"2038: la rivolta", di Francesco GrassoLiber Liber
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Prefazione | Epilogo

7

Gli uomini sconfitti non dovrebbero parlare delle loro battaglie
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano

Moretti ne aveva abbastanza dell'ospedale. Le due lunghe operazioni con cui i chirurghi gli avevano rimesso insieme, a mo' di mosaico, la gamba destra e la clavicola devastata lo avevano prostrato. La microsonda che gli drenava quotidianamente il pus dai polmoni intossicati dall'urticante era divenuta, nei suoi pensieri rancorosi, un aspide che gli mordeva le carni.

Ad abbatterlo definitivamente, ne era consapevole, era stata però l'astinenza forzata dalle biostimoline, astinenza che si prolungava ormai da oltre una settimana. I sintomi della privazione erano ogni giorno più forti, e l'agente scelto non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a tollerarli. Si sentiva fiacco, svuotato di ogni forza, di ogni aggressività; il suo corpo gli appariva vergognosamente fragile, inadeguato, orribilmente limitato in forza e resistenza al dolore. Non si era mai sentito così debole, e odiava tale sensazione.

Ma, ancor di più del decadimento fisico, era la progressiva corruzione del suo raziocinio a spaventarlo. Moretti avrebbe dato un braccio per provare di nuovo l'abbraccio obliante di sicurezza, di verità assolute delle stimoline.

Priva della dose quotidiana, la sua mente una volta serena, al sicuro da ogni dubbio, si era ritrovata vuota, indifesa, spaurita. Battaglioni di interrogativi inquietanti lo avevano vigliaccamente assalito alle spalle; pattuglie di scrupoli lo avevano circondato, lui vagolante nella steppa nebbiosa delle colpe, e lo avevano portato, somma di ogni orrore, a riflettere senza alcuna certezza definita. Forse era stato ciò che aveva visto a Bagnoli a scatenare il processo. Non lo sapeva: di certo, quando chiudeva gli occhi, rivedeva ancora quella scena da incubo, e dentro di sé gridava.

Solo e senza altra possibilità, aveva cominciato a interrogarsi. Idee balzane gli erano ronzate in testa come convertiplani in picchiata. Punti di vista differenti, addirittura contrari a ciò che gli era stato inculcato durante l'addestramento gli erano balenati agli occhi. Lui allora aveva trasalito, cercando di ricacciarli indietro, ma non vi era riuscito del tutto... L'agente scelto teneva duro, ma si sentiva sempre più teso, sempre più irritabile. Sapeva che, se qualcuno non lo avesse tirato fuori in fretta da quella stanza silenziosa dipinta di bianco, ben presto sarebbe crollato.

- Signor Moretti?

- Sì?

- C'è una visita per lei.

L'agente scelto squadrò acidamente l'infermiera. Era una ragazza graziosa, vivace, dagli occhi d'inchiostro e i movimenti aggraziati. Una bellezza tipicamente napoletana: mora, verace, carnalmente sensuale. Moretti l'odiava.

- Non voglio visite. - sibilò - Voglio le mie razioni.

Lei scosse la testa con un sorriso dolce. - Ha sentito il dottore: niente stimolanti. - replicò, con l'aria di scusarsi - Non finché è sotto drenaggio.

Lui non si lasciò convincere dall'apparente rammarico della ragazza. Puttanella sovversiva, ringhiò in silenzio. Ne ho viste tante come te... Quando mi toglieranno i tiranti faremo i conti. Su questo stesso letto.

- La sua visita, signore. - insistette l'infermiera, controllando con professionalità il display degli strumenti di monitoraggio - Posso farla entrare?

- Chi è? - chiese lui, sgarbato.

- Una giornalista del Mattino.

- Che vada all'inferno!

- È autorizzata. - replicò la ragazza, picchiettando leggermente sul tubicino della flebo.

- Che diavolo vuole da me?

La ragazza scrollò graziosamente le spalle. - Intervistarla, credo. A proposito della battaglia di Bagnoli, a quanto dice...

Moretti cambiò espressione. Non gli piaceva parlare di quell'episodio; ma c'erano anche delle domande, nel plotone di dubbi che lo tormentava, di cui in un modo o nell'altro voleva la risposta.

- Va bene. - sbottò - Falla entrare. E poi sparisci.

- Fino all'ora dell'iniezione. - concesse la ragazza, imperturbabile.

- All'inferno!

Moretti tentò di mettersi a sedere sul letto, ma rinunciò dopo aver conquistato a stento una dozzina di centimetri. Imprecò silenziosamente. Poi si scosse. La giornalista era di fronte a lui.

- Buongiorno. - esordì la donna - Come si sente?

- Signora... - Moretti lesse il nome sul NOS appuntato sulla camicetta di Lara - ...Lamberti?

- Mi chiami Lara. - fu pronta a replicare lei, sorridendo pudicamente, grata che il lettore di chip identificativi del Cardarelli fosse eternamente fuori uso.

- Signora Lara. - ripeté Moretti, torvo. - Ho staffe d'accrescimento imbullonate nelle ossa, il mio ginocchio è sotto vetro al reparto Patologia, e mi hanno infilato su per il naso un tubo largo come la Monorotaia per Procida. Come crede che mi senta?

- Non saprei... - ammise la donna, azzardando un'aria svanita - Magnificamente?

Stupida oca, pensò Moretti. Poi la guardò attentamente. Il risultato dell'ispezione parve deluderlo. Magra da far paura, chiacchierona e senza dubbio vergine, considerò. Ma certo: a chi verrebbe mai in mente di farsi un chiodo del genere? Sembrerebbe di scoparsi un'antenna Yagi.

- Permette qualche domanda?

- No. - replicò seccamente Moretti.

Lara lo ignorò tranquillamente. - Lei fa parte della Sezione Speciale Interni delle Forze Armate Europee, agente? - chiese, accomodandosi garbatamente sulla sedia che affiancava il bilanciere per la trazione.

- No, dei boy scout. - bofonchiò lui.

- Davvero? - fece lei, candidamente - Credevo che fossero stati disciolti.

- Non ancora. - ghignò lui - Prima aboliremo l'Ordine dei Giornalisti.

D'un tratto, Moretti decise di averne abbastanza di quella schermaglia: nelle dispute meramente verbali non si era mai divertito troppo.

- Guardi. - disse, agitando il piede sinistro, nudo, sino a farlo sporgere grottescamente oltre l'orlo affilato del lenzuolo usa-e-getta.

Lara, incuriosita, obbedì.

Sull'esterno del piede, all'altezza della caviglia, un piccolo tatuaggio contornava il rigonfiamento dell'articolazione. La donna socchiuse gli occhi, distinguendo sorpresa il cerchio di stelle dell'Unione Europea, seguito da un simbolo che non conosceva, d'aspetto vagamente orientale, e da una lunga sequenza di linee parallele di vario spessore.

- Lì c'è il mio curriculum. - disse Moretti, in tono ancora sgarbato - Grado, matricola, gruppo sanguigno, allergie, addestramento specifico...

- Capisco. - considerò lei, colpita - In effetti, credo che i boy scout non abbiano nulla del genere...

- No davvero. - confermò lui, con cattiveria - È un'esclusiva della Sezione.

Lara assunse un'espressione innocente. - Mi spiace, non sono capace di leggere i codici a barre. - confessò, attenta a dosare il sarcasmo - Le dispiace dirmi semplicemente il suo nome?

- Jacques Xavier Moretti. - disse lui, asciutto - Nato a Nizza il ventinove gennaio 2009. Qualifica agente scelto. Gruppo sanguigno AB, Rh positivo.

- Molto gentile. - ringraziò placidamente Lara.

Moretti si agitò indispettito, per quanto gli consentivano i tiranti cui era appeso. - Durerà ancora molto, quest'intervista?

- Solo poche domande. - assicurò la donna, carezzandosi l'orecchino.

- Sarà meglio.

Lara decise di venire al punto. - Mi dica... Come mai la SSI presidiava la manifestazione di Bagnoli?

- Che significa?

- Non era un compito più adatto alla Polizia locale?

Lui scosse la testa. - Sospettavamo la presenza di sovversivi. E avevamo ragione...

All'improvviso, l'uomo sembrò irrigidirsi - Comunque, di chi fosse la competenza non è un mio problema: la Sezione Speciale interviene dove le viene ordinato.

- Capisco. - Lara si sporse in avanti sulla sedia, puntellando i gomiti sulle cosce. La sua voce si fece tesa, allusiva.

- E chi dà ordini alla Sezione Speciale, agente?

Lui batté gli occhi di un verde sciropposo, indignato. Quella giornalistucola stava esagerando: in altre circostanze avrebbe troncato su due piedi l'intervista, l'avrebbe addirittura minacciata di arresto...

Ma, con sorpresa, in quel frangente scoprì di non esserne in grado. In quel momento, appeso al gancio come un quarto di bue, prostrato fisicamente e intellettualmente, Moretti realizzò che la domanda della donna era più che valida. Egli stesso, ammise a se stesso, non era più certo di conoscerne la risposta.

Nel constatarlo restò di sasso. Cosa gli stava accadendo, in quella sordida prigione silenziosa, così lontana dai paradisi ovattati della stimolina?

- Non capisco. - mormorò, in un registro incerto.

Lara intuì di aver toccato un nervo scoperto. Valeva la pena, si chiese, di colpire più a fondo? Senza dubbio, si disse. Ormai si era esposta, usurpando un NOS che non le spettava, mentendo, mascherando la sua indagine personale per un'inchiesta del giornale. Tanto valeva insistere: non avrebbe avuto mai più un'occasione altrettanto favorevole.

- Gli alti ufficiali della Sezione Speciale rispondono direttamente alla Commissione Europea, non è così?

Moretti la guardò inespressivo. - E lei che ne sa?

- Be', ricordo che all'epoca si parlò di una sorta di FBI europeo... Mi è sfuggito qualcosa?

- L'FBI risponde al Congresso americano? O al Gabinetto di Stato? Da quando? - Lui provò a scrollare le spalle. Dovette rinunciarvi. - Comunque, il paragone non regge. Non più, dopo gli accordi di Parigi.

- Parla delle privatizzazioni?

Moretti annuì. - Lo snellimento delle strutture statali. - precisò, usando il termine udito all'Accademia.

- Riformulerò la domanda, allora... - Lara si sfiorò l'orecchino - Chi detiene il pacchetto di maggioranza della SSI?

- EuroBank possiede una golden share. Non è un segreto. - commentò Moretti, asciutto.

- Davvero?

- Per essere una giornalista mi sembra piuttosto ignorante. - disse lui, bruscamente - Per quale quotidiano ha detto di lavorare?

La breccia stava per chiudersi, Lara se ne rese conto con disappunto. Si diede mentalmente della stupida.

Calma, si disse: è vulnerabile, ma devi lavorartelo con attenzione.

- Se ho capito bene, agente... - insistette, scandendo bene le parole - La Sezione Speciale prende ordini da EuroBank. Dunque il vostro non è un corpo di Pubblica Sicurezza, ma il braccio armato del potere finanziario.

- Che stronzat...

Moretti non riuscì a terminare la frase. D'un tratto, gli era tornato alla mente il grintoso manager di Francoforte che aveva apposto la propria firma elettronica sul contratto con cui egli era stato arruolato. Rivide i consulenti in blazer blu e cravatta in tessuto clonato che, come ombre silenziose, assistevano puntualmente a tutte le azioni della Sezione, digitando in eterno misteriosi appunti sui loro datapad bruniti.

Aveva sempre pensato a quelle presenze oscure come rientranti nell'ordine naturale delle cose... Ma in quel momento, nella crudele lucidità donatagli dall'astinenza, ebbe una sensazione inquietante, come se ci fosse qualcosa di mostruoso nascosto al limite della sua visuale, qualcosa di enorme, di cruciale. Non riusciva in nessun modo a metterlo a fuoco, ma sapeva che era terribilmente importante. E più se ne convinceva, più esso gli sfuggiva.

- Credevo che volesse chiedermi di Bagnoli, non discutere di politica europea. - protestò debolmente, sentendo la conversazione sfuggirgli tra le dita.

- Ha ragione, agente. - concesse Lara, avvertendo la lenza che si tendeva - Allora mi dica: perché EuroBank spreca il suo esercito privato in questioni di ordine pubblico?

- Perché no? - replicò l'uomo, a disagio - Non le sembra un compito importante?

- Riesco a pensare almeno a dieci impieghi più degni e adeguati al vostro Corpo... E non sono che una giornalista ignorante. - aggiunse, schernendosi.

- Me ne dica uno.

- La lotta ai mercanti di droga, ad esempio. - esclamò - Perché la SSI non si occupa del traffico di exitrazina?

- Exitrazina? - ripeté lui, gelido.

- Sale Lucente, orbitale... Come preferisce. Un giro illegale di milioni di Euro. Perché la SSI non interviene?

Sul viso dell'agente, di nuovo, un'espressione ostile. - Sinceramente, signora, non sono informato sull'argomento.

- Vuol farmi credere che non ha mai sentito parlare dell'exitrazina? - esclamò la donna, ben decisa a non mollare la presa.

- Non voglio farle credere proprio niente. È stata lei a venire da me.

- Ma se...

- Mi spiace disturbare. - tossicchiò l'infermiera, comparsa all'improvviso sulla soglia della stanza - È l'ora del trattamento.

- Oh! - sussultò Lara - Lei è molto silenziosa.

- Non abbastanza. - commentò acidamente l'agente scelto.

L'infermiera scambiò uno sguardo d'intesa con la giornalista.

- Io e il signor Moretti ci intendiamo magnificamente. Tra un po' mi chiederà di sposarlo.

L'uomo le scoccò un'occhiata velenosa. - Forza con questa iniezione, crocerossina del cazzo. Non voglio morirci, in questo maledetto ospedale.

- Devo uscire? - chiese Lara.

- Cos'è, non ha mai visto le chiappe di un uomo, signora cronista? - ghignò Moretti.

Lara non riuscì a sorridere: l'uomo sembrava essersi ripreso. Peccato: poco prima le era parso sul punto di crollare.

- Penso che rinuncerò a vedere le sue, agente. - ribatté, lasciando la porta accostata e uscendo nel corridoio.

Per ingannare l'attesa, diede un'occhiata intorno. Il reparto in cui si trovava, come Rita le aveva confidato, era stato riservato ai feriti di Bagnoli. Si trattava quasi esclusivamente di poliziotti, circostanza che in fin dei conti non la stupiva: dopo quanto era successo, pensò, nessun dimostrante, a meno che non fosse stato disperato, si sarebbe presentato spontaneamente in ospedale.

Provava un leggero nervosismo. Si era diretta verso la stanza di Moretti non per scelta, ma perché era sembrata la meno rischiosa. Intorno alle altre, infatti, stazionavano pattuglie di uomini in uniforme. Alcuni erano senza dubbio sotto osservazione clinica; altri sembravano in visita di cortesia; altri ancora, dall'espressione stolida e con le armi pendenti al loro fianco, erano impegnati in un granitico quanto minaccioso piantonamento.

Lara tentò di ignorarli. Oziosamente, notò come il reparto si trovasse in condizioni di gran lunga migliori dello standard disastroso in cui versava il Cardarelli. Le piste magnetiche che guidavano le lettighe automatiche alle sale operatorie non presentavano il minimo segno di ruggine, i POI agli angoli del corridoio erano perfettamente funzionanti, il personale parametrico era sorprendentemente pulito e cortese, le sale d'attesa e l'astanteria erano in ordine, l'aria sapeva di disinfettante. I vetri insonorizzati, lindi e accuratamente chiusi, ricacciavano indietro l'eterno frastuono dei questuanti e le geremiadi degli ex-mutuati in lista d'attesa che bivaccavano prostrati nel cortile esterno.

Un crocchio di figure in piedi, accanto agli ascensori, attirò l'attenzione di Lara. Parlottavano tra loro con fare misterioso, e ogni tanto si arrestavano con lo sguardo perso nel vuoto, come se ascoltassero la voce di qualcuno che lei non poteva vedere.

Erano in tre. Uno indossava la divisa della Sezione Speciale, grigio cenere e giallo nicotina; portava sulle spalline dei gradi che lei non sapeva interpretare, e dissertava a spezzoni, pesantemente, lasciando cadere le sillabe come cadaveri.

Il secondo sembrava un medico: non aveva il camice, ma dava ugualmente l'impressione di un chirurgo, forse per l'aria disinvolta con cui sembrava dominare la scena, forse per i riflessi di sangue che si scorgevano nelle sue pupille. Aveva il volto affilato, i capelli bianchi, e parlava descrivendo con le dita ampi gesti nell'aria asettica, come un direttore d'orchestra nel pieno di un'esibizione.

Ma era soprattutto il terzo uomo ad attrarre lo sguardo di Lara: era alto, portava un completo antracite di cui anche a distanza si indovinava la buona fattura. I suoi capelli, biondi, erano tagliati a spazzola; le sopracciglia erano sottili, chiarissime, al pari della peluria che gli copriva il dorso delle mani. La sua pelle era rosea, di un candore quasi infantile. Portava dei minuscoli occhiali a specchio, e taceva. Più che ascoltare, sembrava assorbire a livello epidermico quanto gli altri andavano esponendo.

Lara non sapeva cosa fosse ad attrarla in lui. Forse la gravità del suo viso perfetto, forse il senso di potere che emanava dalla sua persona. Quando lui voltò la testa e la fissò, lei sussultò, e d'istinto fece un passo indietro.

- Stia attenta. - l'ammonì l'infermiera, in quel momento comparsa sulla soglia della stanza di Moretti.

Lara riprese l'equilibrio. Aveva rischiato di investire una lettiga automatica che, silenziosa come un agguato, era uscita da una delle porte che davano sul corridoio, e adesso era immobile, in sospensione giroscopica, in attesa che i suoi sensori le segnalassero il via libera.

- Mi spiace. - si scusò la giornalista - Stavo per caderci sopra.

- Non le sarebbe piaciuto. - commentò la ragazza, seria in viso.

- Perché... oh!

Lara, d'improvviso, realizzò cosa la lettiga trasportasse, e impallidì. Il lenzuolo era spesso, scuro, ma al di là della stoffa s'intravedeva ugualmente la sagoma del corpo.

L'infermiera picchiettò sui comandi della lettiga. - Questi chindogu costano migliaia di Euro e si impuntano come muli... Ecco qui. Patologia Legale. - digitò - Forza, bella: cammina!

- Chi era? - chiese Lara, spostando a disagio il peso da un piede all'altro. Non sapeva cosa fare delle mani, e d'istinto le portò entrambe a sfiorare gli orecchini.

- Lui? - rispose l'infermiera, indicando il cadavere - L'occupante della 302. Linea piatta un paio d'ore fa... Poveraccio: sentivo che non ce l'avrebbe fatta.

- Cosa aveva?

- Ustioni sul settanta per cento del corpo. Polmoni andati. Fratture multiple. Blocco renale. I dottori l'avevano intubato e gli avevano sparato in corpo decine di nanomed, ma...

- Un incidente? - l'interruppe Lara, deglutendo.

- Incendio. Scontro a fuoco, la notte scorsa. L'avrà sicuramente sentito... - la ragazza sorrise, imbarazzata - Sono proprio una stupida! Lei è una giornalista del Mattino, no? Saprà certo meglio di me quel che è successo a Sant'Anastasia...

Lara impallidì ancor di più, pentendosi di aver posto la domanda.

- Non aveva documenti addosso. - disse ancora la giovane infermiera - Non sappiamo neppure che nome digitare sul registro dell'obitorio... Solo e sconosciuto. È veramente terribile andarsene così, non trova? Sarà stato anche un camorrista, ma nessuno merita una morte tanto brutta.

- Conosce un modo bello per andarsene? - mormorò Lara, seria.

- Ne ho visti di migliori. - ribatté la ragazza.

Poi sorrise. - Ecco: finalmente funziona.

La lettiga vibrò, cigolò, e con qualche sforzo riprese la sua corsa ferale. L'improvviso spostarsi del baricentro fece scivolare via di qualche centimetro il lenzuolo, rivelando come in un macabro scherzo il lembo di un piede.

- Non deve concludere l'intervista? - suggerì l'infermiera, in tono ingenuamente malizioso - Il signor Moretti adesso è tutto per lei.

Lara non l'ascoltava. Continuava a fissare, sconvolta e affascinata, quel penoso frammento di essere umano comparso oltre il lenzuolo...

E all'improvviso spalancò gli occhi, le mancò il respiro, si sentì venir meno. Quando le orecchie cominciarono a ronzarle, dovette sorreggersi alla parete, e temette veramente di perdere i sensi.

Dal calcagno in su, la pelle del cadavere non esisteva più, e la carne aveva il colore delle caldarroste che lei da bambina vedeva rosolare al fuoco nelle bancarelle di piazza Dante. Ma, sotto la caviglia, la scarpa doveva in qualche modo aver protetto l'epidermide. Laggiù essa si presentava annerita, orribilmente gonfia, lacerata...

Ma il tatuaggio era ancora visibile. Piccole stelle superstiti di un cerchio europeo morso dal fuoco, quel simbolo così simile a un ideogramma cinese, e poi le linee scure ormai illeggibili del codice a barre, come pezzi del domino in fila sulla pelle di cenere.

- Si sente bene? - mormorò l'infermiera.

Lara, sotto lo sguardo attonito della ragazza, corse giù per le scale, a perdifiato, con la realtà che le crollava a pezzi intorno.

Da "In cerca di Masaniello"
di Lara Mastrantuono

Se "Lazzaro di Masaniello" fosse un titolo nobiliare, il primo uomo cui assegnerei il diritto di fregiarsene sarebbe senza dubbio Anselmo.

Il vecchio Anselmo... Non ho mai saputo il suo cognome. Forse neanche lui lo ricordava più. Dalla prima volta che lo incontrai, e poi per tutti i mesi che vissi con il folle, grottesco, a suo modo eroico esercito di Masaniello, lo udii chiamare solo "Anselmo", "vecchio", al massimo "compagno".

No, non mi rivelò mai il suo cognome. Ma mi narrò la storia della sua vita, senza pudori e senza reticenze. E io ascoltai, affascinata e attenta. Ascoltai, colma di quel desiderio osceno, come lo definiva Hemingway, di conoscere i segreti e i conflitti della gente per farne poi letteratura.

Anselmo, quando lo conobbi, aveva quasi il doppio degli anni del nuovo secolo. Era nato a Gragnano, un paesino sospeso tra l'ardesia dei monti Sorrentini e il cobalto acceso del golfo.

Non aveva avuto un'infanzia felice. Il padre, Giuseppe, non riusciva a ottenere un lavoro stabile: come si diceva (e si dice tuttora) da quelle parti, "si arrangiava", tentando di sbarcare il lunario con mille attività, poche delle quali pulite.

Mentre il piccolo Anselmo cresceva, lui si dedicava a entrare e uscire dal carcere, riservando i suoi sempre più caduchi periodi di libertà al precipuo compito di donare nuovi fratelli e sorelle al primogenito.

Nonostante i lati spiacevoli dell'esistenza, la famiglia s'ingrandiva e tirava avanti. I veri guai iniziarono quando Giuseppe partì per la Germania inseguendo, come lasciò scritto ai familiari, "la Grande Occasione".

Fu arrestato quasi subito, e questa volta gli vennero affibbiati dieci anni, da scontare senza possibilità di appello nel penitenziario di Dortmund.

Le redini della famiglia passarono nelle mani della madre. Era una donna ancora giovane e, malgrado le numerose gravidanze, piacente. Non impiegò molto a trovare qualcuno che le risparmiasse la solitudine. Il suo errore fu quello di non usare il dovuto riserbo: la notizia della tresca raggiunse in qualche modo i parenti del marito e venne accolta (secondo il costume tradizionale) come un insulto mortale.

Anselmo non conobbe mai i dettagli della tragedia. Qualche anno dopo seppe di un viaggio di alcuni zii paterni a Dortmund, di un acceso colloquio nel parlatorio del carcere, di una spietata "autorizzazione a riscuotere il credito d'onore", come si diceva a quei tempi e in quegli ambienti dove nulla veniva preso alla leggera.

Due settimane dopo, sua madre fu uccisa in modo particolarmente efferato. Suo padre ne seguì il destino qualche mese più tardi, accoltellato durante una rissa tra detenuti. Anselmo e i suoi numerosi fratelli passarono sotto l'ala protettrice dello zio Gennaro, un lontano parente, schedato dalla Polizia come potente membro della cosca Pascarella.

Anselmo aveva quattordici anni, e trascorse i successivi venti lavorando per l'impresa dello zio. Fu un periodo intenso, produttivo, durante il quale Anselmo ebbe l'opportunità di formarsi un curriculum professionale di tutto rispetto. Acquisì le conoscenze di un perfetto contabile (applicandole con successo al ramo usura), di un fiscalista (specializzandosi nelle attività di taglieggiamento a esercizi commerciali), e di esperto di vigilanza (operando proficuamente in mansioni di guardia del corpo).

Nella sua formazione non venne trascurata ovviamente l'attività sportiva (Anselmo lavorò quasi due anni nel giro del totonero), né gli venne negato lo sviluppo di una naturale propensione artistica (per un anno fu apprendista del più noto falsario di Ponticelli).

Ebbe anche l'occasione di viaggiare e di conoscere il mondo: visse quattro mesi in Kosovo con l'incarico di organizzare il traffico di armi, due mesi in Turchia a curare le public relations con i traghettatori clandestini, sei settimane a Bucarest nelle vesti di uomo di fiducia di sedicenti finanzieri occidentali interessati agli investimenti nei paesi dell'ex blocco comunista.

Al termine dei vent'anni decise di mettersi in proprio, pur restando nell'orbita della cosca che lo aveva tirato su con tanto affetto.

Si sposò, ebbe una figlia, si trasferì a Castellammare, pochi chilometri a sud di Napoli, ove si dedicò a curare le attività in espansione dei benevolenti Pascarella...

Ad ascoltarlo, sembra che Anselmo narri la sua vita come in un blues: a volte egli scivola su altri accordi, variazioni di melodia, di ritmo, di malinconia, ma prima o poi torna, sulle corde della memoria, all'accordo iniziale, quello che racconta la storia.

E il suo accordo ha il suono della tragedia.

Tra il novembre 2015 e il febbraio 2016 una catena di scontri a fuoco si abbatté sull'area vesuviana. Castellammare fu il campo di battaglia più violento.

Muovendosi con grande diplomazia, i capi di Anselmo stipularono con le cosche "storiche" del napoletano un accordo di difesa comune contro i nuovi arrivati. Ma neppure questa "grande alleanza" riuscì a cambiare il corso della guerra. Una guerra, come Anselmo capì presto, in cui anche gli avversari avevano trovato potenti confederati...

Grandi retate di Polizia decimarono i ranghi dei Pascarella e delle cosche amiche, blocchi stradali e perquisizioni sconvolsero i piani di difesa, soffiate e delazioni favorirono in ogni modo l'ascesa dei nuovi signori della camorra.

Il 3 febbraio 2016 Anselmo venne arrestato con due compagni senza alcuna accusa specifica, e interrogato brutalmente per tutta la notte in una caserma di Torre del Greco.

All'alba, quando venne rilasciato, scoprì che il rifugio segreto che lui e i suoi compagni avevano avuto l'incarico di proteggere era stato distrutto dall'esplosione di un ordigno bellico ad alto potenziale.

Non era stato lui a rivelare la posizione del covo, ma in quell'istante desiderò di averlo fatto. I suoi compagni, in quel caso, l'avrebbero ucciso. E lui, in quel momento, desiderava solo la morte...

Nel rifugio ridotto a un cratere fumante, la sera prima, egli aveva condotto la moglie e la figlia.

 

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