II. MUSULMANI IN EUROPA

 

II. 1. Cenni su una presenza variegata e problematica

La presenza dell’Islam in Europa non costituisce, come si è visto, un fatto nuovo. I musulmani hanno vissuto e viaggiato attraverso il Vecchio Continente per oltre mille anni, praticamente quasi dall’inizio della storia dell’Islam stesso. Parallelamente al flusso e riflusso della presenza politica e sociale dei musulmani nel corso dei secoli, soprattutto in Spagna, in Sicilia e nei Balcani, varie componenti della civiltà islamica contribuirono ad arricchire il panorama artistico e culturale dell’Europa occidentale. Comunque, a causa di quell’immagine che l’Occidente ha dell’Islam, immagine presentata spesso in maniera selvaggia e costruita in modo da giustificare le crociate cristiane, da legittimare l’espansionismo coloniale o, in generale, per convincere gli europei della loro superiorità morale, l’Europa in particolare da per scontato il fatto che esista una separazione netta tra due "mondi" così vicini ma anche tanto lontani allo stesso tempo.

Sarebbe forse legittimo chiedersi chi sono i musulmani. Nel contesto europeo, si presume che il termine "musulmano" si riferisca a persone provenienti da paesi con popolazione musulmana e un’eredità civile islamica. Ciò non è comunque corretto per coloro che non vogliono essere etichettati in alcun modo. Per esempio, da una ricerca, condotta dall’International Herald Tribune nel maggio 1995, sui 13.000 stranieri che vivono in Francia viene fuori che il 68 per cento degli algerini non sono interessati al fatto religioso. Uno studio compiuto da Felice Dassetto mostra che il 60 per cento dei musulmani in Europa si pone nei confronti della religione con un "silenzio indifferente". Si tratta di persone che sono orgogliose di essere musulmane ma che non vogliono essere classificate secondo etichette religiose. Il 20 per cento è rappresentato da individualisti, cioè da gente che pratica la religione in forma privata senza partecipare ai riti collettivi. Il restante 20 per cento è formato dai militanti, i più attivi nel promuovere l’Islam e nel cercarne proseliti.

Al giorno d’oggi in Europa vivono circa 27 milioni di musulmani che corrispondono al 7 per cento dell’intera popolazione europea. Le comunità musulmane residenti nel Vecchio Continente si possono dividere in quattro categorie storiche.

La prima categoria è rappresentata da alcuni gruppi rimasti, dopo l’arrivo delle forze dell’impero Mongolo, durante il Medioevo, in quella parte del continente europeo che formava l’ex Unione Sovietica. Mentre l’Islam era ufficialmente tollerato sotto il regime comunista, il governo sovietico combatteva sistematicamente, in maniera non ufficiale, ogni identificazione etnica basata su principi religiosi e soppresse con la forza, soprattutto dopo il 1941, ogni comunità musulmana. Dopo la caduta del regime sovietico, oggi questa categoria conta circa 11.5 milioni di persone, comprese tra chi cerca di ricostruire e rivitalizzare quella identità islamica andata quasi perduta, e chi continua a difenderla clandestinamente.

La seconda grande categoria è il risultato della presenza ottomana nel resto dell’Europa orientale. Attualmente questa popolazione si aggira intorno ai 5 milioni di musulmani. Se si escludono i territori dell’ex Unione Sovietica, la Bulgaria, l’Albania e l’ex Yugoslavia sono i paesi con la maggiore presenza musulmana nell’Europa dell’est. L’Albania conta circa 2.24 milioni di musulmani su una popolazione totale di oltre 3 milioni di persone. La popolazione dei territori dell’ex Yugoslavia è di circa 24 milioni di persone, e di queste il 10 per cento sono musulmane. In Bulgaria risiedono poco più di 1 milione di musulmani a fronte di una popolazione totale di oltre 8.7 milioni di persone. Gruppi più piccoli di musulmani si trovano in Grecia, Romania e Ungheria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Musulmani nell’Europa dell’est - 1994

 

STATO

AREA IN KMQ

POPOLAZIONE TOTALE

X 1000

POPOLAZIONE MUSULMANA X 1000

PERCENTUALE MUSULMANA

%

Albania

28.750

3.374

2.362

70

Bulgaria

110.910

8.799

1.144

13

Ungheria

93.030

10.319

0.301

3

Polonia

312.680

38.654

0.150

0.4

Romania

237.500

23.181

0.928

4

Bosnia-Erzegovina

51.233

4.651

1.861

40

Croazia

56.538

4.697

0.057

1.2

Serbia e Montenegro

102.350

10.759

2.045

19

Slovenia

20.296

1.972

0.02

1

 

La terza categoria è anche la più giovane poiché riguarda quei musulmani che si sono insediati nell’Europa occidentale, tra gli anni ’50 e gli anni ’70, contestualmente con le richieste, da parte degli imprenditori europei, di forza lavoro a buon mercato. Sin dal 1945 l’Europa occidentale è stata testimone di diverse ondate di immigrazione. Una riguardava la fase del dopo guerra, con i naturali spostamenti dovuti al riassetto delle varie frontiere nazionali e al processo di decolonizzazione. Un’altra fase riguardava l’enorme flusso di lavoratori prima e dei loro familiari dopo, i quali al giorno d’oggi ammontano a circa 11 milioni. Una ulteriore fase era rappresentata dal flusso di rifugiati, per i quali in alcuni casi era stato possibile spostarsi a causa degli sconvolgimenti politici dell’Europa orientale; in altri casi essi rivendicavano un preciso status politico dopo che per loro le porte dell’economia erano state chiuse; ma si devono ricordare anche coloro che sono stati costretti ad abbandonare i territori dell’ex Yugoslavia a causa della guerra civile che ha devastato quella parte del nostro continente. Questi differenti flussi di migrazione hanno interagito tra di loro e/o si sono sovrapposti l’uno all’altro.

Sono proprio i rifugiati a rappresentare la quarta e ultima categoria dei musulmani in Europa. Questi si possono suddividere in due gruppi: coloro che cercano rifugio da regimi dittatoriali del Vicino e Medio Oriente, e le vittime della "pulizia etnica" che sono state costrette a scappare a causa dei rivolgimenti politici che hanno investito gli ex blocchi socialisti. A parte l’espulsione di greci e armeni dalla Turchia e l’espulsione di turchi dalla Grecia nella prima parte del secolo, si è assistito a dei notevoli scambi tra cristiani e musulmani. Una piccola minoranza di musulmani turchi risiede ancora nella Grecia nordoccidentale, ma vive in condizioni di notevole discriminazione. L’indipendenza algerina del 1962 portò in Francia 1 milione di persone provenienti dall’ex colonia nordafricana. Cipro fu divisa tra turchi e greci nel 1974. Circa 320.000 musulmani turchi fuggirono in Bulgaria nel 1989. Dopo la caduta dello Shah nel 1979 il numero degli iraniani presenti in Germania si triplicò, sino a raggiungere le 90.000 unità nel 1990. Alla fine degli anni ’80 in Francia si contavano circa 50.000 iraniani, mentre in Gran Bretagna erano 31.000 nel 1991. Attualmente nel Regno Unito gli irakeni che fuggono dal regime di Saddam Hussein sono circa 80.000.

Probabilmente il più noto degli esodi di questi ultimi anni è quello che ha visto come protagonisti i musulmani bosniaci. Purtroppo non è possibile stabilire con esattezza quanti siano stati i musulmani coinvolti in questo esodo, poiché le aree in cui vivevano i musulmani bosniaci sono state stravolte dalla guerra e dall’opera di "pulizia etnica".

 

 

II. 2. 1. LA COMUNITà EUROPEA

 

Le 15 nazioni appartenenti alla Comunità Europea comprendono un’area totale di 3.216.795 kmq e una popolazione che nel 1994 ha superato i 370 milioni di persone. Nonostante la maggior parte di queste nazioni possa vantare degli antichi rapporti con l’Islam, al giorno d’oggi, alle soglie del 21° secolo, la loro popolazione musulmana supera di poco gli 11 milioni di abitanti. Il numero delle comunità musulmane presenti all’interno della Comunità Europea è comunque cresciuto considerevolmente durante questo secolo. Nel 1901 nell’Europa occidentale i musulmani erano quasi del tutto assenti. Nel 1971 il loro numero è cresciuto fino a toccare 4.5 milioni di persone. Nel 1991 si sono raggiunti i 10 milioni, e nel 1995 è stato superato il limite degli 11.5 milioni. Questi numeri, come si può ben immaginare, sono destinati a crescere in maniera notevole.

Le due tabelle che seguono riportano i dati (aggiornati al 1994) riguardanti l’attuale stanziamento musulmano nell’Europa occidentale, e i dati riguardanti l’incremento raggiunto nel ventennio 1971-1991. Tra i dati che prima di altri saltano agli occhi, si nota che i musulmani rappresentano il 2.8% della totale popolazione della Comunità Europea. La Francia detiene il primato in quanto a numero di abitanti musulmani (4 milioni), e la più grande percentuale (7%) tra tutte le nazioni dell’Europa occidentale. Si nota anche che il numero dei musulmani residenti nelle nazioni della CEE si è triplicato nel periodo che va dal 1971 al 1991, e che la loro percentuale rispetto all’intera popolazione europea è cresciuta dal 1.3% al 2.8% fino a raggiungere, nel 1995, il 3.1%.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Musulmani nella Comunità Europea - 1994

 

STATo

AREA

IN

KMQ

POPOLAZIONE TOTALE

X 1000

POPOLAZIONE MUSULMANA

X 1000

PERCENTUALE DI MUSULMANI

%

Francia

547.026

57.840

4.000

7.0

Germania

356.628

81.087

2.500

3.1

Regno Unito

245.813

58.135

1.500

2.8

Paesi Bassi

33.612

15.367

450

3.0

Belgio

30.000

10.062

450

4.5

Italia

301.224

58.138

400

0.7

Spagna

504.750

39.302

350

0.9

Grecia

131.944

10.564

300

2.9

Austria

83.849

7.954

120

1.5

Svezia

449.750

8.778

100

1.2

Danimarca

43.069

5.146

100

1.9

Norvegia

324.219

4.314

50

1.2

Portogallo

91.530

10.524

20

0.2

Irlanda

70.282

3.539

20

0.6

Lussemburgo

2.586

0.401

10

2.6

TOTALE

 

3.216.795

 

371.151

 

10.370

 

MEDIA 2.8

(3.1 nel 1995)

 

 

 

 

 

 

 

Incremento delle popolazioni musulmane in Europa occidentale dal 1971 al 1991

 

STATO

NO. DI MUSULMANI

NEL 1971

(X 1000)

%

NEL 1971

INCREMENTO 1971-1991

%

Francia

2.000

3.9

100

Germania

1.150

1.5

117

Regno Unito

750

1.3

100

Italia

150

0.1

700

Paesi Bassi

130

1.0

246

Belgio

120

1.2

275

Grecia

110

1.3

173

Spagna

90

0.3

289

Austria

35

0.5

243

Svezia

17

0.2

488

Danimarca

16

0.3

525

Norvegia

5

0.1

900

Irlanda

2

0.07

900

Lussemburgo

2

0.6

400

Portogallo

1

0.01

1900

TOTALE

 

4.478

 

1.3

 

132

 

 

 

 

 

 

II.1.2. MOTIVI DELL’INSEDIAMENTO MUSULMANO IN EUROPA OCCIDENTALE

Le comunità musulmane che al giorno d’oggi si trovano nell’Europa occidentale nascono da due fattori ben precisi: 1) l’insediamento nella società europea di quegli elementi indigeni che avevano combattuto al fianco del potere coloniale contro i movimenti nazionali di liberazione; 2) i lavoratori portati via dalle colonie, o da altre nazioni musulmane, per svolgere lavoro sottopagato al fine di accrescere l’espansione economica dell’Europa negli anni ’60 e ’70. Dopo che, negli anni ’80, le varie comunità musulmane si erano stabilite in Europa, nuovi flussi di immigranti giunsero ad accrescere le comunità già esistenti. I capi famiglia giunti nel Vecchio Continente in cerca di fortuna chiamarono al loro fianco i propri familiari rimasti inizialmente nelle loro terre d’origine. A essi si aggiunsero un numero consistente di illegali e di rifugiati politici.

È estremamente interessante notare che se oggi in Europa esistono così tante comunità musulmane ciò è dovuto anche a un errore di calcolo da parte dei vari gruppi in questione. Coloro, infatti, che avevano collaborato con le potenze coloniali accettarono di emigrare in Europa, ma con l’idea che sarebbero ritornati nelle loro terre d’origine non appena la situazione si fosse calmata. Dal canto loro, le potenze europee non avevano progettato di insediare nuove comunità musulmane. Essi pensavano che se queste persone erano state disposte a rischiare la propria vita a favore delle varie potenze europee, tradendo i propri fratelli, allora sarebbero stati in grado di assimilarsi facilmente. Avrebbero perso la loro identità islamica e non sarebbero diventati diversi dagli altri cittadini, perfino per ciò che riguarda la religione. Tutto ciò, pensava l’establishment europeo, se non fosse accaduto con la prima generazione, si sarebbe almeno verificato con la seconda. Le cose comunque non andarono come pensavano le due parti. I "collaboratori" non poterono più tornare in patria, e i musulmani rimasti in Europa non perdettero mai la loro identità islamica.

L’importazione in Europa di lavoratori musulmani fu il risultato di una decisione presa, quasi di comune accordo, tra i governi dell’Europa occidentale, i governi dei paesi musulmani, i lavoratori musulmani e i datori di lavoro europei. Nessuna delle quattro parti appena citate aveva intenzione di stabilire in Europa delle nuove comunità musulmane. I governi europei pensavano che avrebbero usufruito di manodopera a basso costo per un periodo di tempo limitato. Dopo tale periodo questi lavoratori sarebbero ritornati nelle loro terre d’origine senza lasciare alcun effetto sociale nelle varie nazioni europee in cui erano stati ospiti. I governi musulmani, dal canto loro, pensavano che in questo modo sarebbe stato possibile risolvere i crescenti problemi di disoccupazione, che assillavano i paesi islamici, e allo stesso tempo pensavano di creare, con i risparmi che gli emigrati avrebbero inviato alle loro famiglie, una fonte di "valuta forte", con un alto potere di acquisto. Essi avevano tutto l’interesse per tenere sotto controllo gli immigrati, e anzi avrebbero preferito che tra loro si instaurasse una sorta di rotazione. I lavoratori musulmani ritenevano che andando in Europa avrebbero guadagnato i soldi necessari per costruire una decente abitazione dove vivere con tutta la famiglia, una volta tornati nei loro paesi di origine. Infine, i datori di lavoro europei volevano soltanto risolvere i loro problemi di salari e non si curavano di tutto il resto.

Andando avanti con gli anni, i lavoratori musulmani chiamarono le proprie famiglie che li raggiunsero in Europa, o addirittura si formarono delle famiglie direttamente nel Vecchio Continente. I loro figli, sia quelli che erano arrivati dai paesi musulmani ma ancor più coloro che erano nati in Europa, cominciarono sempre più a sentirsi a casa. Più crescevano e più non volevano tornare nelle terre dei loro genitori. Quindi quando questi movimenti migratori cominciarono a riguardare non più i singoli elementi ma intere famiglie, la permanenza in Europa divenne definitiva. In questo modo le somme di "valuta forte" che i lavoratori musulmani inviavano nelle loro terre d’origine cominciarono a mancare. Inoltre il lavoratore immigrato musulmano aveva stabilito una sua nicchia nell’economia del paese in cui era ospitato. Questo voleva dire che non poteva più ritornare nel suo paese natale senza creare dei notevoli danni economici sia al paese europeo in cui si era stabilito sia alla società musulmana da cui era emigrato.

Non appena gli immigrati musulmani si stabilirono definitivamente nelle nazioni di coloro che erano stati i loro colonizzatori, cominciarono a esserne influenzati, ma anche a influenzare quelle società, divenendo colonizzatori essi stessi. Molti di loro ottennero la nazionalità straniera o vennero naturalizzati. Gli appartenenti a quella che viene chiamata seconda generazione ottennero la nazionalità per nascita. L’Islam divenne sempre più un fatto nazionale in tutti i paesi europei. Oggi è legittimo parlare di un Islam europeo e i suoi problemi non riguardano più quelli legati all’emigrazione, ma sono problemi concernenti la situazione interna del nostro continente.

Durante la prima fase dell’immigrazione musulmana, i lavoratori che giunsero in Europa erano soprattutto uomini i cui piani erano quelli di restare nel Vecchio Continente per un periodo di tempo limitato. Il fatto che si trattasse di uomini soli voleva dire che le loro esigenze per le pratiche religiose erano minime. Per loro era sufficiente avere la possibilità di pregare. Cosa contribuì a ridurre all’essenziale tali pratiche religiose fu anche la speranza di un imminente ritorno a casa, e la sensazione che la famiglia e il focolare domestico rimanevano sempre il centro della loro identità culturale e religiosa. Fino agli ultimi anni ’60 i musulmani che si erano stanziati in Europa non sembravano preoccuparsi di difendere la religione islamica dagli attacchi che venivano dalla società europea. Anzi la maggior parte di loro non sembrava neppure mostrare alcun segno di religiosità.

La situazione cambiò profondamente quando, verso la fine degli anni ’60, l’immigrazione riguardò intere famiglie musulmane, anche a causa della situazione interna al mondo musulmano, sia socio-economica che politica, soprattutto all’indomani della sconfitta araba del Giugno 1967 durante la III guerra arabo-israeliana. Quando le prospettive economiche cominciarono a migliorare queste popolazioni allontanarono dalla loro mente l’idea di poter tornare in patria. Quello che avevano messo da parte non era abbastanza per potere intraprendere una nuova vita nelle loro terre d’origine. In più, la prospettiva di una maggiore assistenza sanitaria e scolastica per i loro figli era di gran lunga migliore in Europa rispetto a qualsiasi paese musulmano. I lavoratori musulmani si andavano sempre più "integrando" nella nuova realtà europea. Cosicché tutti coloro che erano arrivati nel Vecchio Continente da "single" cominciarono a formare delle famiglie. La sensazione di temporaneità che aveva caratterizzato la loro permanenza in Europa, a poco a poco, venne rimpiazzata dal desiderio di stabilirsi definitivamente nel nostro Continente. Inoltre, la presenza delle mogli e dei figli aumentò la voglia di interazione con la società circostante. Come conseguenza di tutto ciò si vide la progressiva nascita di tutta una serie di istituzioni musulmane volte a difendere i valori della famiglia "islamica" in terra straniera. Si assistette al fiorire di moschee e scuole musulmane. Si sentiva sempre più l’esigenza di garantire il diritto allo studio per gli studenti musulmani in terra europea. Quasi tutte le organizzazioni musulmane in Europa nacquero grazie al contributo degli studenti universitari. Sale per la preghiera sorsero in tutte le fabbriche. Gli industriali capirono che questo era un modo poco costoso per rendere i lavoratori musulmani "felici". I governi europei videro in questo fenomeno un confortante segnale di integrazione (sempre che si arrestasse a un livello marginale).

 

Numero delle moschee in Europa occidentale.

 

STATO

1961

1971

1981

1991

Grecia *

350

350

380

400

Germania

10

50

600

1000

Regno Unito

10

125

230

600

Paesi Bassi

5

20

250

400

Francia

4

33

421

1500

Italia

1

2

20

100

Svezia

1

1

20

180

Austria

1

2

20

120

Spagna

0

5

40

120

Portogallo

0

1

5

20

Belgio

0

15

120

300

Danimarca

0

1

10

50

Norvegia

0

1

4

40

Irlanda

0

1

2

5

Lussemburgo

0

0

2

10

 

TOTALE

 

382

 

607

 

2.124

 

4.845

 

 

L’improvviso incremento del numero delle moschee e delle sale per la preghiera in tutta Europa era un chiaro segnale della penetrazione dell’Islam nell’Europa occidentale. Negli anni ’80 migliorò anche la qualità di questi centri. Inizialmente, infatti, si trattava di sale affittate, appartamenti privati o garage. In seguito quelle che prima erano soltanto delle sale di preghiera divennero dei Centri Islamici, i cui proprietari erano le varie Comunità Musulmane, e ognuno di questi Centri includeva una moschea, una scuola e dei servizi sociali.

A partire da questo momento la situazione delle comunità musulmane in Europa fece degli enormi progressi. Entrarono in gioco nuovi protagonisti: i musulmani della seconda generazione e i convertiti. In questa società in movimento giocarono un ruolo sempre più importante le varie comunità musulmane locali che adesso godevano di una propria individualità; il Governo Saudita che, anche se non aveva propri cittadini residenti in Europa, non rinunciava a ribadire il suo ruolo di custode delle città sante della Mecca e di Medina; i partiti politici; le Chiese cristiane, cattoliche, protestanti, ortodosse.

Le varie comunità musulmane cercarono di stabilirsi all’interno della Comunità Europea, di difendere la propria esistenza in quanto comunità e garantirsi un certo futuro raggiungendo l’uguaglianza con le altre comunità religiose. Di solito i governi europei cercarono di contrastare le aspirazioni delle comunità islamiche con ogni mezzo legale. I governi musulmani, dal canto loro, cercarono di tenere sotto il proprio controllo i cittadini emigrati all’estero, senza però far niente per favorire il loro ritorno. Anzi non volevano affatto il loro ritorno a causa della cronica disoccupazione che affliggeva questi paesi. Per ciò che riguarda la posizione delle Chiese non si può fare a meno di notare una certa ambiguità. All’inizio, infatti, cercarono di aiutare i musulmani a integrarsi in questa nuova realtà; in seguito però divennero inquiete di fronte alla loro crescente presenza. I partiti politici incominciarono a mostrare un certo interesse nei confronti dei voti dei musulmani non appena questi divennero cittadini europei e ottennero il diritto di voto.

La crescente presenza di famiglie musulmane in Europa ha anche fatto avanzare loro tutta una serie di richieste, soprattutto nel campo educativo, che riguardano le necessità e i bisogni degli studenti musulmani e dei loro genitori: scuole solamente femminili, semplicità dell’abbigliamento, discrezione nella pratica dell’attività fisica (piscine, docce, spogliatoi), possibilità nelle scuole di pregare alla ore stabilite dal Corano e di rispettare le festività islamiche, presenza di carne halal nelle mense.

Bisogna dire che già a partire dalla seconda metà degli anni ’70 l’immigrazione di lavoratori musulmani in Europa era diventata quasi impossibile a causa delle misure restrittive adottate dai vari governi europei. Al giorno d’oggi l’immigrazione nel nostro continente è possibile soltanto per i rifugiati e per i familiari di coloro che vi si sono già instaurati. In molte nazioni europee la presenza musulmana è il risultato della loro politica coloniale. Il passato coloniale della Gran Bretagna, ad esempio, ha causato una massiccia presenza in Inghilterra di immigrati musulmani provenienti dal Pakistan, dall’India e dall’Africa orientale. La Francia ha stimolato l’immigrazione degli abitanti delle sue ex colonie sia per ragioni economiche sia per ragioni demografiche. In Francia possiamo distinguere due diverse categorie di musulmani: gli Harkis e i Beurs. Gli Harkis sono gli algerini che hanno combattuto a fianco dei francesi durante la guerra d’indipendenza algerina, e che si trasferirono in Francia all’indomani della vittoria del movimento di liberazione nazionale algerino. In Algeria il termine ha assunto la connotazione di "infame", "traditore". Adesso gli Harkis vivono in una situazione di profonda alienazione nei confronti dei francesi e degli altri immigrati algerini. I Beurs sono invece i figli, nati in Francia, degli immigrati magrebini. Agli abitanti di alcune colonie fu permesso di stabilirsi in Francia senza dovere subire alcuna restrizione da parte del governo francese. Per questo motivo attualmente molte persone provenienti dall’Africa occidentale e settentrionale, soprattutto algerini, vivono in territorio francese. Per lo stesso motivo nei Paesi Bassi si registra una forte presenza di comunità originarie del Suriname e delle Antille. Belgio, Germania, Paesi Bassi e Svezia durante gli anni ’60 e ’70 hanno importato forza lavoro dalla Turchia e dal Marocco. Il Regno Unito, dal canto suo, ha anche utilizzato i lavoratori provenienti dai paesi membri del Commonwealth.

Come risultato di questi complessi processi di insediamento si nota che lo status legale dei musulmani in Europa varia considerevolmente. Coloro che hanno un background coloniale, come i musulmani provenienti dai paesi membri del Commonwealth in Gran Bretagna, gli algerini in Francia o i surinamesi nei Paesi Bassi, di solito possiedono la nazionalità inglese, francese e olandese, spesso insieme alla nazionalità del loro paese di origine, a condizione che questi risultino ufficialmente residenti (e quindi siano fiscalmente in regola) in uno dei dati paesi da un periodo variante tra gli otto e i quindici anni. Inoltre possono ottenere la cittadinanza europea i figli di genitori stranieri se nati nel Vecchio Continente e al compimento del 18° anno di età. La maggior parte del resto degli immigrati musulmani sono soltanto degli stranieri.

Un numero molto consistente di musulmani che oggi si trovano in Europa occidentale è stato reclutato come forza lavoro per un periodo che, inizialmente, avrebbe dovuto esser di uno o due anni. Comunque a causa della mancanza di lavoratori negli anni ’50 e ‘60, la presenza straniera divenne un fattore permanente. L’aspetto più evidente della crescente stabilità delle comunità musulmane in Europa si può vedere nel processo di riunificazione familiare che prese corpo negli anni ’70 del nostro secolo. Ciò portò alla creazione di tutta una serie di infrastrutture specifiche e indispensabili per la vita dei musulmani. Moschee, scuole islamiche, centri culturali e centri religiosi sorsero un po’ dappertutto. Gli immigrati andavano manifestando sempre più la loro identità islamica, ed erano ormai parte integrante del panorama sociale delle nazioni nelle quali si erano stabiliti. Questi sviluppi ebbero anche un forte impatto sul modo di considerare l’Islam da parte delle stesse comunità musulmane, e sul ruolo realmente giocato da questa "religione". Per loro l’Islam non era più soltanto e soprattutto una religione praticata individualmente, ma andava diventando un fattore che contribuiva a dare loro una ben distinta identità sociale, cioè quella della comunità musulmana al di fuori del mondo musulmano.

Comunque, la proliferazione delle moschee in tutti i paesi europei ha stimolato varie forme di atteggiamenti anti-musulmani. In Germania, per esempio, le domande per la costruzione di moschee nella città di Hannover, nel 1994, sono state tutte respinte a causa delle proteste popolari di cittadini tedeschi.

 

*

 

In gran parte del continente europeo le autorità pubbliche offrono dei vantaggi finanziari alle comunità musulmane con aiuti di tipo educativo, culturale e, a volte, religioso. Ma per potere usufruire di tali vantaggi queste organizzazioni devono adottare un’identità riconosciuta dallo Stato. Tali organizzazioni, quindi, devono instaurare una commissione, promuovere delle regolari sottoscrizioni, organizzare degli incontri annuali, disporre delle votazioni etc.

Tali forme organizzative sono tradizionalmente estranee all’Islam dove non esiste una Chiesa e una struttura gerarchica. Non è forse un caso che quelle organizzazioni che, nel loro paese di origine, si sono strutturate secondo questo concetto occidentale sono state le prime a trasferire le loro attività in Europa. Basti pensare al caso della pakistana Jama‘at-i-Islamiah.

Nel contesto legale europeo si sono evidenziate numerose differenze riguardanti la natura di tali organizzazioni. In Gran Bretagna i criteri da adottare per fondare una organizzazione musulmana sono minimi. Non è richiesta nessuna registrazione ufficiale, anche se esistono delle agevolazioni fiscali per chi si registra come Charity Organization. La naturale conseguenza di tale mancanza di controllo è stata la proliferazione di una miriade di organizzazioni, alcune con un nome ambizioso ma con sedi fatiscenti.

Le organizzazioni che sono state create non sono tutte necessariamente ed esplicitamente musulmane. Molte di loro nacquero basandosi sulla etnia o la provenienza geografica.

Gli stanziamenti in Europa non hanno comportato la fine dei rapporti con il paese di origine. Le relazioni familiari sono state conservate parimenti ai legami con la località di provenienza. Gli sviluppi locali hanno un effetto diretto sugli interessi immediati delle comunità di immigrati.

Più grandi sviluppi politici, economici e sociali nelle nazioni di origine continuano ad avere, comunque, i maggiori effetti sui musulmani in Europa. Per gli individui o i gruppi con certe ambizioni politiche, le comunità emigrate rappresentano un’arena per le loro operazioni libera dalle costrizioni dei loro paesi. Ciò fu particolarmente evidente nella Germania Occidentale degli anni ’70, quando vari gruppi politici turchi, banditi dalla Turchia, ottennero supporto e finanziamenti. La Francia sperimentò qualcosa di simile durante la guerra d’Algeria e arrestò centinaia di algerini residenti oltralpe per privare la rivoluzione del loro supporto. Più recentemente, anche la comunità pakistana in Gran Bretagna è stata usata da Benazir Bhutto e dai suoi oppositori per la stessa ragione. Di un simile processo sono stati testimoni i curdi in Svezia.

Tali sviluppi politici hanno anche un importante effetto, in Europa, sull’ambiente in cui i musulmani devono operare. La percezione dell’Islam e dei musulmani in Europa è determinata maggiormente dagli eventi politici internazionali che dagli stessi insediamenti musulmani. La rivoluzione iraniana, la guerra civile libanese e l’attività della resistenza palestinese hanno rinvigorito i secolari preconcetti nei confronti del mondo islamico, e spesso questi sentimenti sono stati supportati da razzismo e da movimenti xenofobi. La crisi del Golfo Persico non ha fatto altro che evidenziare maggiormente tali sentimenti. L’effetto di tale ostilità di parte dell’opinione pubblica ha ridotto, in maniera consistente, lo spazio nel quale le organizzazioni musulmane possono organizzare le loro attività.

L’atteggiamento generale dell’autorità pubblica in Europa è stato quello di appoggiare le attività culturali ed educative, mentre non avviene la stessa cosa per le attività religiose. La più ovvia conseguenza di tale politica è stata il diffondersi del concetto di "centro culturale islamico", un concetto che, se riferito al mondo musulmano, ha un’importanza completamente differente, inglobando nell’Islam sia il dato puramente religioso, sia quello culturale.

 

 

II. 2. LE ASSOCIAZIONI DEI MUSULMANI IN TERRA D’EMIGRAZIONE

 

Le organizzazioni musulmane, che oggi hanno messo radici in Europa, sono il prodotto non soltanto del tradizionale processo di islamizzazione ma anche della reazione musulmana all’espansione dell’influenza europea durante gli ultimi due secoli. Ciò è molto chiaro nel caso del subcontinente indiano, dove diversi movimenti riformistici sono nati per difendere gli ideali islamici dal crescente potere espansionistico europeo. Il primo di questi movimenti apparve nel XVIII secolo quando l’impero Moghul venne indebolito all’indomani della morte del sultano Aurangzeb avvenuta nel 1707. Un’ulteriore fase, che ha condotto direttamente a molte delle organizzazioni musulmane attuali, si sviluppò durante l’occupazione britannica. Più recentemente, tante organizzazioni islamiche presenti oggi in Turchia, nacquero come risultato dei cambiamenti voluti negli anni ’20 da Mustafà Kemal Atatürk.

Le varie associazioni musulmane sono organizzate in relazione ai paesi di origine dei loro membri. È ancora raro trovare delle associazioni musulmane in Europa i cui membri vengono selezionati tra le comunità musulmane diverse e tra gruppi linguistici differenti. Tali associazioni hanno alcune caratteristiche in comune con il ricco panorama dei gruppi e delle associazioni delle stesse comunità musulmane: promuovere il culto e la vita religiosa, incoraggiare i legami tra le comunità musulmane, provvedere all’assistenza e al supporto morale delle persone che si trovano sotto continue costrizioni.

Nel contesto europeo le differenze sono molto significative. Queste associazioni musulmane in Europa, invece di lavorare in una società musulmana che le supporta, lavorano in una società che a volte è ostile e sospettosa, ma in ogni caso neutrale e di poca cooperazione. Qui prendono corpo poche tensioni e conflitti sociali, mentre c’è più spazio per le imprese individuali. Infatti, tra gli immigrati c’è chi conduce una esistenza estremamente precaria, vivendo talvolta da criminale o spacciando droga. I musulmani sono sempre sotto costante pressione anche a causa della diffidenza che c’è intorno all’Islam, della discriminazione sociale e della marginalizzazione economica. Le organizzazioni musulmane devono lottare affinché i loro membri possano ottenere rispetto.

Le attività di queste organizzazioni, anche se molte somigliano a quelle di organizzazioni non musulmane, sono concentrate all’interno dei gruppi islamici e pongono una certa attenzione verso la società circostante. Come molti gruppi cattolici, protestanti ed ebrei, le associazioni musulmane si sostentano autonomamente e non sono nella posizione di poter dividere con gli altri nulla eccetto la loro proverbiale ospitalità.

Se prendiamo come punto di riferimento le attività sociali, possiamo classificare le associazioni musulmane in quattro categorie.

  1. Le associazioni più spirituali che non hanno alcun rapporto con il potere politico, come le associazioni legate alle confraternite mistiche turuq, ahl al-hadith e tabligh ("missione"). La loro maggiore preoccupazione è rappresentata dal conseguimento del benessere spirituale dei loro membri e di una migliore conoscenza religiosa. Ciò corrisponde, più o meno, al concetto di religione come qualcosa che deve essere perseguito per amor proprio o per amore di Dio e dell’anima. Tali associazioni tendono a mantenere una certa distanza dalla politica e dallo Stato.
  2. Le associazioni che si adoperano per migliorare le condizioni sociali, culturali e scolastiche dei loro membri. Queste associazioni sono interessate a ottenere dei sussidi dallo Stato in cui risiedono e anche a ricevere aiuto dal loro paese di origine. Le attività di tali associazioni rientrano, a volte, in quello che è "l’ordine stabilito". Ciò vuol dire che esse non sono estranee agli avvenimenti del paese in cui vivono e, ovviamente, a quelle dei loro paesi di origine.
  3. Le associazioni che si interessano al miglioramento delle condizioni sociali, culturali e scolastiche, come la categoria precedente, ma che allo stesso tempo, appellandosi ai valori dell’Islam, esprimono malcontento nei confronti degli affari pubblici e delle politiche governative dei loro paesi di origine. Di solito queste associazioni non chiedono alcun aiuto ai governi dei paesi musulmani e possono anche trovarsi in contatto con gruppi di protesta o di opposizione là dove vorrebbero un cambiamento politico, più in conformità con quello che loro considerano essere l’insegnamento islamico. Tali organizzazioni hanno una interpretazione dell’Islam più severa e si sforzano di ottenere una più concreta applicazione di tutta una serie di norme e precetti islamici. Come conseguenza, i membri di queste associazioni sono portati a ritenersi degli stranieri nelle nazioni europee, poiché qui l’Islam viene considerato un pericolo contro il mantenimento dell’ordine pubblico. Dai mass media queste associazioni vengono indicate come fondamentaliste o integraliste, ma esse in realtà mostrano una grande varietà di sfumature di scopi, metodi e significati.
  4. Una quarta categoria è rappresentata da quelle associazioni che vogliono provocare molto più che dei semplici cambiamenti occasionali nelle leggi esistenti in quei paesi europei nei quali vivono. Esse chiedono, ad esempio, il riconoscimento ufficiale della religione islamica o l’accettazione di alcune parti della Shari‘a (legge islamica), in particolare quelle che riguardano materie come il matrimonio, il divorzio o l’eredità. Queste associazioni sono politicamente attive non soltanto nel loro paese di origine ma anche nella nazione europea presso la quale risiedono. Considerano l’Islam non soltanto come una religione, un modo di vita e un’ideologia, ma anche come una particolare struttura sociale legata a un concreto disegno politico. La loro azione è generalmente incoraggiata e supportata da altri gruppi simili che si trovano in tutto il mondo musulmano.

 

Ma le organizzazioni musulmane possono essere classificate anche secondo diverse tipologie:

  1. Quelle che sono nate per servire i bisogni di una comunità locale e per venire incontro alle necessità dei vari gruppi con origini nazionali e regionali diverse, delle minoranze islamiche (come ad esempio gli Ismailiti), dei vari gruppi linguistici o sociali come i giovani, le donne e gli studenti.
  2. Le organizzazioni nate come una sorta di estensione di altre organizzazioni operanti in paesi musulmani, come la Jama‘at-i-Islamiah, importante partito politico pakistano legato a molte organizzazioni musulmane in Gran Bretagna.
  3. Quelle che in pratica sono delle estensioni del governo di un’altra nazione. Come il Dipartimento Turco delle Questioni Religiose.
  4. Le organizzazioni che hanno dei chiari e stretti legami con il governo di un’altra nazione. Un esempio di questo caso è rappresentato dalla Grande Moschea di Parigi e dai suoi rapporti con il governo algerino.
  5. Quelle che hanno beneficiato soltanto finanziariamente dei contributi offerti dal governo di un altro paese. Non si conoscono, ad esempio, benefici politici derivati dal contributo di 2 milioni di sterline che Saddam Hussein ha versato, nella seconda metà degli anni ’80, per la costruzione della moschea di Birmingham, in Inghilterra, il cui nome è legato al governo saudita.
  6. Ci sono poi le organizzazioni che sono legate ad un organismo musulmano internazionale, ad una confraternita mistica o a un movimento religioso, come può essere il Tablighi Jama‘at.
  7. Esistono infine quelle che sono organizzate, coordinate o appoggiate dalle agenzie governative nazionali o locali. In questo caso possiamo ricordare il Centro Culturale Islamico del Belgio.

Si potrebbe dire che esiste una certa connessione tra la natura delle attività delle associazioni musulmane e le loro attitudini verso i governi delle nazioni europee e dei loro paesi di origine. Ogni studio su una particolare associazione musulmana necessita di grande attenzione verso queste connessioni, su come vengono espresse in parole le loro idee (incluso l’interpretazione dell’Islam), e su come vengono messe in atto (incluso l’applicazione dei precetti islamici). Comunque, non ci sono soltanto le diverse tipologie delle associazioni musulmane a spiegare la loro diversa inclinazione verso lo Stato. Esistono, infatti, anche numerosi fattori sociali, economici e personali che aiutano a chiarire le loro diverse attitudini.

In Europa, per amore di sopravvivenza, molte associazioni musulmane si presentano come società, associazioni e fondazioni adottando così uno status legale ufficialmente riconosciuto. Le loro azioni sono spesso in disaccordo con ciò che il loro status prescrive. La mancanza di una vera e propria organizzazione formale pone queste organizzazioni di fronte al rischio di manipolazioni esterne per scopi politici o personali. Ma ciò rende anche difficile allo Stato ospite riuscire a controllare tali associazioni. In questo modo, la mancanza di una organizzazione razionale, rende possibile, a queste associazioni, una certa libertà nei confronti dell’autorità statale.

In Francia il fallimento della vecchia politica di assimilazione culturale spiega in parte il prevalere di atteggiamenti negativi e di comportamenti discriminatori nei confronti degli immigrati musulmani nordafricani. L’atteggiamento a volte negativo del governo francese, verso i musulmani residenti in Francia, non sembra ancora essere stato superato dopo le polemiche del velo negato a scuola ad alcune ragazze. Gli stessi partiti politici sembrano mostrare una certa ambiguità dopo la crescita del Fronte Nazionale di Le Pen.

La Gran Bretagna si distingue per il suo sistema di governo decentralizzato. La maggior parte delle decisioni riguardanti le minoranze etniche vengono prese dalle comunità locali. Le leggi sull’immigrazione e sulla naturalizzazione sono invece di competenze del governo centrale e sono molto severe. La maggior parte degli immigrati musulmani nel Regno Unito proviene dal Pakistan e dall’India. Una minoranza è originaria dell’Africa e di altre ex colonie come la Malaysia. La attuale politica nazionale e locale tende a ottenere la migliore integrazione possibile per questa gente, con il massimo rispetto per la loro cultura e la loro religione.

In Germania esistono varie legislazioni, nei confronti dei musulmani e degli altri immigrati in ogni Länder, anche se il Governo Federale di Bonn prescrive alcune raccomandazioni generali.

Ogni nazione europea ha quindi proprie leggi riguardanti l’immigrazione. Esiste, comunque, un disegno comune che è emerso, ad esempio, nello stesso identico atteggiamento adottato da ogni governo europeo all’indomani della fatwa, cioè la condanna a morte che l’Ayatollah Khomeini promulgò il 14 febbraio 1989 nei confronti dello scrittore indiano Salman Rusdhie per il suo libro I Versetti Satanici. Questo disegno ha delle caratteristiche precise:

  1. A causa della separazione tra Stato e Chiesa in Europa non può esistere una "questione islamica" in quanto l’Islam viene considerato una religione a tutti i sensi di legge. In molte nazioni europee il credo religioso non viene più nemmeno registrato e non è oggetto di domanda nei censimenti.
  2. Le comunità musulmane sono libere di organizzarsi come "associazioni" o "fondazioni" riconosciute dalla legge, e godono della stessa libertà di espressione di tutti gli altri, a meno che non minaccino l’ordine pubblico. Conseguentemente, la Shari‘a può avere lo status di "regola morale" ma non di "regola legale". Gli immigrati musulmani sono soggetti alle leggi dei paesi in cui sono ospitati. Ogni desiderio di vedere applicata la Shari‘a in Europa mi sembra meramente illusorio. Bisogna comunque ricordare che i gruppi che chiedono l’applicazione della Shari‘a in Europa rappresentano una esigua minoranza.
  3. Lo Stato non sovvenziona le attività religiose delle associazioni musulmane. Non esistono progetti per sostenere gli affitti, le ristrutturazioni o le costruzioni di moschee o sale per la preghiera. Comunque, ciò non esclude che singole città o autorità regionali provvedano a stanziare dei contributi da destinare a questi scopi. Molte nazioni europee, invece, finanziano tutta una serie di attività non religiose, come i lavori sociali, promosse da associazioni musulmane e che possono favorire il loro processo di integrazione. Naturalmente privati cittadini possono spontaneamente donare a tali associazioni somme di denaro da spendere come esse ritengono più opportuno.
  4. è ormai divenuto molto facile, per gli immigrati musulmani della seconda e terza generazione, ottenere la nazionalità del paese di residenza. Ciò ovviamente non ha niente a che vedere con l’Islam, però serve a favorire la "integrazione" di coloro che sono stati ammessi nella nazione in questione. Per lo stesso scopo molti paesi hanno incominciato a introdurre diverse norme per combattere la disoccupazione tra gli immigrati, che è sproporzionatamente alta rispetto al tasso di disoccupazione dell’intera popolazione. Un’altra misura volta in questa direzione è rappresentata da tutta una serie di iniziative scolastiche promosse per migliorare la qualità culturale degli studenti musulmani e favorirne l’inserimento negli strati direzionali della società. In molti paesi europei sono stati istituiti dei corsi di studio che riguardano tutti gli aspetti dell’immigrazione, anche se molti di questi studi nascono dagli interessi economici e legislativi della nazione ospitante. La politica di "integrazione", che comunque è ben distinta da quella di una completa assimilazione, è nutrita soprattutto dalla paura che le comunità di immigrati possano diventare delle enclave, più o meno piccole, o dei ghetti all’interno delle città europee, fomentando degli atteggiamenti razzisti e un clima da apartheid.
  5. è interessante notare che, in certi casi giuridici, alcune posizioni sono attenuate dal fatto che vengono prese in considerazione alcune leggi e usanze prevalenti nei paesi di origine degli immigrati in questione. In alcuni casi, riguardanti ad esempio i cimiteri, sono state addirittura modificate alcune leggi per poter venire incontro alle esigenze dei musulmani.
  6. La recessione economica dei primi anni ’80 portò alla transizione da uno stato assistenziale a una politica di privatizzazioni. Ciò volle dire che le possibilità che avevano le varie nazioni per provvedere economicamente ai bisogni delle comunità musulmane furono drasticamente ridotte. In materia di immigrazione musulmana venne adottato, in tutta Europa, un atteggiamento più restrittivo, anche in considerazione alla paura causata dal "terrorismo" islamico di quegli anni.

In generale, in molte nazioni europee durante gli ultimi trent’anni, sono stati creati, o si sono formati spontaneamente, dei nuovi canali di comunicazione tra i vari governi e gli immigrati musulmani. In tale rapporto comunicativo le varie associazioni islamiche giocano un ruolo di primo piano. In tutta Europa la strada di tale canale di comunicazione è stata aperta dai negoziati tra i rappresentanti di governo da un lato e le associazioni che difendono gli interessi dei musulmani dall’altro.

 

 

II. 2. 1. LE BARRIERE STRUTTURALI

 

Se guardiamo ai contatti che nella storia ci sono stati tra l’Europa e i musulmani non possiamo non sottolineare il ruolo giocato dalle chiese, i re, i capi di Stato e i governi. La Prussia arruolò i Tartari nell’esercito. L’Austria, così come qualche Stato tedesco, aveva degli immigrati turchi presi prigionieri nelle guerre contro l’impero ottomano, o degli elementi musulmani dovuti all’annessione dei territori ottomani. La Francia aprì una moschea a Parigi in segno di gratitudine verso i musulmani che avevano combattuto tra le fila francesi durante la prima Guerra Mondiale. Allo stesso modo, Churchill, durante la seconda Guerra Mondiale, firmò un decreto con il quale il governo britannico donava ai musulmani un certo territorio nella città di Londra per potere costruire una moschea, come riconoscimento per l’apporto dato dai musulmani all’impero britannico durante le due guerre.

La crisi economica, precipitata con la guerra Arabo-Israeliana dell’ottobre 1973, ha inoltre incrementato la visibilità sociale dei gruppi musulmani. Allo stesso tempo tali gruppi cominciarono a sperimentare i problemi legati all’integrazione in quanto vittime della disoccupazione, e molti di loro abbandonarono il mito di un ritorno in patria e cominciarono a considerare la possibilità di restare in Europa.

Gli stanziamenti permanenti di minoranze etniche in Europa occidentale hanno anche stimolato le discussioni sulla possibilità e il desiderio da parte di queste minoranze di essere integrate nella società europea, senza però perdere di vista i tratti distintivi della loro cultura e il loro retaggio religioso. Si è quindi andato definendo il concetto di società multi-culturale, vista come una società in cui sia gli elementi autoctoni, sia gli elementi stranieri possano essere accettati come parti costitutive di detta società, senza dovere rinunciare a nessuno degli elementi della loro cultura. Inoltre, una società per essere definita multi-culturale deve fare in modo che questa visione venga riflessa nella politica ufficiale dei vari governi, non solo in teoria ma anche e soprattutto nella pratica. Purtroppo le tante minoranze etniche, tra cui i musulmani, che oggi vivono nel nostro continente si trovano ad affrontare delle situazioni di stento e privazione. La loro è una posizione socioeconomica e culturale di basso rilievo che viene riflessa da un’altissima percentuale di disoccupazione, di ritiri scolastici, dalle misere condizioni delle abitazioni in cui vivono e dalla povertà dei centri religiosi in cui pregano. Queste basse condizioni socioeconomiche e culturali, in cui versano le minoranze nell’Europa occidentale, possono essere spiegate con l’esistenza di barriere strutturali, le quali sono causate sia dal sistema sia dai gruppi in questione.

Le barriere strutturali sono degli ostacoli, non accidentali né temporanei, che non permettono una uguale partecipazione nella società ospitante, e che riguardano la mobilità socioeconomica e la possibilità di osservare gli essenziali doveri religiosi. In altre parole, le barriere strutturali sono dei fattori che limitano l’emancipazione e le pari opportunità per ogni minoranza etnica e religiosa, e dunque contribuiscono alla loro marginalizzazione economica, sociale e culturale. Queste barriere servono come una plausibile spiegazione per la posizione marginale di tali gruppi, e sono la ragione della loro continua dipendenza dalla maggioranza della popolazione.

Le barriere strutturali sono inerenti alla società, da un lato, e agli individui e i gruppi in questione, dall’altro. La società, infatti, riflette le relazioni inter-etniche soprattutto nelle forme di pregiudizio, stereotipi e discriminazione delle minoranze etniche e religiose. Inoltre le barriere si possono ritrovare anche all’interno dei settori legali e costituzionali della società, in particolar modo nelle pratiche discriminanti e nelle direttive di certe istituzioni e organizzazioni. Le barriere inerenti agli individui e ai gruppi sono il tradizionalismo, la scarsa educazione e capacità di linguaggio e l’incerta stabilità nel paese ospitante. Anche la diversità inter-etnica e religiosa, varie discordie e la mancanza di una unità organizzativa a livello nazionale possono essere considerate come barriere strutturali. Tutti questi fattori giocano un ruolo estremamente importante nel processo di marginalizzazione.

 

Per capire tutte le possibilità e gli ostacoli che i musulmani incontrano in Europa è di estrema importanza porre attenzione sulla relazione tra il potere politico e il potere religioso in ogni singola nazione europea.

Nei Paesi Bassi il principio di libertà religiosa e la separazione della Chiesa dallo Stato sono garantiti dalla Costituzione. Lo Stato non ha nessuna possibilità di interferire negli affari interni delle comunità che basano la loro esistenza sulla religione. Un altro importante principio è che il concetto di uguaglianza e non-discriminazione va applicato non soltanto al singolo individuo, ma anche ai diversi tipi di gruppi e istituzioni. Ogni comunità religiosa o filosofica e le loro organizzazioni e istituzioni hanno un uguale status nella loro relazione con lo Stato. Questi ha il dovere costituzionale di continuare a trattare i gruppi religiosi su una base di uguaglianza e neutralità, anche se questi gruppi sono del tutto separati dallo Stato.

In Belgio la Costituzione offre l’opportunità di riconoscere diverse forme di culto religioso e lo Stato è obbligato a finanziare le spese per il mantenimento delle loro infrastrutture. Il governo belga, come quello olandese, paga anche i salari dei funzionari religiosi che offrono il loro supporto pastorale in alcune istituzioni statali come l’esercito o le carceri.

In Gran Bretagna non c’è nessuna precisa separazione tra la Chiesa e lo Stato, e non esiste nessun sistema con il quale lo Stato possa riconoscere le comunità religiose. Al contrario, la Chiesa d’Inghilterra è la Chiesa dominante e svolge un ruolo centrale nel paese. Nella società britannica l’unione del potere politico e di quello religioso si manifesta in svariati modi. La Regina è sia il Capo dello Stato sia il Capo della Chiesa d’Inghilterra. L’educazione religiosa di chiara natura cristiana è obbligatoria nelle scuole statali e un funzionario religioso può celebrare matrimoni che sono legalmente riconosciuti.

La stessa cosa accade, più o meno, in Svezia e Danimarca dove la Chiesa Luterana e la Chiesa Evangelica Luterana occupano rispettivamente una posizione centrale.

In Francia, invece, esiste una netta separazione tra la Chiesa e lo Stato stabilita dalla Costituzione.

Anche in Germania la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione.

Recentemente in Italia la Corte Costituzionale, con una sentenza che stabilisce che non esiste alcuna differenza tra chi compie il reato di vilipendio nei confronti della religione cattolica e chi invece si macchia dello stesso reato nei confronti di altri culti, ha di fatto deliberato che la religione cattolica non deve più essere considerata alla stregua di una religione di Stato.

Comunque, nonostante la separazione tra Stato e Chiesa e i vari sistemi politici secolari, i Governi di tutte le nazioni prima menzionate contribuiscono finanziariamente, in un modo o in un altro, al mantenimento delle infrastrutture delle varie comunità religiose. Ovviamente i modi di finanziamento e le somme da destinare ai vari servizi variano da Stato a Stato. In generale i contributi finanziari comportano il pagamento del costo delle attività pastorali, possibili rimborsi o esenzioni, e sussidi per il mantenimento e restauro dei monumenti. Per potere usufruire di tali finanziamenti, contributi e detrazioni fiscali in Germania è necessario essere riconosciuti come un corpo statale, in Svezia come una Chiesa Libera e in Gran Bretagna come una Charity Organization, ovvero una sorta di Opera Pia.

Sebbene tutte le nazioni europee pongono l’accento sulla libertà di religione, allo stesso tempo evidenziano come questa libertà debba essere limitata dalla legge. Lo spazio garantito alla liberà religiosa, infatti, varia da nazione a nazione. Ed è chiaro che quelle norme e quei valori che provengono dalla cultura cristiana sono privilegiati, mentre quelli che provengono dall’Islam hanno qualche difficoltà nel trovare un proprio spazio.

Per quel che concerne l’Islam, la libertà di religione, in pratica, è concepita in Europa più o meno nel senso di tolleranza nei confronti dei credenti che osservano i loro obblighi religiosi individuali. Questo implica il fatto che ci sono pochi spazi legali per le cerimonie collettive come la preghiera del venerdì e le due grandi feste annuali. In molte nazioni europee la possibilità per i musulmani di ottenere fondi pubblici per il miglioramento della loro vita religiosa non si è ancora realizzato, a causa di tutta una serie di ostacoli. La religione islamica viene ancora considerata come una religione "straniera". Tanti governi non hanno ancora capito che l’Islam è ormai diventato parte integrante della loro vita sociale, politica e culturale.

Per le prossime generazioni di immigrati in Europa possiamo aspettarci un ulteriore processo di secolarizzazione. Ciò non implicherà automaticamente la scomparsa dei valori dell’Islam. Al contrario, si potrebbe discutere sul fatto che, nonostante le differenze esistenti nel modo di concepire l’Islam, il background islamico diventerà sempre più un simbolo di identità comune per questi immigrati. Un simbolo che li differenzierà dalla società che hanno intorno. In altre parole, l’Islam sarà portato in primo piano, non come un’entità di rituali religiosi e regole di comportamento, ma come un simbolo di una separata identità.

Nel formare un nuovo Islam in Europa, i giovani musulmani, uomini e donne, reclamano il concetto di ijtihâd, "sforzo di interpretazione" o "giudizio indipendente", non come un diritto speciale per gli studenti ma per tutti i musulmani.

Le barriere strutturali per i musulmani in Europa differiscono anche per ciò che riguarda la divisione di responsabilità tra i governi nazionali e locali. L’amministrazione più centralizzata si trova in Francia, mentre nelle altre nazioni europee ci sono diversi gradi di sistemi decentralizzati.

Uno dei primi ostacoli che si possono menzionare è rappresentato dalle leggi per la naturalizzazione. Lo status di stranieri rappresenta una barriera alla emancipazione dei musulmani residenti in Europa occidentale. Ciò intralcia seriamente la loro partecipazione in alcuni settori della società e impedisce loro di godere di alcuni privilegi.

La partecipazione politica e il diritto di voto per gli stranieri esiste a livello locale in Svezia e in Olanda, mentre in Belgio tale partecipazione è limitata ai soli consigli consultivi. I governi dei paesi ospitanti possono anche impedire la formazione di organizzazioni politiche da parte degli stranieri, ove vi fosse la possibilità che queste organizzazioni possano arrecare serie minacce alla vita pubblica. Non è nemmeno possibile per gli stranieri ottenere dei posti di lavoro negli uffici pubblici o nell’amministrazione dei Ministeri degli Interni, degli Affari Esteri, della Difesa e simili. In Belgio, dove l’Islam fu riconosciuto ufficialmente nel 1974, per ottenere il permesso di fondare una moschea o una qualsiasi organizzazione musulmana è necessario che la maggior parte dei soci fondatori possegga la nazionalità belga. La stessa cosa avveniva in Francia sino al 1981, quando questo obbligo venne abolito. Leggi locali e nazionali e diverse misure legislative spesso causano delle serie difficoltà per i musulmani che vogliono fondare una moschea o ottenere le agevolazioni necessarie a creare dei cimiteri musulmani.

Per ciò che riguarda l’educazione sono poche le scuole islamiche, eccetto che in Olanda e in Danimarca. In questi paesi l’insegnamento dell’educazione religiosa islamica è ormai una realtà in molte scuole pubbliche, e diverse scuole islamiche sono state finanziate con i fondi pubblici. Non esiste nessuna specifica educazione religiosa islamica nelle scuole pubbliche in Gran Bretagna, Svezia, Germania, Francia o Italia. In alcuni di questi paesi, comunque, esistono delle strutture nelle quali viene impartita una educazione supplementare nella lingua e nella cultura di origine.

Gran parte delle nazioni europee hanno messo in atto dei provvedimenti legislativi per permettere alle ragazze musulmane di indossare i loro abiti tradizionali anche a scuola. Ciò non ha però impedito che in Inghilterra, Francia, Belgio, Germania e Olanda si siano verificati dei casi di intolleranza nei confronti di ragazze musulmane che indossavano il velo.

In Francia nel 1989 avvenne un caso, divenuto ormai famoso, che pose degli importanti interrogativi sulla posizione dei musulmani in Europa. Furono dirette testimoni di questa vicende tre ragazze musulmane che frequentavano una scuola superiore a Creil. Queste ragazze indossavano il velo a scuola nonostante l’istituto vietasse a chiunque di mostrare segni evidenti del proprio credo religioso. A queste ragazze fu allora impedito di frequentare fino a quando non si fossero conformate allo spirito laico della scuola. Tra i musulmani ciò incitò a creare una sorta di spirito comunitario in un ambiente sociale avverso. Tra i non musulmani in tutta la Francia si aprirono aspre discussioni. Ci fu chi disse che in questo modo la Francia aveva cancellato di colpo gli ideali di tolleranza e di antirazzismo tanto cari alla cultura francese. Perché, ci si chiese, una donna francese con un foulard è elegante, mentre una donna musulmana con un velo è una minaccia per la civilizzazione? Altri gruppi ultra-nazionalisti, al contrario, difesero l’operato della scuola. Anche il movimento femminista insorse, ma adottando posizioni diverse. Alcuni condannarono la decisione dell’istituto dicendo che quel provvedimento era una condanna alla dignità femminile. Altri ancora attaccarono i musulmani affermando che l’imposizione del velo era una limitazione alla libertà delle donne. Sull’onda di tali dibattiti il governo stabilì che indossare simboli religiosi non era incompatibile con gli ideali di laicità. Ciò comunque non arrestò i sentimenti anti-musulmani che si annidavano in larghi strati della società. Negli anni successivi, infatti, almeno una dozzina di studentesse musulmane furono allontanate dalle lezioni per lo stesso motivo.

I governi europei furono obbligati ad adottare delle misure restrittive per ciò che riguarda l’immigrazione a causa di varie ragioni economiche e sociali. Questa politica è stata supportata da vari partiti e da diversi gruppi che hanno fatto pressioni sulla società. Inoltre sono stati presentati molti rapporti negativi riguardanti la posizione degli stranieri in Europa. Tutte queste misure riflettono un chiaro segnale di non accettazione degli stranieri e tendono a creare loro dei problemi nella società circostante.

Un esempio del negativo atteggiamento delle autorità locali nei confronti dei musulmani è rappresentato dal rifiuto dei permessi per potere costruire delle scuole islamiche. In molte nazioni europee, infatti, sebbene le varie Costituzioni permettano la fondazione di tali scuole, i governi, al contrario, la frenano. Una delle giustificazioni più ricorrenti a questo atteggiamento restrittivo è che tali scuole potrebbero rendere molto difficile l’integrazione della seconda generazione di immigrati, con il risultato che le loro possibilità di emancipazione nella società occidentale verrebbero limitate.

L’attitudine negativa dei governi locali dell’Europa occidentale non è soltanto una conseguenza dei pregiudizi e degli stereotipi sull’Islam. Anche l’atteggiamento di molti partiti politici e dei mass media nei confronti della religione in generale gioca uno ruolo importante. L’integrazione dell’Islam nelle strutture governative europee dipende anche da loro. Questi infatti non intralciano quasi per niente i gruppi cristiani poiché i diritti e i privilegi per le chiese sono stati fissati nel corso di un lungo processo storico. In generale i finanziamenti per le chiese cristiane sono riconosciute nelle Costituzione di ogni paese europeo. Ciò non avviene invece per l’Islam.

Un altro fattore che potrebbe spiegare l’atteggiamento negativo nei confronti delle comunità musulmane è la scarsa conoscenza che i governi europei hanno della religione islamica e della storia dell’Islam. Questa scarsa conoscenza porta a delle reazioni inadeguate di fronte alle necessità e ai desideri legittimi delle comunità musulmane. Un esempio eclatante di quanto poco i governi europei conoscono l’Islam è la decisione delle autorità locali olandesi di ospitare all’Aia un club dichiaratamente per omosessuali nello stesso edificio nel quale si trovava una moschea.

Discriminazioni dirette e indirette sono sicuramente il maggior ostacolo che impedisce l’emancipazione delle minoranze etniche nonostante in tutti i paesi europei esistano delle leggi contro la discriminazione razziale. È molto importante porre attenzione al perché le discriminazioni contro le minoranze etniche, in particolare contro i musulmani, in Europa siano aumentate rapidamente negli ultimi 15 anni. Questo processo è evidenziato dalle proteste contro la fondazione di moschee, di scuole musulmane e dall’aumento dei gruppi fascisti (quest’ultimo fenomeno per la verità mi sembra in netta diminuzione).

Un primo fattore che può spiegare questa situazione è una certa ambiguità nelle economie di tutti i paesi occidentali. Anche se c’è la possibilità di poter dividere i beni esistenti con gli "stranieri", esiste ancora una forte discriminazione latente. I cittadini di etnie diverse sono ancora considerati come dei competitori illeciti.

Un secondo fattore è rappresentato dalla aumentata visibilità dei musulmani. Le comunità musulmane non solo si sono estese, ma adesso sono anche maggiormente visibili e riconoscibili, e pongono l’accento sulla difesa e il mantenimento della loro identità sociale e culturale. Sicuramente la sensazione di superiorità delle norme e dei valori europei è in netto conflitto con le aspirazioni delle comunità islamiche, e genera anche dei sentimenti anti-stranieri. Una ricerca condotta in Germania nei primi anni ’80 ha dimostrato che il 50 per cento della popolazione tedesca nutriva dei sentimenti anti-stranieri. L’Islam e i musulmani erano considerati un pericolo e una minaccia per i principi democratici occidentali. Inoltre molti confondevano l’Islam con il fondamentalismo religioso e politico. Penso che la situazione non sia molto cambiata da allora.

È mia opinione, comunque, che la paura del fondamentalismo non sia la causa primaria dei sentimenti negativi contro i musulmani in Europa. Questi vengono generati, al contrario, dello scontro tra i sentimenti di superiorità della cultura occidentale e i desideri delle comunità musulmane di salvaguardare la loro identità. L’opinione pubblica occidentale quando si riferisce agli atti di violenza causati dagli attivisti islamici fa in modo che le manifestazioni di sentimenti negativi diventino socialmente accettabili. Chi non si indigna di fronte a un atto di violenza, sia questo di matrice islamica o occidentale?

L’immagine negativa dell’Islam nelle nazioni europee è anche in parte causato dall’educazione che viene impartita a scuola. In genere, nei libri di scuola viene presentata una immagine negativa del Terzo Mondo e del mondo islamico in particolare. Le informazioni che vengono date sono di solito parziali, irrilevanti e stereotipate. In alcuni casi vengono date delle immagini caricaturali della cultura islamica.

Quello che, in Gran Bretagna, viene chiamato il "Rusdhie Affair" e gli scandali dei veli nelle scuole non hanno fatto altro che aumentare la visione negativa che c’è in Europa dell’Islam. Questi avvenimenti hanno fatto vedere l’Islam come un nemico della modernità e della democrazia.

Un episodio che, in parte, ha restituito una visione positiva dell’Islam agli occhi dell’opinione pubblica è rappresentato dalla love story della Principessa Diana con l’egiziano-musulmano Dodi al-Fayed. Bisogna comunque considerare tale evento con la dovuta cautela a causa della eccezionalità della figura di Diana e della sua enorme popolarità presso l’opinione pubblica mondiale. Diana, grazie al suo enorme carisma, era riuscita a fare apprezzare al mondo intero il suo amante musulmano. Bisogna anche considerare che nemmeno lo stesso Dodi era una persona "normale". Si trattava infatti di un uomo bello, affascinante e ricchissimo; figlio del proprietario dei più famosi grandi magazzini del mondo. Quindi agli occhi dell’opinione pubblica egli non era un semplice musulmano.

Ovviamente l’establishment e la famiglia reale non hanno mai approvato in pieno questa unione. Non va dimenticato infatti che Diana era la madre dell’erede al trono d’Inghilterra e quindi del capo della Chiesa Anglicana. A riprova di tale "diffidenza" va ricordato che, nemmeno dopo la tragica morte di Diana e Dodi, al padre di quest’ultimo, Muhammad al-Fayed, è stata concessa la tanto agognata nazionalità britannica.

Anche se mi sembra che sia un fenomeno che volge verso la sua conclusione, quello della presenza di violenti gruppi razzisti e ultra-nazionalisti è un capitolo importante nella storia delle discriminazioni razziali del nostro continente negli ultimi anni. Tali gruppi hanno manifestato con la violenza la loro insofferenza nei confronti delle varie comunità musulmane. Alcuni analisti affermano che tali gruppi sono stati supportati dai partiti politici di destra che prima delle ultime tornate elettorali detenevano il potere politico in quasi tutte le nazioni europee. Violenze contro le comunità musulmane erano diventate molto frequenti negli ultimi anni un po’ in tutta Europa. Tutti noi ricordiamo i roghi appiccati in Germania da gruppi xenofobi negli ostelli abitati da famiglie turche e curde. Questi gruppi evocavano una propaganda di odio contro gli stranieri. Consideravano le varie comunità islamiche come responsabili dei tanti problemi economici dell’Europa occidentale. I musulmani erano insomma dei capri espiatori.

 

Le barriere che impediscono l’emancipazione delle comunità musulmane non sono imposte loro soltanto dalla società che le ospita, ma vengono causate anche dagli individui che compongono tali comunità. Alcuni autori considerano il desiderio di ogni minoranza etnica di preservare la propria cultura anche in una nazione straniera come una barriera strutturale. Questi autori portano come esempio l’atteggiamento di molti genitori musulmani i quali non permettono alle loro figlie di acquisire una educazione superiore, in quanto il sistema educativo europeo non è conforme con le norme islamiche. Però si potrebbe legittimamente obbiettare che l’Islam e le sue regole non possono essere considerati responsabili dell’atteggiamento di questi genitori. Altri fattori come l’ambiente sociale, il tradizionalismo e motivi socioeconomici sono forse più importanti per spiegare questo atteggiamento. È comunque indubbio che questi fattori formano un ostacolo per la mobilità sociale. Il preservare la propria cultura può rappresentare anche un ostacolo per la mobilità individuale se la società in cui vivono queste comunità è intollerante. In questo caso però la barriera viene creata dal sistema. La soluzione non dovrebbe essere ricercata nel rifiuto della cultura di tali gruppi, bensì nel cercare dei rimedi concreti per combattere l’intolleranza.

Alla diversità etnica, tra i musulmani che vivono in Europa fa riscontro, spesso, una vivace articolazione confessionale simile a quella che si trova nei loro paesi di origine. A parte la maggiore differenza che è quella tra Sunniti e Sciiti, troviamo gli aderenti alle varie scuole, le cui dottrine vengono respinte dai due gruppi maggiori. Inoltre si può fare anche un’ulteriore distinzione, cioè quella tra gli ordini mistici (turuq) e i movimenti politico-religiosi. Tra i primi, che sono abbastanza antichi, possiamo ricordare quelli della Qâdirîyya, Suhrawardîyya, Rifâ`îyya, Kubrâwîyya, Shâdilîyya, Mawlawîyya e Naqshbandîyya. I movimenti politico-religiosi, al contrario, emersero poco prima e durante il processo di decolonizzazione di alcuni paesi musulmani e miravano e reintrodurre l’Islam come fondamento dello Stato. Uno di questi movimenti fu quello chiamato Salafiyyah, nato in Egitto nel tardo XIX secolo, il cui scopo era quello di modernizzare l’Islam attraverso il ritorno critico alle fonti dell’Islam. Da questo movimento derivò in parte quello che sarebbe servito da prototipo per movimenti simili in tutto il mondo musulmano: la società dei Fratelli Musulmani fondata in Egitto nel 1928 da un maestro elementare, Hasan al-Banna (1906-1949). Entrambi i rami di questi movimenti riformistici, sia quello modernistico sia quello conservatore, giocano un ruolo estremamente importante tra i musulmani stanziati in Europa occidentale. Tra gli altri movimenti politico-religiosi vanno ricordati quelli dei Nurculuk e dei Sulaymanci nati in Turchia in opposizione alla stato laico introdotto da Atatürk, e che oggi sono presenti soprattutto in Germania. Non vanno nemmeno dimenticati i movimenti dei Deobandi, dei Barelwi e quello Jama‘at-i-Islamiah molto popolari tra le comunità islamiche indiane e pakistane della Gran Bretagna.

Le diversità etniche e religiose e le varie rivalità creano delle difficoltà per ciò che riguarda la realizzazione delle infrastrutture necessarie alla comunità. Nelle maggiori città d’Europa esistono numerose moschee e associazioni religiose nate grazie ad iniziative private, in alcuni casi con l’aiuto delle organizzazioni musulmane internazionali o dei governi dei paesi di origine. Le differenze tra le varie moschee non sono determinate soltanto da diversità teologiche, ma anche le diversità politiche hanno una grande importanza. Ciò che influenza in maniera rilevante la vita delle moschee è anche l’approvvigionamento dei sussidi finanziari e la messa in atto di specifici provvedimenti legislativi in ogni nazione europea. Ogni moschea è amministrata da una organizzazione locale. Le organizzazioni locali, a loro volta, sono suddivise in gruppi più grandi a secondo delle origini etniche, orientamenti dottrinali e politici. Inoltre, in molte nazioni europee si sono create alcune iniziative per cercare di raggruppare le diverse organizzazioni in un unico corpo centrale che potesse rappresentarle in maniera soddisfacente. Ciò è quello che è avvenuto in Francia. In Olanda è stata fondata la Commissione Nazionale Islamica che riunisce quasi il 90 per cento delle organizzazioni musulmane. In Belgio è nato il Centro Culturale Islamico del Belgio che ha dei forti legami con la Lega Mondiale Islamica e viene finanziato dal governo Saudita.

La maggior parte delle organizzazioni musulmane hanno una natura religiosa o socioculturale. Le loro attività mirano, più o meno, a creare delle stabili infrastrutture religiose e sociali per i musulmani, e magari a tentare di apportare qualche cambiamento legislativo nelle costituzioni dei governi ospitanti, in modo da permettere ai musulmani di conformarsi con le loro esigenze islamiche. Nella maggior parte delle nazioni dell’Europa occidentale questo risultato è stato in buona parte raggiunto. Anche se queste organizzazioni provvedono a delle attività indubbiamente necessarie, la loro diversità limita la prospettiva di potere raggiungere la completa emancipazione religiosa e socioeconomica. La diversità etnica e religiosa di queste organizzazioni non solo indebolisce la loro posizione all’interno dei governi europei, ma anche impedisce a questi governi di poter applicare nei loro confronti una politica unica.

Solamente attraverso l’unificazione delle loro iniziative e della loro coscienza politica le comunità islamiche potrebbero migliorare la loro posizione politica e religiosa all’interno dei paesi europei. In pratica, però, quelle iniziative, con cui si è cercato di unificare diverse organizzazioni con diversi obbiettivi e diverse nature politiche, religiose e culturali, non hanno avuto, tutto sommato, un grande successo.

Un’altra barriera è rappresentata dalla mancanza di mezzi finanziari e di direzione amministrativa qualificata per la creazione di appropriate infrastrutture. Poiché l’Islam in Europa rappresenta un fenomeno relativamente nuovo e le comunità musulmane sono formate, per lo più, da gente appartenente a uno status socioeconomico piuttosto basso, c’è ancora un’enorme bisogno di denaro per fondare delle dignitose infrastrutture e per raggiungere la stessa condizione organizzativa delle associazioni religiose cristiane. Alcune delle organizzazioni musulmane più grandi ricevono dei fondi dai governi di ricchi paesi islamici, come l’Arabia Saudita e la Libia, destinati alla creazione di nuove moschee. Gli stipendi degli imâm e le altre spese, invece, vengono pagati con il contributo dei singoli membri delle varie comunità. In alcuni casi, come ad esempio in Svezia, le organizzazioni religiose musulmane ricevono dei contributi dai governi locali.

Inoltre, nell’amministrazione delle varie comunità islamiche in Europa si registra una mancanza di qualificazione del personale. La maggior parte degli imâm con un regolare contratto, fatta eccezione per quelli inviati direttamente dai governi dei paesi musulmani, possiede una modesta educazione religiosa. Lo stesso discorso vale per gli imâm che lavorano come volontari. A causa di questa notevole limitazione gli imâm sono spesso costretti ad occuparsi soltanto delle questioni interne alle loro comunità, senza potere stabilire dei contatti interculturali e interreligiosi con altre aree della società. Un altro limite è rappresentato dal fatto che l’organico di queste organizzazioni è spesso costituito da volontari, i quali non hanno né il tempo né la capacità di portare avanti una politica di larghe vedute e di entrare profondamente in contatto con la società in cui vivono. Generalmente questi funzionari non hanno le conoscenze necessarie per potere sfruttare pienamente tutte le opportunità legislative offerte dai governi ospitanti. La mancanza di una direzione qualificata rappresenta anche una barriera per la flessibilità del pensiero religioso e per la conoscenza delle varie interpretazioni che stanno alla base dell’Islam stesso.

 

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