IV. L’ISLAM IN GRAN BRETAGNA

  1. 1. QUADRO GENERALE

Sebbene un numero consistente di musulmani era già presente in Gran Bretagna oltre un secolo fa (si trattava soprattutto di marinai che si erano insediati nelle città portuali) soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale le varie comunità musulmane hanno incominciato a stabilirsi in maniera permanente in territorio britannico ed a influire in vari modi nella sfera sociale del Regno Unito. Come già affermato precedentemente, nell’immediato dopoguerra, la mutata struttura economica e la crescente espansione industriale si manifestò in un bisogno di manodopera a basso costo per tutta una serie di lavori che nessuno (o quasi) voleva fare. Le ex-colonie rappresentavano una riserva naturale di lavoratori, soprattutto il subcontinente indiano dove il reclutamento di tale forza lavoro era condotto dai possidenti inglesi. La maggiore spinta alla catena migratoria fu data dai giovani i quali venivano attratti dalle possibilità d’impiego in Gran Bretagna. Essi arrivarono sul suolo britannico con l’intento di lavorare, accumulare somme di denaro per potere sostenere economicamente le loro famiglie rimaste "in patria" ed eventualmente ritornare nei loro paesi d’origine. A partire dagli anni ’60 il governo britannico emanò diversi atti legislativi con l’intento di arginare il flusso migratorio dall’estero, anche se generalmente alle donne e ai bambini era permesso raggiungere i loro capifamiglia. Questi ultimi mutarono gradualmente i loro precedenti programmi a favore di uno stanziamento a "lungo termine". In seguito, nei primi anni ’70, un flusso di rifugiati provenienti dall’Africa Orientale si aggiunse al già consistente numero di musulmani che ormai vivevano in Gran Bretagna.

Nei primi anni ’50, quando il flusso di lavoratori provenienti dal subcontinente indiano era nella sua fase iniziale, la popolazione musulmana in Gran Bretagna era di circa 23.000 persone. Nel 1961 era già salita a 82.000; nel 1971 a 369.000; nel 1981 a 553.000; e dal 1991 si poteva già parlare di circa 1 milione di persone, fino ad arrivare all’oltre 1 milione e mezzo di oggi. Sebbene la popolazione musulmana britannica comprenda un numero consistente di arabi, malaysiani, iraniani, turchi, ciprioti, nigeriani e altri, l’80 per cento circa dei musulmani residenti in territorio britannico sono originari del Pakistan, Bangladesh e India. Non deve dunque sorprendere che proprio questo gruppo abbia influenzato, più di altri, la società britannica.

 

  1. 2. IMMIGRAZIONE E STANZIAMENTO.

 

La società britannica si caratterizza oggi come una società multirazziale, multiculturale e multireligiosa, con oltre 58 milioni di persone. Al suo interno può contare un grande numero di gruppi etnici e religiosi, tra i quali più di un milione e mezzo di musulmani. La popolazione delle minoranze etniche è stata stimata in circa 2.4 milioni di persone, vale a dire il 5 per cento dell’intera popolazione britannica. Di questi quasi il 50 per cento sono nati in Gran Bretagna.

Quello dei musulmani è il gruppo più numeroso tra le "minoranze" religiose. La maggior parte di essi proviene dagli ex possedimenti britannici e sono giunti sul suolo inglese durante gli ultimi quaranta anni. Il gruppo più numeroso è costituito dai pakistani, circa 500.000 persone. A questo si aggiungono considerevoli gruppi provenienti dal Bangladesh, dall’India, da Cipro, dalla Malaysia, dall’Arabia e da diverse parti dell’Africa. Va anche ricordato un numero sempre crescente di musulmani nati in suolo britannico e, inoltre, tutti i convertiti all’Islam negli ultimi anni. Per la maggior parte dei musulmani che sono giunti in Gran Bretagna, soprattutto quelli della prima generazione, si tratta di persone che emigrarono dalle loro terre natie per motivi economici.

L’immigrazione di musulmani in Gran Bretagna e il loro insediamento nell’isola inizia negli anni centrali del sec. XIX quando marinai musulmani provenienti dallo Yemen, dalla Somalia e dall’Asia meridionale cominciarono a stabilirsi nelle città portuali di Cardiff, Liverpool e Londra. In tempi più recenti, invece, a causa della crescita industriale della Gran Bretagna, durante gli anni ’50 e ’60 del sec. XX, le grandi città industriali come Londra, Birmingham e Manchester sono diventate polo di attrazione per un numero sempre maggiore di immigrati musulmani.

La prima grande ondata di immigrati, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, arrivò dalle isole delle Indie Occidentali, alla fine degli anni ’40. La migrazione dal subcontinente indiano avvenne molto più lentamente, e riguardava dapprima centinaia di uomini che avevano lavorato per la marina britannica durante la guerra. Durante gli anni ’50, veri e propri "agenti di viaggio" lavoravano per trovare lavoro alle famiglie di immigrati musulmani. Essi favorivano ogni anno l’immigrazione di circa 10.000 uomini dal subcontinente indiano.

La prima immediata conseguenza di tale esplosione di immigrati furono le restrizioni attuate sulle leggi per l’immigrazione tra il 1961 e il 1962. Il Commonwealth Immigration Act del 1962 rappresentò una diretta reazione al grande dibattito pubblico sullo stanziamento in larga scala di immigrati "di colore". "In questo dibattito", afferma il Prof. Dawud Noibi, "si potevano notare dei chiari elementi razzisti, collegati alla percezione che la Gran Bretagna era sul punto di abbandonare i suoi atteggiamenti imperialistici. Il dibattito fu anche preceduto da alcuni tumulti di carattere razziale, in particolare vanno ricordati quelli avvenuti a Notting Hill (Londra) e a Nottingham nel 1958. Durante i diciotto mesi successivi, durante i quali vennero discusse la politica e le leggi da adottare, si assistette ad una massiccia immigrazione da ogni parte del mondo coloniale britannico, in particolar modo dal subcontinente indiano. Questa ondata migratoria fu anche favorita da una quasi totale mancanza di controlli alle frontiere, sia in patria che in Gran Bretagna."

I gruppi più numerosi di musulmani provenienti dal subcontinente indiano arrivarono dal Pakistan, soprattutto dalle più povere zone agricole del Mirpur, nel Kashmir meridionale, e del Cambellpur, nel Punjab nord-orientale. Gruppi più piccoli si mossero dalle zone della frontiera nord-occidentale, a confine con l’Afghanistan. Nel caso del Mirpur, una ulteriore causa che favorì l’immigrazione in Gran Bretagna fu la costruzione della diga di Mangla che, iniziata nel 1960, una volta terminati i lavori, inondò oltre 250 villaggi. In questo modo, i loro abitanti furono costretti a emigrare all’estero scegliendo come meta la Gran Bretagna. Nel Pakistan orientale (quello che in seguito diventerà il Bangladesh) i maggiori flussi di immigrati provenivano dal distretto di Sylhet e dalla regione marittima nei pressi di Chittagong.

Nel 1968 fu introdotta un’ulteriore restrizione in materia di immigrazione, togliendo il diritto di soggiorno a coloro che avevano passaporto britannico ma che non potevano dimostrare di avere legami familiari in Gran Bretagna.

Un gruppo dal background islamico completamente diverso dagli altri che si stabilirono in Gran Bretagna fu quello dei turco-ciprioti. Il numero degli immigrati provenienti da Cipro cominciò ad aumentare nella prima metà degli anni ’50 e raggiunse il suo apice nei due anni che precedettero l’attuazione dell’Immigration Act del 1962.

Altri gruppi più piccoli arrivarono dalla Malaysia, dall’Africa occidentale e meridionale, dalla Nigeria, dal Marocco e dallo Yemen. L’attrazione esercitata da Londra come grande centro politico e commerciale aveva anche favorito lo stanziamento di cospicui gruppi di immigrati provenienti dall’Iran e dal mondo arabo.

L’immigrazione musulmana e l’insediamento degli anni ’50, dopo la Seconda Guerra Mondiale, presentava delle caratteristiche differenti se comparata a quella della fine del sec. XIX e dei primi anni del ventesimo. Essa è differente non solo per quel che riguarda la natura e la grandezza del movimento migratorio, ma anche per ciò che riguarda il background geografico e religioso degli immigrati. A differenza degli insediamenti musulmani nei dockland delle città portuali nel secolo scorso, questa nuova migrazione è caratterizzata dall’insediamento nelle città industriali dell’interno. Dice sempre il Prof. Noibi "all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, a causa di una rapida crescita economica e della ricostruzione post-bellica, in Gran Bretagna, così come nel resto d’Europa, ci fu una drastica mancanza di forza lavoro e le colonie divennero il migliore mercato dove reclutare lavoratori. Fino a questo punto la Gran Bretagna aveva fatto vari tentativi per attirare lavoratori dall’estero, e sfruttò i suoi storici legami con l’India e il Pakistan. Inoltre, nel periodo post-bellico, con la creazione dei nuovi stati indipendenti di Pakistan e Bangladesh, questi paesi dovettero affrontare seri problemi economici, sociali e politici che cercarono di risolvere favorendo l’emigrazione di grandi fette della popolazione. Per ciò che riguarda il background religioso, a differenza dei gruppi arabi di orientamento sufi, i musulmani indiani e pakistani erano molto più influenzati da gruppi religiosi come la Jama‘at-i-Islamiah e il Tablighi Jama‘at."

Analizzando la storia dei musulmani in Gran Bretagna è possibile identificare la causa dei primi movimenti migratori degli anni ’50 e ’60 in fattori economici. Molti di coloro che per primi emigrarono nel Regno Unito erano dei manovali. Essi possedevano un’educazione elementare nella loro lingua, ma non in inglese. Mostrarono, anzi, uno scarsissimo desiderio di imparare l’inglese. Giunsero in Gran Bretagna con l’intima intenzione di ritornare nelle loro terre di origine dopo qualche anno di permanenza nel Regno Unito. La caratteristica dominante dell’immigrazione musulmana nel suo complesso fu che all’inizio riguardò uomini soli i quali, in seguito, furono raggiunti dalle loro mogli e dalle loro famiglie. Negli anni ’60 e ’70 tale orientamento cambiò in favore di uno stanziamento permanente. Conseguentemente la seconda generazione non desiderava portare su di sé l’etichetta di "immigrati" e considerava la Gran Bretagna come la propria casa. Questa crescente tendenza ad uno stanziamento permanente portò le varie organizzazioni etniche, socio-economiche e religiose a cercare di provvedere ai bisogni delle varie comunità. "I musulmani", ci informa il Prof. Noibi, "cominciarono ad enfatizzare le loro tradizioni culturali e religiose, cominciarono a costruire moschee e a fornire un insegnamento religioso ai loro figli. Comunque, quando la Gran Bretagna introdusse il Commonwealth Immigration Act nel 1962 per porre fine alla politica delle ‘porte aperte’, molti giunsero frettolosamente sull’isola per paura di un maggiore controllo da parte del governo britannico." L’Atto del 1962 impose inoltre un sistema di regolazione dell’impiego basato sulle capacità e sulle qualifiche che rese ancora più arduo lo stanziamento nel Regno Unito. La migrazione di un sostanziale numero di lavoratori dipendenti in Gran Bretagna fu sinonimo di stanziamenti più stabili per i musulmani e di incremento delle varie comunità, per le quali gli argomenti principali da discutere diventarono la religione e l’educazione.

 

  1. 3. CARATTERISTICHE DEMOGRAFICHE E POSIZIONE SOCIALE.

 

Nonostante il fatto che in Gran Bretagna vivono più di 1,5 milioni di musulmani le comunità musulmane non sono comunque distribuite uniformemente in tutto il paese. Lo stanziamento di musulmani in Gran Bretagna è stato un fenomeno geograficamente irregolare. Da una parte, si possono notare gli stanziamenti nelle grandi città. Quasi la metà dei musulmani che si trovano in Gran Bretagna vive a Londra e nei suoi dintorni. Nelle West Midlands, nello Yorkshire e nella zona intorno a Manchester vivono circa i due terzi della restante metà della popolazione musulmana. Per quello che riguarda le West Midlands, i tre quarti della comunità pakistana e bengalese vive nella città di Birmingham, ossia l’8 per cento dell’intera popolazione cittadina. Nello Yorkshire, invece, la maggior parte delle comunità musulmane si trova nella città di Bradford.

Anche la distribuzione etnica è abbastanza irregolare. I turco-ciprioti vivono quasi esclusivamente nelle zone a nord e a sud-est di Londra, mentre la maggior parte delle comunità bengalesi si sono stanziate nella parte orientale della città a Oldham e a Bradford. Londra ospita anche un numero significativo di arabi e iraniani, con l’eccezione degli yemeniti i quali possono contare su numerose comunità a Cardiff, Liverpool e Birmingham. Al di fuori di Londra, l’unica grande concentrazione di indiani si registra nelle West Midlands. I pakistani, al contrario, sono stanziati un po’ dovunque. Da questa breve mappa delle comunità musulmane in Gran Bretagna si può notare come a Londra è possibile trovare comunità di tutti i tipi e di tutte le provenienze, mentre nel resto del paese le comunità musulmane provengono soprattutto dal subcontinente indiano.

La tendenza a stanziarsi in determinate aree si può spiegare con il fatto che originariamente tali gruppi scelsero quelle zone poiché le possibilità di lavoro erano maggiori. Allo stesso tempo, i rapporti di parentela e di amicizia e il processo della catena migratoria hanno contribuito a favorire queste concentrazioni di popolazioni musulmane. Ovviamente essi si imbattono in tutti quei problemi tipici delle grandi città: alto tasso di disoccupazione, cattive residenze, insufficiente grado di scolarizzazione e via dicendo. In più, i musulmani devono affrontare tutta una serie di svantaggi razziali, pregiudizi e discriminazioni comuni alle altre minoranze etniche che vivono in Gran Bretagna.

La migrazione di musulmani sul suolo britannico, come si è detto, fu inizialmente maschile, ma con l’arrivo di lavoratori dal subcontinente indiano la proporzione tra popolazione maschile e popolazione femminile cambiò in maniera considerevole, favorendo conseguentemente la formazione delle famiglie.

Le famiglie musulmane sono solitamente più numerose rispetto alle altre. Ad esempio, secondo i dati ricavati dal Labour Force Survey del 1985, il 60 per cento delle famiglie pakistane e bengalesi contano un nucleo familiare di cinque o più persone, mentre soltanto il 9 per cento della restante popolazione può contare su nucleo familiare altrettanto numeroso. Ciò è forse dovuto alla giovane età della popolazione musulmana in Gran Bretagna. Soltanto il 3 per cento della popolazione musulmana è, ad esempio, in età pensionabile, di fronte al 19 per cento della restante popolazione britannica. Di contro, quasi il 70 per cento dei bengalesi e il 64 per cento dei pakistani si trova in un’età inferiore ai trent’anni. La tabella che segue mostra un quadro abbastanza significativo dell’età delle varie minoranze etniche.

 

PERCENTUALE MASCHILE PERCENTUALE FEMMINILE

 

ETA’

-16

16-29

30-44

45+

-16

16-29

30-44

45+

Nati in UK

21

23

21

35

19

21

20

40

Indiani

32

24

24

20

31

30

23

16

Pakistani

42

22

20

16

43

28

17

12

Bangladeshi

50

19

10

21

50

23

19

8

Africani

28

30

27

15

24

32

30

14

Cinesi

30

28

26

16

28

23

34

15

Arabi

18

36

28

18

25

35

24

16

Altri

28

28

29

15

26

28

30

16

 

 

Circa il 42 per cento della popolazione pakistana, che attualmente si trova nel Regno Unito, e il 31 per cento di quella bengalese è nata in Gran Bretagna. Negli ultimi anni la percentuale dei bambini musulmani nati nell’isola è aumentato considerevolmente.

La posizione della popolazione musulmana all’interno del mercato del lavoro rappresenta un aspetto fondamentale per capire la loro collocazione nella società britannica. Il tipo di lavoro che essi svolgono non solo determina il loro reddito ma aiuta a decidere in quale aree della città essi devono vivere, quali scuole far frequentare ai loro figli, come interagiscono con la popolazione non musulmana, quali sono le loro possibilità di partecipazione nella vita pubblica, insomma la loro condizione complessiva nella società.

I musulmani sono impiegati soprattutto nell’industria manifatturiera, in particolare in quella tessile e in quella metallurgica. Comunque, esiste un numero sempre crescente di uomini d’affari musulmani, di medici musulmani che lavorano per il British National Healt Service (il Servizio Sanitario Nazionale), di insegnanti, ingegneri e altri tipi di professionisti. Dunque, il contributo dei musulmani, e delle altre minoranze etniche, all’economia britannica è enorme e, a parer mio, è destinato ad aumentare nel futuro a causa della giovane età della popolazione musulmana. Bisogna comunque dire che il livello di disoccupazione giovanile è ancora alto e in ciò i giovani musulmani si differenziano in maniera abbastanza netta da quelli britannici. Secondo il rapporto pubblicato dal Department of Employment nella Employment Gazzette nel 1990, tra i giovani musulmani, compresi tra i 16 e i 24 anni, una persona su tre è disoccupata; mentre per i ragazzi nati in Gran Bretagna il rapporto è di uno su sei. Sempre secondo tale rapporto in alcune aree di Londra la disoccupazione giovanile delle varie minoranze etniche raggiunge il 60-70 per cento.

In generale si può dire che i lavoratori musulmani vivono in condizioni economiche leggermente inferiori a quelle dei lavoratori britannici. Le cause di ciò si potrebbero ricercare nella discriminazione razziale che provoca un elevato tasso di disoccupazione e di lavoro mal pagato. Sempre secondo i dati del Department of Employment, soltanto l’11 per cento dei lavoratori musulmani fa parte della categoria dei professionisti, contro il 19 per cento dei lavoratori britannici e il 20 per cento di quelli hindu. Di contro, l’80 per cento dei musulmani svolge lavori manuali, mentre tra i britannici soltanto il 46 per cento, e il 51 per cento tra gli hindu.

Come nella maggior parte degli altri paesi europei, in Gran Bretagna non vengono stilate delle statistiche riguardanti il credo religioso. La popolazione viene censita secondo il criterio del luogo di nascita, piuttosto che della nazionalità. E siccome la stragrande maggioranza degli immigrati provenienti dai paesi del Commonwealth ha ottenuto, quasi automaticamente, la cittadinanza britannica, il luogo di nascita rappresenta un indicatore più utile. Comunque, all’interno di tale gruppo si trovano anche i cittadini britannici nati nelle colonie e che sono poi ritornati in patria, così che esiste un certo grado di inattendibilità nei censimenti precedenti il 1981. A partire dal 1981, invece, questo tipo di popolazione ha smesso di influenzare il censimento e, allo stesso tempo, si è reso possibile identificare i figli degli immigrati, nati in Gran Bretagna. Sulla base di tali considerazioni è quindi possibile leggere i dati del censimento sui musulmani in Gran Bretagna nel 1981:

 

Pakistani - Bengalesi

360.000

Indiani

130.000

Malaysiani

23.000

Arabi

50.000

Iraniani

20.000

Turchi

5.000

Turco Ciprioti

40.000

Africani orientali

27.000

Nigeriani

15.000

 

e quello del 1986 che ha aggiornato i dati del censimento precedente:

 

Bengalesi

64.000

Indiani

84.000

Pakistani

500.000

Malaysiani

30.000

Arabi

121.000

Iraniani

50.000

Turchi

21.000

Turco Ciprioti

50.000

Africani orientali

99.000

Nigeriani

25.000

Altri

30.000

 

Dietro questi incrementi si nascondono alcuni fattori che hanno favorito l’immigrazione in Gran Bretagna. L’aumento di immigrati iraniani e arabi riflette il fermento di quei paesi durante i primi anni ’80, in particolare mi riferisco alla rivoluzione in Iran (1978-1979), la guerra tra Iran e Iraq (1980-1988) e la guerra civile in Libano (1975-1989).

Per ciò che riguarda l’orientamento religioso bisogna dire che la maggior parte dei musulmani che vivono in Gran Bretagna sono sunniti ma ci sono anche circa 25.000 shiiti provenienti dall’Iran.

Un discorso a parte va fatto per i convertiti. "In Gran Bretagna", ci informa il Dr. Muhammad Usanah, "la conversione all’Islam non è mai stata tanto significativa quanto in altri paesi europei. Il numero dei nativi britannici che si sono convertiti all’Islam può essere stimato intorno alle 3000 - 5000 unità, anche se tale numero sembra destinato a crescere molto rapidamente. Non è comunque possibile stabilire con esattezza quanto siano i convertiti, in primo luogo perché per esser musulmani non è necessario essere iscritti in qualche moschea od organizzazione islamica, come l’Islamic Cultural Centre di Londra che rilascia un ‘certificato di conversione’; in secondo luogo poiché i convertiti sono sparsi per tutto il paese e non vivono in una comunità.

Gran parte dei convertiti è venuto a conoscenza dell’Islam attraverso contatti personali e questi hanno giocato un ruolo fondamentale per la loro conversione. Tante donne, ad esempio, sono diventate musulmane dopo avere sposato arabi o pakistani. Bisogna comunque ricordare che il matrimonio con un musulmano non implica necessariamente la conversione della donna poiché la legge islamica permette agli uomini musulmani di sposare Ahl al-Kitâb (Gente del Libro). La proporzione tra i convertiti uomini e le donne è pressoché identica. Gran parte di essi è rappresentata da quarantenni o cinquantenni che appartennero alla generazione degli ‘hippie’ durante gli anni ’60 e ’70. Disgustati dal materialismo occidentale, essi si avvicinarono all’Islam in cerca di una illuminazione spirituale e alcuni di essi assunsero delle posizioni di influenza all’interno della comunità musulmana."

"Maometto ha detto ‘la luce dell’Islam sorgerà a Ovest’ e credo che sia proprio questo ciò che sta accadendo", spiega Alya Haeri, una psicologa nata in America che si è convertita 15 anni fa. "Nel mondo d’oggi i cristiani sono delusi: la fede non li sostiene più a sufficienza, le confessioni alle quali appartengono sembrano travolte da una crisi dietro l’altra, con incertezze, sterzate, ribaltamenti che si ripercuotono: l’Islam, saldo nei suoi principi, non cambia mai (sic!) e per molti questo rappresenta un’ancora di salvezza."

L’Islam è una religione universale che va al di là dei limiti nazionali ed etnici. I convertiti britannici ritengono che nei paesi musulmani l’Islam sia misto alla cultura e alle tradizioni locali ed essi vogliono praticare un Islam che sia più "coranico", più vicino cioè alle autentiche tradizioni del Profeta. Per realizzare appieno la loro comprensione dell’Islam alcuni convertiti hanno tentato di dare vita a dei propri gruppi o movimenti. Alcuni convertiti come Yusuf Islam ( ovvero il famoso cantante pop Cat Steven) sono impegnati attivamente nell’aiutare in vari modi la comunità musulmana e i convertiti. Yusuf Islam organizza un incontro, chiamato Circolo Islamico, ogni sabato pomeriggio all’Islamic Cultural Centre di Londra. Egli, inoltre, ha aperto una Islamia Primary School, nella quale si dedica molto tempo all’educazione religiosa.

Una mia personale osservazione mi spinge ad affermare che i musulmani indigeni sono molto più dinamici nell’interpretazione del ruolo dell’Islam in Gran Bretagna rispetto agli immigrati musulmani i quali hanno una visione più tradizionalista dovuta al loro background storico e culturale.

Si deve all’opera dei musulmani indigeni la nascita di organizzazioni come l’Islamic Party of Britain o l’Association for British Muslims.

 

 

  1. 4. I MUSULMANI E LA SOCIETA’ BRITANNICA

 

Durante gli ultimi dieci anni, i musulmani presenti nel Regno Unito sono diventati sempre più visibili all’interno della sfera pubblica britannica. Questa maggiore percezione della presenza musulmana è una diretta conseguenza di almeno due processi che interagiscono tra loro:

  • L’emergere di una reale organizzazione e una effettiva articolazione politica tra i musulmani britannici.
  • La convinzione, presente tra molti non musulmani, che il "fondamentalismo islamico" possa rappresentare una seria minaccia ai valori democratici e ai sistemi sociali occidentali.

I musulmani britannici occuparono la sfera pubblica nazionale, per la prima volta, nei primi anni ’80 con tutta una serie di dibattiti su alcuni argomenti tra i quali la fornitura di cibo halal nelle scuole e in altre strutture pubbliche come le carceri e gli ospedali. "Le organizzazioni musulmane", sostiene il Dr. Usanah, "chiesero con forza ai governi locali e alle autorità competenti la fornitura di tali provviste e alle richieste dei musulmani fu anche prestata maggiore attenzione da parte dei mass media. Una delle chiavi di volta di tutta la situazione non fu tanto l’approvvigionamento in sé di cibo halal, quanto il fatto che il rituale di macellazione islamico (dhabh) era aborrito da molti non musulmani, poiché l’animale durante la macellazione rimane conscio anche quando gli viene tagliata la gola. I maggiori oppositori alle richieste dei musulmani di avere cibo halal nelle strutture pubbliche furono quindi gli animalisti, i quali erano contrari a tali metodi di macellazione, e i nazionalisti di destra, i quali contrastavano gli usi e i costumi delle varie minoranze etniche. Nonostante tutto fu però mantenuto il diritto di macellare la carne secondo il proprio rituale e la fornitura di cibo halal divenne ben presto una pratica comune in tutte le istituzioni pubbliche, non solo nelle scuole." Oggi la Gran Bretagna può vantare uno dei regimi più liberali di tutta Europa per ciò che riguarda la fornitura di carne halal. Esistono mattatoi musulmani che forniscono carne halal bovina e caprina. Ma anche molti dei normali mattatoi non musulmani sono in grado di provvedere alla macellazione di carne halal. Più difficile è invece controllare la macellazione dei polli, poiché molte piccole drogherie ne possiedono dei piccoli allevamenti nei loro cortili interni. In questo modo vengono aumentati i rischi igienici e, in più, vengono aggirate le direttive del governo che vorrebbero che la macellazione dei polli avvenisse soltanto in pochi grandi centri autorizzati.

Una volta conclusa la campagna per ottenere cibo halal, le richieste delle organizzazioni musulmane cominciarono a diventare di dominio pubblico e, a partire dalla metà degli anni ’80, i musulmani cominciarono a far sentire la loro voce anche per ciò che riguardava le condizioni di insegnamento nelle scuole statali. "Ciò coincideva", continua il Dr. Usanah, "con un periodo in cui il ‘pensiero multiculturale’ giocava un ruolo primario nelle strategie educative della scuola britannica."

In quegli anni balzò agli onori della cronaca quello che venne chiamato "l’affare Honeyford", intorno al quale si sviluppò un interessante dibattito. Le dichiarazioni ambigue riguardanti la situazione di molti ragazzi appartenenti a minoranze etniche (soprattutto asiatici) nelle scuole statali britanniche, rilasciate a un giornale ultra conservatore di Bradford dal direttore scolastico Ray Honeyford, stimolarono un acceso dibattito sui molteplici aspetti delle minoranze nella società britannica. Si incominciò a discutere sulle strategie di assimilazione, sulla cultura del pluralismo e se fosse giusto che un direttore scolastico chiaramente razzista dovesse essere responsabile di un vasto numero di studenti asiatici. Per tutta la durata del dibattito, i musulmani di Bradford organizzarono delle dimostrazioni pubbliche e chiesero il licenziamento di Honeyford. Egli fu poi indotto dalle autorità locali a presentare domanda di pensionamento anticipato. Da questo momento in poi l’educazione scolastica divenne uno degli argomenti di interesse principale non solo tra i musulmani ma per l’intera società britannica.

L’attenzione raccolta dall’affare Honeyford fu presto superata dal "Rushdie Affair". Questo venne fuori subito dopo la pubblicazione del libro I Versetti Satanici e concretizzò (con una accezione negativa) la presenza dei musulmani all’interno della sfera pubblica britannica. L’attenzione che i mass media posero nei confronti del "Rushdie Affair" fece sì che cambiasse la visione dell’Islam che si aveva in territorio britannico sino a quel momento. Lo scottante libro fu pubblicato nel Settembre del 1988. L’11 Ottobre dello stesso anno fu formata una commissione, la UK Action Committee on Islamic Affairs, per contrastare la pubblicazione del libro. Lo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie era accusato di apostasia e di blasfemia per il modo in cui presentava il Profeta. La stampa occidentale colse al volo l’occasione di sottolineare "l’inciviltà" e "l’intolleranza" della cultura islamica che voleva imbavagliare la libertà di espressione. La condanna a morte (fatwa), che Khomeini promulgò il 14 Febbraio dello stesso anno nei confronti dello scrittore e la taglia di oltre 4 miliardi di lire posta sulla sua testa dalla fondazione "15 Khordad" furono viste come un’ulteriore prova della presunta intolleranza islamica. L’Islam venne allora dipinto come una gravissima minaccia che aveva colpito il territorio britannico. Ovviamente i musulmani presenti nel Regno Unito si sentirono estremamente offesi dalle valutazioni fatte dai mezzi di comunicazione di Sua Maestà Britannica. Pochissima attenzione, al contrario, fu data al loro punto di vista. Facendo nostra l’opinione del Dr. Hans Kundnani possiamo affermare che "il modo in cui i mass media trattarono il ‘Rushdie Affair’ fece in modo che venisse fuori un’immagine negativa delle comunità musulmane, accomunate nei loro valori anti-moderni e pericolose per le loro passioni. Un’immagine che fu vista come una sfida alle ideologie nazionaliste della ‘britannicità’ e alle nozioni liberali correlate ai concetti di ‘libertà’ e di ‘diritti umani’." Così a partire dal 1990, anche se in una maniera del tutto indesiderata, la causa islamica divenne uno degli ordini del giorno della politica nazionale britannica.

Il 24 Settembre 1998 il presidente iraniano Mohammed Khatami, fautore di un nuovo corso politico in Iran che ha come obbiettivo quello di sconfiggere i tradizionalisti, ha dichiarato alle Nazioni Unite che "il caso Salman Rushdie è chiuso". Il governo iraniano, in pratica, ha inequivocabilmente affermato di dissociarsi dalla taglia posta sulla testa dello scrittore. Questo, comunque, non vuol dire che Rushdie potrà tornare, almeno per il momento, a vivere da uomo libero. Questo perché una fatwa in teoria può essere cancellata soltanto da chi l’ha pronunciata. Ma il leader religioso che emise quel verdetto, l’ayatollah Khomeini, non c’è più. Quindi, la fatwa non potrà mai essere abolita. Il governo iraniano non ha l’autorità di revocare la fatwa, che è un decreto islamico. Quindi, anche se libero dalla persecuzione di Teheran, Rushdie resta un bersaglio di ogni fanatico. Non potrà allentare la sicurezza. Ne è una prova la decisione della British Airways che continuerà a non far volare Rushdie sui propri aerei.

Non molto tempo dopo che il "Rushdie Affair" fu chetato (senza che, comunque, come abbiamo visto, potesse essere posta la parola ‘fine’), durante la Guerra nel Golfo, l’attenzione pubblica si rivolse nuovamente alle popolazioni musulmane residenti in Gran Bretagna. Poiché generalmente esse erano ritratte come legate a un movimento fondamentalista anti-occidentale di dimensioni mondiali, la lealtà dei musulmani britannici alla causa alleata contro l’Iraq fu messa in discussione.

"La posizione dei musulmani nella sfera pubblica britannica", afferma il Prof. Noibi, "si è evoluta insieme alle ideologie multiculturali e alla ‘politica delle differenze’ che implicitamente tende a fissare o stereotipare le varie identità culturali e comunitarie. Perciò la comunità musulmana è spesso evocata all’interno di questa sfera. I tardi anni ’80 e i primi anni ’90 sono stati caratterizzati, per ciò che riguarda la sfera pubblica sul piano internazionale, dalla nascita di un non ben definito movimento globale chiamato ‘fondamentalismo islamico’, caratterizzato, secondo alcuni, da metodi terroristici, da una retorica anti-occidentale e da sentimenti anti-moderni e anti-liberali. Le fondamentali nozioni di ‘cultura’, secondo le quali tutte le persone di una particolare provenienza sono considerate avere le stesse relazioni sociali, gli stessi comportamenti e gli stessi valori, possono quindi dare l’errata convinzione che ogni comunità islamica debba avere le stesse caratteristiche delle fazioni fondamentaliste viste in Nordafrica e in Medio Oriente. I fondamentalisti musulmani avanzano delle richieste politiche e sono unanimemente considerati una minaccia per l’ordine sociale e politico in Occidente. Anche i musulmani britannici avanzano delle richieste politiche e quindi anch’essi sono visti alla stessa stregua della minaccia fondamentalista. Ovviamente però, se esaminiamo il tipo di richieste che le organizzazioni musulmane britanniche avanzano, è evidente che la stragrande maggioranza di esse chiede soltanto il libero esercizio dei loro diritti civili, allo stesso modo dell’intera società britannica. Poiché però queste richieste sono avanzate da musulmani, che nell’immaginario collettivo hanno gli stessi difetti dei gruppi estremisti mediorientali, di solito non sono avvertite per quello che realmente sono.

Una breve analisi delle varie considerazioni strutturali, degli aspetti discriminatori e delle tante potenzialità può essere d’aiuto per comprendere la reale natura delle richieste avanzate dalle varie associazioni musulmane in Gran Bretagna."

 

  1. 5. DISCRIMINAZIONE E LEGISLAZIONE

 

La maggior parte dei musulmani presenti nel Regno Unito sono cittadini britannici: quasi il 50 per cento è nato in Gran Bretagna e molti altri sono cresciuti in questo paese e vi sono rimasti in maniera permanente. La domanda che ci si pone è se per i musulmani che risiedono in Gran Bretagna si può parlare di una vera integrazione. Accordare la cittadinanza britannica è la chiave che indica il raggiungimento di una perfetta "integrazione"? I musulmani stanziati in Gran Bretagna si attendono di essere trattati allo stesso modo dei nativi inglesi, ma al contrario sono costretti a subire delle discriminazioni razziali da parte di alcuni settori della società britannica. In particolare, sembra che questo concetto di discriminazione razziale sia stato trasmesso soprattutto ai musulmani della seconda generazione, cioè coloro nati in Gran Bretagna. Come risultato il divario tra i musulmani, o altre minoranze etniche, e i giovani cittadini britannici sembra essersi ampliato. Inoltre sembra che i giovani musulmani non siano preparati a tollerare la loro posizione di svantaggio all’interno della società britannica. I loro genitori, che emigrarono dalle loro terre natali per raggiungere le coste del Regno Unito, erano forse disposti a tollerare ed accettare la discriminazione razziale vista come il prezzo da pagare per potere usufruire delle opportunità economiche offerte dalla Gran Bretagna. I giovani musulmani invece non sono disposti a comportarsi come i loro genitori. Quando vengono attaccati sul piano razziale, i giovani musulmani reagiscono in maniera energica. Inoltre è importante che le leggi contro le discriminazioni e le violenze razziali siano forti, e che abbiano delle rigide pene per ottenere un effetto deterrente.

Alcuni dicono che i musulmani che si trovano in Gran Bretagna vivono in una condizione di isolamento se si considera il loro punto di vista religioso e delle loro tradizioni, però economicamente e politicamente sembra che si siano ben integrati nella struttura britannica. Mostrano una volontà ad adattarsi alle strutture sociali di questo paese senza però abbandonare mai la loro identità islamica.

Attraverso vari periodi della storia dell’Islam, tra gli studiosi di legge islamica, hanno avuto luogo tutta una serie di discussioni circa l’attitudine che dovrebbero adottare i musulmani i quali, per una ragione o per un’altra, vivono in un paese retto da un governo non-musulmano. Dovrebbero cercare di abbandonare le loro abitazioni per migrare verso un paese retto da un governo musulmano oppure continuare a vivere sotto regole non-musulmane e, se prevalesse quest’ultima posizione, a quali condizioni?

Le comunità musulmane sono ormai molto più stabili e salde, rispetto al passato, e adesso sono nella posizione di potere affrontare le sfide di una società multirazziale e multireligiosa. I musulmani spesso hanno sofferto poiché la loro religione, la loro cultura e le loro richieste sono state frequentemente fraintese dagli organi di informazione e dalla maggior parte della popolazione. I mass media li hanno descritti come dei "fanatici" e come una minaccia per la cultura e i valori della società britannica. Ovviamente questa è una evidente distorsione della realtà.

La propaganda anti-musulmana mostra anche che alcuni settori della popolazione vorrebbero vedere i musulmani completamente "assimilati". Per assimilazione, però, essi intendono che i musulmani devono abbandonare la propria cultura e la propria religione. Il fatto è che per i musulmani educazione, cultura, lingua, relazioni familiari e religione sono delle cose assolutamente legate tra loro. Dunque, dobbiamo considerare le difficoltà che sorgono in relazione alla pratica del loro credo e delle difesa della loro identità islamica in un ambiente non musulmano che, anzi, a volte, è anche ostile.

"Negli ultimi anni", sostiene il Dr. Kundnani, "la crescita di una forma di razzismo specificatamente anti-musulmana ha reso evidente che ormai sono necessarie delle nuove leggi." Non vi sono dubbi che il "Rushdie Affair" ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica numerosi casi ed esempi riguardanti i rapporti dei musulmani nei confronti della legislazione britannica.

Il "Rushdie Affair" ha messo in evidenza anche tanti altri problemi. Ad esempio, si è notata una certa concordia tra le varie comunità musulmane nel bandire il libro I Versetti Satanici e nel richiedere che la legge contro la blasfemia proteggesse anche i musulmani. Molti musulmani hanno infatti ritenuto che essi, in quanto cittadini britannici, dovessero essere trattati con lo stesso rispetto dei nativi britannici per ciò che riguarda la loro cultura e la loro religione. Di contro, comunque, il "Rushdie Affair" ha offerto al mondo intero un’immagine dei musulmani abbastanza negativa, amplificata dalle approssimazioni dei mass media. Attacchi a moschee e case private si sono verificati a Bradford, Sheffield e nella zona orientale di Londra, soltanto per citare pochi casi. Gli studenti musulmani sono stati oggetto di insulti di carattere xenofobo. In breve, il "Rushdie Affair" rappresenta una grande sfida al concetto di società multirazziale e multireligiosa. Come conseguenza di tutta questa situazione, i membri delle comunità musulmane sono diventate sempre più consapevoli della loro importanza in quanto elettori e hanno incominciato a partecipare maggiormente alla vita politica britannica.

Afferma il Prof. Noibi: "È sicuramente ironico che gli attivisti musulmani abbiano cercato, senza successo, di ottenere il bando de I Versetti Satanici in base alle misteriose leggi britanniche sulla blasfemia, leggi che in origine avrebbero condannato tali attivisti come eretici. Sotto la legge islamica non avrebbero avuto modo di stare in piedi: i giuristi classici avrebbero detto loro che essi stavano vivendo nel Dâr al-Harb. Il loro dovere non è quello di sostenere l’onore dell’Islam nelle corti secolari degli infedeli, ma quello di emigrare in un paese dove la Legge Divina viene ancora applicata". Questa considerazione non solo impedisce di mostrare un elemento di contrasto per gli uguali diritti di avere le leggi britanniche sulla blasfemia (di origine cristiana) applicate anche all’Islam, ma dichiara apertamente che i musulmani, in nome dell’Islam stesso, devono interrompere la loro campagna per sostenere l’onore dell’Islam in occidente e devono ritornare immediatamente nei paesi musulmani. Questa visione ha delle evidenti origini nel diritto islamico classico, però molti attivisti islamici ritengono possa essere ottimamente applicata anche al mondo contemporaneo.

Al momento in Gran Bretagna non esiste alcuna legge che protegge i musulmani dalle varie forme di discriminazione. A questo proposito ci avvaliamo dell’importantissimo aiuto fornitoci da Jon Carr, un avvocato di un autorevole studio londinese, il Boodle Hatfield Solicitors, che da anni si occupa dei problemi delle varie minoranze etniche e religiose. Un importante decreto emanato dalla Camera dei Lord nel 1983 (decreto nato dopo la sentenza del caso Mandla contro Dowell-Lee, si trattava di un direttore scolastico che si rifiutava di far entrare a scuola un ragazzo sikh quando questi indossava il turbante) ha stabilito che i sikh e gli ebrei sono considerati dei "gruppi etnici" e quindi protetti dal Race Relations Act del 1976. Comunque, un altro caso (Nyazi contro Rymans Ltd., che riguardava il rifiuto di un datore di lavoro di concedere agli impiegati del tempo libero per celebrare il ‘Îd al-fitr) ha stabilito che i musulmani non costituiscono una analoga categoria, e quindi a essi non spetta la protezione garantita dal suddetto atto. Le implicazioni di questa decreto risultarono evidenti in un caso del 1991 (Commission for Racial Equality contro Precision Engineering Ltd.) che riguardava un datore di lavoro che aveva sfacciatamente dichiarato di non volere assumere musulmani perché li considerava tutti degli "estremisti". Egli fu riconosciuto colpevole soltanto di "discriminazione indiretta" contro gli asiatici (poiché molti musulmani britannici sono di origine asiatica), mentre i suoi sentimenti anti-musulmani non furono puniti. Più recentemente, dei lavoratori musulmani di un mulino nello Yorkshire hanno affermato che i musulmani sono trattati peggio degli altri lavoratori per ciò che riguarda compiti, stipendi e ferie.

Grazie al supporto delle organizzazioni e degli organi di informazione musulmani, la Commission for Racial Equality (CRE) ha proposto delle misure per porre rimedio a questa situazione. Queste misure includono la richiesta di emanare delle speciali leggi (come quelle esistenti nell’Irlanda del Nord) sulla discriminazione religiosa e sull’incitamento all’odio religioso, simili alle leggi esistenti sulla discriminazione razziale e l’incitamento all’odio razziale. Si è anche preso in considerazione la necessità di un cambiamento nella legge concernente la blasfemia: al momento, soltanto il Cristianesimo è protetto da tale legge. "Il CRE e altri", afferma il Dr. Kundnani, "ritengono che la legge contro la blasfemia debba essere estesa a tutte le altre fedi religiose, oppure essere abolita del tutto. Molti musulmani preferiscono la prima possibilità poiché, dicono essi, in questo modo si potrebbero rimuovere le copie del libro I Versetti Satanici dagli scaffali delle librerie britanniche."

 

  1. 6. MOSCHEE ED ORGANIZZAZIONI

 

In Gran Bretagna non esiste una normativa da applicare alle varie comunità religiose in modo generale. Non ci sono cioè delle direttive governative valide per tutti. Le varie chiese operano grazie a delle norme legali specifiche per ogni chiesa. Esiste una condizione ben stabilita per la Chiesa d’Inghilterra e la Chiesa di Scozia, la prima Anglicana, la seconda Presbiteriana. Il capo di entrambe le Chiese è la regina. Altre chiese vengono amministrate grazie a degli specifici atti legislativi stabiliti dal Parlamento. Il più recente caso significativo è rappresentato dall’Act of Parliament del 1972 che stabiliva la fusione delle Chiese Congregazionale e Presbiteriana di Inghilterra e Galles nella Chiesa Unita Riformata. Da una parte, questo vuol dire che le comunità religiose tradizionali, comprese le principali chiese e la comunità ebraica, possiedono dei privilegi storici che riguardano soprattutto la loro condizione. Dall’altra, ciò vuol anche dire che la loro libertà d’azione è limitata da tutta una serie di regolamenti che molti dei loro membri vorrebbero abolire.

Durante gli anni ’60 e ’70, le autorità locali nell’intera Gran Bretagna, a prescindere dal loro orientamento politico, erano riluttanti a concedere ingenti risorse economiche ai vari gruppi minoritari. Con il sorgere dei dibattiti sulla multietnicità, negli anni ’80 vide la luce un nuovo orientamento politico che propugnava dei maggiori aiuti finanziari e sociali per la varie minoranze etniche e religiose. Alcune autorità governative abbandonarono i loro pregiudizi ed incominciarono ad offrire fondi alle comunità religiose considerate etnicamente differenti.

Oggi la legge che regola le charity organizations (opere pie) fornisce le regole secondo le quali operano le moschee e le organizzazioni musulmane. Da un punto di vista tecnico, queste organizzazioni possono nascere senza dovere essere registrate da nessuna parte. In questo caso, però, non ricevono alcun finanziamento da parte dello stato. Se vengono registrate, comunque, possono ottenere alcuni vantaggi materiali, degli speciali sgravi fiscali e l’obbligo di pagare delle ridotte imposte sulla proprietà. La maggior parte delle organizzazioni registrate come charity organizations sono organizzazioni religiose e culturali, in questo modo tutte le moschee sono virtualmente delle charity organizations.

In tutta la Gran Bretagna esistono circa 1000 moschee; la maggior parte di esse, però, è costituito da qualche stanza e niente di più. È possibile, infatti, distinguere due tipi di moschee. Ci sono quelle molto piccole che nacquero soprattutto dopo l’arrivo della prima ondata di immigrati. Queste sono ricavate da alcune stanze di case private e riflettono una certa omogeneità etnica e teologica. In ogni quartiere in cui risiedono famiglie musulmane esistono diverse moschee e, a volte, in una stessa strada se ne trovano più di una. Capita spesso che comunità di diverse origini geografiche vivano nello stesso quartiere e quindi ogni gruppo istituisce una propria moschea. Questo tipo di moschea è molto comune e gioca un ruolo simile a quello della moschea nel loro paese d’origine, ossia funge da luogo per la preghiera e da piccola scuola coranica (madrasa).

Esistono poi le "nuove" moschee che accolgono al proprio interno le associazioni islamiche. Questo tipo di moschea ha il ruolo di intermediazione tra le famiglie e le istituzioni del paese ospitante. Tali moschee si occupano delle relazioni con la società britannica attraverso varie iniziative: spesso, ad esempio, vengono invitati gli insegnanti e gli studenti delle scuole a partecipare alle funzioni della moschea oppure vengono invitati i preti delle vicine chiese a partecipare a dei dibattiti teologici. Sembra ovvio che per dirigere questo tipo di moschea il solo imâm non è sufficiente; sono necessari anche un consiglio direzionale e diversi amministratori. In alcuni casi c’è anche uno staff editoriale che è responsabile delle pubblicazioni. Lo staff delle moschee (sia questo retribuito o volontario) può includere anche insegnanti, bibliotecari, segretari e consiglieri. Anche se di solito queste moschee ricevono finanziamenti dai loro paesi musulmani d’origine, la cui influenza rimane però limitata, esse sono essenzialmente autonome.

La prima moschea fu costruita nel 1890 a Worthing, nel Surrey. A Birmingham, ad esempio, è stato stimato che esistono oltre 50 moschee, ma la maggior parte sono ricavate da vecchi edifici dismessi. È chiaro che le attività religiose che si svolgono all’interno delle moschee provvedono allo sviluppo della consapevolezza religiosa dei loro membri e, in più, rafforzano nei musulmani la loro concezione di comunità. Le moschee non sono usate soltanto come luogo di culto, ma anche come scuole per l’insegnamento del Corano e delle diverse lingue madri, come centri culturali e di assistenza sociale. Le moschee vengono utilizzate sempre più come luoghi di incontro sociale e comunitario. Inoltre molte moschee hanno al loro interno anche un obitorio e si occupano delle funzioni funebri. A questo proposito va fatto un breve cenno riguardo il problema dei cimiteri islamici. Così come in gran parte dei paesi europei, anche in Gran Bretagna, le famiglie musulmane, per molto tempo, preferirono seppellire i corpi dei loro familiari morti nei loro paesi di origine. Ovviamente questa consuetudine è andata scemando nel corso degli anni e adesso anche i musulmani vengono seppelliti nei cimiteri britannici. In molte città che contano una grande popolazione musulmana, sono stati costruiti cimiteri appositamente per i musulmani. Comunque permangono dei problemi circa il desiderio di seppellire il defunto secondo il rito musulmano, ossia entro le ventiquattro ore dalla morte e utilizzando un sudario in luogo di una bara. La quasi totalità delle autorità locali, infatti, non permette che il corpo venga sepolto prima delle quarantotto ore dalla morte e, con alcune eccezioni, tutti i corpi devono essere seppelliti dentro una bara; i sudari non sono permessi per ovvi motivi igienici.

La moschea viene anche spesso usata come terreno di dibattito politico. Durante le elezioni, infatti, i politici visitano le moschee in cerca di supporto elettorale.

Questo modello di attività religiose organizzate non è peculiare dei musulmani in Gran Bretagna. Gli ebrei hanno usato le loro sinagoghe come un’istituzione per l’identificazione con il Giudaismo. I polacchi in Gran Bretagna appartengono a delle ben distinte parrocchie Polacco Cattoliche Romane. Gli irlandesi cattolici in Gran Bretagna appartengono alla Chiesa Cattolica Romana, che ha giocato un ruolo importante nel preservare le tradizioni dell’Irlanda tra gli stessi immigrati irlandesi.

Lo sviluppo delle moschee in Gran Bretagna è stato studiato da vicino, da parte delle autorità governative, durante le varie fasi dell’immigrazione. Nel 1965 le moschee registrate dal governo erano tredici. A partire dal 1966 si è registrato un incremento annuo di circa sette moschee. Questa nuova attività era la diretta conseguenza del fatto che i vari membri delle famiglie raggiungevano i primi immigrati.

Una nuova fase iniziò nel 1975 quando si registrò la nascita di ben 18 nuove moschee nello stesso anno. Questo fu, in parte, l’effetto della nuova ricchezza petrolifera di molti paesi musulmani. Tale fase coincise anche con la maggiore conoscenza, da parte degli immigrati, delle strutture del potere politico locale ed amministrativo, strutture delle quali cominciavano ad essere parte attiva. A partire dal 1975 il numero delle moschee crebbe ogni anno con un ritmo mai inferiore alle 17 moschee. Nel 1985 si raggiunse addirittura un incremento di trenta moschee.

La tabella che segue riporta il numero delle moschee che nacquero in Gran Bretagna dal 1965 al 1985:

 

ANNO

N. MOSCHEE

TOTALE

1965

 

13

1966

5

18

1967

4

22

1968

9

31

1969

7

38

1970

11

49

1971

8

57

1972

8

65

1973

8

73

1974

8

81

1975

18

99

1976

20

119

1977

17

136

1978

21

157

1979

17

136

1980

29

203

1981

31

234

1982

21

255

1983

22

277

1984

31

308

1985

30

338

1991

262

600

 

I musulmani che vivono in Gran Bretagna hanno dovuto affrontare molti problemi sorti soprattutto a livello locale.

Per la costruzione delle moschee è necessaria una speciale licenza edilizia, concessa dalle amministrazioni locali, per i luoghi di culto. Per molti anni i musulmani riscontrarono diversi e seri problemi ad ottenere tale tipo di licenza. Le autorità locali erano perfino riluttanti a concedere l’uso degli edifici dismessi da convertire in moschee. Erano anche restie ad accettare il fatto che le moschee avessero un ruolo diverso da quello delle chiese, così che si dovette aspettare molto tempo prima che le autorità locali capissero che le moschee venivano utilizzate anche come centri educativi e che le aree riservate al parcheggio delle auto non erano così importanti come per le chiese poiché quasi tutti i credenti le raggiungevano a piedi. Durante gli ultimi anni ’70 e i primi anni ’80 la situazione cambiò; ne è un esempio la città di Birmingham. Nel 1981 il consiglio comunale, comprendendo che le esigenze delle varie comunità religiose non erano uguali per tutti, decise di adottare delle interessanti direttive. Divenne così possibile utilizzare case ed altri edifici dismessi e convertirli in moschee; si accettò il fatto che all’interno di tali moschee si svolgessero attività educative, che l’imâm potesse vivere in una ala dell’edificio e che non erano necessari grandi parcheggi per le automobili. Qualche anno dopo, il consiglio comunale di Birmingham diede il permesso alla Moschea Centrale di potere effettuare la chiamata alla preghiera di mezzogiorno con degli altoparlanti esterni, un privilegio concesso soltanto a poche moschee in tutta la nazione.

Molte moschee, dopo avere ottenuto il permesso edilizio, hanno tentato di registrarsi come luogo di culto nel Registro Generale di Inghilterra e Galles, anche se questa non è una esigenza legale. In questo modo, però, le moschee hanno ottenuto delle riduzioni fiscali. È anche un requisito indispensabile che le moschee vengano utilizzate per la celebrazione di matrimoni validi ai sensi della legge. "Circa un quarto delle moschee in Gran Bretagna", sostiene l’imâm Shaker, "sono ufficialmente riconosciute come degli edifici dove potere celebrare matrimoni. Il numero non è comunque altissimo poiché tradizionalmente le comunità tendono a non celebrare i matrimoni nelle moschee. La maggior parte dei matrimoni islamici vengono, infatti, celebrati negli uffici del Registro Civile. Qualora però un matrimonio venga celebrato nella moschea, è necessario che sia presente un ufficiale del Registro Civile. In alcuni casi particolari, però, il matrimonio è valido anche se celebrato soltanto da un ufficiale musulmano."

Nessuno studio è stato condotto per analizzare fino a che punto i musulmani residenti in Gran Bretagna osservano i loro doveri religiosi. Dalle mie osservazioni personali ho potuto dedurre che la maggior parte degli adulti delle varie comunità non frequentano assiduamente la moschea. La preghiera del venerdì è invece seguita da tantissimi credenti, soprattutto da giovani. Gli edifici nati appositamente come moschee hanno solitamente delle limitate aree riservate alle donne. Ciò è dovuto al fatto che tradizionalmente nel subcontinente indiano (in cui, ricordiamo, hanno origine la maggior parte delle comunità musulmane che si trovano in Gran Bretagna) le donne non partecipano alle preghiere svolte nelle moschee. Molte tra le donne con un’educazione elevata e con un maggiore grado di emancipazione, comunque, partecipano alle preghiere collettive insieme agli uomini.

L’osservanza del Ramadân e delle due grandi feste religiose islamiche è molto più diffusa. A questo proposito, comunque, si sono accesi dei dibattiti sul problema delle assenze dal lavoro e dalla scuola. Come per ciò che riguarda le altre pratiche dell’Islam, esiste una enorme varietà di comportamenti tra i datori di lavoro e i direttori scolastici. Ci sono coloro che non prendono in considerazione le varie necessità dei credenti, e coloro che invece cercano di comportarsi con maggiore flessibilità. Nella città di Leicester, ad esempio, il consiglio comunale ha deliberato che i credenti musulmani, che vogliono prendere parte al digiuno di Ramadân e alle due grandi feste religiose, devono avere garantite, dai loro datori di lavoro e dai loro direttori scolastici, delle ferie da utilizzare per il compimento dei loro doveri religiosi.

Gli sforzi compiuti dalle organizzazioni musulmane e dai loro capi religiosi sembrano accentuare il valore che l’Islam ha per i musulmani ed enfatizzare l’importanza della sua pratica, della sua continuazione e trasmissione alle prossime generazioni di musulmani. Tutto ciò poiché l’Islam regola l’intera vita del musulmano. In generale possiamo affermare che la "prima generazione" di immigrati musulmani è più rispettosa dell’osservanza e dei valori religiosi, e sono più ortodossi nei confronti dei valori occidentali. La "seconda generazione" cerca invece di far conciliare l’insegnamento ricevuto dai loro genitori con le informazioni ricevute a scuola e per mezzo dei mass media. Essi apparentemente sembrano essere orgogliosi del fatto che si sono, in un certo senso, anglicizzati, modernizzati e che abbiano adottato uno stile di vita britannico. Senza dubbio il "Rushdie Affair" ha reso i giovani musulmani molto più consapevoli della loro posizione all’interno della società britannica.

"Negli ultimi anni", afferma Ghaliyah Mir-Hosseini, "anche le donne stanno giocando un ruolo importante nelle attività religiose ed educative delle comunità. Il loro compito è quello di organizzare le scuole dove viene insegnato il Corano e le varie lingue madri. Anch’esse sono state coinvolte nei dibattiti nati all’indomani del ‘Rushdie Affair’. Hanno preso parte alle proteste contro le discriminazioni razziali e religiose nel mondo del lavoro. Alcune sono diventate delle professioniste riuscendo ad amministrare delle piccole aziende e partecipando attivamente alla vita politica. Alcune sono state addirittura elette come consiglieri regionali e altre sono state scelte per ruoli consultativi. Questa tendenza mostra come le donne musulmane educate in Gran Bretagna partecipino sempre più attivamente alla vita economica, sociale e politica del Regno Unito, come il loro ruolo e la loro influenza siano destinate ad aumentare di importanza per il bene non solo delle comunità musulmane ma anche dell’intera società britannica."

In ogni città dove è presente una comunità musulmana esistono decine di organizzazioni musulmane. Un gran numero di tali organizzazioni, come abbiamo già detto in precedenza, ha il loro centro nelle moschee. La maggior parte delle moschee ed organizzazioni in questione hanno visto la luce grazie a delle iniziative locali e sono nate per soddisfare le esigenze delle varie comunità. Allo stesso tempo si è verificato quel processo secondo il quale movimenti islamici, originari soprattutto del subcontinente indiano, hanno stabilito in Gran Bretagna delle loro filiali. È stato proprio a causa di questo background che i movimenti dei Deobandi e dei Barelwi apparvero nel Regno Unito. Questi sono i due gruppi che riscuotono più adepti tra la popolazione musulmana. Inoltre, sono così ben radicati che i conflitti circa il controllo delle moschee e delle risorse delle associazioni sono spesso presentati, in maniera stereotipata, come conflitti tra Barelwi e Deobandi. In realtà dispute tra i due gruppi esistono poiché entrambi si contendono il ruolo di difensori dell’Islam contro i "pericoli" derivati dalla società britannica.

Un altro movimento è il Ahl-i-Hadith che controlla una dozzina di moschee in tutto il paese ed ha il suo centro operativo a Birmingham. Tale gruppo si è fatto notare soprattutto per la distribuzione di libri, pubblicazioni e videocassette di propaganda per una politica di separazione dalla società non-musulmana.

Un’altra categoria di organizzazioni sono quelle considerate di "élite" che possono contare su una piattaforma più ampia e che si occupano di problemi nazionali come lo stato sociale e la scuola. Queste organizzazioni sono state ispirate da movimenti che vantano una certa storia nel mondo musulmano. È il caso della UK Islamic Mission e della Federation of Students’ Islamic Societies (FOSIS).

Un’ulteriore dimensione è rappresentata dalle "umbrella organizations", cioè delle organizzazioni che comprendono altre strutture minori. Esse sono, in parole povere, delle confederazioni di organizzazioni. Tra queste, la più importante è forse la Union of Muslim Organizations of the UK and Eire (UMO), che fu creata nel 1970. Essa fu il primo tentativo di vedere riconosciuta ufficialmente l’importanza della presenza musulmana all’interno delle strutture nazionali.

Il Parlamento Musulmano è un’organizzazione nata con lo scopo di rappresentare tutti i musulmani britannici ma, in verità, non è molto rappresentativa. Il suo precursore, l’Istituto Musulmano, pubblicò il Manifesto Musulmano che era una sorta di manuale con tutta una serie di istruzioni, riguardanti le quotidiane regole di vita, per i musulmani in Gran Bretagna. Mentre da un lato questo riportò fedelmente i sentimenti di molti musulmani britannici, dall’altro propose un gran numero di luoghi comuni. Il leader del Parlamento e dell’Istituto durante gli anni ‘70 e ‘80, Dr. Halim Siddiqui, era molto amato dalla stampa non musulmana per la sua spontanea abilità nel dire cose tanto controverse su argomenti di natura separatista. Molti altri leaders musulmani invece trovavano riprovevoli le sue affermazioni e l’attenzione data dai mass media a questo personaggio.

L’Islamic Party of Britain è nato nel settembre del 1989 poiché molti musulmani convertiti pensavano che per avere una qualche influenza nella vita pubblica fosse necessario avere un certo potere politico e, in quegli anni, non esisteva nessun partito politico britannico che rappresentasse i loro interessi. La consapevolezza politica, in questo senso, nacque dopo il Rushdie Affair. L’Islamic Party of Britain rappresenta il primo partito politico islamico fondato in un paese non musulmano. Nel 1991 il Partito Islamico di Gran Bretagna ha lottato per il suo primo seggio in Parlamento; dopo, però, non ricevette molto sostegno. Oggi il Partito Islamico si è rassegnato a essere più un movimento lobbystico che un partito politico vero e proprio.

L’Association for British Muslims nacque a Londra nel 1974. Gli obbiettivi dell’associazione sono quelli di rappresentare gli interessi di tutti i musulmani, soprattutto dei convertiti, e di progettare una migliore comprensione e partecipazione dell’Islam nel Regno Unito.

Altri apparati nazionali musulmani, come la United Kingdom Action Commitee for Islamic Affairs (UKACIA), sono degli importanti gruppi politici che godono di una grande credibilità sia agli occhi dei musulmani sia agli occhi dei non musulmani. In generale, comunque, i musulmani britannici non possiedono un’organizzazione politica che li rappresenti con autorevolezza nella sfera pubblica britannica.

Esistono anche tutta una serie di organizzazioni che si occupano di assistenza e solidarietà come il Muslim Aid di Londra, l’Islamic Relief di Birmingham, il Muslim Women’s Association e il Muslim Educational Trust. Ci sono inoltre delle organizzazioni specializzate in pubblicazioni di libri o riviste riguardanti l’Islam e i musulmani in Gran Bretagna. L’Islamic Foundation, ad esempio, si occupa di pubblicare opere della letteratura islamica in inglese. Vanno inoltre ricordati i numerosi centri informazioni che offrono consulenza legale su argomenti come l’immigrazione e i benefici sociali: pensioni, assegni familiari, sussistenza di disoccupazione e simili.

Esistono molti movimenti pietistici i più importanti dei quali sono i già ricordati Tablighi Jama‘at e Jama‘at-i-Islamiah che operano anche in molti altri paesi europei. Il loro scopo è quello di fare aderire i musulmani ad una più rigida forma di osservanza islamica, completamente tagliata fuori dall’influenza del mondo occidentale.

Bisogna analizzare separatamente il Centro Culturale Islamico che si trova nella moschea di Regent’s Park a Londra. Esso infatti ha una storia del tutto particolare. Via via che divenne sempre più attivo durante gli anni ‘50 e ‘60, questo Centro si occupò dei bisogni delle comunità di espatriati, professionisti ed uomini d’affari londinesi. A causa della sua importanza, questo Centro viene gestito da un collegio di amministratori fiduciari formato dagli ambasciatori dei vari paesi musulmani. Almeno due fattori, comunque, cambiarono il ruolo della moschea e del Centro nel corso degli anni. Innanzi tutto, la costruzione di nuovi e prestigiosi edifici in altre zone di Londra creò una certa pressione sui responsabili del Centro. Sorsero delle dispute circa lo stile architettonico e l’orientamento dell’edificio. I costi della costruzione in sé furono molto elevati, e i continui lavori di manutenzione crearono delle ulteriori pressioni sull’amministrazione del Centro. In secondo luogo, la crescita di comunità di immigrati musulmani pose vari interrogativi su quale doveva essere il ruolo di tale Centro. Infatti, mentre continuava a servire i bisogni dei suoi vecchi "clienti", esso cominciava a sentire il bisogno di rappresentare l’intera comunità musulmana. Per un po’ di tempo, ciò si tradusse in una politica di organizzazione delle attività pubbliche, cercando di guidare la comunità musulmana in direzioni che venivano considerate appropriate dalla leadership del Centro. Ciò, comunque, provocò delle inevitabili reazioni negative in alcuni settori della comunità, che trovarono una loro risonanza nella stampa britannica. Come conseguenza, il Centro decise di adottare un profilo pubblico più basso, continuando però a rappresentare tutti i maggiori gruppi islamici londinesi e internazionali.

Esiste poi tutta una serie di organizzazioni musulmane molto circoscritte, poiché fanno riferimento a dei gruppi con la stessa provenienza regionale, linguistica o addirittura casta familiare in una determinata città o addirittura soltanto in determinati quartieri. Tali organizzazioni solitamente non possono essere considerate come dei gruppi politici, ma hanno il compito di organizzare delle specifiche funzioni. Bisogna attribuire ad esse e ai loro leaders un grande merito, soprattutto per il ruolo giocato durante gli anni ’60 quando la sfera pubblica britannica era qualcosa di nuovo. Malgrado la loro poca familiarità con le strutture del governo britannico e l’ignoranza britannica riguardo i valori islamici, essi riuscirono ad ottenere un consistente numero di successi come il permesso di potere costruire delle moschee, di compiere la macellazione secondo il rito musulmano e la proprietà di luoghi da utilizzare per i loro cimiteri.

Le organizzazioni musulmane oggi fanno regolarmente parte degli apparati governativi locali. In alcune città, ad esempio a Bradford e a Leicester, esse hanno il compito di curare i rapporti con le autorità locali e regionali. Si può affermare che proprio a questo livello l’impegno politico musulmano è emerso in maniera più energica.

Una ragione di tale cambiamento si può ricercare, senza dubbio, nella maggiore familiarità dei musulmani con gli apparati governativi locali. Parte di tale familiarità è dovuta all’emergere di una nuova generazione di attivisti musulmani nati in Gran Bretagna. Un’altra ragione va ricercata nei mutati atteggiamenti mostrati, durante i tardi anni ’70 e i primi anni ’80, dagli apparati governativi locali nei confronti delle minoranze etniche.

Le organizzazioni islamiche di cui si è parlato in queste pagine sono "visibili" dal mondo esterno. Esse rappresentano quella parte del mondo musulmano che necessita di entrare in contatto con il resto della società. Ciò rappresenta l’accettazione del fatto che esistono delle aree della vita pubblica che influenzano in maniera significativa i musulmani ma che non sono sotto il loro controllo. Essi quindi hanno bisogno di organizzarsi in modo da potere essere notati, così da potere essere in grado di influenzare maggiormente la società britannica.

Esistono, comunque, altri modi in cui l’Islam può esprimersi nella società britannica che sono quasi invisibili dall’esterno. Un esempio è rappresentato dalle turuq, o confraternite mistiche, che arrivarono in Gran Bretagna insieme ai primi flussi di immigrati. Ma sia le loro strutture che i loro scopi hanno contribuito a tenere queste confraternite poco visibili esteriormente. Le loro strutture sono informali. I loro scopi sono solitamente incentrati sullo sviluppo della pietà individuale e della devozione. Molti di tali gruppi sono giunti in Gran Bretagna come ramificazioni di ordini nati nel subcontinente indiano e con delle tradizioni plurisecolari. Ne è un esempio l’ordine della Naqshabandîyya. Comunque, non si può fare a meno di notare che alcuni di tali confraternite sono diventate più "visibili" nel corso degli anni, spesso perché esse hanno ottenuto dei vantaggi nel darsi una struttura formale riconoscibile dall’intera società. Ciò ha permesso loro di richiedere dei fondi pubblici e di ottenere un grado di legittimazione nella vita sociale che altrimenti non avrebbero conseguito in alcun modo.

 

  1. 7. EDUCAZIONE

 

Tra tutti gli argomenti dibattuti dai musulmani in Gran Bretagna, quello dell’educazione è sicuramente quello che ha scatenato le maggiori passioni, ha ottenuto l’attenzione maggiore tra i mass media, ma ha anche alimentato grandi preoccupazioni tra i musulmani. Tali preoccupazioni sono dovute al fatto che molti musulmani temono che nelle scuole britanniche ai loro figli venga impartita un’educazione che li allontani dalla cultura islamica.

Per la maggior parte del periodo che abbiamo preso in considerazione il sistema educativo in Inghilterra e in Galles fu stabilito dall’Education Act del 1944. Secondo le direttive di questo Atto, la responsabilità di provvedere all’educazione dei ragazzi spetta alle autorità locali. Grande potere hanno i direttori scolastici. La realizzazione dei programmi scolastici, la scelta dei libri di testo, i criteri di inserimento degli studenti e la selezione dello staff degli insegnanti sono tutte delle scelte che spettano ai direttori.

L’Atto del 1944 fu, in parte, il risultato di un compromesso tra lo Stato e la Chiesa, e le fondazioni ebraiche e private che per molto tempo avevano provveduto all’educazione dei giovani. Va, infatti, notato che l’obbligo scolastico venne introdotto in Gran Bretagna soltanto nel 1870. La conseguenza di tale compromesso fu che la Chiesa doveva assumere una maggiore responsabilità nell’educazione dei giovani; in cambio lo Stato rendeva l’educazione religiosa parte integrante del programma politico statale. In questo modo, l’istruzione religiosa e gli atti di culto giornalieri all’interno della scuola diventavano obbligatori per legge.

Gli studenti musulmani entrarono a far parte di questo sistema molto lentamente e in ogni classe potevano essere inseriti soltanto due o tre allievi. Questo stato delle cose, comunque, non andò avanti per molto tempo. Dei grandi cambiamenti, infatti, avvennero dopo la grande esplosione migratoria degli anni ’60. Nella seconda metà della decade, il numero degli studenti pakistani raddoppiò. Già verso la fine degli anni ’80, esistevano, in tutto il paese, numerose scuole a maggioranza musulmana.

La reazione iniziale delle autorità all’incremento nelle scuole di studenti di minoranze etniche fu di provvedere ad un maggiore e migliore insegnamento della lingua inglese. In qualche caso si provvide addirittura a spostare gli studenti di scuola in scuola per livellare, in questo modo, la sproporzione esistente tra i vari istituti. Avvenne, infatti, che in alcune scuole erano troppi gli studenti appartenenti ad alcune minoranze etniche e in altre, al contrario, erano troppo pochi. Negli anni ’70 si rese più evidente il fatto che si sarebbe dovuta fare una serie di concessioni per gli studenti musulmani, in modo da farli sentire, in qualche modo, "a casa".

Durante la prima metà degli anni ’80 un consistente numero di organizzazioni musulmane si lamentava del fatto che i bisogni dei musulmani non vennero presi in considerazione quando furono emanati i programmi di educazione religiosa. Diversi studi hanno evidenziato degli evidenti svantaggi e discriminazioni subite dai musulmani nel campo dell’educazione. Alcuni di tali svantaggi vennero riferiti nell’Education for All, ossia il rapporto della Swann Committee (dal nome del ministro relatore) commissionato dal governo britannico nel 1985. Il "razzismo istituzionale" riscontrato in ambito scolastico da alcune minoranze etniche fu evidenziato in questo rapporto, dal quale venne fuori che i giovani studenti turchi e bengalesi rendevano meno rispetto ai loro coetanei britannici e ad alcuni studenti di altre minoranze etniche. Il rapporto proponeva anche l’istituzione dell’insegnamento obbligatorio dei vari credi religiosi, in modo da garantire agli studenti una visione multiculturale della vita. Questa proposta, però, provocò violente reazioni sia tra i "bianchi" che ritenevano che già erano state fatte troppe concessioni alle minoranze etniche, sia tra i "neri" che erano dell’opinione che in questo modo veniva data agli studenti l’impressione che tutte le religioni avevano uguale valore e che si potesse scegliere liberamente quale seguire, contraddicendo la superiorità dell’Islam.

Il dibattito sull’educazione contribuì ad un rapido cambiamento dello scenario politico. La pressione del governo per una comprensiva riforma del sistema scolastico in Gran Bretagna condusse all’Education Reform Act del 1988, con il quale si assistette ad alcuni cambiamenti in materia di educazione. Le autorità scolastiche adesso riconoscevano le diverse necessità e richieste che si presentavano a seconda del differente background culturale e religioso, come nel caso dei musulmani o di altre minoranze etniche. L’Education Reform Act ha portato dei fondamentali cambiamenti nel sistema scolastico britannico, come l’introduzione di un piano di studi nazionale, esami di valutazione all’età di sette, undici, quattordici e sedici anni, una maggiore partecipazione dei genitori all’interno degli apparati scolastici, l’introduzione di ore dedicate all’insegnamento della religione cristiana. Tutti questi cambiamenti sono molto importanti per i musulmani, ma quello che più interessa loro è quello riguardante l’insegnamento della religione cristiana. In questo modo, a meno che i genitori non presentino una richiesta in cui chiedono che i loro figli non partecipino alle lezioni di religione cristiana, gli studenti musulmani sono obbligati a partecipare a tali lezioni. Alcune scuole, comunque, possono ottenere una sorta di esenzione dell’insegnamento della religione cristiana nel caso in cui lo Standing Advisory Council on Religious Education (SACRE - Consiglio Consultivo sull’Educazione Religiosa) decidesse che questa è una cosa inappropriata a causa, ad esempio, di un numero piuttosto grande di studenti di fede non cristiana. In realtà ottenere tale tipo di esenzione è impresa piuttosto ardua.

Diverse organizzazioni musulmane si sono impegnate nel tentativo di rendere consapevoli i genitori musulmani delle implicazioni di questo nuovo atto, incoraggiando il loro coinvolgimento nell’educazione dei propri figli per tentare di influenzare la politica e la gestione delle singole scuole attraverso l’elezione nei consigli d’istituto. Quindi, questo nuovo atto presenta non solo opportunità ma anche sfide per le varie comunità musulmane.

In questi anni si è assistito ad alcuni scontri nelle scuole britanniche a causa dell’atteggiamento di molti studenti musulmani di non volere giustamente rinunciare ai costui tradizionali come, ad esempio, l’uso dell’hijâb, il velo delle donne. Le reazioni tra i musulmani sono state differenti. Alcuni hanno chiesto l’istituzione di scuole pubbliche specificatamente musulmane, a volte con delle conseguenze interessanti. A Bradford, ad esempio, negli anni ’80, un gruppo chiamato Associazione dei Genitori Musulmani chiese che cinque scuole con un alto numero di studenti musulmani diventassero delle vere e proprie scuole islamiche. Alla fine la richiesta non venne soddisfatta, ma il dibattito servì a rendere l’opinione pubblica maggiormente consapevole delle presenza musulmana. Altri, al contrario, non chiedono scuole separate, poiché capiscono che queste creerebbero una sorta di ghettizzazione che nessun musulmano di buon senso vorrebbe. Comunque, la richiesta di scuole separate per i musulmani ha ricevuto, negli ultimi anni, maggiore attenzione da parte della stampa, anche se talvolta il problema è stato confuso con la richiesta di alcuni genitori musulmani di far frequentare alle loro figlie scuole soltanto femminili.

Per venire incontro a tali problemi, in quasi tutte le moschee vengono impartite delle lezioni supplementari di religione e cultura islamica, soprattutto durante il fine settimana. Queste lezioni vengono organizzate da fondazioni come il Muslim Education Trust o la United Kingdom Islamic Mission di Londra.

Possiamo, comunque, affermare che ormai le scuole pubbliche britanniche sono delle moderne scuole multiculturali. Le varie organizzazioni musulmane, gli educatori e gli intellettuali musulmani hanno incominciato da tempo a fare sentire la loro voce e sono riusciti ad ottenere importanti concessioni da parte delle autorità governative. Tali concessioni riguardano:

  • la fornitura di cibo halal nelle mense scolastiche.
  • la possibilità di giustificare l’assenza degli studenti musulmani per potere svolgere la preghiera del venerdì nelle moschee.
  • la concessione di utilizzare spazi stabiliti, per gli studenti musulmani e per gli insegnanti musulmani, per la preghiera nelle scuole.
  • il riconoscimento delle feste religiose islamiche.
  • preservare la modestia femminile nell’abbigliamento (con adeguate uniformi scolastiche) nelle lezioni di educazione fisica e di nuoto (utilizzando delle tute al posto dei calzoncini per le ragazze, provvedendo a delle lezioni separate per ragazzi e ragazze, e utilizzando degli spogliatoi separati).
  • l’ampliamento della presenza di personale musulmano.
  • l’insegnamento non solo della religione islamica ma anche dei valori, della cultura, dell’etica e della storia islamica.

 

Non dobbiamo, comunque, dimenticare l’educazione che viene impartita ai ragazzi musulmani privatamente o nelle madrasa delle moschee. È abbastanza usuale che i bambini imparino a leggere il Corano già nelle loro case grazie all’insegnamento dei genitori. Ma è ancora più usuale che lo imparino nelle scuole islamiche che si trovano all’interno delle moschee e che vengono frequentate durante il fine settimana o nelle ore pomeridiane. Molte tra le moschee più piccole adottano un metodo di insegnamento tradizionale soprattutto se gli insegnanti (o più spesso l’unico insegnante) non hanno grande familiarità con la lingua e la cultura inglese. I bambini, insomma, imparano a decifrare letteralmente il Corano, ossia imparano a leggerlo senza però capirne il significato. Il Corano è scritto in arabo ma la maggior parte dei bambini parla, oltre l’inglese, il punjabi o il bengali, ossia le lingue dei paesi d’origine dei loro genitori. Pochissimi di loro parlano l’arabo. Anche quella esigua minoranza i cui genitori provengono dalla penisola araba, dallo Yemen ad esempio, non sono in grado di comprendere l’arabo classico che è differente dall’arabo che parlano normalmente. Per far fronte a questa difficoltà vengono impartite anche delle lezioni di lingua araba, anche se non sono molto frequentate. Più comunemente, invece, viene usato un Corano in arabo con traduzione inglese a fronte. Anche eventuali dibattiti e commenti su dei passi del testo vengono affrontati in inglese. Nelle madrasa più organizzate vengono anche studiate la vita del Profeta, la storia dell’Islam e il diritto musulmano.

Alla base dell’educazione c’è anche la famiglia che rappresenta una delle pietre miliari della società islamica. La famiglia viene vista come un’istituzione fondata, per volontà di Dio, con il concepimento di Adamo ed Eva. L’obbedienza e il rispetto per i genitori sono dei doveri costantemente puntualizzati nell’insegnamento islamico. Il mantenimento di stretti legami familiari è stato, ed è, senza dubbio, una delle prerogative fondamentali per potere conservare uno stile di vita tipicamente musulmano anche in un paese straniero come la Gran Bretagna. Alla base della famiglia islamica c’è il matrimonio. Questo assicura l’equilibrio tra le esigenze spirituali e corporali dell’essere umano. I matrimoni combinati, che sono abituali tra le popolazioni musulmane, non sono una prescrizione della cultura islamica. "Secondo la shari‘a", ci informa il già citato Prof. Noibi, "il matrimonio è un sacro contratto tra lo sposo e la sposa e qualsiasi matrimonio celebrato senza il consenso della donna non dovrebbe essere valido. I matrimoni combinati hanno però un retaggio culturale e contribuiscono alla conservazione dell’Islam e all’armonia della famiglia musulmana. Ovviamente i ragazzi musulmani di seconda e terza generazione difficilmente possono accettare una simile consuetudine e altre rigide prescrizioni islamiche. È soprattutto in questo campo che si registrano i maggiori contrasti tra genitori e figli. Spesso i genitori provengono da aree rurali molto povere e possiedono una educazione insufficiente per comprendere che i loro figli vivono ormai in un contesto sociale completamente differente da quello dei loro paesi d’origine."

 

  1. 8. PARTECIPAZIONE POLITICA DEI MUSULMANI.

 

All’interno del Regno Unito operano tre differenti sistemi politico-istituzionali che riguardano Inghilterra e Galles, Irlanda del Nord, e Scozia. Mentre il parlamento è unifico, la burocrazia governativa non lo è. A parte i ministeri del Tesoro, Difesa, e Affari Stranieri e Comunitari, che riguardano tutta la Gran Bretagna, gli altri ministeri del governo centrale si occupano soltanto dell’Inghilterra. Nell’Irlanda del Nord, in Galles e in Scozia, invece, essi operano attraverso dei dipartimenti delle rispettive segreterie di stato.

Importante in questo sistema è che non esiste alcuna costituzione scritta, ma piuttosto una tradizione costituzionale in continua evoluzione che è tanto complessa e sottile che lo studio della costituzione britannica è sostanzialmente assente nelle scuole, almeno fino agli ultimi anni della scuola secondaria superiore. Il nuovo arrivato in Gran Bretagna non troverà nessun documento che in termini estremamente chiari spieghi la natura e la struttura del sistema governativo o le relazioni tra il cittadino e lo stato.

La Gran Bretagna, tra tutte le nazioni europee, è l’unica in cui la partecipazione politica è possibile per le varie minoranze etniche. In base alla legge sulla nazionalità del 1948, valida fino al 1983, qualunque persona nata in territorio britannico e nelle colonie ha di diritto la nazionalità britannica. Coloro che invece sono nati nei paesi del Commonwealth (in virtù del fatto che la regina è anche capo del Commonwealth) avevano l’opportunità di diventare cittadini britannici dopo un anno di residenza nel Regno Unito. Delle speciali disposizioni furono pensate per potere fare usufruire i pakistani di tale diritto anche dopo il 1972 (anno in cui il Pakistan uscì dal Commonwealth, per poi essere riammesso nel 1989). La maggior parte dei cittadini dei paesi facenti parte del Commonwealth hanno ottenuto la cittadinanza britannica, al momento del loro stanziamento nel Regno Unito, anche se non parlavano inglese e non avevano alcuna familiarità con le abitudini e la cultura britannica. Essi ottennero il diritto di voto e di presentarsi come candidati nelle elezioni locali e nazionali, il diritto di far parte di una giuria e di lavorare per il servizio civile. In breve, ottennero la possibilità di partecipare ad ogni tipo di attività politica senza alcuna restrizione. Fino all’introduzione del nuovo Nationality Act nel 1981 (entrato in vigore nel 1983) che si metteva alle spalle lo jus soli, i cittadini del Commonwealth residenti in Gran Bretagna potevano quindi acquisire la piena cittadinanza britannica attraverso una semplice registrazione; saltando in questo modo tutto il lungo e complicato processo di naturalizzazione. Già verso la metà degli anni ’70, la maggior parte degli immigrati era diventata di cittadinanza britannica adottando tale metodo.

Con il Nationality Act del 1981, invece, un bambino nato in territorio britannico poteva ottenere la cittadinanza britannica soltanto se almeno uno dei due genitori era già cittadino britannico. In seguito, con l’Immigration Act del 1988, è diventato ancora più difficile ottenere la cittadinanza britannica in quanto tale atto presuppone tutta una serie di requisiti sociali ed economici che rendono il processo di cittadinanza molto complicato.

"Attraverso delle ricerche condotte a livello nazionale sulla partecipazione politica dei musulmani", afferma il Dr. Ahmad Irfan, "è evidente che rispetto all’intera popolazione britannica i musulmani sono politicamente più attivi." Attività che si manifesta attraverso una varietà di forme diverse: il voto; appartenenza ai partiti Laburista, Liberale e Conservatore; lobby individuali e di gruppo, inclusi gruppi di attivisti di quartiere e corporazioni professionali come l’Associazione degli Avvocati Musulmani; proteste per le strade; la formazione di gruppi di vari interessi come la U.K. Action Committee for Islamic Affairs, The Bradford Council for Mosques, An-Nisa Society, The Al Masoom Trust, The British Muslim Association, The Muslim Forum, Muslim Solidarity Committee, The Islamic Foundation, The Muslim Parliament, The Islamic Party of Great Britain. Sono nate anche tante "umbrella organisations" (ossia organizzazioni che comprendono altre strutture minori) come The Union of Muslim Organisations of U.K. and Eire, The Council of Mosques, The National Interim Committee for Muslim Unity, The Supreme Council of British Muslim Conference. Inoltre alcune organizzazioni internazionali come Hizbut Tahrir, Islamic Forum Europe e The World Islamc Forum possiedono delle forti basi e delle vaste reti in Gran Bretagna. I mass media musulmani si sono espansi rapidamente nel Regno Unito con canali televisivi satellitari e via cavo come Asianet, con giornali scritti in inglese come Muslim News, Q. News, Impact International e Alkalifah Press.

Tradizionalmente, il Partito Laburista ha goduto del voto degli immigrati, spesso con una percentuale vicina al 90 per cento, dovuta al fatto che esso si è rivelato più sensibile alle richieste e agli interessi degli immigrati stessi. Ma durante gli anni ’80, il supporto dei musulmani al Partito Laburista sembrò cominciare a venire meno, o almeno ad indebolirsi. Ciò era dovuto in parte alle dispute interne al partito e alle contraddizioni esistenti su alcuni argomenti come, ad esempio, l’etica sessuale. Al tempo stesso, le dichiarazioni del governo Conservatore di Margareth Thatcher sui valori della famiglia cominciarono ad agire come polo d’attrazione per i musulmani. Nonostante tutto, il Partito Conservatore, agli occhi della maggior parte della popolazione musulmana, rimane ancora oggi intrappolato in una politica contro gli immigrati e le minoranze etniche. Come riprova di ciò abbiamo l’esempio delle ultime elezioni, che hanno dato vita ad un governo laburista, dopo decenni di dominio conservatore, durante le quali la maggior parte dei musulmani ha supportato il partito di Tony Blair.

"La partecipazione elettorale tra i musulmani", sostiene il Dr. Irfan, "in termini di affluenza alle urne, si è notevolmente incrementata durante gli ultimi 15 anni. Alcune ricerche hanno evidenziato che meno della metà dei coloni provenienti da paesi del Commonwealth era regolarmente registrata. I dati di tali ricerche, comunque, sono inconcludenti ma evidenziano che il numero dei musulmani regolarmente registrati si andava incrementando. Comunque, dei dati recenti evidenziano che la registrazione di indiani, pakistani e bengalesi è ancora minore rispetto a quella dei bianchi. Anche l’appartenenza a dei partiti politici si è andata notevolmente incrementando tra i musulmani. Il Partito Laburista, soprattutto nelle aree con una forte presenza di popolazione musulmana, è largamente supportato dai musulmani.

L’incrementato livello di partecipazione politica tra i musulmani è una diretta conseguenza dei processi di stanziamento, di sicurezza e prosperità economica, di una migliorata capacità linguistica e professionale e di una aumentata esperienza lavorativa all’interno del sistema statale britannico. Molte campagne di partecipazione politica che avevano come bersaglio i musulmani sono state condotte da varie autorità locali, agenzie di relazioni comunitarie e partiti politici."

È importante sottolineare che l’Islam non rappresenta un omogeneo elettorato politico e culturale. L’Islam non è semplicemente uno dei tanti "altri". "I musulmani", continua il Dr. Irfan, "invocano varie interpretazioni dell’Islam per giustificare le loro particolari strategie politiche. Essi operano sia all’interno che al di fuori del sistema liberal democratico. È evidente che in Gran Bretagna la maggior parte dei musulmani vota per il Partito Laburista ma all’interno di questo allineamento generale esistono varie posizioni politiche e culturali. I musulmani non sono un gruppo indifferenziato, non sono, per usare il linguaggio politico, un unico ‘gruppo di pressione’. La loro identità è molto più complessa di quanto possa sembrare. I musulmani dibattono su cosa voglia dire essere musulmano, quale è il significato dell’Islam e come questo debba essere articolato sia in Occidente che nel resto del mondo. Delle forti fazioni e correnti esistono non solo in Gran Bretagna ma anche a livello internazionale; ed esse sono sicuramente il risultato di questi intensi dibattiti."

La Commission for Racial Equality è il principale organo portavoce delle vittime della discriminazione razziale in Gran Bretagna. I musulmani dibattono sul fatto che il CRE non riconosca una distinta identità religiosa musulmana e quindi fallisce nell’affrontare problemi che i musulmani affrontano proprio in quanto distinto gruppo religioso. Allo stesso modo i musulmani sono critici nei confronti del più ampio discorso sull’eguaglianza affrontato soltanto in termini razziali. Essi preferiscono affrontarlo anche in termini religiosi. I musulmani non hanno alcuna protezione contro i datori di lavoro che compiono delle discriminazioni (gli ebrei, al contrario, hanno alcune protezioni in quanto hanno accettato di farsi riconoscere come gruppo razziale e non religioso come i musulmani). La logica di tutto ciò rimane per me oscura. "Forse", sostiene il Dr. Noibi, "è connessa alla domanda ideologica di secolarizzazione e a un desiderio, da parte della società britannica, di attuare una omologazione culturale. I musulmani vengono incoraggiati ad enfatizzare ciò che più può evidenziare il loro esser emigrati da una terra straniera, cioè la loro identità razziale ed etnica piuttosto che la loro identità islamica. Tra le altre conseguenze, tutto ciò può servire a subordinare le necessità e gli interessi islamici e anche ad aumentare il livello di faziosità tra i musulmani.

Avendo incoraggiato l’interrogativo delle categorie razziali/etniche e il modo in cui esse forzano un’identità culturale e presuppongo una uniformità, è importante non togliere potere a coloro che sono costretti a lavorare collettivamente attorno a certi problemi. Il potenziale potere collettivo della Umma non dovrebbe essere sottovalutato malgrado la mancanza di accordo tra i musulmani riguardo a quale forma essa dovrebbe assumere. In Gran Bretagna esistono un gran numero di problemi fondamentali che riguardano i musulmani e che essi si sforzano di risolvere attraverso un’azione collettiva. È evidente che i musulmani hanno degli interessi in comune ma condividono anche delle esperienze di esclusione. I musulmani sostengono un’unica identità islamica di fronte a delle categorie come quelle degli Asiatici e dei Neri.

Molti musulmani sono impegnati in gruppi e dibattiti anti razzisti. Essi hanno la sensazione di essere obbligati a lottare da una piattaforma più ampia ma molti hanno consapevolezza di questa limitazione. L’identità/etichetta musulmano comprende una molteplicità di identità. È una variegata interpretazione della vita e una contrastata unità/disunità culturale e politica della storia, ma anche un discorso di demonizzazione se utilizzato a scopi discriminatori."

Il maggiore impatto della mobilitazione politica dei musulmani si è registrato a livello locale. Attualmente ci sono più di 160 consiglieri musulmani, concentrati principalmente nelle circoscrizioni comunali delle più grandi città del Regno Unito. La maggior parte di essi è stata eletta nelle circoscrizioni con una popolazione a maggioranza musulmana. Ciò solleva la questione della natura della partecipazione politica e sociale dei musulmani. Può un musulmano rappresentare unicamente altri musulmani? Come in realtà essi rappresentano la popolazione non musulmana delle loro circoscrizioni elettorali? Queste domande vanno al di là dello scopo di questo lavoro ma qui preme considerare che il problema della partecipazione politica è molto variegato e che il dibattito non è di facile soluzione.

Un sistema democratico per sopravvivere necessita di una maggioranza. I circa 1.5 milioni di musulmani presenti in Gran Bretagna sono numericamente quasi del tutto irrilevanti per ciò che riguarda il sistema democratico nazionale. Comunque, è chiaro che come risultato della concentrazione demografica musulmana la partecipazione politica dei musulmani stessi può ancora essere di significativa importanza elettorale. Dei dati precisi non esistono (e comunque sono impossibili), però dei calcoli fatti semplicemente tenendo conto del numero della popolazione si può comprendere la potenziale forza elettorale dei musulmani.

Nel sistema democratico britannico, che è caratterizzato da una bassa affluenza alle urne, soprattutto per le elezioni locali, i musulmani, ed altri gruppi di immigrati, hanno una significativa forza politica "potenziale". È chiaro che i musulmani si stanno costantemente rendendo conto del loro peso politico e, inevitabilmente, i partiti politici dipendono sempre più dai loro voti.

"È importante notare", dice il Dr. Irfan, "come gli immigrati che si sono stanziati in paesi dove è in vigore il sistema proporzionale non possiedono lo stesso peso politico. In paesi come l’Olanda o il Belgio, ad esempio, il sistema elettorale è meno favorevole alle minoranze geografiche. In questi paesi, ai coloni è permesso candidarsi alle elezioni però hanno poche possibilità di essere eletti poiché, dopo il primo turno, i voti vengono trasferiti ai leader delle varie liste. I consiglieri rappresentano i partiti, e non il loro elettorato. Inoltre c’è un minor senso di responsabilità locale. La dimensione locale, quindi, non rappresenta una grande opportunità di mobilitazione politica per le minoranze. Queste differenze comportano delle significative implicazioni per ciò che riguarda la mobilitazione politica e culturale delle minoranze e, conseguentemente, per ciò che riguarda i processi di integrazione a lungo termine."

Esiste poi un crescente, sebbene ancora piccolo, numero di musulmani che votano per il Partito Conservatore. È, comunque, molto difficile calcolare quanto siano questi musulmani che supportano il Partito Conservatore. L’importanza attribuita al lavoro autonomo, alla proprietà e al ruolo della famiglia da gran parte dei musulmani, soprattutto quelli della prima generazione, è in sintonia con la filosofia del Partito Conservatore. Il supporto dato a quest’ultimo è anche una conseguenza del fallimento da parte del Partito Laburista di rappresentare gli interessi e le necessità dei musulmani. Comunque, anche all’interno del Partito Conservatore i musulmani non sono adeguatamente rappresentati. "Possiamo dire che i musulmani", continua il Dr. Irfan, "a dispetto del reale impegno politico del Partito Conservatore, sono stati usati da quest’ultimo nel tentativo di spaccare il voto dei musulmani al Partito Laburista. Questa politica di sfruttamento ha portato a degli enormi insuccessi, ed ha creato un certo antagonismo tra i musulmani."

Oggi molti musulmani sono diventati membri di un qualche partito politico. Il Partito Laburista, nelle aree con un’alta percentuale di popolazione musulmana, può contare tra le sue fila attivisti musulmani. Comunque, questo aumentato numero di musulmani membri del Partito Laburista è visto, da alcuni membri laburisti, con sospetto, essendo chiaro che un consistente numero di attivisti musulmani aderenti al partito siano stati utilizzati solamente per reclutare membri, al fine di supportare la loro campagna politica, nonostante la resistenza di alcuni membri non musulmani.

Quando ho chiesto circa il coinvolgimento dei musulmani nella politica britannica, l’imâm Shaker, che è anche un membro della Federazione delle Organizzazioni Musulmane, mi ha detto "I musulmani non hanno alcun problema per quel che riguarda la loro partecipazione politica, possiamo praticare l’Islam e abbiamo delle moschee e possiamo pregare, possiamo votare ed interessarci a ciò che ci sta intorno. Dobbiamo informare i politici delle nostre necessità e loro se ne interessano al momento delle elezioni quando vogliono i nostri voti. Non esiste alcuna proibizione per i musulmani a partecipare alla vita politica purché non entri in conflitto con le basi della fede. L’attività politica e quella religiosa dovrebbero essere separate, anche se i musulmani hanno il dovere di proteggere in ogni modo la loro fede. Quindi la partecipazione dei musulmani nella politica rappresenta un dovere verso l’intera comunità musulmana." In generale gli intellettuali musulmani pensano che la libertà culturale islamica sia molto più importante della libertà politica.

"I gruppi più fondamentalisti", continua l’imâm Shaker, "come la Jama‘at-i-Islamiah, dicono che i musulmani non dovrebbero avvicinarsi ai partiti politici occidentali e quindi contestano i molti musulmani che fanno parte dei partiti politici britannici. Altri gruppi dicono che nessun musulmano dovrebbe in alcun modo avvicinarsi al processo politico occidentale, però tali gruppi vengono respinti con forza dalla maggior parte delle comunità islamiche. È interessante notare che questi gruppi fondamentalisti raramente hanno attratto tra le loro fila membri che avessero una ampia conoscenza della storia e della legge islamica; piuttosto essi hanno potuto contare sul supporto della classe media insoddisfatta e degli studenti universitari con una formazione scientifica e tecnologica di impronta occidentale."

In conclusione, è evidente che il far parte di un partito politico è un importante indicatore dell’accettazione delle varie minoranze da parte della società britannica. L’entrare a far parte del sistema politico britannico è stato per i musulmani un processo assai problematico. Il Partito Laburista, più di ogni altro partito, ha permesso ai musulmani una grande rappresentatività. Comunque, esistono numerosi segni di esclusione e discriminazione contro i musulmani anche all’interno del partito. I musulmani sono stati costretti a mobilitarsi e ad organizzarsi grazie all’aiuto di alcuni supporti esterni. Forse come conseguenza, essi hanno acquistato maggiore consapevolezza del loro peso politico. Il sistema politico britannico è quello che offre ai musulmani le più vantaggiose possibilità di massimizzare il loro potere politico e, quando essi agiscono con un unitario progetto collettivo, sono in grado di trovarsi nella posizione di influenzare in maniera significativa, anche se magari non determinante, il risultato elettorale in molte circoscrizioni locali.

 

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