Scena II
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Amleto | Sistemato al sicuro. |
Voci d'uomo | (Da dentro) Principe Amleto! |
Amleto | Sssst! Chi è che chiama?... Chi chiama Amleto?... Oh, sono quei due! Entrano Rosencrantz e Guildenstern |
Rosencrantz | Che avete fatto del morto, signore? |
Amleto | Mescolato alla polvere, un suo affine. |
Rosencrantz | Diteci dov'è; lo dobbiamo portar nella cappella. |
Amleto | Non crediatelo. |
Rosencrantz | Credere? Che cosa? |
Amleto | Che il segreto io sappia
mantenerlo per voi e non per me. E per soverchio, essere interrogato da una spugna... Che può rispondergli un figlio di re? |
Rosencrantz | Mi date della spugna, monsignore? |
Amleto | Signorsì, una spugna, che del re assorbisce i favori, le prebende, le pappatoie. Ma, alla fin dei conti, uomini come voi servono meglio al re: vi tiene in serbo, come la scimmia tiene la nocciola in un angolo della sua mascella: (117) primi imboccati, ultimi ingoiati. E quando avrà bisogno di sapere quello che siete andati spigolando, gli basterà strizzarvi e, come spugne, ritornerete asciutti come prima. |
Rosencrantz | Non vi capisco proprio, monsignore. |
Amleto | Meglio così: discorso
canagliesco in stolto orecchio dorme. (118) |
Rosencrantz | Mio signore, diteci il luogo dove sta quel corpo, e poi venite insieme a noi dal re. |
Amleto | Il corpo è con il re, ma il re non è col corpo. (119) Il re è una cosa... |
Guildenstern | Una cosa, signore?... |
Amleto | Sì, da nulla. Portatemi da lui. (Tra sé) Volpe, nasconditi, ed avvenga che può. (Escono) |
Entra il Re con alcuni cortigiani
Re | Ho mandato a cercarlo, e a trovare il cadavere. Quest'uomo è un pericolo, se lasciato libero! E tuttavia dobbiamo stare attenti a non gravar la mano su di lui: è troppo amato dal volgo balordo che segue, nelle sue predilezioni, il suo occhio piuttosto che il suo senno, e in casi come questo, si dà peso al castigo del colpevole, ma mai alla sua colpa. Perché tutto si svolga dolce e piano, questo improvviso suo allontanamento deve sembrare a tutti il risultato di una ben ponderata decisione. A male estremo, estrema medicina. Se no, meglio lasciarlo star così. Entrano Rosencrantz e altri Ebbene, che è successo? |
Rosencrantz | Mio sovrano, non c'è verso di fargli uscir di bocca dove ha messo il cadavere. |
Re | Dov'è? |
Rosencrantz | Fuori, signore, sotto buona
guardia, in attesa di vostre decisioni. |
Re | Conducetelo qui. |
Rosencrantz | (Chiamando) Ehi, Guildenstern! Per favore, introduci monsignore. Entra Guildenstern con Amleto |
Re | Ebbene, Amleto, Polonio dov'è? |
Amleto | A cena. |
Re | A cena, dove? |
Amleto | Non dove mangia, ma dove è
mangiato; ha tutta un'adunata intorno a sé di politici vermi. Per la dieta il verme è il nostro solo imperatore: noi uomini mettiamo ad ingrassare tutte l'altre creature della terra per ingrassarci, e noi ingrassiamo i vermi. Un grasso re ed un magro mendicante non sono che due piatti, due portate d'un unico banchetto. Finisce tutto là. |
Re | Ahimè! Ahimè! |
Amleto | Un uomo può pescare con un verme che s'è mangiato un re, e mangiare il pesce che ha mangiato quel verme. |
Re | Che vuoi dire? |
Amleto | Null'altro che spiegarvi come un
re possa trovarsi ufficialmente in viaggio nelle budella d'un povero diavolo. |
Re | Beh, insomma, dove sta Polonio? |
Amleto | In cielo. Mandate alcuno a rintracciarlo là. E se il vostro inviato non lo trova, cercatelo da voi nell'altro posto. Se poi non lo trovate in capo a un mese, ne potrete annusare la presenza nel salire le scale della loggia. |
Re | (Ad alcuni del seguito) Cercatelo lassù. |
Amleto | Senza premura. Tanto v'aspetta, non si muove più. |
Re | Amleto, questa azione, per la tua personale sicurezza - che ci sta a cuore, pur se ci addolora quello ch'hai fatto - esige che tu parta da qui con la rapidità del fuoco. Perciò prepàrati senza indugiare: la nave è pronta, il vento è favorevole, i tuoi compagni sono qui che aspettano, tutto è disposto per levar le vele per l'Inghilterra. |
Amleto | Ah, per l'Inghilterra? |
Re | Sì, Amleto. |
Amleto | Bene, bene. |
Re | Bene, sì, se ben comprendi le nostre intenzioni. |
Amleto | Io vedo un cherubino che le vede. Ma via! Andiamo pure in Inghilterra! Addio, mia cara madre. |
Re | Io son tuo padre, Amleto, che ti vuole tanto bene. |
Amleto | Mia madre. Padre e madre son
tutt'uno, marito e moglie son tutt'una carne. Perciò mia madre... Avanti, in Inghilterra! (Esce) |
Re | (A Rosencrantz e Guildenstern) Stategli a fianco. Affrettate l'imbarco. Voglio che già stanotte sia lontano. Andate: tutto è sigillato e pronto per questo affare. Vi prego, affrettatevi. (Escono tutti meno il re) E tu, Inghilterra, se del mio favore fai alcun conto, come consigliare ti dovrebbe la mia grande potenza, dacché la tua ferita ancora sanguina della spada danese, e la libera tua sottomissione ci rende il suo tributo, non potrai rimanere indifferente alla nostra sovrana decisione; che ti chiede, con lettere pressanti, di Amleto l'immediata morte. Fallo, Inghilterra, perch'ei mi brucia il sangue come la tisi, e tu devi guarirmi. Fino a che non saprò che sarà fatto, non spunterà per me nessuna gioia, qualsiasi cosa mi possa accadere. (Esce) |
Entrano Fortebraccio, un Capitano del suo esercito e alcuni soldati
Fortebraccio | Va', capitano, porta al re danese il mio saluto insieme con l'annuncio che Fortebraccio, con il suo permesso, chiede il passaggio in armi, già promesso, attraverso le terre del suo regno. Tu sai dove trovarmi al tuo ritorno. Se sua maestà volesse altro da noi, andremo a fargli omaggio di persona. Che lo sappia. |
Capitano | Va bene, mio signore. |
Fortebraccio | Soldati, in marcia. Avanti senza
strepito. (Escono tutti meno il capitano) Entrano Amleto, Rosencrantz e Guildenstern |
Amleto | (Al capitano) Signore, di chi sono quei soldati? |
Capitano | Son del re di Norvegia, monsignore. |
Amleto | E dove vanno, signore, se è lecito? |
Capitano | In Polonia, a combattere. |
Amleto | Chi li comanda? |
Capitano | Il giovin Fortebraccio, nipote del sovrano di Norvegia. |
Amleto | Per soggiogare l'intera Polonia, o per qualche questione di confini? |
Capitano | A dirla franca e senza troppi
fronzoli, a conquistare un pezzetto di terra che d'importante non ha più che il nome. A pagarlo cinque ducati, cinque in affitto, nemmeno lo vorrei; né credo possa render più di tanto al Norvegia o al Polonia, qualora fosse rivenduto in blocco. |
Amleto | C'è da credere allora che i
Polacchi manco si cureranno di difenderlo. |
Capitano | Oh, sì, la zona è tutta presidiata. |
Amleto | Ma non vi basteran duemila anime e ventimila ducati a sistemare la pagliuzza di una questione simile! Ecco il cancro prodotto negli Stati dall'eccesso di pace e di benessere: corrode dentro chi ce l'ha e l'uccide, senza mostrare alcun segno all'esterno. Vi ringrazio, signore. |
Capitano | Iddio vi salvi. (Esce) |
Rosencrantz | Signore, se vi piace di seguirci... |
Amleto | Andate avanti. Vi raggiungo
subito. (Escono tutti) Come m'accusan tutte le occasioni che spronano la mia tarda vendetta! Che cos'è mai un uomo se del suo tempo non sa far altr'uso che per mangiare e dormire? Una bestia. Colui che ci ha dotati di una mente sì vasta da vedere il prima e il dopo, non ci largì questa capacità, ed il divino don della ragione, perché ammuffisca senz'essere usata. Sia letargo bestiale o vile scrupolo a farci pensar troppo sulle cose (un pensare che, se diviso in quattro, è saggezza soltanto per un quarto e bassa codardia per gli altri tre), io mi chiedo perché passo la vita a ripetermi: "Questo s'ha da fare", quando per farlo ho causa, volontà, e forza e mezzi. Ed a spronarmi a tanto ci sono esempi grandi come il mondo: ne sia testimonianza questo esercito, massiccio d'uomini e d'armamenti, guidato da un gentil giovine principe che tutto gonfio di sacra ambizione fa le boccacce all'invisibil fato, esponendo ciò ch'è mortale e incerto a tutto quello che Fortuna e Morte ardiscono arrischiar contro di lui. E tutto questo per un guscio d'uovo! Vera grandezza non fu mai combattere senza grandi motivi; ma è pur grande trovar causa di lite in una paglia, s'è in gioco l'onore. Ed io qui, con un padre assassinato e una madre insozzata, che sto a fare? A lasciar sprofondati nel letargo questi impulsi del sangue e della mente e, a mia vergogna, riguardar la morte sulla testa di ventimila uomini che per capriccio o ricerca di gloria, (120) vanno alla tomba come al loro letto, per un palmo di terra, insufficiente puranche a contenerli tutti sopra, o a ricoprirli quando saran morti. Ah, siano sol di sangue i miei pensieri d'ora innanzi, o non sian pensieri degni! (Esce) |
Entrano la Regina, Orazio e un Gentiluomo
Regina | Non la voglio vedere. |
Gentiluomo | Ma ella insiste, è proprio fuor
di sé. È in uno stato assai compassionevole. |
Regina | Che vuole, dunque? |
Gentiluomo | Parla di suo padre, continuamente, dicendo che il mondo è tutto ciurmeria; e sospira, e si va battendo il petto, e pesta i piedi con rabbia per niente; pronuncia frasi che hanno poco senso, un parlare che non vuol dire nulla, eppure muove chiunque l'ascolti a raccoglierlo, ad associarne il senso, a cucirne le frasi e le parole, che accompagnate al suo batter le ciglia, al tentennar del capo e agli altri gesti, fanno pensare d'essere animate da un pensiero, che se pur confuso, è d'una sofferenza disperata. |
Orazio | Sarebbe bene che voi le parlaste; il suo stato potrebbe dare esca a chi sa quali male congetture nella mente dei malintenzionati. |
Regina | Fatela pur venire. (Esce il gentiluomo) Al mio spirito in colpa ogni sciocchezza sembra preludio ad una gran disgrazia. Tale è la vera essenza del peccato: che la colpa è sì piena di sospetti, che si scopre da sé, per la paura d'essere scoperta. Entra Ofelia, pazza |
Ofelia | Dov'è sua graziosissima maestà di Danimarca? |
Regina | Ofelia, come va? |
Ofelia | (Cantando) "Come farò fra tanti "a distinguere il mio innamorato? "dal bordone, dai sandali, "o dal cappello di conchiglie ornato?" (121) |
Regina | Ahimè, dolce fanciulla, che vuol
dire questa canzone? |
Ofelia | Ah, dite così? Sentite questa allora. (Canta) "È morto e se n'è andato, "signora, egli è morto ed è partito, "un sasso ai piedi ed il capo poggiato "sopra una zolla di terren fiorito". |
Regina | Ma via, Ofelia! |
Ofelia | Di grazia, ascoltate. (Canta) "Bianco come la neve il suo lenzuolo..." Entra il Re |
Regina | Ah, guardate, guardate, mio signore! |
Ofelia | (Cantando) "... di fior tutto ammantato, "di lacrime d'amor non innaffiato". |
Re | Ti senti bene, vezzosa fanciulla? |
Ofelia | Bene, Dio vi rimeriti, signore. Il gufo - così dicono, signore - era un giorno la figlia d'un fornaio. (122) Sappiamo quel che siamo, ma non quel che possiamo diventare. Dio sia alla vostra tavola! |
Re | Ella farnetica intorno a suo padre. |
Ofelia | Di questo non parliamo, ve ne
prego; ma quando vi dovessero richiedere di che si tratta, ditegli così: "Sarà domani San Valentino, "ci leveremo di buon mattino, "alla finestra tua busserò, "la Valentina tua diventerò. "Allora egli si alzò, "delle sue robe tutto si vestì, "la porta della camera le aprì, "ed ella non più vergine ne uscì". |
Re | Graziosa Ofelia! |
Ofelia | Ma voglio finirla; sì, sì, finirla, e senza una bestemmia. (Canta) "Per Gesù, per la Santa Carità, "ahimè, quanta vergogna ci verrà! "I giovani lo fanno, "incuranti del danno, "e del biasmo che gliene verrà. (123) "Dice lei: "promettesti di sposarmi, "prima di rovesciarmi. "Dice lui: "Avrei fatto quel che ho detto, "se non fossi venuta nel mio letto." |
Re | Da quanto tempo è ella in questo stato? |
Ofelia | Spero che tutto andrà per il suo
meglio. Dobbiamo aver pazienza; ma non posso che piangere a pensare che l'hanno messo nella terra fredda. Mio fratello dovrà ora saperlo... Vi ringrazio del vostro buon consiglio... Vieni, mio cocchio!... Dame, buonanotte! Gentili dame, a tutte buonanotte! (Esce) |
Re | (A Orazio) Stalle dietro, sorvegliala. (Esce Orazio) Questo è il veleno dell'acerba angoscia che sgorga dalla morte di suo padre. Ah, Gertrude, Gertrude, le sciagure non vengon mai sole, simili ad avanguardie solitarie, ma ad intere legioni! In prima l'uccisione di suo padre; poi la partenza del vostro figliolo, egli stesso cagione violentissima del proprio giusto esilio; il popolo in subbuglio, frastornato da malsani pensieri e dalle voci che corron sulla morte di Polonio (e noi, in sovrappiù, sì scervellati d'andarlo a sotterrare di nascosto!); la poveretta Ofelia divisa fra se stessa e il suo bel senno, senza il quale noi siamo mere immagini d'umana specie, o bestie addirittura; ultima, ma più gravida d'angoscia d'ogni altra, suo fratello che ritorna dalla Francia in segreto, e che si pasce della sua incertezza, fra le nuvole, mentre intorno a lui ronzan mosconi a infettargli l'orecchio con pestifere velenose storie sulla morte del padre: tutta gente il cui cieco bisogno di ronzare finirà per toccare fatalmente, da orecchio a orecchio, le nostre persone. Tutto questo m'infligge, o mia Gertrude, tante ferite, come una mitraglia, (124) ciascuna sufficiente a darmi morte. (Rumori di dentro) Ma che frastuono è questo? Dove sono i miei Svizzeri? (125) Le porte, che guardino le porte! Entra un SERVO Che succede? |
Servo | Salvatevi maestà! Il grande
oceano che prorompe violento dai suoi argini non inghiotte la terra con più furia del giovane Laerte, che in testa ad una turba sediziosa travolge e sopraffà le vostre guardie. La folla lo proclama suo signore, e, come fosse oggi il primo giorno del mondo, d'ogni usanza e tradizione dimentica, sconoscendo ogni costume, grida: "Laerte re! Abbiamo scelto!" E al grido di "Laerte sarà re!", "Laerte re!", sollevan fino al cielo acclamando berretti, mani, voci. |
Regina | Come abbaiano allegri tutti
quanti sopra una falsa traccia! (Altri rumori da dentro) Cani danesi, siete fuori strada! Irrompe Laerte con altri |
Re | Hanno rotto le porte! |
Laerte | Dov'è il re?... (Alla folla che s'accalca sulla porta) Signori, rimanete tutti fuori. |
Tutti | Vogliamo entrare. |
Laerte | Lasciatemi solo. |
Tutti | Va bene. |
Laerte | Grazie. State sulla porta. (La folla si ritira) Re scellerato, rendimi mio padre! |
Regina | Con calma, buon Laerte. |
Laerte | Quella goccia del mio sangue che
calma rimanesse, proclamerebbe me un bastardo e cornuto il padre mio, ed apporrebbe il marchio di baldracca proprio qui, sulla fronte immacolata della casta e fedele madre mia. |
Re | Qual è la causa che alla tua
rivolta Laerte, dà sì grandi proporzioni? (Alla regina che tenta di interporsi tra Laerte e il re) Lasciatelo Gertrude. Non temete per me: la maestà avvolta è da tal sacra protezione, che il tradimento può solo adocchiare le proprie mire, mai tradurle in atto. Laerte, che ti fa sì furibondo? Lasciatelo, Gertrude. Parla, dunque. |
Laerte | Dov'è mio padre? |
Re | Morto. |
Laerte | Non di sua mano. |
Re | Lasciatelo dire, e domandare tutto ciò che vuole. |
Laerte | Com'è morto? Non voglio esser
giocato. Al diavolo la fedeltà di suddito! Al più nero demonio i giuramenti! Coscienza e grazia al più profondo pozzo! Sfido la dannazione! Sono al punto che non m'importa più di questo mondo come di quell'altro. Succeda quel che può. Voglio solo vendetta per mio padre, vendetta piena. |
Re | E chi vorrà impedirtelo? |
Laerte | Nessuno al mondo, tranne il mio
volere. Quanto ai mezzi, dei miei, per quanto scarsi, farò tal uso da arrivar lontano. |
Re | Buon Laerte, se vuoi la verità sulla morte del tuo diletto padre, sta forse scritto sulla tua vendetta che tu debba spazzar via d'un sol colpo, nemici e amici, come a piglia-tutto? (126) In un sol fascio il vincitore e il vinto? |
Laerte | No, solo i suoi nemici. |
Re | E li conosci? |
Laerte | Agli amici spalancherò le
braccia, e, come il generoso pellicano che muore per donare altrui la vita, (127) li nutrirò con il mio stesso sangue. |
Re | Oh, se Dio vuole! Questi son
discorsi da bravo giovane e da gentiluomo! Ch'io della morte del tuo genitore sia del tutto innocente e molto afflitto, è verità che andrà dritta ad infiggersi contro il bersaglio della tua ragione, come la luce del giorno ai tuoi occhi. (Rumori di dentro) |
Voce da dentro | Lasciatela passare! |
Laerte | Che succede? Entra Ofelia Oh, febbre, inaridiscimi il cervello! Lacrime mie, sette volte salate, bruciate dei miei occhi tutto il senso, tutto il potere!... Questa tua pazzia, per Dio!, sarà pagata a giusto peso, fin che la nostra bilancia si schianti! O tu, rosa di maggio! Cara, buona sorella, dolce Ofelia! Cielo, è dunque possibile che il senno d'una giovane fanciulla perisca come la vita d'un vecchio? La natura s'affina nell'amore, e invia di sé qualche preziosa parte alla cosa ch'è oggetto del suo amore. |
Ofelia | (Cantando) "Nella bara a volto nudo "l'han disteso, ninna oh... (128) "Sulla tomba sua caduto "è assai pianto, ninna oh..." Addio, mio piccioncino! |
Laerte | Se tu avessi quel senno ch'era
tuo, e potessi incitarmi alla vendetta, non potresti commuovermi di più! |
Ofelia | Voi dovete cantare: "In
giù, in giù", come se lo chiamaste da sotterra. Oh, come gira bene l'arcolaio! È stato il maggiordomo, il traditore, a rubare la figlia del padrone. |
Laerte | Questo nulla che dice è più che tutto. |
Ofelia | Ecco del rosmarino; è per
memoria. Non ti scordare, amore; e qui le viole, per i tuoi pensieri. |
Laerte | Una lezione, pur nella pazzia: i pensieri e i ricordi bene uniti. |
Ofelia | Ecco per te il finocchio, e le
verbene, e la ruta, ed un poco anche per me: la possiamo chiamare l'erba grazia della domenica; ma la tua ruta devi portarla addosso in altro modo... Ecco una margherita... E le violette ti vorrei dare, ma appassiron tutte quando morì mio padre. M'hanno detto che ha fatto buona fine... (Canta) "Perché il mio dolce Robin "è tutta la mia gioia..." |
Laerte | Pensiero ed afflizione, ambascia,
inferno, ella converte tutto nell'incanto della sua leggiadria. |
Ofelia | (Canta) "Dunque non torna più? "No, morto è il mio diletto, "riposa nel suo letto, "e più non tornerà... "Bianca era la barba, "bianca come la neve, "e lino la sua testa. "Se n'è andato, e quaggiù "solo il pianto ci resta. "Della sua anima, mio Dio, pietà!" Per lui e tutte le anime cristiane io prego Iddio. E che Dio sia con voi. (Esce) |
Laerte | Dio, hai occhi per questo? |
Re | Laerte, io debbo allearmi con te in questo tuo dolore; è un mio diritto, che tu non puoi negarmi. A parte tutto, scegli quelli che vuoi tra i tuoi amici che reputi più saggi ed assennati, e fa' ch'essi odano e siano giudici fra me e te: se mai essi mi trovino in qualche modo, diretto o indiretto, responsabile, a tua soddisfazione ti cederò il regno, la corona, la vita e tutto ciò che chiamo mio. Ma se così non è, non ti dispiaccia di prestarmi la tua sopportazione, perch'io possa adoprarmi, insieme a te, per dare soddisfazione alla tua anima. |
Laerte | E sia. Le circostanze della
morte, la segretezza del suo funerale - senza stendardo funebre, né spada, né insegna alcuna sovra le sue ossa, né nobil rito, né pompa ufficiale... tutto ciò grida alto a cielo e terra ch'è mio dovere chiederne ragione. |
Re | Così farai. E là dov'è la
colpa piombi la grande scure. Vieni, seguimi. (Escono) |
Entrano Orazio e un servo
Orazio | Chi son questi che chiedon di parlarmi? |
Servo | Marinai. Hanno lettere per voi, così dicono. |
Orazio | Bene, falli entrare. (Esce il servo) Non so da quale angolo del mondo mi si possa mandare a salutare se non da parte del principe Amleto. Entrano alcuni marinai |
Primo marinaio | Dio vi salvi, signore. |
Orazio | Così te. |
Primo marinaio | Lo farà, monsignore, se gli
piaccia. Ho qui una lettera per voi, signore; viene da parte dell'ambasciatore ch'era in viaggio alla volta d'Inghilterra... se Orazio è il vostro nome, come m'è stato dato di sapere. |
Orazio | (Legge) "Orazio, quando avrai scorso questa mia, "dà a questi uomini il modo di arrivare al re. "Essi recano una lettera per lui. "Eravamo in mare da appena due giorni, "quando una nave corsara, "in armamento di guerra, ci ha dato la caccia. "Trovandoci troppo lenti di vela, "ci siamo armati di coraggio "e li abbiamo abbordati. "Ma ero appena saltato sul ponte della loro nave, "che essi si scostavano dalla nostra, "ed io rimasi loro prigioniero. "M'han trattato da buoni ladroni, "ché ben sapevano quel che facevano: "io ero per loro una preda preziosa. "Fa' che il re abbia la lettera che gli mando, "e poi corri da me, "più presto che se fuggissi la morte: "ho da dirti all'orecchio parole "che ti faran restare ammutolito, "seppure ancora troppo inadeguate "al calibro della questione. "Questa brava gente "ti condurrà al luogo ov'io mi trovo. "Rosencrantz e Guildenstern proseguono "la loro navigazione per l'Inghilterra. "Di loro ho molto da dirti. A presto. "Colui che sai essere sempre il tuo Amleto". (Ai marinai) Seguitemi, vi faccio strada al re, perché possiate recargli la lettera; ma in fretta, ché dovete poi condurmi dalla persona che ve l'ha affidata. (Escono) |
Entrano il Re e Laerte
Re | La tua coscienza ormai mi deve
assolvere, e tu devi ridarmi nel tuo cuore il posto dell'amico, ché hai udito, con cosciente orecchio che chi ha ucciso il tuo nobile padre, mirava alla mia vita. |
Laerte | Così sembra. Ma ditemi, perché non procedeste contro fatti sì delittuosi e gravi, da attentare alla vostra stessa vita, nel modo che la vostra sicurezza, il vostro senno ed ogni altra ragione avrebbero richiesto che faceste? |
Re | Oh, per due buone e precise
ragioni, che possono sembrare poco solide al tuo giudizio, ma son forti al mio. La regina sua madre non vive che per gli occhi di suo figlio, e quanto a me - non so se per fortuna o per disgrazia mia, o l'una e l'altra -, ella è così legata alla mia vita e alla mia anima, ch'io come un astro che non si può staccar dalla sua orbita, non posso che seguire il di lei moto. L'altra ragione che mi fa esitante a venire con lui pubblicamente alla resa dei conti, è il grande amore che gli dimostra il popolo; che, pronto ad inzuppar nel proprio affetto ogni sua colpa, come polla d'acqua che riesce a mutare il legno in pietra, muterebbe le sue catene in grazie; (129) e allora le mie frecce, troppo leggere per quel forte vento, respinte, tornerebbero al mio arco, senza poter raggiungere il bersaglio. |
Laerte | Ed io così ho perduto un padre
nobile, e vedo indotta in stato disperato una sorella che per le sue doti - se val la lode a ciò che non c'è più - s'ergeva alta, sfida all'età nostra. Ma verrà l'ora della mia vendetta. |
Re | Non devi perdere il sonno per
questo. Non crederci di stoffa così flaccida e fiacca da lasciare che il pericolo si prenda spasso a scuoterci la barba. Fra non molto tu ne saprai di più. Tuo padre m'era caro, ed io son caro a me... e questa, spero, è cosa che ti farà ben pensare... Entra un servo con una lettera Ehi, che notizie? |
Servo | Lettere, signore, da Amleto: questa per vostra maestà, questa per la regina. |
Re | Da Amleto!... Chi può averle mai recate? |
Servo | Dei marinai, m'han detto, mio
signore; io non li ho visti; a me le ha date Claudio che l'ha avute da chi le ha qui portate. |
Re | Devi udirle, Laerte. (Al servo) Tu, va' pure. (Esce il servo) (Legge) "Alto e possente, "sappiate che io, nudo, "ho rimesso sul vostro regno piede. "Domani vi domanderò licenza "di rivedere i vostri occhi regali; "dopodiché - ma non prima di averne ottenuto "da voi il permesso - vi racconterò "le ragioni del mio strano "e inopinato ritorno. Amleto" Che vuol dir ciò? Son tornati anche gli altri? O è solo un trucco, e non è vero niente? |
Laerte | Riconoscete la calligrafia? |
Re | È proprio il suo carattere, di
Amleto. "Nudo"... ed in un poscritto aggiunge "solo". Che ne pensi? |
Laerte | Signore, io mi ci perdo. Ma ben venga! Il mio cuore tribolato si sente riscaldato al sol pensiero di potergli gridare sotto i denti "Sei stato tu!". |
Re | Quand'è così, Laerte (e come potrebb'essere altrimenti?), ti lascerai guidare poi da me? |
Laerte | Certo, sire, ma ad una
condizione: che non mi forzerete ad una pace. |
Re | Alla tua pace, sì. S'egli
è tornato come a voler desistere dal viaggio e con l'intento di non più riprenderlo, io lo tirerò dentro ad un'impresa che ho già ben maturata nella mente, e tale che non potrà non soccombere senza che spiri alcun vento di colpa per la sua morte: perfino sua madre assolverà il sagace stratagemma, e lo dirà una semplice disgrazia. |
Laerte | Mi lascerò guidare, mio signore; e tanto più se voi farete in modo che sia io lo strumento dell'impresa. |
Re | Appunto questo. S'è parlato
assai di te alla corte, in presenza di Amleto, da quando sei partito per la Francia, riguardo a certa tua specialità nella quale si dice che tu brilli. Tutte le doti tue, sommate insieme, non suscitaron tanta invidia in lui quanto quella che, pure, a parer mio, è un tuo pregio minore. |
Laerte | Di che dote parlate, mio signore? |
Re | Di niente più che un semplice
nastrino sul cappello della tua giovinezza; ad esso necessario tuttavia; perché tanto s'addice all'età giovane la sua livrea di spensieratezza quanto s'addicono all'età matura il vestire di nero e le pellicce, segni di contegnosa austerità. Or son due mesi è stato qui da noi un gentiluomo della Normandia. Io stesso ho avuto modo di osservare, durante i nostri scontri coi Francesi, la loro maestria nel cavalcare; ma questo cavaliere aveva in sé un qualche cosa come una magia: si faceva tutt'uno con la sella e portava il cavallo a movimenti così meravigliosi e strabilianti da sembrare un sol corpo con la bestia fino a farne una sua mezza natura; e soverchiò di tanto il mio concetto, che per quanto riesca ad inventare figure e accorgimenti ed esercizi, resto sempre inferiore a tal bravura. |
Laerte | Era un Normanno? |
Re | Sì, proprio un Normanno. |
Laerte | Per la mia vita! Allora era Lamord! |
Re | Proprio lui. |
Laerte | Eh, perbacco, lo conosco! È il gioiello, la gemma della Francia. |
Re | Infatti mi parlò di te
elogiandoti così altamente per la tua maestria nell'arte e l'esercizio della scherma, e specie nel maneggio dello stocco, che gridò: "Che spettacolo sarebbe se qualcuno potesse stargli a pari!" Di fronte a un avversario come te gli schermidori della sua nazione, giurava, non avevano né guardia, né affondo, né difesa sufficienti. Ebbene, amico, queste sue parole avvelenarono d'invidia Amleto al punto ch'egli non faceva altro che augurarsi e pregare il tuo ritorno al più presto, per battersi con te. Ora, da ciò... |
Laerte | Che cosa, mio signore? |
Re | Laerte, ti fu caro il padre tuo? O tu sei solo come una pittura dell'afflizione, un volto senza cuore? |
Laerte | Perché me lo chiedete? |
Re | Non ch'io pensi che non ti fosse
caro tuo padre, ma io so per esperienza, come l'amore nasca con il tempo e come, in molto casi, il tempo stesso ne modifichi il fuoco e la scintilla. Dentro la fiamma stessa dell'amore vive un certo stoppino che pian piano la smorzerà. Del resto, non v'è nulla che conservi la stessa sua bontà; ché la bontà, diventando soverchia, finisce per morire del suo eccesso. Quello che noi vogliamo dobbiamo farlo all'atto del volerlo; perché questo "vogliamo" è assai mutevole ed è soggetto a tanti cali e indugi quante son lingue, e mani, e circostanze. E allora quel "dobbiamo" è un desiderio che, simile a benevolo sospiro, ci affligge e insieme ci reca sollievo. Ma ritorniamo al vivo della piaga. Amleto torna a corte. Quale azione saresti pronto a fare per dimostrarti figlio di tuo padre, nei suoi riguardi, a fatti e non parole? |
Laerte | A tagliargli la gola in una chiesa. |
Re | Nessuna chiesa, infatti, o luogo
santo dovrebbe offrire asilo all'assassinio: nulla deve impedire la vendetta. Però per ora è meglio, buon Laerte, che tu te ne rimanga chiuso in camera. Amleto avrà notizia, al suo ritorno, che anche tu sei ritornato in patria; e noi porremo gente intorno a lui a far le lodi della tua maestria nel duellare, e a far due volte lustra la fama che t'ha dato quel Francese. Combineremo quindi un vostro scontro e faremo scommesse su chi vince. Trascurato com'è, e generoso, e sprovveduto d'ogni furberia, Amleto non farà caso alle spade, così che tu potrai agevolmente e con facile mossa della mano scegliere quella priva di bottone: un colpo di destrezza messo a segno, e avrai saldato il conto di tuo padre. |
Laerte | Farò così. E a maggior
sicurezza ungerò la mia spada: un ciarlatano m'ha venduto un unguento sì mortale ch'a intingervi la punta d'un coltello nel punto dove questa cava sangue non c'è infuso tra i più sofisticati d'erbe raccolte al lume della luna che riesca a salvare dalla morte se appena sia scalfito. Intingerò la punta della spada in questo unguento: basterà uno sgraffio e per lui sarà morte. |
Re | Riflettiamoci ancora un altro
poco. Pesiamo bene i mezzi ed il momento che più convengono al nostro scopo. Ché se questo fallisse, e il nostro piano si rivelasse senza accorgimento, meglio varrebbe non tentare affatto. Perciò bisogna dare a questa trama l'appoggio di una trama di riserva cui far ricorso se questa va all'aria nel corso della sua esecuzione. Vediamo un po': potrei essere io a scommettere sulle vostre teste... Ecco, ce l'ho: nel corso dello scontro, quando, nell'impeto dei vostri assalti, avrete caldo e sete (a questo effetto attaccherai con sempre più violenza) lui certamente chiederà da bere; allora io terrò pronta una coppa: basterà che ne faccia una sorsata e, se pur sia scampato alla stoccata della tua spada intrisa di veleno, il nostro scopo è ugualmente raggiunto. (Clamori all'interno) Ma, un momento... Che son questi clamori? Entra la Regina |
Regina | Una disgrazia incalza alle
calcagna un'altra, tanto presto si succedono. Laerte, tua sorella s'è annegata. |
Laerte | Annegata! Ah, dove? |
Regina | C'è un salice che cresce di
traverso ad un ruscello e specchia le sue foglie nella vitrea corrente; (130) qui ella venne, il capo adorno di strane ghirlande di ranuncoli, ortiche, margherite e di quei lunghi fiori color porpora (131) che i licenziosi poeti bucolici designano con più corrivo nome (132) ma che le nostre ritrose fanciulle chiaman "dita di morto"; ella lassù, mentre si arrampicava per appendere l'erboree sue ghirlande ai rami penduli, un ramo, invidioso, s'è spezzato e gli erbosi trofei ed ella stessa sono caduti nel piangente fiume. Le sue vesti, gonfiandosi sull'acqua, l'han sostenuta per un poco a galla, nel mentre ch'ella, come una sirena, cantava spunti d'antiche canzoni, come incosciente della sua sciagura o come una creatura d'altro regno e familiare con quell'elemento. Ma non per molto, perché le sue vesti appesantite dall'acqua assorbita, trascinaron la misera dal letto del suo canto ad una fangosa morte. |
Laerte | Ohimè, dunque annegata? |
Regina | Sì, Laerte. |
Laerte | Tropp'acqua è su di te, povera
Ofelia, ed io perciò mi interdico le lacrime; ma siam fatti così, e la natura reclama i suoi diritti, pure se la vergogna vi si opponga. (Piange) Quando saran passate queste lacrime non avrò in me più nulla di femmineo. Adieu, mio sire. Ho parole di fuoco che vorrebbero tanto fiammeggiare, ma questa folle sciagura le smorza. (Esce) |
Re | Seguiamolo, Gertrude. Quanto ha
fatto finora per calmare la sua rabbia! Ma ho gran paura che quanto è accaduto gliela scateni ancora. Sarà meglio che lo teniamo d'occhio. (Escono) |
117 | Il testo ha un improbabile "like an ape an apple...", "come una scimmia (tiene) una mela"; la scimmia, come si sa, non di mele è ghiotta, ma di nocciole, e usa tenerne sempre una o più nascoste nel vano tra la mascella e la guancia, per poterla sgranocchiare a suo talento. |
118 | "A knavish speech sleeps in a foolish ear": senso: "Sei troppo balordo per afferrare subito un linguaggio canagliesco come il mio". "Sleeps" ha qui il senso del "dormitat" del noto proverbio latino "Quandoque bonus dormitat Homerus". |
119 | "The body is with the king, but the king is not with the body": frase variamente intesa; il senso più probabile, secondo questo traduttore, è di dare a quei due "with" il valore di "where" e leggere: "Colui che ora è re sta già insieme con il suo cadavere, anche se non è ancor morto (ma lo sarà presto)". |
120 | "That, for a fantasy and trick of fame", letteralm.: "Che per un capriccio e dono della fama": "trick" nel senso di "dono", "privilegio" è usato da Shakespeare anche più sotto, V, 1, 88: "And we had the trick to see it". |
121 | Il cappello a larga falda e con sopra un guscio di conchiglia ("cokle hat") era il tipico copricapo dei pellegrini ed era divenuto simbolo di penitenza, insieme col bordone e i sandali. |
122 | Allusione a una leggenda popolare secondo la quale Gesù entrò un giorno nella bottega d'un fornaio e chiese del pane; il fornaio impastò una grande pagnotta e stava per infornarla quando la figlia, rimproverandolo d'averla fatta troppo grossa, la ridusse ad un piccolissimo panino; ma la pasta cominciò a lievitare gonfiandosi fino a diventare enorme. Al che la giovane cominciò a gridare: "Giù, giù, giù", che è il verso del gufo. Per punirla allora Gesù la tramutò in quell'uccello. |
123 | Il testo ha qui un "By cock" esclamativo ("Per il gallo!") che non s'è tradotto, e che sta verosimilmente per "By God"; la mente sconvolta di Ofelia non distingue più nemmeno "cock" da "God". |
124 | "... like to a murd'ring piece": "murdering-piece" era chiamato un piccolo cannone a tiro rapido installato a bordo delle navi per sparare contro i nemici quando questi, abbordata la nave, ne avessero invaso la plancia. |
125 | "My Switzers": anche al tempo di Shakespeare "svizzero" era sinonimo di "soldato mercenario". Gli Svizzeri erano di solito assoldati per il corpo di guardia del principe. |
126 | "That, swoopstake, you will draw both friends and foe": "swoopstake" è un gioco di carte simile al nostro "asso pigliatutto", in cui il giocatore vincente piglia tutte le poste. |
127 | L'immagine del pellicano che nutre i suoi piccoli col proprio sangue è anche in "Re Lear", II, 4. |
128 | "Ninna oh" traduce la cantilena senza senso "Hey no, nonny nonny, ey nonny" che s'usava intramezzare al discorso quando non si voleva continuare una frase troppo allusiva. Appare però difficile attribuire ad Ofelia, nello stato mentale in cui si trova, tale intenzione; la sua mente sconvolta non connette più. |
129 | "... convert his gyves to graces": cioè farebbe di lui, prigioniero in catene, un martire. |
130 | Il motivo del salice, simbolo dell'amore casto e sventurato, è ricorrente nella poetica elisabettiana, ed in Shakespeare in particolare. Così in "Otello", IV, 2, 51-58; e in "Tanto trambusto per nulla", II, 1, 57. |
131 | "... and long purples": non si tratta esattamente di orchidee - come intendono alcuni - ma di lunghi fiori color viola ("Orchis mascula") che crescono spontanei. |
132 | "... that liberal shepherds give a grosser name: s'indicavano col nome di "liberal shepherds" gli scrittori di poesie pastorali (altro genere assai in voga nell'Inghilterra elisabettiana), e la cerchia dei loro amici e seguaci. La loro poesia era piena di allusioni lascive: che nome avessero dato costoro al fiore qui indicato dalla regina come facente parte della ghirlanda di Ofelia morente, non si sa; quello di "dita di morto" datogli dalle fanciulle s'accorda con la simbolicità del colore violetto che è il colore dei paramenti sacerdotali del lutto sacro e della penitenza. "Gross" aveva al tempo di Shakespeare il significato, poi perduto, di "licenzioso". Stupisce costatare che non c'è un solo traduttore italiano che abbia inteso in questo senso questi versi, e ha tradotto "shepherds" per "pastori" senza domandarsi che senso abbia applicato a "pastori", l'aggettivo "liberal". |