Scena II
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Amleto | Non parliamone più. Veniamo al
resto. Ti ricordi in che stato mi trovavo? |
Orazio | Se ricordo, signore! |
Amleto | Avevo in cuore un conflitto che mi toglieva il sonno. Stavo peggio d'un prigioniero in ceppi. D'un tratto, con un gesto temerario (e sia lode all'audacia, in questo caso: l'avventatezza talvolta, diciamolo, ci soccorre laddove ci falliscono le nostre trame, le più meditate; e ciò valga a insegnarci che c'è un Dio che dà forma e sostanza ai nostri fini, comunque li abbozziamo)... |
Orazio | Oh, questo è certo. |
Amleto | Esco dalla cabina sulla tolda col mantello di viaggio sulle spalle, come una sciarpa. A tentoni, nel buio, cerco e trovo alla fine quel che voglio: rovisto, frugo dentro i lor bagagli, poi mi ritraggo di nuovo in cabina facendomi sì ardito (la paura m'aveva fatto perdere ogni remora) da strappare i sigilli al documento che conteneva le mie credenziali e là trovo - sovrana canagliata! -, l'ordine perentorio, lardellato da una lunga sequela di motivi ("la salvezza del re di Danimarca, e del re inglese") e non ti dico più di quali e quanti spettri e spauracchi, all'idea ch'io restassi ancora vivo, che, non appena letto quel messaggio, subito, là, senza aspettar che il boia potesse fare il filo alla mannaia, mi si dovesse mozzare la testa. |
Orazio | Possibile, signore? |
Amleto | Ecco il rescritto. Leggilo a tuo talento. Ma ora vuoi sapere come ho fatto? |
Orazio | Ve ne supplico. |
Amleto | Preso nella rete così di tante infamie... prima ancora di dare un prologo al mio cervello, esso dà inizio al dramma... Mi siedo e ti redigo in bello stile il testo d'una nuova credenziale. Un tempo di mia vita ho ritenuto, come succede agli uomini di Stato, cosa vile lo scriver paludato, e ho fatto molto per dimenticarlo. Ora invece mi rese un gran servizio. (151) Vuoi che ti dica il senso dello scritto? |
Orazio | Anzi, ve ne scongiuro, monsignore. |
Amleto | Una calda preghiera del nostro re a quello d'Inghilterra perché, qual suo fedele tributario, ed affinché fiorisse tra di loro, come una palma, amore ed amicizia, e la pace, di spighe incoronata, stesse sempre interposta tra i due regni come una virgola... (152) e così via, con simili altre frasi di gran peso, com'egli avesse preso conoscenza del tenore di quella credenziale, mettesse a morte i due suoi portatori senza lasciare lor nemmeno il tempo di purgar le loro anime con Dio. |
Orazio | E col sigillo, come vi arrangiaste? |
Amleto | Il cielo mi fu provvido anche in
questo. Io portavo con me, nella mia borsa, l'anello di mio padre, col sigillo copia di quello ufficiale danese: piegai bene lo scritto, come l'altro, e, firmato che l'ebbi, e sigillato, lo rimisi al suo posto, come stava, senza che alcuno notasse lo scambio. (153) L'indomani ci fu lo scontro in mare coi pirati, di cui t'ho già parlato. |
Orazio | E così Rosencrantz e
Guildenstern van difilato verso quel destino. |
Amleto | Quei due, mio caro, in questa lor
missione han troppo civettato alle mie spalle. Non li ho sulla coscienza. La lor sorte è il frutto della loro inframmettenza. Chi è basso corre sempre gran pericolo a mettersi tra i colpi e le stoccate di avversari potenti ed accaniti. |
Orazio | Dio mio, che re è mai questo! |
Amleto | Ora rifletti: non sta dunque a
me, con colui che m'ha trucidato il padre e insozzato la madre, e s'è intromesso fra me e la legittima mia attesa di successore, e che ha gettato l'amo alla mia stessa vita, e con tal frode... non sta a me, dico, in perfetta coscienza, saldare il conto con questo mio braccio? E non è da dannati lasciar che questo cancro di natura seguiti a generare nuovi mali? |
Orazio | Dovrà presto saper
dall'Inghilterra com'è andato a finire questo affare. |
Amleto | Presto, sì; l'intervallo intanto
è mio. L'esistenza di un uomo non è che il tempo di contare "uno". Però quanto m'affligge, caro Orazio, d'aver così ecceduto con Laerte! Perché nella cagione che lo muove io ci vedo riflessa la mia stessa. Mi scuserò con lui. Vero è, però, ch'è stata la jattanza del suo duolo a trascinarmi in quella grande rabbia. |
Orazio | Un momento! Chi viene? Entra il giovane Osrico |
Osrico | (Scappellandosi ad Amleto) La vostra signoria è benvenuta di nuovo in Danimarca. |
Amleto | Vi ringrazio umilmente, mio
signore. (Piano, a Orazio) Conosci questa mosca di palude? |
Orazio | No, signore. |
Amleto | Per tua grande fortuna: conoscere costui è una disgrazia. Egli possiede molte terre, e fertili. Qui se una bestia possiede altre bestie, la sua greppia è la mensa della reggia. È un bifolco; ma, come ti dicevo, spazioso possessore di letame. |
Osrico | Dolce signore, se vossignoria fosse disposta, vorrei riportarle qualche cosa da parte di sua altezza. |
Amleto | Ed io, signore, la riceverò con ogni diligenza del mio spirito. Ma mettete il cappello al posto suo: è fatto per il capo. |
Osrico | Grazie, vossignoria. Fa molto caldo. |
Amleto | No, no, credete a me, fa molto
freddo, soffia la tramontana. |
Osrico | È vero, infatti. Fa alquanto freddo. |
Amleto | Eppure sento un'afa... un caldo, o sarò io forse che... |
Osrico | Sì, è vero, mio signore, un caldo afoso, come se fosse... beh, non saprei dire... Signore, sua maestà m'ha incaricato d'informarvi che ha fatto su di voi una grossa scommessa... Ecco, si tratta... |
Amleto | Ma vi prego! (Gli fa cenno di mettersi il cappello in testa, ma Osrico esita) |
Osrico | No, no, mio buon signore, così mi par di stare più a mio agio... Signore, qui alla corte è tornato Laerte; un gentiluomo, credetemi, di rara perfezione: pieno delle più alte qualità, di buona compagnia, di gran figura, insomma, a dir di lui come si merita, è la rosa dei venti, il calendario delle virtù richieste a un cavaliere; ché in lui davvero c'è il contenitore (154) di tutto ciò che un vero gentiluomo vorrebbe contenere. |
Amleto | Che bellezza! La sua definitura, signor mio, non soffre in voi di alcuna perdizione; anche se son sicuro che a farne un inventario minuzioso è cosa che darebbe il capogiro all'aritmetica della memoria, e non sarebbe che uno scarrocciare a fronte al suo spedito veleggiare. Ma, per la verità dell'erezione, lo stimo un'anima di grosso taglio, ed il suo infuso è tal raritudine che a farne proprio una definizione, altro simil non ha fuor del suo specchio, e chiunque volesse seguitarlo sarebbe solo il suo adombramento. |
Osrico | Molto infallibilmente ne parlate, signoria. |
Amleto | La concernenza, (155)
amico. Ma a che star noi ora a drappeggiare il nostro gentiluomo di questo nostro troppo rozzo fiato? |
Osrico | Signore? |
Orazio | Ma non sarebbe possibile comprendersi parlando altro linguaggio? Son sicuro che ci riuscirete. (156) |
Amleto | (A Osrico) Che importanza può avere la nomina (157) di questo gentiluomo? |
Osrico | Di Laerte? |
Amleto | (Piano a Orazio) Il suo sacco è già vuotato, le parole preziose tutte spese. (Forte a Osrico) Di lui, signore, sì. |
Osrico | Io stimo che non è in voi ignoranza... |
Amleto | Spero bene; quantunque, in fede
mia, stimarlo voi, non proverebbe nulla a mio favore, amico. Ebbene, allora? |
Osrico | ... che non è in voi ignoranza di che eccellenza d'uomo sia Laerte. |
Amleto | Non oso confessarlo, nel timore di gareggiar con lui per eccellenza; solo se si conosce bene un uomo si può dir di conoscere se stessi. |
Osrico | Intendo nella sua arma, signore; perché secondo la valutazione che fanno tutti, egli è ineguagliato in questa sua specialità. |
Amleto | Che arma? |
Osrico | Spada e pugnale. |
Amleto | Queste son due armi. Ma per me fa lo stesso. |
Osrico | Il re, signore, ha scommesso con
lui sei cavalli d'Arabia, contro i quali, se non ho male inteso, egli ha puntato, dalla parte sua, sei fioretti di Francia e sei pugnali con tutti gli accessorii: cinturone, pendagli e tutto. Tre di questi affusti, parola mia, son veramente rari: molto docili al pugno, maneggevoli all'elsa, di fattura delicata e di assai liberale concezione. |
Amleto | "Affusti" hai detto?... Che parola è questa? |
Orazio | (Piano ad Amleto) Sapevo bene che avreste finito a ricorrere alle "notazioni a margine". (158) |
Osrico | I pendagli, signore. |
Amleto | Questo termine sarebbe più germano alla materia, se noi potessimo portarci al fianco un cannone; (159) ma fino a quel momento chiamiamoli pendagli. Andiamo avanti: sei cavalli d'Arabia contro sei spade di Francia, complete di tutti gli accessorii, e con tre "affusti" di nuova liberale concezione: questa sarebbe la posta francese contro quella danese. Su che cosa sarebbe stato "imposto", come voi dite, questo ben di Dio? |
Osrico | Mi spiego: il re ha scommesso,
monsignore, che su dodici assalti, fra voi due, Laerte non saprà che prevalere per più di tre stoccate: la scommessa sarebbe dunque nove contro tre. Si addiverrebbe alla prova anche subito, se vostra signoria si degnasse di darmi una risposta. |
Amleto | E se la mia risposta fosse "no"? |
Osrico | L'intenderei come l'opposizione di vostra signoria a questa prova. |
Amleto | Signore, io resto a passeggiare
qui, in questa sala. A sua maestà piacendo, è questo il mio respiro quotidiano. Si rechino le spade. Se il gentiluomo è d'accordo di battersi e il re mantiene il suo divisamento, io vincerò per lui, se m'è possibile; se no, lo scorno sarà tutto mio con in più le stoccate ricevute. |
Osrico | È questo quel che debbo riferire? |
Amleto | Esattamente. E vi potete
aggiungere tutti i fronzoli che vi piacerà. |
Osrico | Raccomando il mio omaggio a vostra altezza. |
Amleto | Alla vostra, alla vostra! (Esce Osrico) Si raccomanda da sé: buon per lui, non c'è lingua che sia disposta a farlo. |
Orazio | La pavoncella, col suo guscio in
testa, s'è allontanata. (160) |
Amleto | E si complimentava con la mammella prima di succhiarla; come lui, della stessa sua covata, ci son molti altri che questa età frivola prende sul serio; ch'hanno assimilato l'aria del tempo e l'abito esteriore del conversare: un ammasso schiumoso che li ravvolge tutti e li trasporta attraverso le idee più lambiccate; ma basta una soffiata per metterli alla prova, e addio le bolle. Entra un cortigiano |
Cortigiano | Signore, sua maestà s'è
compiaciuta d'inviarvi testé il giovane Osrico, e questi al suo ritorno l'ha informata che eravate in attesa in questa sala. Mi manda appunto per saper da voi se gradite di battervi ora subito, o se desiderate prender tempo. |
Amleto | Io son fedele alle mie decisioni, e ligio al beneplacito del re. Se la sua convenienza dice sì, la mia è pronta, adesso o quando sia, purché sia ben disposto come adesso. |
Cortigiano | Il re con la regina e tutti gli
altri stanno appunto scendendo. |
Amleto | Alla buon'ora! |
Cortigiano | La regina desidera, signore, che rivolgiate, prima dello scontro, una parola gentile a Laerte. |
Amleto | È un buon consiglio. Farò di
seguirlo. (Esce il cortigiano) |
Orazio | Riuscirete perdente, monsignore. |
Amleto | Non lo credo. Da che è partito
in Francia, mi sono mantenuto in esercizio. Vincerò di misura... Non puoi credere, Orazio, quanto male io senta qui, vicino al cuore... Ma non ha importanza... |
Orazio | L'ha, invece, monsignore. |
Amleto | È una sciocchezza, solo una sorta di presentimento... buono forse a commuovere una donna. |
Orazio | Se il vostro cuore ha qualche
repugnanza, seguitelo, finché ne siete in tempo. Io posso prevenire il loro arrivo, e dir loro che non ve la sentite. |
Amleto | Orazio, no; noi sfidiamo i
presagi. Perfino nel veder cadere un passero ce n'è uno: se adesso è la mia ora, vuol dire che non è più da venire; se non è da venire, sarà adesso; se non è adesso, dovrà pur venire. Tutt'è tenersi pronti. Poiché nessuno sa quello che lascia, che può importare lasciarlo anzitempo? Lasciamo andare: vada pur così. Entra il Re, la Regina, Laerte, cortigiani con fioretti e guantoni. Alcuni servi recano una tavola e boccali di vino. |
Re | (Prendendo per mano Laerte) Amleto, vieni a stringer questa mano ch'io qui ti porgo con la stessa mia. (Pone la mano di Laerte in quella di Amleto, che la stringe calorosamente) |
Amleto | Perdonami. T'ho offeso, e
duramente. Ma tu, da gentiluomo, fammi grazia. Tutti quelli che sono qui presenti sanno, e pur tu dovresti averne udito, com'io sia preda d'una trista insania. Quello che ho fatto, e che può bruscamente aver svegliato in te la tua natura, il tuo onore, il tuo risentimento, io ti proclamo qui che fu pazzia. Fu il vero Amleto a far torto a Laerte? No, mai. Se Amleto non è più se stesso, e in quello stato fa torto a Laerte, non è Amleto, e Amleto lo rinnega. Chi agì dunque in quel modo? Amleto è dalla parte dell'offeso. Solo la sua follia è il suo nemico. Perciò, Laerte, innanzi a questa udienza, ch'io sconfessi ogni offesa intenzionale, e questo valga tanto a scagionarmi nel tuo giudizio d'uomo generoso, da persuaderti ch'io scoccai la freccia oltre la casa, e ferii mio fratello. |
Laerte | Questo tuo dire dà soddisfazione a quella parte della mia natura che più dovrebbe spingermi a vendetta; ma in termini d'onore non transigo, e non intendo rappacificarmi finché da anziani e reputati giudici nelle questioni di cavalleria non abbia ricevuto garanzia che il mio nome ne esca senza macchia. Fino allora l'affetto che tu m'offri l'accetto come tale, e t'assicuro non gli farò torto. |
Amleto | Ed io accolgo questo con
franchezza; e con franchezza voglio disputare questa fraterna gara. Qua i fioretti! |
Laerte | Avanti, uno per me. |
Amleto | Al mio confronto brillerai,
Laerte. (161) Appetto alla mia scarsa maestria, la tua rifulgerà splendidamente come stella nel buio della notte. |
Laerte | Mi prendi in giro? |
Amleto | No, per questa mano. |
Re | Osrico, giovanotto, vogliate porgere loro i fioretti. Nipote Amleto, tu sai la scommessa. |
Amleto | Sì, mio sovrano, so che vostra
grazia ha messo la sua posta sul più debole. |
Re | Non ho timore. Vi ho veduti
entrambi; anche s'egli ha compiuto dei progressi, noi abbiamo il vantaggio di partenza. |
Laerte | (Prendendo il fioretto dalla
mani di Osrico, e facendo il gesto di soppesarlo) Pesa troppo, mostratemene un altro. |
Amleto | Questo per me va bene. I due
fioretti son di pari lunghezza? |
Osrico | Sì, signore. (Amleto e Orazio si preparano all'assalto) |
Re | Posate sulla tavola i boccali. Se Amleto al primo od al secondo assalto toccherà, o che si rifaccia al terzo, s'ordini che dai merli del castello parta una salva delle artiglierie. Il re berrà al miglior fiato di Amleto, e getterà nella coppa una perla la più ricca di quante nei lor serti abbiano mai portato incastonate gli ultimi quattro re di Danimarca. Le coppe! E dica il tamburo alla tromba, la tromba al cannoniere, là di fuori, ed i cannoni al cielo, e, di rimbalzo, dica il cielo alla terra: "Il re fa un brindisi alla salute di Amleto!". Attaccate! E voi, giudici, occhio bene aperto! (Getta una perla in una delle coppe. Tromba) |
Amleto | In guardia, monsignore. |
Laerte | In guardia sto. (Cominciano a battersi) |
Amleto | E una! |
Laerte | No. |
Amleto | Che cosa dice il giudice? |
Osrico | Toccato, chiaramente. |
Laerte | Bene, avanti. |
Re | Fermate. Datemi da bere. Amleto, quella perla è per te. Alla tua salute! (Gli indica la coppa in cui ha gettato la perla. Tamburi, spari di artiglierie) (A Osrico) Porgetegli la coppa. |
Amleto | (Non prende la coppa) Un altro assalto. Tenetela da parte per un po'. (Riprendono a battersi. Amleto mette a segno un altro colpo) Ecco: toccato ancora. Che ne dici? |
Laerte | Toccato, sì, toccato, lo confesso. |
Re | (Alla regina) Vincerà nostro figlio. |
Regina | Ha il fiato corto ed è tutto
sudato. Amleto, toh, prendi il mio fazzoletto, asciugati la fronte... La regina, Amleto, beve alla tua buona sorte. (Afferra la coppa destinata ad Amleto) |
Amleto | Grazie, madre. |
Re | (Trattenendo la regina) Gertrude, no, non bere! |
Regina | Voglio bere, signore. Perdonate. (Beve) |
Re | La coppa col veleno!... Troppo tardi! |
Amleto | (Alla regina) Per ora non vorrei bere. Più tardi. |
Regina | Lasciati almeno tergere la faccia. |
Laerte | (Al re, a parte) Signore, ora lo pungo. |
Re | Non ci credo. |
Laerte | (Tra sé) Eppure mi ripugna alla coscienza... |
Amleto | Laerte, sotto per il terzo
assalto. Finora hai baloccato. Su, ti prego, tira a fondo, con la tua miglior foga; se no, ho paura che mi dài la baia. |
Laerte | Ah, così pensi? Allora fatti
sotto. (Riprendono a battersi) |
Osrico | Niente di fatto, da nessuna parte. |
Laerte | Toh, prendi questa, adesso. (Laerte ferisce Amleto. I due lasciano cadere le spade e si azzuffano con le mani. Nel riprendere le spade, se le scambiano. Continuano a battersi. Amleto ferisce Laerte. Come il re lo vede grida) |
Re | Separateli! Sono scatenati! |
Amleto | Suvvia, sotto di nuovo! (La regina cade a terra) |
Osrico | La regina, guardate, la regina! |
Orazio | Perdono molto sangue, tutti e
due. (Ad Amleto) Come state, signore? |
Osrico | Laerte, mio signore, come state? |
Laerte | Come... come può stare un
beccaccino imprigionato nella sua tagliola... Io sono ucciso, Osrico... e giustamente... a cagione del mio maligno inganno. |
Amleto | Che cos'ha la regina? |
Re | Ha perso i sensi alla vista del sangue. |
Regina | (Riavendosi) No, no... quella bevanda... la bevanda... Oh, Amleto caro!... La coppa, la coppa... Io sono avvelenata... (Muore) |
Amleto | Ah, quale infamia! Chiudete le
porte! Tradimento! Cercate il traditore! (Anche Laerte cade) |
Laerte | È qui, Amleto!... Amleto tu sei
morto; non c'è nessuna medicina al mondo che ti possa salvare... Non hai vita nemmeno per mezz'ora. Ce l'hai in mano tu stesso lo strumento del tradimento, avvelenato in punta; e contro me s'è volta l'infame astuzia... Eccomi ora a terra per non più rialzarmi... Anche tua madre è stata avvelenata... Io più non reggo... Il re ne ha colpa, il re! |
Amleto | La punta avvelenata!... E allora
avanti, veleno, all'opra tua! (Si scaglia contro il re e lo ferisce a morte) |
Tutti | Oh, tradimento! Oh, infamia! |
Re | Aiuto, amici, soccorretemi! Sono solo ferito! |
Amleto | (Amleto prende la coppa dove
ha bevuto la madre e la porge al re) Toh, assassino, incestuoso, dannato re danese! Bevila fino in fondo, questa coppa. C'è dentro la tua perla? (162) Segui mia madre. (Il re beve, e muore all'istante) |
Laerte | Ha quello che si merita. È lui che ha preparato la pozione. Nobile Amleto, scambia il tuo perdono con il mio: che la morte di mio padre né quelle mia ricadan su di te, né su di me la tua. |
Amleto | Di quella mia te ne assolvano i
cieli. Io ti seguo. Io muoio, Orazio... Addio, sventurata regina!... O voi tutti che, pallidi e tremanti assistete - comparse e spettatori - a questa azione, se ne avessi il tempo (ma la Morte, questo crudele sbirro, è ligia al suo dovere), oh, vi direi... Ma vada come vada... Orazio, muoio. Tu vivi; e riferisci onestamente della mia causa tutto quanto il giusto, a chi vorrà saperlo. |
Orazio | Non pensatelo. Io sono, più che un Danese, un Romano, (163) e qui ci resta ancora del liquore. |
Amleto | No, dammi quella coppa! Se sei uomo, dammela, perdio! Mio buon Orazio, qual nome macchiato vivrà di me, se questi avvenimenti avessero a rimanere ignoti! Se m'hai tenuto nel tuo cuore, Orazio, tieniti ancor lontano, per un poco, dalla gioia suprema del trapasso, e seguita su questo duro mondo a respirare ancora il tuo dolore per raccontare ad altri la mia storia. (Marcia militare e spari all'interno) Che cos'è questo strepito di guerra? |
Osrico | È il giovin Fortebraccio di
Norvegia. Torna dalla Polonia vincitore, e lancia queste salve a salutare gli ambasciatori del re d'Inghilterra. |
Amleto | Io muoio, Orazio... Sento che il
veleno s'impadronisce di tutto il mio spirito. Ormai più non mi resta tanta vita da sentir le notizie d'Inghilterra; ma profetizzo che su Fortebraccio cadrà la scelta; a lui, in suo favore va il mio voto morente. Digli questo, insieme al più e il meno degli eventi qui succedutisi... Il resto è silenzio. (Muore) |
Orazio | Spezzato un nobil cuore! Dolce
principe, benevola ti sia l'eterna notte, e possa un volo d'angeli cantando accompagnarti all'ultimo riposo! (Tamburi da dentro) Che viene a fare qui questo tamburo? Entrano Fortebraccio e gli ambasciatori inglesi, con seguito di tamburi e vessilli |
Fortebraccio | Quella vista dov'è? |
Orazio | Che cosa v'aspettate di vedere? Se una scena terribile e pietosa, non cercate oltre, è qui. |
Fortebraccio | Ma questa strage grida di
carnaio! Ah, orgogliosa Morte, qual mai banchetto si sta preparando nell'eterna tua grotta, perché dovessi falciare d'un colpo in un mare di sangue tanti principi? |
Un ambasciatore | Oh, spettacolo orrendo!... Troppo tardi le nostre ambascerie giungon dall'Inghilterra: sono sorde per sempre le orecchie che dovevano ascoltarle: come fu data esecuzione all'ordine, e come Rosencrantz e Guildenstern hanno trovato morte in Inghilterra. Ora da chi saremo ringraziati? |
Orazio | (Indicando il corpo del re) Dalla sua bocca, no, sicuramente, quand'anche fosse vivo e lo potesse. Non fu lui a ordinar la loro morte. Ma dal momento che così balzati siete su questa sanguinosa storia, voi dalla guerra di Polonia, e voi dall'Inghilterra, vogliate disporre che queste spoglie umane siano esposte su un tumulo alla vista della gente. E lasciate ch'io dica al mondo ignaro come sono accaduti questi eventi. Potrete così udire di carnali rapporti, e sanguinose e innaturali azioni, e d'assassinii casuali, e decisioni occasionali (164) di morti provocate o da perfidia o da forza maggiore, e, in questo epilogo, di tranelli falliti e ricaduti sulla testa di chi li aveva orditi. Su tutto posso dir la verità. |
Fortebraccio | E noi ci accingeremo ad
ascoltarla, qui, tutti insieme, coi nostri maggiori. In quanto a me, abbraccio la mia sorte, col dolore nel cuore; ho dei diritti, mai dimenticati, su questo trono, che l'ora presente mi esorta a far valere. |
Orazio | Anche di questo vi dovrò
parlare, ed a nome di chi, con il suo voto, molti altri ne trarrà alla vostra parte. Ma si proceda subito al da farsi, mentre gli animi sono ancora scossi, così che altri intrighi ed altri errori non abbiano a recarci altre sventure. |
Fortebraccio | Quattro miei capitani mettano il corpo d'Amleto su un palco, così come s'addice ad un soldato: perché se fosse stato lui sul trono, si sarebbe mostrato un buon sovrano. Diamo il nostro saluto al suo trapasso con musiche e con riti militari. Gli altri corpi toglieteli alla vista: è una vista da campo di battaglia e s'addice assai male a questo luogo. E s'ordini alla truppa di sparare. |
133 | Il becchino vuol dire "se defendendo": la clausola "se defendendo" consentiva che i morti suicidi per difendere se stessi da qualunque aggressione o pericolo, potessero essere sepolti nei cimiteri cristiani. Ma lo strafalcione è voluto per divertire il pubblico: un espediente che Shakespeare usa spesso per alleggerire la drammaticità di certe situazioni sceniche. |
134 | Altro sproposito del becchino: voleva dire "ergo", "dunque". Lo ripeterà più sotto. |
135 | "Could he dig without arms?": il primo becchino gioca sul doppio significato di "arms"; prima ha detto che Adamo era nobile perché "A' was the first that ever bore arms", dove "arms" sta per "insegne araldiche su uno stemma gentilesco", dunque "blasone di nobiltà"; poi ha detto "arms" per "braccia". Per salvare in qualche modo il quibble si è tradotto "senza l'arma delle braccia". |
136 | È, secondo alcuni, il nome di un oste che aveva la taverna presso il teatro del "Globe", a Londra. Ma qui siamo in Danimarca... |
137 | E, per converso, "Man che molto lavora s'incallisce": questo è il senso della battuta di Amleto. |
138 | "... as it were Cains' jawbone, that did the first murder": alcuni riferiscono "that" non già a Caino, ma a "jawbone", ritenendo che qui Shakespeare voglia alludere alla leggenda secondo cui Caino uccise Abele colpendolo con l'osso della mandibola di un asino. |
139 | Questo passo, tra l'intraducibilità del significato tecnico di alcuni termini del linguaggio giuridico (data la diversità del diritto inglese dal nostro), e tra i vari "quibbles" sui quali gioca ironicamente il poeta - specie sui molteplici sensi della parola "fine" che ricorre cinque volte in tre righe, e con cinque significati diversi - è di quelli che vanificano e scoraggiano qualsiasi sforzo di resa letterale del testo. |
140 | Il testo inglese di queste battute tra Amleto e il becchino è tutto basato sul solito gioco dei doppi significati - piuttosto banale, per la verità - del verbo "to lie", che vale "giacere", "star coricato" e anche "mentire", "dire bugie". C'è da domandarsi se veramente il pubblico colto gustasse simili melensaggini; molte delle quali, per fortuna, non sono di Shakespeare, ma risultano chiaramente interpolate. |
141 | "We must speak by card", letteralm.: "Bisogna parlargli per iscritto". |
142 | Quibble sulla parola "ground". Amleto domanda: "On what ground?", che vale "Per qual motivo?" e anche "Su quale terreno, su quale base?"; il becchino la intende nel secondo senso. |
143 | "I have been sexton here, man ad boy, thirty years": "sexton" (dal latino "sacristanus", corrottosi poi in "secristeyn", "sexteyn", "sexton") era al tempo di Shakespeare l'addetto alla parrocchia che svolgeva, accanto alle mansioni di custode di cose e luoghi sacri, anche quelle inerenti alla natura di unità civile e territoriale della parrocchia stessa. Ciò spiega la non troppo crassa arguzia del personaggio. Il quale ci fa sapere, tra l'altro, che Amleto ha trent'anni. L'età di Amleto però non è pacifica tra i critici. Alla morte del padre, Amleto è studente all'Università di Wittemberg; questo si evince dalle parole del re (I, 2, 12): "... For your intent / In going back to school in Wittemberg, / It is most retrograde to our desire". Anche la regina sua madre lo prega di non tornare a Wittemberg, ed egli acconsente. Ma trent'anni sono sembrati un po' troppi per uno studente universitario. Una giustificazione è stata trovata, secondo il prof. Bradley (A. C. Bradley, Shakespearian Tragedy, MacMillan, London, 1957 - in un passo del "Pierce Penniless"("Pierino Squattrinato") di Thomas Nashe, una satira della società inglese, in cui si legge: "Per stare alla moda, alcuni (Danesi) mandano bensì i figli a scuola, ma non prima che abbiano quattordici anni, sicché potete vedere un ragazzone con tanto di barba ad imparare l'ABC, e a sedere in lacrime sotto la sferza del maestro quando ha trent'anni". Altra congettura è, secondo lo stesso Bradley, che Amleto è un filosofo che allunga la sua permanenza all'Università per amore degli studi. |
144 | "... get to my lady's chamber": secondo alcuni "my lady" è la regina sua madre; ma è più probabile che Amleto parli delle dame in generale. |
145 | "... ill the last trumpet": cioè fino al giorno del Giudizio Finale, quando, secondo la credenza cristiana, due angeli suoneranno due trombe: l'una per i giusti l'altra per i dannati, che vengano dinnanzi al Supremo Giudice per l'ultimo giudizio. |
146 | "... until my eyelids will no longer wag": letteralm.: "... finché le mie palpebre non battano più". |
147 | All'aceto - la bevanda di Gesù Cristo nella Crocifissione - si attribuiva il potere di calmare la collera. |
148 | Altro monte della Tessaglia (con il Pelio e l'Olimpo). |
149 | Parole di senso oscuro; il più probabile è: "Ciascuno ha la sua natura, e deve seguirla: Ercole nel dare le sue prove di forza, il gatto nel miagolare, il cane nell'abbaiare". (E, sottinteso, io nell'infilzare tuo padre, credendo di infilzare il re). |
150 | "This grave shall have a living monument": "living", cioè di carne e ossa: Amleto morto. |
151 | "It did me a yeoman 'service": "yeomen" erano detti gli appartenenti al terzo stato della società inglese - dopo la nobiltà e l'alta borghesia - che nelle corti e nelle case dei nobili avevano un rango intermedio tra il cavaliere e il paggio. Nell'esercito servivano nella fanteria solitamente come arcieri o palafrenieri. Erano funzionari efficienti ed utili per antonomasia; sicché l'espressione "yeoman's service" era divenuta sinonimo di "buon servizio". |
152 | "... and stand a comma 'tween their amities": cioè in segno di unione; la virgola, al contrario del punto, unisce e lega le parti del discorso. Questa funzione è indicata, nella ortografia inglese, dal fatto che nella successione di proposizioni legate tra loro dalla congiunzione "and" si pone avanti a questa una virgola (al contrario dell'italiano che la rifiuta). |
153 | "... the changeling never known": "changeling" è termine che non ha l'equivalente in italiano. Significa "persona (specie fanciullo) o cosa surrettiziamente messa al posto di un'altra che viene rubata (cfr. in "Sogno d'una notte di mezza estate", II, 1, 23: "She never had so sweet a changeling", dove però di scambio furtivo di persona non si tratta: la regina ha "rubato" soltanto un fanciullo a un re indiano. |
154 | "... the continent": "continent" è qui chiaramente nel senso etimologico di "contenitore", "recipiente che contiene", non già, come intendono molti, come "continente", parte della superficie della terra. Nello stesso senso v. anche in "Antonio e Cleopatra", IV, 14, 40: "Heart, once stronger than thy continent...". |
155 | "... the concernency": Amleto vuol dire "... the concernment", "la pertinenza". |
156 | Cioè: "Se continuate a parlarvi in codesto modo affettato e artificioso, non vi capirete mai". |
157 | Amleto seguita a beffarsi di Osrico e dice "nomination" per "mention": "What imports the nomination of this gentleman?": "Si può sapere per quale ragione mi siete venuto a parlare di Laerte?" |
158 | "I knew you must be edified by the margent ere you had done": "Sapevo che avevate bisogno di essere edificato ai margini, prima di finire l'opera": è il traslato dell'edificio in costruzione, che necessita di essere edificato dalle parti esterne prima di dirsi finito; l'abbiamo volto nel traslato dello scritto che, per dirsi compiuto, ha bisogno di "notazioni a margine". L'idea è suggerita da quel "margent" e dal fatto che Orazio ha detto prima che Osrico aveva esaurito il suo vocabolario. |
159 | Osrico, per indicare i pendagli delle cinture, ha usato il termine "barriages", che significa "affusti", ma di cannone. |
160 | È un frizzo sul modo buffo di camminare del personaggio: Orazio paragona Osrico alla pavoncella che, appena nata, se ne corre via traballante con la testina ancora coperta del guscio dell'uovo da cui è uscita. |
161 | "I'll be your foil, Laertes", letteralm.: "Sarò la tua patina dorata, Laerte". È uno dei soliti bisticci di parole che Shakespeare ama far scoccare all'improvviso, come un corto circuito elettrico, nei momenti più drammatici. Il gioco di parole è questo: Amleto ha detto: "Qua i fioretti" ("Give me the foils"); poi riprende la parola "foil" e la usa nel senso di "sfoglia di pàtina d'oro (o d'argento) in cui si incastona una gemma per farla meglio brillare"; e in questa si raffigura lui stesso. |
162 | Si capisce a questo punto - è la tecnica teatrale di Shakespeare, come di ogni buon drammaturgo, quella di porre prima lo spettatore di fronte al fatto e poi spiegare com'è accaduto - che non di una perla vera si tratti, ma di una sfera di madreperla contenente il veleno che si doveva sciogliere nel vino. Ciò spiega la domanda di Amleto per accertarsi se nella coppa ci sia ancora "la perla". |
163 | Questa improvvisa uscita di Orazio reca opportuno un accenno alla Roma di Shakespeare. Come ha scritto lo spagnolo Purificaciòn Ribes nel suo "Julius Caesar: la retòrica", citato da Giorgio Melchiori nel suo "Shakespeare" (Laterza, 1949, pag. 391): "Le parole Rome e Roman rappresentano le qualità più apprezzate dell'uomo: sono associate alla virilità, al coraggio, alla risolutezza e alla devozione totale". "Il termine "Roman" secondo il concetto elisabettiano - prosegue il Melchiori - equivaleva a quella di "nobile"... L'altra idea associata al termine "Roman" era quella della morte - o piuttosto dell'etica della morte..." il riconoscere in un'azione, il suicidio, che in termini cristiani comporta invece la dannazione eterna, la più alta espressione della nobiltà dell'animo... Forse che l'Amleto di Shakespeare avrebbe fatto di una meditazione sul suicidio (il famoso monologo: "Essere o non essere...", n.d.t.) il tema centrale del suo problema personale, morale e sostanzialmente anche politico, se la questione della morte "secondo la grande usanza dei Romani" non fosse stata dominante nella coscienza dell'autore?" |
164 | "... of accidental judgements": "judgements" ha qui il senso di "formal authoritative decisions", e si riferisce, evidentemente, alle decisioni prese dal re riguardo ad Amleto. |