"2038: la rivolta", di Francesco GrassoLiber Liber
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Prefazione | Epilogo

3

Lara non tentò di opporsi all'impeto della calca. Vi si abbandonò come a un fiume in piena, lasciandosi trasportare passivamente ove essa la conduceva.

I colleghi dei giornali e gli operatori di MediaNet non ebbero lo stesso buonsenso, e dovettero pentirsene: Lara li vide tentare inutilmente di sottrarsi alla pressione della folla, brandire microfoni e telecamere come armi di difesa, per scomparire inevitabilmente, uno dopo l'altro, in un vortice di membra, teste e corpi viscidi di sudore.

Ben presto la fiumana, sfuggita ormai a ogni possibile tentativo di arginamento da parte delle Forze dell'Ordine, si disperse tra i vicoli di Bagnoli. In qualche modo, Lara riuscì a restare nel flusso principale: sentendosi quasi una surfista in equilibrio sulla cresta dell'onda, la giovane compì una manovra di avvicinamento al gruppo di testa, dov'era sicura di trovare ciò che stava cercando. Le sirene erano sempre più lontane, sempre più flebili. I lampioni superstiti lanciavano lame di luce livida sul selciato grinzoso.

La folla dei fuggitivi le si diradò intorno. La pressione si allentò bruscamente. Sul tetto di Fiat elettriche stracariche, su vespini male in arnese, su furgoni Ape e mezzi di fortuna, chi poteva abbandonava in fretta il teatro dello scontro. Per chi restava a piedi, depositato sulla riva come traccia carsica del grande fiume popolare, non restava che correre.

All'improvviso lo vide. Stava salendo, con due compagni, su una decrepita Punto dal tettuccio sfondato. Un'occasione talmente propizia da lasciarla incredula. Che la fortuna, finalmente, volesse saldare il suo debito? Senza pensarci, Lara aprì la portiera opposta e si infilò a bordo. L'auto partì.

- E chista guagliona? - esclamò il guidatore, sbalordito dall'irruzione.

- Sei sola, compagna? - le chiese un secondo, un uomo anziano dal viso cotto dal sole e dalle labbra spaccate - Hai perso i tuoi?

Lara annuì distrattamente. Le ragioni della protesta, in altre circostanze, l'avrebbero interessata. Ma la sua attenzione, in quel momento, era catturata dal terzo occupante dell'automobile, e dalla maschera nera che gli avvolgeva il volto come un sudario.

- Hai fatto bene a salire - approvò l'anziano - Ovunque siano i tuoi, non puoi aspettarli qui. Ti porteremo al sicuro.

Lei annuì ancora, senza riuscire a staccare gli occhi dall'uomo incappucciato. Era alto, di corporatura robusta, le spalle ampie ma insolitamente curve, le braccia nodose, le mani congestionate, rattrappite, quasi violacee. La destra, escoriata e priva di un mignolo, era sozza di sangue raggrumato, lacerata, ridotta quasi a un artiglio di carne viva.

Lara si chiese come avesse fatto a ferirsi così... Non sembrava che gli dolessero: l'uomo, semplicemente, fissava le sue piaghe in silenzio, con l'aria d'aspettare qualcosa.

La Fiat si mise in moto scoppiettando. Poi partì decisa. Giostrando sapientemente tra i vicoli, abbandonò Bagnoli e si diresse verso l'interno. Lara si sforzò di ignorare il nervosismo, concentrando l'attenzione fuori dal finestrino, annotando mentalmente ogni dettaglio.

Non aveva mai fatto uso di registratori né di memobox. Attilio e i colleghi l'avevano spesso derisa per quest'abitudine.

"Devi adottare lo standard del giornale!" la redarguiva spesso il capo-redattore.

"Potete tenervi i vostri chindogu!" ribatteva lei, decisa "Mi servono quanto un mal di denti!"

Questa volta, però, la sua memoria non fu sufficiente: tra Quarto, Soccavo e Pianura perse l'orientamento. I sobborghi orientali erano cresciuti sul corpo della città come metastasi maligne, in un monumento di acciaio e cemento all'invivibilità, in un caos e un'assenza di servizi che per Lara era forse anarchica, ma più probabilmente voluta dai padroni della città: il risultato era un orrore architettonico in cui l'occhio rifiutava di trovare punti di riferimento. Le sembrò che si stessero dirigendo verso i megahabitat proletari di Secondigliano, ma non poteva esserne sicura.

All'improvviso l'uomo incappucciato toccò un braccio al guidatore. - Lasciami qui, Salvatore.

L'altro accostò, lasciando il motore acceso. Lo scoppiettio e le vibrazioni destarono strane associazioni mentali in Lara. Oziosamente, si chiese dove quegli uomini trovassero ancora la benzina per quell'obsoleto, chiassoso, forse addirittura illegale motore a combustione interna.

L'uomo mascherato scese senza il minimo rumore. I suoi movimenti erano singolari, sinuosi eppure vagamente innaturali, come se le braccia e le gambe fossero disarticolate dal resto del corpo.

- Ci vedremo di nuovo, compagno? - gli chiese l'anziano.

- Forse... - l'uomo frugò nelle tasche, estrasse una Beretta, un modello che Lara riconobbe come equipaggiamento delle Forze Armate Europee. - Tienila tu, Anselmo.

Il viso dell'altro si illuminò. - Una mproc? Grazie, compagno. A buon rendere. - Studiò soddisfatto l'arma, poi abbassò la cerniera di una delle tasche del giubbotto di poliestere e mise al sicuro il suo nuovo tesoro. L'incappucciato scrollò le spalle e si allontanò, muovendosi a grandi balzi contro il fondale laccato della notte.

Lara aprì in fretta la portiera. - Scendo anch'io.

L'anziano le gridò qualcosa dietro, ma la donna non vi badò. Si lanciò all'inseguimento tra le ombre.

Dov'era finito? Lara imprecò: l'uomo era già lontano. Il marciapiede sbrecciato non le consentiva di reggere la sua velocità. Testarda, la donna si tolse i tacchi e prese a correre a piedi nudi. Inutilmente: dopo un paio di isolati capì che lo avrebbe perduto.

La sagoma dell'incappucciato, già indistinta in quell'oscurità oleosa, presto non le fu più visibile. Continuò a correre nell'ultima direzione in cui lo aveva scorto, ma presto dovette fermarsi, delusa e ansimante.

Si guardò intorno. Il paesaggio pietrificato dei palazzi incombeva su di lei; enormi sagome oscure si incurvavano, chiudendosi quasi a galleria sulla strada. L'aria era pesante e umida. Piccole presenze, forse ratti, forse randagi affamati, zampettavano timidamente oltre il limite della sua visuale. Percepiva, più che sentire, il loro odore, la loro fame, la loro frenesia di vivere. Lontano, il pianto acuto di un antifurto graffiava la lavagna nera del silenzio.

- Cerchi me?

Lara sobbalzò. L'incappucciato le era alle spalle, appollaiato su un cassonetto verde dei rifiuti come uno strano uccello notturno. Stava giocherellando con una corta spada di plastica, grottesco gadget di chissà quale cartoon americano, abbandonata tra i sacchetti d'immondizia e rosicchiata dai topi.

- Sì... cioè no. Io...

- Niente armi... - osservò lui, in tono pensoso. La voce era bassa, gutturale, roca come il suono di un vecchio ellepì graffiato - Non sei della SSI, né della Polizia... Giornalista, vero?

- Io... sì. - ammise Lara.

- Cosa vuoi da me?

C'era un tocco, nel suo tono, nella sua dizione strascicata, che dava i brividi. Mentre brandiva quella spada giocattolo, la sua figura, riflessa e raddoppiata nello specchio di una pozzanghera, era quella di un jack di picche di una scala reale da incubo.

La donna si morse le labbra, nervosa. - Io... ti seguo da tempo. Vorrei che tu...

Rumore di passi. Lo scatto di qualcosa di metallico. L'uomo fiutò l'aria, scartò come un cavallo ombroso.

- Non qui. - ingiunse in tono perentorio - Vieni con me.

Balzò giù dal cassonetto, si inoltrò nel vicolo, varcò un vecchio portone dai battenti di bronzo annerito dallo smog. Lara lo seguì, chiedendosi cosa mai stesse facendo: era consapevole di essere una donna impulsiva, ma quella notte stava battendo tutti i suoi record.

Oltre il portone vi era un piccolo cortile interno, infestato di erbacce e imbrattato di rifiuti, su cui si affacciavano pudicamente le finestre di alcuni "bassi". L'uomo ne sfiorò una, aprì l'imposta, la varcò. Lara fece altrettanto.

Si ritrovarono in un ambiente angusto, odoroso di sudore umano e greve di umidità. Le finestre erano vigilate da tendaggi scuri e tristi; il pavimento, coperto da brutte piastrelle ornate da motivi geometrici, era sozzo e rigato da lunghi graffi scuri, come se qualcosa di pesante vi fosse stato trascinato sopra senza cura; le pareti avevano l'intonaco sbrecciato, ed esibivano piccole macchie di muffa intorno agli angoli, regolari e disposte in fila come puntini sospensivi. Su un mobile basso, in legno di noce e dagli sportelli laccati, Lara scorse oggetti di una quotidianità povera e dozzinale: una caffettiera rugginosa, un lume di stoffa consunta, una bottiglia di Peroni vuota, un mazzo di carte logore.

- È la tua casa? - chiese, inquieta.

- No. Chi ci viveva è morto. - l'incappucciato scrollò le spalle. - Storia lunga, orribile. Non vorresti sentirla.

Lara rabbrividì, non per le parole dello sconosciuto, ma perché una ragnatela le aveva sfiorato il viso. Oltre la parete, il gocciolio nevrotico di un rubinetto guasto era l'unico suono che rompesse il silenzio.

- Tu sei il Giustiziere, vero? - azzardò - Sei l'uomo mascherato in guerra contro la camorra, non è così?

L'uomo incrociò le braccia e sbuffò, senza altri commenti.

- Si dice che tu abbia ucciso più di trenta spacciatori... - insistette Lara.

Lui rimase in silenzio per qualche istante, come se stesse meditando.

- Era questo che volevi sapere? - chiese infine, in tono deluso.

- Certo! - confermò la donna, vagamente sconcertata - Ti sembra così strano?

L'uomo scrollò le spalle.

- Ti sembra stupido?

Lui ripeté il gesto. Le sue scapole si muovevano in modo singolare, sinuoso eppure scoordinato. Una bizzarria che dava i brividi.

- Non è strano, non è stupido... - ripeté Lara, innervosita da quell'inquietante mancanza di reazioni - Ho capito. Ti sembra ingiusto.

L'altro rimase immobile. La maschera nera gli donava una posa ieratica.

- So cosa vuoi dirmi... - insistette la donna, alzando la voce - In questa città, ogni notte, decine di persone vengono liquidate in regolamenti di conti o stesi da sicari... C'è chi si becca una palla in faccia perché osa resistere a una rapina... Altri, solo per essere finiti nel posto sbagliato al momento sbagliato... Ogni mattina, intorno alla stazione, i bulldozer della enneù innalzano cumuli di tossici in overdose, e solo dio sa dove vanno a finire i corpi... Bambini dei Quartieri Spagnoli e della Sanità scompaiono dalle case dei genitori e di loro non si sa più nulla... Dei drammi quotidiani noi giornalisti parliamo poco, addirittura ce ne infischiamo. Ma l'uomo mascherato no, l'uomo mascherato fa sempre notizia. - lo fissò con aria di sfida - Vuoi rimproverarmi questo, vero?

- E se così fosse? - replicò lui, senza grande interesse.

- Direi che hai ragione. - esclamò Lara - Hai ragione su tutta la linea. Del resto io me ne infischio veramente. Quello che voglio, ora e qui, è sapere se tu sei il Giustiziere.

Ancora un istante di silenzio. Poi, all'improvviso, lui rise. Un suono aspro, irregolare, eppure, nonostante tutto, liberatorio.

- Mi piace la tua grinta. - l'uomo si lasciò cadere su una poltrona male in arnese, sollevando uno sbuffo di polvere grigiastra.

- In vita mia non ho mai parlato con un giornalista... - ammise - Mi sono sempre chiesto di che pasta foste fatti... Allora? Vuoi intervistarmi? E cosa vorresti chiedermi?

Lara tagliò corto. - Perché porti la maschera?

Lui smise subito di ridere. - Storia lunga, orribile. Non vorresti sentirla.

Lara scosse la testa, indispettita. I suoi orecchini suonarono sordi contro gli zigomi spigolosi.

- Perché non lasci che sia io a decidere?

- Ne resteresti delusa.

- Non importa. - insistette Lara.

- D'accordo - disse lui - Vediamo se sei veramente così dura.

Si sporse dalla poltrona, accese il lume. Lara batté le palpebre alla luce improvvisa. Poi sobbalzò, accorgendosi che la mano destra dello sconosciuto era intatta, sporca ma non più ferita, e che il mignolo adesso era al suo posto, accanto alle altre dita, come un figliol prodigo tornato alla casa natia.

- Ma... come...? - balbettò, incredula.

- È presto per stupirsi. - la canzonò lui - Manca il meglio.

Si portò le mani al viso, sciolse i nodi che reggevano la stoffa, si tolse la maschera. Lara si morse le labbra per non urlare.

Da "In cerca di Masaniello"
Saggio ipertestuale di Lara Mastrantuono.

- Perché porti la maschera? - gli chiesi.

Lui smise subito di sorridere. - Vuoi davvero saperlo?

- Oh, sì. - l'assicurai.

Non sapevo perché avesse deciso di fidarsi di me, una giornalista sconosciuta e ficcanaso, piombata senza preavviso nel suo rifugio a tempestarlo di domande. Forse intuiva che io ero dalla sua parte, e che non avrei fatto nulla per mettere in pericolo lui e la sua crociata. Forse, inconsciamente, percepiva che, con la mia penna, io avrei potuto essergli utile.

Da parte mia, seguivo le sue orme da troppo tempo, e non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di parlargli. Certo, essere sola con lui, in piena notte, in un luogo sconosciuto, all'insaputa di chiunque, mi atterriva.

Avrebbe potuto gettarmi sul letto, strapparmi i vestiti di dosso e violentarmi; avrebbe potuto uccidermi, far scomparire il mio corpo e mantenere così inviolati i suoi segreti. Ma, dentro di me, sapevo che non lo avrebbe fatto.

- La mia maschera è un simbolo, non un nascondiglio. - spiegò - Mi bendo il viso quando sono in caccia, per firmare le mie azioni, mi svelo quando voglio svanire tra la folla. Metto la maschera per rivelarmi e la tolgo per nascondermi...

Annuii, reprimendo un brivido. Rammentai gli zapatisti del Chapas, i servizi letti sul loro sterminio a opera dei Corpi Speciali dell'esercito messicano spalleggiati dagli US-Seals. Erano passati dieci anni, ma il loro mito, il ricordo di come avevano retto il loro stato fantasma a dispetto del governo federale, resisteva ancora... Noi non moriremo mai, il messaggio d'addio del comandante Marcelo, era rimbalzato su Internet per mesi... E oggi l'uomo che mi stava di fronte, questo gigante misterioso, quest'eroe oscuro dei bassifondi napoletani, citava i ribelli delle sierre messicane come in una vendetta postuma. Ne rimasi turbata.

- Il mio viso non ha importanza. - proseguì - È il viso della gente, del popolo, di ogni abitante di questa città. Io sono uno di loro; le mie mani sono le loro mani; la mia lotta è la loro lotta. Voglio che si riconoscano in me, che ciascun napoletano mi assegni la propria faccia. Potrei essere il tifoso nelle cupole del San Paolo, il venditore di taralli all'angolo di Chiaia, il garzone del bar di Bagnoli, il disoccupato che mendica sulla Monorotaia delle isole, lo scugnizzo di Forcella... E se un giorno qualcuno dei miei nemici, dei nostri nemici, fosse più veloce, un altro potrebbe indossare la maschera e prendere il mio posto. Io sono l'anima della città: non posso morire.

- Chi sei tu, dunque? - chiesi - Come dobbiamo chiamarti?

- Me lo chiedi? Io sono Masaniello.

 

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