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'a camorra, l'eroina, 'o guverno, 'a polizia
a Napule fanno na consultaria
che ce tiene tutte quante 'mmano c''a forza 'e l'arroganza
pecciò arape l'uocchie invece 'e sta ca mmane 'ncopp'a panza
99 Posse
Lara aveva sempre visto l'ingresso de Il Mattino come un lascito
immeritato di tempi ormai lontani. Quell'atrio spazioso, elegante, così
pretenzioso nelle sue pareti a specchio e nei suoi marmi color salmone, poteva
essere stato adeguato quando il Mattino era un'istituzione cittadina e dava lavoro
a un centinaio di giornalisti. Adesso, con la redazione ridotta a un pugno di
persone e la reputazione del giornale sotto assedio da parte delle reti informative
semi-professionali, quella hall era platealmente sovradimensionata, e si ammantava
di un'ironia architettonica che non mancava mai di farla sorridere, quando lei
ne varcava la soglia.
E poi, gli ascensori. Erano quattro, disposti a coppie, l'una
di fronte all'altra, come in un grande albergo.
Le prime volte che li aveva veduti, Lara aveva pensato di trovarvi
anche un Lift in livrea rossa con gli alamari e i bottoni d'oro, come all'hotel
Europa sul lungomare Caracciolo, e si era chiesto se avrebbe dovuto lasciare una
mancia per essere accompagnata in ufficio, ogni mattina.
Sembravano trascorsi secoli... Da tempo due degli ascensori,
definitivamente spenti, giacevano aperti a pianterreno, come gabbie di acciaio
che avessero lasciato fuggire i loro ostaggi. Dei due rimanenti, uno era quasi
sempre guasto, visto che la direzione del Mattino aveva deciso di tagliare le
spese di manutenzione dello stabile. L'ultimo era in funzione, e la sua lucetta
rossa ammiccava frenetica quando Lara, ancora scossa da quanto aveva scoperto
al Cardarelli, entrò nell'atrio del giornale.
La donna si fermò davanti alle porte metalliche cercando
di calmarsi. Inspirò ed espirò profondamente. A livello razionale,
non capiva perché fosse così inquieta. Potevano esserci mille spiegazioni
plausibili per ciò che aveva veduto, e non faceva che ripeterselo.
Pure, il senso di panico l'assediava. Che intrigo si nascondeva
dietro quel cadavere senza nome? Lara scosse la testa. Le sue erano solo sensazioni,
ma presagivano il disastro.
I numeri del piano lampeggiavano vivaci sul display incassato
nella parete tinta d'intonaco color seppia. Quattro, tre, due... lucciole di fiamma
imprigionate in trappole di vetro danzavano al ritmo di sinfonie algebriche.
Le porte dell'ascensore si aprirono. Lara, assorta, arretrò
istintivamente per farne uscire gli occupanti. Fondi di bottiglia e sbuffi di
fumo, cenere e nicotina... La donna alzò gli occhi.
- Che succede, capo? - chiese, allarmata.
- Tutto bene, Lara. - la tranquillizzò Attilio, sorridendo
all'indirizzo dei due agenti in divisa della Sezione Speciale che lo scortavano.
- Che succede? - ripeté lei.
- Sono stato invitato a presentarmi alla centrale di Capodimonte...
- La sede della Sezione Speciale?
- Una semplice formalità, ne sono sicuro.
Lei deglutì. - Ma... perché?
L'uomo scrollò le spalle. - Non so, Lara, sembra che la
nostra prima pagina di oggi li abbia interessati...
- Oh!
Attilio sorrise ancora, ma solo con le labbra. - Se stai salendo
in redazione, troverai il dottor... - chiese conferma ai due agenti, che lo guardarono
inespressivi - Sarrese, vero?
Nessuna risposta. Attilio sembrava calmo, ma Lara colse il tremito
sulle sue labbra.
- È un investigatore della Sezione, e sta raccogliendo i dati
personali di tutti i cronisti. Mi raccomando di offrigli la massima collaborazione.
È importante che... ops!
La cartelletta, sfuggitagli di mano, era caduta sul pavimento
incerato, spargendo fogli plastificati e documenti, come petali morti, intorno
alle scarpe dal tacco basso di Lara. La donna, d'istinto, si chinò per
aiutarlo a raccoglierli. Attilio fece lo stesso.
Quando la sua bocca fu accanto all'orecchio di lei, egli sussurrò
velocemente qualche parola.
- Scappa, Lara!
Lei tentò di aprire bocca, ma lui non le lasciò
il tempo.
- Vattene in fretta. Non tornare. Scopri cosa c'è dietro
questa fogna.
Si rialzò, le mani piene di carte e il viso scuro dietro
il falso sorriso. I due uomini in divisa gli si affiancarono.
- Dobbiamo andare. - bofonchiarono all'unisono.
- Naturalmente. - concesse lui, docile.
- Capo, io...
- A presto, Lara. - tagliò corto Attilio.
La donna rimase immobile, costernata, mentre il trio si incamminava
verso l'uscita, gli agenti ai lati, Attilio al centro, leggermente in difficoltà
nel sostenere il passo marziale degli altri due.
Fu solo quando vide la pistola far capolino dalla fondina ascellare
di uno degli uomini in divisa che la giovane cedette al panico.
Le pareti a specchio sembrarono vorticarle intorno, mentre il
cuore le tuonava in petto. Se la scoperta dell'ospedale era stata un presagio
di tragedia, questo era un incubo. Le vennero in mente racconti sussurrati a mezza
voce da informatori con le mani tremanti e le pupille dilatate; ripensò
a voci popolari, a leggende metropolitane cui lei non aveva mai dato credito...
No, si disse, non poteva essere. Tutto questo non poteva accadere
davvero. Non a lei.
Fuggire. Andare lontano. Nascondersi. Tutto il suo essere gridava
un unico imperativo. Ma Lara non poteva obbedirgli. Doveva aspettare, immobile,
che il terzetto di uomini compisse quell'interminabile percorso di pochi metri
che lo separava dal portone, e finalmente svanisse, concedendole la fuga.
Combattendo le ondate di svenimento, la donna si costrinse a
restare imperturbabile, a fissare immobile il trio che si allontanava...
I secondi gocciolavano crudeli. Batté le palpebre. Uno,
due passi, un altro ancora. Frammenti di un tempo orrendamente dilatato, fotogrammi
di vecchi filmati di repertorio, immagini di astronauti vaganti sul suolo lunare...
Il primo agente giunse sulla soglia. Il suo corpo massiccio fece
scattare la fotocellula. Il portone si aprì. Attilio uscì nel sole.
Lara si concesse un respiro. Forse...
- Non stava salendo?
La donna sobbalzò. Il secondo agente la fissava con aria
sospettosa, e Lara capì che stava seriamente prendendo in considerazione
l'idea di tornare sui suoi passi.
- Io...
- Qualcosa non va? - chiese ancora l'uomo, inesorabile. Attilio,
alle sue spalle, le lanciò un'implorazione muta dietro il sorriso da clown
sfinito.
- Nulla, agente. - si costrinse a rispondere.
Poi entrò nell'ascensore e premette il pulsante dell'ultimo
piano. Le porte si chiusero con lentezza esasperante, e Lara sentì per
tutto il tempo lo sguardo inquisitore dell'uomo in divisa che le frugava dentro.
Finalmente la scatola di metallo si mosse, portandola lontano
e, pregò silenziosamente Lara, al sicuro. E lei si avvolse addosso quell'acciaio
come una corazza contro gli artigli del panico, finché la belva non parve
quietarsi, smettere di ringhiare, e rinunciare esausta a ghermirla.
La donna respirò a fondo, riordinando i pensieri.
Calmati! si impose. Non devi far altro che tornar giù
e uscire in strada. Nessuno ti sta aspettando.
Il ping! dell'ascensore l'informò che era giunta
a fine corsa. Lara premette velocemente il pulsante del pianterreno e portò
le dita, perché smettessero di tremarle, agli orecchini. Ma, all'ultimo
istante, qualcuno impedì che la porta si chiudesse.
- Va giù? - interloquì una voce decisa, scandendo
le sillabe, in tono da constatazione più che da domanda.
- Io...
- Scendiamo con lei, se non le dispiace.
Lara arretrò verso la parete dell'ascensore, mentre i
nuovi arrivati invadevano a passi risoluti quel piccolo ambiente.
La prima a entrare fu una donna. Robusta. Alta: una vera gigantessa.
Zigomi pronunciati e mento volitivo... Cenere e nicotina. Con un sussulto, Lara
capì che si trattava ancora di un'agente della Sezione Speciale. La fronte
le si imperlò di sudore.
Ma il colpo peggiore fu l'apparizione del secondo arrivato. Capelli
biondi a spazzola, pelle rosea e perfetta, occhiali a specchio: l'uomo dell'ospedale.
Quando lui la fissò, Lara sentì il sangue arrestarsi nelle vene.
- Signore? - mormorò la gigantessa, in tono servile.
- Sì? - replicò l'uomo dagli occhiali a specchio.
- Vuole che le chiami l'elicottero?
- No.
- Desidera la sua macchina, allora? Posso ordinare che...
- Va bene, Cerruti. - approvò lui, condiscendente, ma
con una traccia d'irritazione appena avvertibile nella sua voce.
La gigantessa avvicinò il sat-com alle labbra e prese
a parlottare nel microfono. Lara si addossò alla parete, in preda al panico.
La paura era un insetto dalle lunghe zampe che le risaliva delicatamente la spina
dorsale.
I numeri del piano diminuivano sul display a un ritmo orribilmente
lento, quasi ipnotico, e lei si ritrovò a pregare che scattassero più
in fretta, a fissare il quadrante luminoso mormorando un mantra, quasi che l'intensità
del suo desiderio potesse accelerare il tempo e donarle la salvezza.
Tre. Resisti Lara. Due. Ancora solo un paio di piani,
ce la puoi fare. Uno. Ormai ci siamo. Non può più succedere
niente. Non può più succedere nie...
- Non ci siamo già visti? - disse l'uomo, gelido.
Il mondo dell'ascensore sembrava avvolto in una nebbia acida,
e la paura entrava a ondate nelle narici della giovane, inumidendole finanche
la pelle delle braccia.
- Non... non credo. - balbettò lei.
- È sicura? - infierì lui.
- Sì. - ribatté debolmente Lara.
L'uomo scosse la testa, non muovendo neppure un muscolo facciale
più del dovuto: Lara pensò che aveva l'emotività di un manichino.
- Io non dimentico mai un viso... - insistette - Lavora al giornale?
- No. - replicò la giovane, in un registro meno fermo
di quanto avrebbe voluto.
- Davvero? E cosa fa qui?
- Sono un'agente pubblicitaria. - azzardò Lara - Il mio
ufficio è all'ottavo piano.
- Un'agenzia pubblicitaria? Qui? - l'uomo corrugò le sopracciglia
bionde e sottili, spezzando la simmetria esemplare della fronte spaziosa, dalla
pelle rosea priva di qualsiasi imperfezione. - Alla sede del Mattino?
- Il giornale non è proprietario dello stabile. - annaspò
la giovane, prossima alla disperazione.
- No?
- Ci sono almeno altre sei imprese che affittano i locali. -
spiegò Lara.
- Capisco... - considerò lui, con un sorriso gentile e
spietato - Capisco tutto.
Le porte, finalmente, si aprirono. Timido sollievo, solo una
speranza, ancora troppo gracile per competere con l'angoscia.
Lara guardò attraverso lo spiraglio che si allargava poco
a poco nel metallo, ma riuscì a vedere solo il portone aperto, luminoso
come un faro nella nebbia del panico, e il lago di asfalto della piazza, dove
avrebbe voluto tuffarsi, e nuotare sotto la superficie come faceva da bambina,
nel mare scuro di Miliscola, fino a sparire agli sguardi del mondo.
Fece per uscire, ma si rese conto che le era impedito: l'uomo
bloccava il passaggio.
- Permette? - chiese con voce incrinata.
- Naturalmente. - concesse lui, scostandosi. - Dopo di lei.
- Grazie. - mormorò la giovane. - Buona giornata.
Ce l'hai fatta, Lara, esultò dentro di sé.
Non ti ha riconosciuto. Sei salva.
- Un'ultima domanda, mia cara. Prima che vada...
La giovane raggelò. - Sì?
- Mi tolga una curiosità...
- Ho fretta. - tentò lei, debolmente.
- Mi dica... - infierì lui, ignorando la protesta. Si
concesse una pausa d'attesa, mentre l'angoscia lievitava. Poi colpì.
- Mi dica... Come riesce un'agente pubblicitaria a intrufolarsi
in una corsia d'ospedale interdetta ai non autorizzati? Chi le procura un NOS?
Cosa la porta a interrogare e a provocare un militare ferito e sotto choc, a rischio
di turbare un equilibrio già scosso?
Lara indietreggiò piano, terrea in viso. - Io...
- Cerruti. - disse piano l'uomo, senza alcuna intonazione - La
prenda.
- Subito, signore.
La gigantessa scattò. Era forte, e veloce. Le fu addosso
prima che Lara potesse muovere un solo muscolo. Puntò la mano destra, congiunse
due dita, e la colpì al plesso solare, procurandole un istante di dolore
assoluto. Poi, mentre Lara boccheggiava, le passò alle spalle, l'afferrò
ai polsi, fece leva, la costrinse a piegare all'indietro le braccia e a inginocchiarsi.
Lara accennò una reazione, ma la gigantessa la dissuase
subito, colpendola con una ginocchiata feroce al fianco destro.
Un muro di oscurità si alzò davanti agli occhi
di Lara. Mugolò di sofferenza e serrò le palpebre, sopraffatta.
Quando riuscì di nuovo a connettere, scoprì di avere le braccia
fuse insieme all'altezza delle scapole.
La pelle pizzicava ancora al contatto del dermocollante, ma la
giovane sapeva che presto sarebbe diventata del tutto insensibile.
- Trattamento completo, signore? - chiese la gigantessa, in tono
neutro. Non aveva neppure il fiatone.
L'uomo approvò gravemente. - La porterai tu fino alla
macchina, Cerruti, se non ti dispiace.
- Certamente, signore.
- C'è stata anche troppa approssimazione, in questa storia...
- mormorò l'uomo, controllandosi le unghie.
La gigantessa annuì. Aveva occhi bovini, mani come tenaglie,
zigomi come bastioni di roccia. Afferrò Lara, ancora in ginocchio, per
le spalle, e la spinse a terra. Con decisione, ma freddamente, senza cattiveria.
La giovane, sbilanciata e dolorante, rovinò su un fianco.
L'altra le sedette sul bacino, inchiodandola al suolo. Poi le lacerò la
stoffa della gonna, mettendole a nudo le gambe, e impugnò di nuovo la bomboletta
del KC21. Lara tentò di dibattersi, ma presto sentì il dermocollante
scivolarle sulla pelle. La gigantessa le afferrò le ginocchia e strinse,
finché l'interno delle cosce non si saldò. Poi la rimise in piedi.
- Questo è sequestro di persona! - strillò sgomenta
Lara, incapace di muoversi. Tentò una reazione, almeno verbale. - Non...
potete farlo! Voglio... voglio un avvocato! Vi denuncio!
L'uomo non la degnò di uno sguardo. - Andiamo, Cerruti.
La macchina è arrivata.
La gigantessa le passò un braccio intorno alla vita, la
sollevò come una bambola di stoffa, la portò di peso in strada.
Una Mercedes Cobre attendeva di traverso sul marciapiede, l'impianto
di dissuasione elettrica a tenere lontani gli scugnizzi questuanti, i getti d'aria
dell'hoverdrive a sollevare mulinelli di polvere e foglie morte dai colori chimici.
L'autista azionò l'apertura delle portiere, e Lara fu
gettata senza troppi riguardi sul sedile posteriore. L'altra le sedette accanto,
piazzandosi in modo che Lara non potesse in alcun modo tirarsi su. L'uomo dagli
occhiali a specchio diede un'ultima occhiata intorno, poi sedette dall'altro lato.
- A Capodimonte. - ordinò all'autista.
L'automobile si sollevò sul cuscino d'aria, delicata e
silenziosa come una brezza vespertina. Poi partì.
La natura della clemenza è di non essere forzata
Masaniello, Pensieri all'ombra del vulcano
Lara non avvertiva alcuna sensazione di movimento, ma intuiva
che la Mercedes stava sfrecciando sulla corsia riservata di qualche arteria cittadina.
Forse via Toledo, forse corso Umberto. Non avrebbe saputo dirlo.
Non che dalla sua posizione potesse discernere molto... La giovane
era riversa in modo scomposto sul sedile, il suo viso costretto al contatto della
stoffa sintetica della tappezzeria odorosa di detergente batterico e d'arbre
magique; all'altezza dei suoi occhi, l'unico panorama erano i calzoni color
antracite di Sarrese, la lunga linea diritta della stiratura che terminava in
un paio di risvolti leggermente sfibrati, e in due scarpe lucide dalla punta rotonda.
Più in alto, Lara riusciva a vedere la mano dell'uomo,
le sue dita nervose che tamburellavano sulla stoffa della giacca, e la pelle del
polso, rosea e traslucida, oltre la quale s'indovinava il quadrante del bio-timer.
Sull'altro lato, torcendo il collo, la donna poteva scorgere
un frammento dell'abitacolo dell'automobile, la consolle dell'autista, il display
del sistema di navigazione satellitare. Una lucetta rossa indicava la posizione
del veicolo sulla mappa, ma lei non riusciva a trovare un riferimento in quelle
linee cangianti.
Tentò di issarsi al livello del finestrino per dare un'occhiata
fuori, ma una zampata della gigantessa la costrinse nuovamente carponi sul sedile.
Il fatto di non poter difendersi in alcun modo, e la costrizione di avere le braccia
e le gambe grottescamente incollate assieme, le fecero saltare i nervi.
- Adesso basta! - strillò, furiosa - Io sono una libera
cittadina! Se questo è un arresto, voglio saperne le ragioni!
- Come dice? - si informò Sarrese.
- Ho diritto di conoscere la causa dell'arresto!
- Mi duole informarle che si sbaglia. - replicò in tono
distratto Sarrese, appena una punta di compiacimento nella voce mellifluamente
burocratica. - Secondo il decreto duecentododici bis del quattro-trenta sul terrorismo
politico, la Sezione Speciale ha diritto di fermare per accertamenti qualunque
persona sospetta, e di interrogarla a piacimento secondo le modalità prescritte
dal suo statuto.
- Terrorismo? - Lara si agitò, non ottenendo altro risultato
che rafforzare la stretta della gigantessa.
- Proprio così.
- Che c'entro io col vostro terrorismo? Avete sbagliato persona!
Lui scrollò le spalle. - C'è anche questa possibilità.
- Mi lasci andare, allora!
- No.
- Perché?
- Il leone che è stato punto non cerca la pulce colpevole
dell'offesa. - commentò lui, guardando oziosamente dal finestrino - Le
uccide tutte.
Lei impallidì. - Ma... che volete da me?
- Detesto perdere tempo. - mormorò Sarrese, volgendo lentamente
lo sguardo verso di lei, come se la vedesse per la prima volta. Vedendosi riflessa
negli occhiali di lui, Lara rabbrividì - Lo considero il peggiore delitto
di cui possa macchiarsi un uomo.
- Di... di cosa sta parlando?
- Io non perderò tempo a farle domande, mia cara, né
ad ascoltare le sue menzogne. In Centrale abbiamo strumenti magnifici per ottenere
tutte le risposte che ci servono. Li sperimenterà presto... - annuì,
come se proseguisse un discorso lasciato in sospeso - E, quando avremo ottenuto
le risposte, potremo agire. Tutto tornerà sotto controllo, come dev'essere.
Paura. Odio. E incredulità. Tutto questo non poteva succedere,
pensò ancora Lara. Non a lei.
- Voglio parlare col mio avvocato! - intimò - I lettori
de Il Mattino sapranno di questo trattamento!
- Non era un'agente pubblicitaria? - sorrise lui. E lei, per
la prima volta, si sentì realmente terrorizzata.
- E va bene. - confessò - Le ho mentito. Cos'è,
sono in arresto per questo?
- Vedo che ancora non ha capito... - Sarrese si leccò
le labbra - Mi spiegherò meglio... Cerruti?
- Signore?
- Codice nove, per favore.
La gigantessa annuì silenziosamente. Poi afferrò
Lara per le spalle e la costrinse a girarsi sulla schiena. Impose quindi una delle
tenaglie che aveva per mani sul collo della giovane, e con l'altra le bloccò
vigorosamente le gambe.
Sarrese si chinò su di lei con un sorriso da rettile.
Le carezzò lascivamente una guancia. Poi si spinse più in basso,
si accostò a lei, cominciò a sbottonarle la camicetta.
Lara, dapprima sorpresa, poi imbarazzata, infine agghiacciata,
sentì le dita di lui frugarle sotto il vestito, slacciarle il reggiseno,
indugiarle sui capezzoli. Non riusciva a crederci.
Avvampò. - Toglimi le mani di dosso, maiale! - gridò,
dibattendosi. - Io ti denuncio! Io...
- Denunciarmi? - ripeté lui, tranquillo - No, vede...
Lei non ricorderà assolutamente nulla, dopo il trattamento: i nostri specialisti
sono molto abili... Dovrò badare soltanto a non lasciarle troppi segni.
Fece scattare l'ultimo bottone e le mordicchiò la pelle
intorno all'ombelico. Lara si sforzò di reagire, ma non riusciva a muoversi.
Con le braccia dietro la schiena e le gambe bloccate dalla gigantessa, era completamente
inerme. Con la coda dell'occhio, vide che l'autista della Mercedes sistemava lo
specchietto, e capì che anche lui voleva godersi lo spettacolo.
- È più in carne di come sembra, mia cara... - ghignò
l'uomo - Ha un paio di cosce davvero invitanti, lo sa? Credo proprio che le assaggerò.
Lei non ha niente in contrario, vero?
- Bastardo. - sibilò lei.
- Cerruti?
La gigantessa la colpì brutalmente, un tocco feroce col
taglio della mano sulla gola, a toglierle il respiro. Doloroso, molto doloroso.
Gli occhi di Lara si riempirono di lacrime.
- Ha un modo davvero criticabile di usare la bocca, mia cara.
Ce ne sono di più appropriati. - ghignò ancora, sbottonandosi i
calzoni - Questo, ad esempio. Avanti, mi faccia vedere che ha capito.
Lara spalancò gli occhi, in preda allo shock. Ansimò,
i polmoni chiusi come sacchetti di caffè sottovuoto. La mano della gigantessa
si posò sulla sua nuca, la spinse crudelmente in avanti.
Un tonfo improvviso. La Mercedes risuonò come un gong,
sbandò sul cuscino d'aria.
- Che succede? - chiese Sarrese, riabbottonandosi con disappunto
i pantaloni.
Nello specchietto interno, il viso dell'autista apparve all'improvviso
pallido.
- Credo... credo che ci sia qualcuno sul tetto, signore.
- Che dici? È impossibile!
Il fragore del metallo lacerato coprì le sue parole. Sarrese
e la gigantessa alzarono di scatto lo sguardo. Il tettuccio dell'abitacolo si
stava squarciando come sotto i colpi di un martello pneumatico.
D'improvviso cedette. Una mano stretta a pugno apparve oltre
l'orlo frastagliato della fenditura. La pelle delle dita era a brandelli, e schegge
di metallo brillavano conficcate nella carne; le ossa fratturate sporgevano in
orribili gonfiori violacei; il pollice era piegato in posizione innaturale, e
l'unghia era saltata via; sangue scuro e denso colava dalle ferite sulla moquette
immacolata della Mercedes.
L'autista gridò. - Ma... cosa... Lasciami! Lasciami! -
Lara vide che la mano l'aveva avvinghiato per l'attaccatura dei capelli e lo tirava
a sé.
Frazioni di secondo: l'uomo perse il controllo della vettura;
la Mercedes sobbalzò, sbandò, colpì il guardrail, lo sfondò,
uscì dalla corsia riservata, invase contromano la carreggiata centrale,
si scontrò col flusso del traffico che giungeva in senso opposto. Clacson
disperati, sibilo di getti frenanti, imprecazioni. Sfrigolio di lamiere.
Lara rotolò su se stessa, batté violentemente contro
il sedile. Mentre la testa le ronzava, colse qualche immagine quasi in visione
stroboscopica, luci e ombre, come riproduzioni distorte di una vecchia VHS. Sarrese
che tentava di ripararsi il cranio dagli urti, la gigantessa che metteva mano
alla fondina, l'autista che gridava e si dibatteva con due dita conficcate negli
occhi. Non ebbe il tempo per capire cosa succedeva, solo per pregare di uscirne
viva.
Poi l'auto uscì di strada e impattò violentemente
contro l'impalcatura di un edificio in costruzione. Una trave sfondò il
cofano, un tubo d'acciaio s'infilò nel motore. Il parabrezza andò
in pezzi.
L'abitacolo si colmò di schiuma da collisione. Un attimo
prima dello schianto, Lara fece in tempo a scorgere l'autista, lasciato finalmente
andare dal suo assalitore, afflosciarsi inerte sul sedile. Poi la gelatina s'espanse
e l'avvolse, bloccandole la visuale, e ci fu spazio solo per il fragore dell'impatto.
Quando la vibrazione smise di risuonare nelle sue ossa, Lara
scoprì con stupore d'essere ancora viva.
Accanto a lei, Sarrese imprecava sommessamente, tentando di inforcare
di nuovo gli occhiali a specchio incrinati. La gigantessa si fregava gli occhi,
mentre un rivolo di sangue le colava dal setto nasale tumefatto.
Ma non era ancora finita. Con un terribile rumore di ferraglia,
la portiera accartocciata della Mercedes venne strappata via. La schiuma, ormai
gelificata in sferette della consistenza del polistirolo, tracimò oltre
l'apertura, liberando l'abitacolo.
E lui apparve. Era a piedi nudi su un tappeto di vetro in frantumi,
e vi lasciava impresse, senza curarsene, impronte di sangue. Il braccio destro
gli pendeva spappolato lungo il fianco. La maschera gli era stata parzialmente
strappata via, e un orecchio deforme faceva capolino oltre i brandelli della stoffa.
Nella mano sana stringeva qualcosa di rotondo, di biancastro
e pulsante, che gocciolava sangue. Riversa sul sedile, Lara lo guardò confusa,
senza capire cosa fosse. Fu solo quando lui lo mise in bocca e l'addentò
con aria di esultante provocazione che lei riconobbe, attonita, l'occhio cavato
all'autista.
- Cerruti! - ringhiò Sarrese, in un registro incerto tra
la paura e l'odio - Lo prenda!
La gigantessa scattò. Con un balzo si lanciò fuori
dall'automobile, con un altro fu addosso al ragazzo mascherato.
Un istante dopo erano entrambi a terra, a rotolare nella polvere
e nei frammenti di vetro. Ma la mischia durò pochi secondi: veloce come
un Cray, Masaniello si liberò della presa della donna, si rialzò,
le sferrò un calcio alle costole. La gigantessa rotolò fuori portata,
aprì la fondina, estrasse la pistola, la puntò.
Un colpo violento al polso le fece saltare l'arma di mano. L'agente,
incredula, tentò di recuperarla, ma il suo avversario la spinse lontano
con la punta del piede scalzo. Poi la colpì ancora, al volto.
La gigantessa digrignò i denti. Parò e si rimise
in piedi.
Era addestrata, forte, e consapevole d'esserlo. Si guardò
intorno, si chinò, raccolse una sbarra di metallo caduta dall'impalcatura
distrutta, tornò all'attacco. Masaniello l'aspettò a pie' fermo.
Un sorriso oscuro, estasiato, gli modellava le labbra dalla linea irregolare.
Il primo colpo lo prese al torace, risuonando col verso dei tamburi
che Lara aveva udito a Bagnoli. Lui barcollò sulle gambe, ma non cadde.
- Più forte, zoccola! - urlò, nel suo accento strascicato
- Più forte!
La gigantessa roteò di nuovo la sbarra, lo colpì
di punta, all'altezza dello stomaco. Questa volta il ragazzo fu spinto all'indietro,
a sbattere pesantemente contro una pila di sacchi di cemento.
Scosse la testa, sputò saliva e sangue. Poi rise, un verso
che non aveva nulla d'umano.
- Non sai far meglio di così, zoccola?
L'espressione della gigantessa divenne furiosa. Impugnò
la sbarra con entrambe le mani, tenendola orizzontale davanti a sé, e la
spinse contro il collo del suo avversario, con violenza, a spezzargli la trachea.
Masaniello alzò il braccio sano, afferrò la sbarra, la bloccò
senza sforzo visibile.
Per un istante restarono immobili, la donna col viso paonazzo,
il giovane ieratico sotto la maschera. Poi, alla fine, lui sorrise. Troppo veloce
perché l'occhio potesse seguirlo, scattò col capo in avanti, in
una testata maligna, colpendo la gigantessa proprio all'attaccatura del naso.
Lara udì un rumore secco, come quello che udiva un tempo,
quando sua madre mandava in pezzi col martello il guscio delle mandorle per il
dolce di Natale. La gigantessa crollò con occhi vitrei al suolo, sollevando
intorno una nuvola di intonaco e calcinacci. La giornalista dovette distogliere
lo sguardo.
- Che significa TAP due minuti? - strillava Sarrese al sat-com
anulare - Voglio quella maledetta pattuglia adesso! Dove sono gli EH301?
Esigo che...
- Scendi, infame.
Sarrese squadrò incredulo Masaniello. Quando vide la pistola
che era stata della gigantessa nella mano del ragazzo, i suoi occhi si spalancarono.
Le sue dita, che avevano cominciato a correre verso l'automatica nel taschino,
si congelarono. Il sat-com ronzò ancora un paio di volte, poi si spense.
- Ho detto scendi. - ripeté tranquillamente Masaniello,
puntando l'arma.
- Sono un alto ufficiale delle Forze Armate Europee. - protestò
Sarrese, obbedendo a malincuore.
- Sono contento. - replicò il ragazzo, strascicando le
parole - Mi sarebbe spiaciuto cacciare una palla in fronte a un cacaordini qualunque.
Sarrese fissò la canna della Beretta, il foro perfettamente
circolare, scuro come l'inferno, che vi si apriva. Lara, che assisteva alla scena
dal sedile della Mercedes, vide all'improvviso il volto candido dell'uomo dipingersi
di rabbia.
- Io non credo che sparerai. - sibilò Sarrese.
- Davvero?
- Secondo me non la sai neppure usare. - insistette, furioso.
- No?
- E non spareresti a freddo su un uomo disarmato. Non ne hai
le palle.
Masaniello lo squadrò con aria divertita. Poi brandì
l'arma, alzò il braccio ferito, mirò, premette il grilletto. Un
boato scosse l'aria calda del cantiere. Il proiettile aprì un foro irregolare
nel palmo del ragazzo, rosso al centro e nero di bruciature ai bordi, impressionante
come una stimmate.
Masaniello considerò l'arto squarciato con sublime indifferenza,
poi lo mostrò sprezzante a Sarrese, schizzandogli di sangue il completo
antracite. E rise ancora, sguaiatamente.
- Cosa dicevi delle mie palle, signor alto ufficiale?
L'uomo impallidì. Fece qualche passo indietro, incespicò,
si appoggiò alla lamiera contorta della Mercedes
Poi la sua espressione cambiò. Socchiuse gli occhi, inarcò
le sopracciglia sottili.
- Io... io ti conosco... - mormorò, in un tono confuso,
affascinato, che sorprese Lara, ancora costretta al ruolo di testimone inerme.
- Di cosa parli, infame?
- William...? - disse piano Sarrese, quasi in un sussurro.
Il ragazzo si bloccò. Completamente. Come un meccanismo
cui qualcuno avesse staccato la spina. Sarrese batté le palpebre, quasi
stesse decidendo se fidarsi e cogliere la possibilità. La sua mano corse
alla tasca interna. Le sue dita, grate, sfiorarono il calcio della pistola.
- Fermo! In alto quelle mani.
- Via dalla macchina, piezz' 'i mmerda! Svelto!
Gli ordini, inaspettati, giungevano dalle sue spalle. Sarrese
si voltò, trovandosi di fronte a un gruppetto di uomini apparso come per
incanto tra gli scheletri d'acciaio del cantiere.
Erano una dozzina, forse di più, e avevano il volto celato
da stracci e bende scure, in un'allusione persino troppo dichiarata alla maschera
di Masaniello. Almeno un paio di loro erano armati, e ciò convinse Sarrese,
contrariato, a obbedire.
Lara avvertì numerose mani stringersi intorno alle sue
caviglie, rese ormai quasi insensibili dalla lunga giacenza in quella posizione
grottesca. D'improvviso fu tratta fuori dalla Mercedes, avvolta con una coperta
e caricata in spalla da uno degli incappucciati.
- Tutt' buono, giurnalist'? - le sussurrò costui,
un tipo tarchiato che odorava di tabacco.
- Salvatore? - azzardò lei, stordita.
- Song' io. - confermò l'altro. Poi si rivolse
agli altri. - Iamuccenn', guaglio'. Chilli malamenti stenno 'rrivando.
Il gospel delle ambulanze e dei clacson che giungeva sulle ali
del vento gli dava ragione. Lara guardò in alto. Una coppia di convertiplani
era in picchiata sul cantiere. Gli uomini mascherati si gettarono al coperto.
Due di loro affiancarono Masaniello, ancora in stato catatonico, lo presero per
le braccia e lo portarono via. Nel giro di un paio di secondi erano scomparsi.
Salvatore afferrò più saldamente il corpo di Lara
e cominciò a correre. La giovane avvertì con sorpresa la forza nascosta
nei muscoli di quel piccolo colosso, e ne fu confortata. Raggiunsero un tombino,
si calarono giù. Il coperchio di metallo si chiuse sulle loro teste, separandoli
dalla superficie, e il mondo sfumò nel buio.
I convertiplani atterrarono con perfetta sincronia sullo spiazzale
del cantiere. Le ambulanze si fermarono sul ciglio della strada. Le auto della
Polizia varcarono invece a tutta velocità il guardrail sfondato e inchiodarono
a un passo dalla Mercedes.
Gli uomini in blu si gettarono fuori dai loro veicoli, armi in
pugno, formarono un cordone per tenere lontani i curiosi e gli sciacalli che già
accorrevano dalle strade intorno, e presero quindi a setacciare il cantiere.
Quelli in giallo e grigio tennero loro dietro con aria diffidente.
Poi uno di loro si diresse verso Sarrese, scoccò un'occhiata distratta
al corpo della gigantessa e a quello dell'autista, fece scattare i tacchi di fronte
all'alto ufficiale.
- Colonnello? Signore?
Sarrese si scosse. Guardò trasognato l'uomo in divisa.
- Mi spiace, colonnello. - si scusò, con il labbro inferiore
mosso da un tremito appena avvertibile - Ci sono sfuggiti. Dobbiamo inseguirli?
- Non importa, agente. - scandì lentamente Sarrese, inforcando
di nuovo gli occhiali a specchio. - Ho scoperto ciò che volevo.
Un timido raggio di sole brillò su quei vetri.
Poi, come spaventato, si spense.
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