INTRODUZIONE

In questi ultimi anni in Europa si assiste a immigrazioni di grandi masse di individui di fede islamica, così che, dopo diversi secoli, è di nuovo legittimo parlare di Islam come di una presenza significativa anche nel Vecchio Continente. Di conseguenza capire l’Islam diviene un dovere che si impone con forza a chi non si accontenta di subire passivamente le letture dominanti sui mass media. Comunque, non è certo un’impresa facile capire una realtà complessa, risultato di oltre quattordici secoli di storia, diffusa oggi su una vastissima area, e che coinvolge, tanto per fare un esempio, alcuni tra gli stati più poveri del mondo (Bangladesh, Afganistan o Somalia) e alcuni tra i più ricchi (Brunei, Kuwait o Arabia Saudita).

Tanto più che siamo di fronte a una realtà spesso demonizzata (si pensi all’Iraq di Saddam Hussein, alla Libia di Gheddafi o all’Iran anche post - khomeinista), altre volte esaltata (la lotta del popolo palestinese), non di rado criticata (il velo delle donne o l’applicazione in alcuni Stati islamici di pene coraniche come la lapidazione), ma comunque avvolta da quell’aura di esotismo lontano che la circonda da sempre. In sostanza, raramente l’insieme raggruppato sotto l’etichetta di "Islam" è conosciuto per quello che è davvero, nelle sue molteplici sfaccettature.

La crescente presenza di comunità musulmane all’interno delle varie nazioni europee è sicuramente uno dei fenomeni più importanti verificatosi nell’ultimo quarto del ventesimo secolo. È un fenomeno che necessita di essere analizzato con attenzione poiché coinvolge i vari cambiamenti demografici e culturali che stanno caratterizzando la vita del Vecchio Continente. In una società, come quella occidentale, che si è ormai incamminata in una direzione irreversibilmente multietnica e multiculturale, non è possibile ignorare le spinte e le tensioni provenienti da detta presenza islamica.

Se attualmente nelle capitali europee la presenza straniera è uno dei fattori più rilevanti, ciò ha delle motivazioni storiche che vale la pena analizzare. Negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale i paesi dell’Europa occidentale, a corto di manodopera da impiegare nell’industria (in particolar modo nelle fonderie) e nei servizi (raccolta dei rifiuti), importarono dall’estero un gran numero di lavoratori.

La Germania apriva le porte ai "lavoratori ospiti" provenienti dalla Turchia che oggi vivono in grandi ghetti a Berlino e Monaco. Gli inglesi fecero arrivare i "neri" dalle Indie occidentali britanniche e i pakistani, nonché commercianti e impiegati statali, cacciati dall’Africa, come nel caso dell’Uganda nei primi anni ‘60, dalla furia razzista allorquando le nuove élites africane salirono al potere. La Francia accolse i maghrebini, vale a dire le popolazioni degli ex territori francesi del nord Africa: Algeria, Marocco, Tunisia. Tutto questo però accadde durante il periodo di forte espansione economica. Dopo le crisi petrolifere del 1973 e del 1976 la fase di espansione ebbe termine ed i suddetti paesi europei cominciarono a introdurre meccanismi di controllo sull’immigrazione.

Attualmente risiedono nella Comunità Europea oltre 11 milioni di musulmani, mentre non si conosce con esattezza il numero di quelli presenti illegalmente.

Non c’è dubbio che, nel vasto quadro della presenza dell’Islam in Europa, un modello particolarmente interessante è quello rappresentato dalla Gran Bretagna. Al turista che passeggia, anche distrattamente, per le strade di Londra salta subito agli occhi la varietà di colori e di razze che popolano le vie della capitale britannica. Chi osserva con maggiore attenzione questa esplosione di tratti somatici diversi si rende conto che si tratta per lo più di gente proveniente dal Vicino e Medio Oriente. Ci si imbatte in un nugolo di indiani, pakistani, afgani, ma anche somali, nigeriani, egiziani. La maggior parte di questi immigrati è musulmana.

Lo scopo che mi prefiggo con questo lavoro è quello di spiegare perché nel Regno Unito, ma anche più generalmente in Europa, si sia insediato un numero così consistente di comunità musulmane; come esse vivano e come si siano integrate; come riescano a difendere la loro religiosità in una società sostanzialmente laica e come possano far sopravvivere le loro usanze e le loro tradizioni; come si pongano di fronte al problema della modernizzazione; quali siano le loro possibilità di partecipazione politica nell’ambito di un sistema politico non musulmano, come quello del paese ospitante e le novità legislative britanniche relative ai problemi dell’immigrazione musulmana. Mi prefiggo insomma di studiare gli spazi sociali, politici e culturali che la società britannica concede alle comunità immigrate e che queste comunità sono state capaci di conquistare.

Ho condotto questo studio in Gran Bretagna. La ricerca bibliografica è stata svolta nelle biblioteche londinesi della prestigiosa School of Oriental and African Studies (SOAS), della Commision for Racial Equality (CRE), del Joint Council for the Welfare of Immigrants e nel Centre for International Policy Studies. Ho visitato numerosi centri culturali, scuole musulmane e moschee. Ho intervistato un numero consistente di musulmani appartenenti a classi sociali diverse e provenienti da paesi islamici differenti. Ho raccolto le testimonianze di insegnanti e professori musulmani, di un imâm, dell’editore della rivista musulmana "Impact International", di un dirigente del CRE e di un avvocato inglese che si occupa di problemi di immigrazione. Ho anche registrato il contributo della gente comune, di operai, di tassisti, di piccoli lavoratori. Ho incontrato diversi giovani. Ho anche intervistato alcuni cittadini britannici convertitisi all’Islam. Ho cercato di avvicinare delle donne musulmane per potere annotare anche il loro punto di vista, però le varie comunità mi hanno interdetto dal potere parlare con le donne delle loro famiglie. Soltanto furtivamente sono riuscito a raccogliere qualche testimonianza femminile.

Queste interviste hanno presentato alcune difficoltà dovute, soprattutto, alla diffidenza mostrata nei miei confronti da gran parte dei musulmani da me incontrati. Molti di essi non hanno manifestato una grande disponibilità e pazienza a rispondere ai quesiti di carattere storico-politico e socio-culturale che ho cercato di porre. La maggior parte si è limitata soltanto a ribattere velocemente a qualche domanda. Questo discorso è valido soprattutto per i piccoli lavoratori musulmani e per i giovani che, presi alle loro attività quotidiane, hanno palesato una certa riluttanza a condividere il mio interesse per la loro condizione. Il loro contributo, infatti, anche se ugualmente importante, è quello che, alla fine, si è dimostrato meno rilevante per ciò che riguarda questo mio lavoro di tesi. Stessa cosa non si può dire per gli intellettuali e gli uomini di cultura che ho incontrato. Essi si sono mostrati molto disponibili ed interessati all’oggetto della mia ricerca ed il loro aiuto è stato indispensabile per la realizzazione di questo lavoro. Molti non mi hanno permesso di usare il registratore ma ciò non toglie nulla all’importanza del loro contributo.

Come ultima precisazione mi sento in dovere di fare presente che, in generale, i britannici convertiti all’Islam hanno ostentato maggiore disponibilità rispetto ai musulmani originari dei vari paesi islamici.

Mi preme pertanto ringraziare tutti coloro che, in un modo o in un altro, mi hanno aiutato a portare a compimento questo lavoro di tesi che si divide in quattro parti o capitoli.

Nella prima viene tracciato un quadro di quelli che sono, e sono stati, i rapporti dell’Islam con le altre culture e con le altre religioni, soprattutto quella cristiana e quella ebraica. Vengono presi in considerazione sia i punti di contatto sia i motivi di scontro. Inoltre cerco di spiegare perché gran parte dell’opinione pubblica occidentale considera l’Islam come una forza malvagia, un "nemico" da combattere.

La seconda parte tratta della presenza dell’Islam in Europa. Analizzo qui gli insediamenti musulmani nel continente europeo considerandoli sotto vari punti di vista, cercando di dare una visione chiara e soddisfacente dei caratteri "dell’integrazione" musulmana valutando i diversi aspetti della vita sociale (scuola, lavoro, religione, politica, giustizia, diritti umani...). L’attenzione è posta in particolare sulle cruciali differenze esistenti tra i musulmani della prima e quelli della seconda e terza generazione.

Nella terza percorro le tappe più importanti che hanno caratterizzato la storia del colonialismo e dell’imperialismo britannico. Questo capitolo è abbastanza ampio poiché penso che per comprendere appieno le caratteristiche dell’immigrazione musulmana in Gran Bretagna sia indispensabile analizzare la storia delle ex-colonie britanniche a forte presenza islamica. Particolare attenzione, infatti, è rivolta alla storia dei domini indiani, egiziani e palestinesi, alle tensioni che li hanno agitati dopo la conquista inglese ed ai conseguenti moti che li hanno portati alla definitiva indipendenza.

Nella quarta parte lo stesso criterio utilizzato precedentemente viene adottato per analizzare gli insediamenti musulmani presenti in Gran Bretagna, mettendo in evidenza tutte quelle caratteristiche che fanno del Regno Unito, forse, un paese del tutto unico, per le varie comunità musulmane, nel complesso panorama europeo.

Concludo questa premessa ricordando che i testi consultati sono stati di vario tipo (storico, sociologico, politico…) e quasi esclusivamente in lingua inglese. Ovviamente, non tutti hanno avuto lo stesso peso ai fini della stesura di questo mio lavoro di tesi. Alcuni, a parer mio, si sono rivelati troppo generici e superficiali; altri, invece, troppo faziosi e parziali e, conseguentemente, non adatti a supportare il mio desiderio di studiare in maniera oggettiva la condizione dei musulmani in Gran Bretagna.

 

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