è
un corpo di Pubblica Sicurezza, ma il braccio armato del potere finanziario.
- Che stronzat...
Moretti non riuscì a terminare la frase. D'un tratto,
gli era tornato alla mente il grintoso manager di Francoforte che aveva apposto
la propria firma elettronica sul contratto con cui egli era stato arruolato. Rivide
i consulenti in blazer blu e cravatta in tessuto clonato che, come ombre silenziose,
assistevano puntualmente a tutte le azioni della Sezione, digitando in eterno
misteriosi appunti sui loro datapad bruniti.
Aveva sempre pensato a quelle presenze oscure come rientranti
nell'ordine naturale delle cose... Ma in quel momento, nella crudele lucidità
donatagli dall'astinenza, ebbe una sensazione inquietante, come se ci fosse qualcosa
di mostruoso nascosto al limite della sua visuale, qualcosa di enorme, di cruciale.
Non riusciva in nessun modo a metterlo a fuoco, ma sapeva che era terribilmente
importante. E più se ne convinceva, più esso gli sfuggiva.
- Credevo che volesse chiedermi di Bagnoli, non discutere di
politica europea. - protestò debolmente, sentendo la conversazione sfuggirgli
tra le dita.
- Ha ragione, agente. - concesse Lara, avvertendo la lenza che
si tendeva - Allora mi dica: perché EuroBank spreca il suo esercito privato
in questioni di ordine pubblico?
- Perché no? - replicò l'uomo, a disagio - Non
le sembra un compito importante?
- Riesco a pensare almeno a dieci impieghi più degni e
adeguati al vostro Corpo... E non sono che una giornalista ignorante. - aggiunse,
schernendosi.
- Me ne dica uno.
- La lotta ai mercanti di droga, ad esempio. - esclamò
- Perché la SSI non si occupa del traffico di exitrazina?
- Exitrazina? - ripeté lui, gelido.
- Sale Lucente, orbitale... Come preferisce. Un giro illegale
di milioni di Euro. Perché la SSI non interviene?
Sul viso dell'agente, di nuovo, un'espressione ostile. - Sinceramente,
signora, non sono informato sull'argomento.
- Vuol farmi credere che non ha mai sentito parlare dell'exitrazina?
- esclamò la donna, ben decisa a non mollare la presa.
- Non voglio farle credere proprio niente. È stata lei a venire
da me.
- Ma se...
- Mi spiace disturbare. - tossicchiò l'infermiera, comparsa
all'improvviso sulla soglia della stanza - È l'ora del trattamento.
- Oh! - sussultò Lara - Lei è molto silenziosa.
- Non abbastanza. - commentò acidamente l'agente scelto.
L'infermiera scambiò uno sguardo d'intesa con la giornalista.
- Io e il signor Moretti ci intendiamo magnificamente. Tra un
po' mi chiederà di sposarlo.
L'uomo le scoccò un'occhiata velenosa. - Forza con questa
iniezione, crocerossina del cazzo. Non voglio morirci, in questo maledetto ospedale.
- Devo uscire? - chiese Lara.
- Cos'è, non ha mai visto le chiappe di un uomo, signora
cronista? - ghignò Moretti.
Lara non riuscì a sorridere: l'uomo sembrava essersi ripreso.
Peccato: poco prima le era parso sul punto di crollare.
- Penso che rinuncerò a vedere le sue, agente. - ribatté,
lasciando la porta accostata e uscendo nel corridoio.
Per ingannare l'attesa, diede un'occhiata intorno. Il reparto
in cui si trovava, come Rita le aveva confidato, era stato riservato ai feriti
di Bagnoli. Si trattava quasi esclusivamente di poliziotti, circostanza che in
fin dei conti non la stupiva: dopo quanto era successo, pensò, nessun dimostrante,
a meno che non fosse stato disperato, si sarebbe presentato spontaneamente in
ospedale.
Provava un leggero nervosismo. Si era diretta verso la stanza
di Moretti non per scelta, ma perché era sembrata la meno rischiosa. Intorno
alle altre, infatti, stazionavano pattuglie di uomini in uniforme. Alcuni erano
senza dubbio sotto osservazione clinica; altri sembravano in visita di cortesia;
altri ancora, dall'espressione stolida e con le armi pendenti al loro fianco,
erano impegnati in un granitico quanto minaccioso piantonamento.
Lara tentò di ignorarli. Oziosamente, notò come
il reparto si trovasse in condizioni di gran lunga migliori dello standard disastroso
in cui versava il Cardarelli. Le piste magnetiche che guidavano le lettighe automatiche
alle sale operatorie non presentavano il minimo segno di ruggine, i POI agli angoli
del corridoio erano perfettamente funzionanti, il personale parametrico era sorprendentemente
pulito e cortese, le sale d'attesa e l'astanteria erano in ordine, l'aria sapeva
di disinfettante. I vetri insonorizzati, lindi e accuratamente chiusi, ricacciavano
indietro l'eterno frastuono dei questuanti e le geremiadi degli ex-mutuati in
lista d'attesa che bivaccavano prostrati nel cortile esterno.
Un crocchio di figure in piedi, accanto agli ascensori, attirò
l'attenzione di Lara. Parlottavano tra loro con fare misterioso, e ogni tanto
si arrestavano con lo sguardo perso nel vuoto, come se ascoltassero la voce di
qualcuno che lei non poteva vedere.
Erano in tre. Uno indossava la divisa della Sezione Speciale,
grigio cenere e giallo nicotina; portava sulle spalline dei gradi che lei non
sapeva interpretare, e dissertava a spezzoni, pesantemente, lasciando cadere le
sillabe come cadaveri.
Il secondo sembrava un medico: non aveva il camice, ma dava ugualmente
l'impressione di un chirurgo, forse per l'aria disinvolta con cui sembrava dominare
la scena, forse per i riflessi di sangue che si scorgevano nelle sue pupille.
Aveva il volto affilato, i capelli bianchi, e parlava descrivendo con le dita
ampi gesti nell'aria asettica, come un direttore d'orchestra nel pieno di un'esibizione.
Ma era soprattutto il terzo uomo ad attrarre lo sguardo di Lara:
era alto, portava un completo antracite di cui anche a distanza si indovinava
la buona fattura. I suoi capelli, biondi, erano tagliati a spazzola; le sopracciglia
erano sottili, chiarissime, al pari della peluria che gli copriva il dorso delle
mani. La sua pelle era rosea, di un candore quasi infantile. Portava dei minuscoli
occhiali a specchio, e taceva. Più che ascoltare, sembrava assorbire a
livello epidermico quanto gli altri andavano esponendo.
Lara non sapeva cosa fosse ad attrarla in lui. Forse la gravità
del suo viso perfetto, forse il senso di potere che emanava dalla sua persona.
Quando lui voltò la testa e la fissò, lei sussultò, e d'istinto
fece un passo indietro.
- Stia attenta. - l'ammonì l'infermiera, in quel momento
comparsa sulla soglia della stanza di Moretti.
Lara riprese l'equilibrio. Aveva rischiato di investire una lettiga
automatica che, silenziosa come un agguato, era uscita da una delle porte che
davano sul corridoio, e adesso era immobile, in sospensione giroscopica, in attesa
che i suoi sensori le segnalassero il via libera.
- Mi spiace. - si scusò la giornalista - Stavo per caderci
sopra.
- Non le sarebbe piaciuto. - commentò la ragazza, seria
in viso.
- Perché... oh!
Lara, d'improvviso, realizzò cosa la lettiga trasportasse,
e impallidì. Il lenzuolo era spesso, scuro, ma al di là della stoffa
s'intravedeva ugualmente la sagoma del corpo.
L'infermiera picchiettò sui comandi della lettiga. - Questi
chindogu costano migliaia di Euro e si impuntano come muli... Ecco qui.
Patologia Legale. - digitò - Forza, bella: cammina!
- Chi era? - chiese Lara, spostando a disagio il peso da un piede
all'altro. Non sapeva cosa fare delle mani, e d'istinto le portò entrambe
a sfiorare gli orecchini.
- Lui? - rispose l'infermiera, indicando il cadavere - L'occupante
della 302. Linea piatta un paio d'ore fa... Poveraccio: sentivo che non ce l'avrebbe
fatta.
- Cosa aveva?
- Ustioni sul settanta per cento del corpo. Polmoni andati. Fratture
multiple. Blocco renale. I dottori l'avevano intubato e gli avevano sparato in
corpo decine di nanomed, ma...
- Un incidente? - l'interruppe Lara, deglutendo.
- Incendio. Scontro a fuoco, la notte scorsa. L'avrà sicuramente
sentito... - la ragazza sorrise, imbarazzata - Sono proprio una stupida! Lei è
una giornalista del Mattino, no? Saprà certo meglio di me quel che è
successo a Sant'Anastasia...
Lara impallidì ancor di più, pentendosi di aver
posto la domanda.
- Non aveva documenti addosso. - disse ancora la giovane infermiera
- Non sappiamo neppure che nome digitare sul registro dell'obitorio... Solo e
sconosciuto. È veramente terribile andarsene così, non trova? Sarà
stato anche un camorrista, ma nessuno merita una morte tanto brutta.
- Conosce un modo bello per andarsene? - mormorò
Lara, seria.
- Ne ho visti di migliori. - ribatté la ragazza.
Poi sorrise. - Ecco: finalmente funziona.
La lettiga vibrò, cigolò, e con qualche sforzo
riprese la sua corsa ferale. L'improvviso spostarsi del baricentro fece scivolare
via di qualche centimetro il lenzuolo, rivelando come in un macabro scherzo il
lembo di un piede.
- Non deve concludere l'intervista? - suggerì l'infermiera,
in tono ingenuamente malizioso - Il signor Moretti adesso è tutto per lei.
Lara non l'ascoltava. Continuava a fissare, sconvolta e affascinata,
quel penoso frammento di essere umano comparso oltre il lenzuolo...
E all'improvviso spalancò gli occhi, le mancò il
respiro, si sentì venir meno. Quando le orecchie cominciarono a ronzarle,
dovette sorreggersi alla parete, e temette veramente di perdere i sensi.
Dal calcagno in su, la pelle del cadavere non esisteva più,
e la carne aveva il colore delle caldarroste che lei da bambina vedeva rosolare
al fuoco nelle bancarelle di piazza Dante. Ma, sotto la caviglia, la scarpa doveva
in qualche modo aver protetto l'epidermide. Laggiù essa si presentava annerita,
orribilmente gonfia, lacerata...
Ma il tatuaggio era ancora visibile. Piccole stelle superstiti
di un cerchio europeo morso dal fuoco, quel simbolo così simile a un ideogramma
cinese, e poi le linee scure ormai illeggibili del codice a barre, come pezzi
del domino in fila sulla pelle di cenere.
- Si sente bene? - mormorò l'infermiera.
Lara, sotto lo sguardo attonito della ragazza, corse giù
per le scale, a perdifiato, con la realtà che le crollava a pezzi intorno.
Da "In cerca di Masaniello"
di Lara Mastrantuono
Se "Lazzaro di Masaniello" fosse un titolo nobiliare,
il primo uomo cui assegnerei il diritto di fregiarsene sarebbe senza dubbio Anselmo.
Il vecchio Anselmo... Non ho mai saputo il suo cognome. Forse
neanche lui lo ricordava più. Dalla prima volta che lo incontrai, e poi
per tutti i mesi che vissi con il folle, grottesco, a suo modo eroico esercito
di Masaniello, lo udii chiamare solo "Anselmo", "vecchio",
al massimo "compagno".
No, non mi rivelò mai il suo cognome. Ma mi narrò
la storia della sua vita, senza pudori e senza reticenze. E io ascoltai, affascinata
e attenta. Ascoltai, colma di quel desiderio osceno, come lo definiva Hemingway,
di conoscere i segreti e i conflitti della gente per farne poi letteratura.
Anselmo, quando lo conobbi, aveva quasi il doppio degli anni
del nuovo secolo. Era nato a Gragnano, un paesino sospeso tra l'ardesia dei monti
Sorrentini e il cobalto acceso del golfo.
Non aveva avuto un'infanzia felice. Il padre, Giuseppe, non
riusciva a ottenere un lavoro stabile: come si diceva (e si dice tuttora) da quelle
parti, "si arrangiava", tentando di sbarcare il lunario con mille attività,
poche delle quali pulite.
Mentre il piccolo Anselmo cresceva, lui si dedicava a entrare
e uscire dal carcere, riservando i suoi sempre più caduchi periodi di libertà
al precipuo compito di donare nuovi fratelli e sorelle al primogenito.
Nonostante i lati spiacevoli dell'esistenza, la famiglia s'ingrandiva
e tirava avanti. I veri guai iniziarono quando Giuseppe partì per la Germania
inseguendo, come lasciò scritto ai familiari, "la Grande Occasione".
Fu arrestato quasi subito, e questa volta gli vennero affibbiati
dieci anni, da scontare senza possibilità di appello nel penitenziario
di Dortmund.
Le redini della famiglia passarono nelle mani della madre.
Era una donna ancora giovane e, malgrado le numerose gravidanze, piacente. Non
impiegò molto a trovare qualcuno che le risparmiasse la solitudine. Il
suo errore fu quello di non usare il dovuto riserbo: la notizia della tresca raggiunse
in qualche modo i parenti del marito e venne accolta (secondo il costume tradizionale)
come un insulto mortale.
Anselmo non conobbe mai i dettagli della tragedia. Qualche
anno dopo seppe di un viaggio di alcuni zii paterni a Dortmund, di un acceso colloquio
nel parlatorio del carcere, di una spietata "autorizzazione a riscuotere
il credito d'onore", come si diceva a quei tempi e in quegli ambienti dove
nulla veniva preso alla leggera.
Due settimane dopo, sua madre fu uccisa in modo particolarmente
efferato. Suo padre ne seguì il destino qualche mese più tardi,
accoltellato durante una rissa tra detenuti. Anselmo e i suoi numerosi fratelli
passarono sotto l'ala protettrice dello zio Gennaro, un lontano parente, schedato
dalla Polizia come potente membro della cosca Pascarella.
Anselmo aveva quattordici anni, e trascorse i successivi venti
lavorando per l'impresa dello zio. Fu un periodo intenso, produttivo, durante
il quale Anselmo ebbe l'opportunità di formarsi un curriculum professionale
di tutto rispetto. Acquisì le conoscenze di un perfetto contabile (applicandole
con successo al ramo usura), di un fiscalista (specializzandosi nelle attività
di taglieggiamento a esercizi commerciali), e di esperto di vigilanza (operando
proficuamente in mansioni di guardia del corpo).
Nella sua formazione non venne trascurata ovviamente l'attività
sportiva (Anselmo lavorò quasi due anni nel giro del totonero), né
gli venne negato lo sviluppo di una naturale propensione artistica (per un anno
fu apprendista del più noto falsario di Ponticelli).
Ebbe anche l'occasione di viaggiare e di conoscere il mondo:
visse quattro mesi in Kosovo con l'incarico di organizzare il traffico di armi,
due mesi in Turchia a curare le public relations con i traghettatori clandestini,
sei settimane a Bucarest nelle vesti di uomo di fiducia di sedicenti finanzieri
occidentali interessati agli investimenti nei paesi dell'ex blocco comunista.
Al termine dei vent'anni decise di mettersi in proprio, pur
restando nell'orbita della cosca che lo aveva tirato su con tanto affetto.
Si sposò, ebbe una figlia, si trasferì a Castellammare,
pochi chilometri a sud di Napoli, ove si dedicò a curare le attività
in espansione dei benevolenti Pascarella...
Ad ascoltarlo, sembra che Anselmo narri la sua vita come in
un blues: a volte egli scivola su altri accordi, variazioni di melodia, di ritmo,
di malinconia, ma prima o poi torna, sulle corde della memoria, all'accordo iniziale,
quello che racconta la storia.
E il suo accordo ha il suono della tragedia.
Tra il novembre 2015 e il febbraio 2016 una catena di scontri
a fuoco si abbatté sull'area vesuviana. Castellammare fu il campo di battaglia
più violento.
Muovendosi con grande diplomazia, i capi di Anselmo stipularono
con le cosche "storiche" del napoletano un accordo di difesa comune
contro i nuovi arrivati. Ma neppure questa "grande alleanza" riuscì
a cambiare il corso della guerra. Una guerra, come Anselmo capì presto,
in cui anche gli avversari avevano trovato potenti confederati...
Grandi retate di Polizia decimarono i ranghi dei Pascarella
e delle cosche amiche, blocchi stradali e perquisizioni sconvolsero i piani di
difesa, soffiate e delazioni favorirono in ogni modo l'ascesa dei nuovi signori
della camorra.
Il 3 febbraio 2016 Anselmo venne arrestato con due compagni
senza alcuna accusa specifica, e interrogato brutalmente per tutta la notte in
una caserma di Torre del Greco.
All'alba, quando venne rilasciato, scoprì che il rifugio
segreto che lui e i suoi compagni avevano avuto l'incarico di proteggere era stato
distrutto dall'esplosione di un ordigno bellico ad alto potenziale.
Non era stato lui a rivelare la posizione del covo, ma in quell'istante
desiderò di averlo fatto. I suoi compagni, in quel caso, l'avrebbero ucciso.
E lui, in quel momento, desiderava solo la morte...
Nel rifugio ridotto a un cratere fumante, la sera prima, egli
aveva condotto la moglie e la figlia.
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