Scena II
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Re | Benché sia vivo e verde ancora
in noi il ricordo del nostro buon fratello, il caro Amleto, e meglio ai nostri cuori ancor s'addica andar vestiti a lutto, e a tutto il nostro regno contrarsi in un sol volto di dolore, nondimeno ragione e sentimento, hanno conflitto per sì lungo tempo dentro di noi, da far che a lui pensiamo ora con più rassegnato dolore, senza più trascurare tuttavia di pensare a noi stessi. Perciò la nostra sorella di ieri, ora nostra regina, imperiale compagna nella guida di questo stato guerriero, con gioia sfigurata nel volto, un occhio lieto un altro lacrimoso, all'imeneo mischiando un canto funebre, gioia e dolore insieme bilanciando, abbiamo tolta in moglie. E nel farlo non siam stati chiusi al vostro saggio avviso, liberamente espresso in questo affare. Del che desidero rendervi grazie. Ora passiamo ad altro. (011) Come sapete, il giovin Fortebraccio, male stimando la nostra potenza e pensando che questo nostro regno con la scomparsa del fratello nostro sia rimasto sconvolto e disgregato, indotto a tal pensiero temerario dal suo costante sogno di rivincita, non ha cessato dall'importunarci col reclamare la restituzione delle terre perdute da suo padre e passate, di pieno buon diritto, al valentissimo fratello nostro. Tanto basti di lui. Venendo a noi e all'oggetto di questa riunione le cose stan così: con questo scritto (Mostrando una lettera) noi chiediamo al sovrano di Norvegia, zio del suddetto giovin Fortebraccio, (012) che, trovandosi infermo ed allettato, credo non sia nemmeno a conoscenza dei disegni di questo suo nipote, d'interdire a costui d'andar più oltre nel porre in atto questi suoi disegni, visto che arruolamenti e coscrizioni sono da lui condotti fra i suoi sudditi; e qui spediamo voi, mio buon Cornelio, e Voltimando, dal vecchio Norvegia, come latori di questo messaggio; nessun altro potere conferendovi, nel trattare col re, fuori dei limiti specificati nel nostro mandato. Buon viaggio, e sia la vostra diligenza pari al vostro dovere. |
Cornelio e Voltimando | Ve ne daremo prova, in questo e in tutto. |
Re | Non ne ho mai dubitato. Addio, di
cuore. (Escono Cornelio e Voltimando) Ed ora a te, Laerte. Che hai di nuovo? Parlavi di una supplica. Che c'è? Sai che non rischi di sprecare il fiato se chiedi qualche cosa al re danese. (013) Non c'è nulla che tu potresti chiedermi, che, più che una richiesta tua a me, non sia una profferta mia a te: non è la testa più legata al cuore, né più strumento la mano alla bocca, di quanto sia tuo padre al nostro trono. Che domandi, Laerte? |
Laerte | Mio temuto signore, il vostro
assenso e gradimento al mio ritorno in Francia. Sebbene sia venuto in Danimarca d'assai buon grado a porgervi il mio omaggio per l'incoronazione, tal dovere compiuto, devo dire che in Francia sono pur sempre rivolti i miei pensieri ed i miei desideri, ed io li inchino alla vostra indulgenza per ottenerne graziosa licenza. |
Re | Ce l'hai prima da parte di tuo
padre? Che ne dice Polonio? |
Polonio | Mio signore, sia pure a
malavoglia, non senza lunghe e stressanti insistenze, ho dovuto alla fine sigillare la sua richiesta con il mio consenso. Ora vi supplico di dargli il vostro. |
Re | Profitta della tua ora, Laerte; sia tuo il tempo, e le tue buone grazie se lo spendano pure a lor talento. E adesso, Amleto, mio nipote e figlio... |
Amleto | (A parte) ... Un po' più che parente, e men che figlio. |
Re | Perché sempre sospese tante
nuvole sulla tua fronte? |
Amleto | Nuvole, signore? Anzi, son troppo al sole. (014) |
Regina | Amleto, caro, togliti di dosso quel colore notturno, (015) ed il tuo occhio riguardi da amico colui ch'è ora il re di Danimarca; non andare cercando di continuo con quelle palpebre sempre abbassate il tuo nobile padre nella polvere. È legge di natura - lo sai bene - che ciò che vive deve pur morire, dal mortale passando all'immortale. (016) |
Amleto | Sì, signora, è di tutti. |
Regina | E se è così, perché sembra che tocchi solo a te? |
Amleto | Sembra, signora? No, non sembra,
è; io non conosco "sembra". Non è soltanto il mantello d'inchiostro, buona madre, né il mio vestir consueto, sempre così solennemente nero, né il sospirar violento del mio petto, né il copioso fluire dei miei occhi, né l'aspetto contratto del mio volto con gli altri segni e mostre del dolore, ad esprimere il vero di me stesso. Di tutto questo si può dir che "sembra", perché questi son tutti atteggiamenti che ciascuno potrebbe recitare. Ma quel che ho dentro va oltre la mostra... queste esteriori son tutte gualdrappe, e livree del dolore, nulla più. |
Re | È dolce e commendevole, Amleto, in te, il rendere a tuo padre tutto questo tributo di cordoglio; dovresti pur sapere tuttavia che tuo padre perdette anch'egli un padre, e quel padre perdette anch'egli il suo. È obbligo filiale del superstite manifestare per un certo tempo tutto il proprio cordoglio. Ma incaponirsi in un lutto ostinato, è atteggiamento d'empia testardaggine un non virile modo di soffrire, un segnale di volontà restia a sottostare ai voleri del cielo, un cuore fiacco, un animo impaziente, un intelletto semplice ed incolto. Perché dovremmo consumarci il cuore in tanta pervicace ostinazione per cosa che sappiamo che è così, e che è così per tutti, come ogni altra sensibile esperienza? Diamine! Questa è colpa contro il cielo, contro chi è morto, contro la natura, ma soprattutto contro la ragione, cui la morte dei padri è tema usuale, e che sempre nel tempo ha proclamato, dal primo morto all'ultimo di oggi: "Così dev'essere, e così sia!". Ti preghiamo perciò di gettar via questo tuo vano ed infruttuoso affanno, e di pensare a noi come ad un padre: perché sei tu - ne prenda nota il mondo - l'erede più diretto al nostro trono; ed io sento per te lo stesso affetto, la stessa nobiltà di sentimenti del più tenero padre verso il figlio. Quanto alla tua intenzione di tornare a studiare a Wittemberga, (017) essa è contraria al nostro desiderio. Perciò ti supplichiamo ardentemente d'inchinarti a restare qui con noi, per il conforto mio e di tua madre e per il gradimento dei nostri occhi, primo fra tutti i nostri cortigiani, beneamato nipote e figlio nostro. |
Regina | Amleto, non lasciare inascoltate, ti prego, le preghiere di tua madre: sta'con noi, non andare a Wittemberga. |
Amleto | V'obbedirò, signora, del mio meglio. |
Re | Ecco una chiara, amabile
risposta! Sii un altro noi stesso in Danimarca. Venite, mia signora. Questo grazioso e libero consenso di Amleto mi ridà un sorriso al cuore; e grazie ad esso oggi non vi sia brindisi del Danimarca di cui non dia il cannone maggiore fin su alle nuvole l'annuncio, e i cieli rimandandosi quel terrestre tuono faccian eco al regal festino. (018) Andiamo. (Fanfara. Escono tutti, meno Amleto.) |
Amleto | Ah, se questa mia troppo, troppo
solida carne, potesse sciogliersi in rugiada! Ah, se l'Eterno non avesse opposta la sua legge al suicidio! O Dio! O Dio! Come tediose, e insipide ed inutili m'appaiono le piatte convenzioni di questo mondo! Che schifo! Che schifo! Questo è un orto coperto di gramigna che va in seme; vi sanno verzicare erbe rozze e selvatiche, nient'altro. A tanto dunque si doveva giungere! È morto da appena due mesi... oh, no, che dico, nemmeno tanti... un re così eccellente, confrontato a costui, un Iperione a confronto di un satiro; (019) e di lei a tal punto innamorato da non permettere nemmeno ai venti di sfiorarle con troppa forza il viso! Ah, cielo e terra, come non pensarci! E lei, che tutta s'appendeva a lui, come se l'appetito di quel cibo le crescesse mangiandone... Appena un mese... Non voglio pensarci. Ahimè, fragilità, il tuo nome è femmina. Un mese appena... non ancor consunte le scarpe con le quali, tutta in lacrime, novella Niobe, (020) aveva seguito il feretro del mio povero padre... Lei, sì lei!... O Dio Onnipotente! Anche una bestia priva di ragione avrebbe fatto più lungo compianto... ed ora maritata con mio zio, fratello di mio padre, ma a lui simile non più di quanto lo sia io ad Ercole... Un mese, appena un mese... prima che il sale delle false lacrime abbia cessato d'arrossarle gli occhi, ancora gonfi, s'è rimaritata! Oh, lubrica precipite lascivia! Scivolare con tanta leggerezza tra incestuose lenzuola!... Non è bene, né può venirne bene! Ma spèzzati, mio cuore, ch'io debbo ora frenar la lingua! Entrano Orazio, Marcello e Bernardo |
Orazio | Salute a vostra signoria! |
Amleto | Salute! Lieto che stiate tutti bene... Orazio, se non m'inganno? (021) |
Orazio | Proprio lui, signore, sempre l'umile vostro servitore. |
Amleto | Servitore... Di' pure
"vostro amico", così dobbiamo chiamarci tra noi. E che ci fai tu qui da Wittemberga, Orazio? (Vede Marcello) Oh, Marcello! |
Marcello | Mio signore! |
Amleto | Sono proprio felice di vederti. (A Bernardo) Ed anche voi, signore, buona sera. (A Orazio) Che t'ha portato qui da Wittemberga? |
Orazio | Certa voglia d'andar girovagando. |
Amleto | Oh, non vorrei sentire dire
questo da un tuo nemico; né farai violenza al mio orecchio sì da indurlo a crederti quando parli così contro te stesso: so che non sei un chierico vagante. E dunque, che ci fai ad Elsinore? In ogni caso, prima che riparti, t'insegneremo a tracannar di grosso. |
Orazio | Son venuto, signore, per
assistere alle esequie del vostro genitore. |
Amleto | Ah, no, ti prego, caro
condiscepolo, non mi prendere in giro: sei venuto, penso, a veder le nozze di mia madre. |
Orazio | Sono seguite, infatti, molto presto. |
Amleto | Economia, Orazio, economia! Gli arrosti del banchetto funerario son serviti a guarnire, ancora caldi, la tavolata di quello nuziale. Ah, Orazio, ti giuro che piuttosto che vivere un tal giorno, avrei voluto confrontarmi in cielo con il più intimo dei miei nemici! Mio padre... mi par sempre di vederlo... |
Orazio | Dove, signore? |
Amleto | Riflesso nell'occhio della mia mente. |
Orazio | Io lo vidi un giorno. Era un bel re. |
Amleto | Era un uomo, un uomo vero, in tutto, come non ne vedrò più. |
Orazio | Io credo, monsignore, d'averlo visto ancor la scorsa notte. |
Amleto | Visto, chi? |
Orazio | Il re, signore, vostro padre... |
Amleto | Che dici? Il re mio padre!... |
Orazio | Frenate per un poco lo stupore e prestatemi attentamente orecchio ch'io possa rivelarvi, testimoni questi due gentiluomini, un prodigio. |
Amleto | Spiegati meglio, Orazio, se Dio vuole! |
Orazio | Per due notti di seguito, questi signori, Marcello e Bernardo, durante il loro turno di vigilia, nell'ora morta della mezzanotte, hanno fatto l'incontro che or vi dico: una figura come vostro padre, da capo a piè di tutto punto armata, appare loro, e con solenne passo, lento e maestoso passa lor davanti. Passò tre volte avanti agli occhi loro, a distanza non più di questa picca; muti, atterriti, con il fiato in gola, essi non riuscivano a parlargli. Avendomi ciò essi riferito in segreto, ed ancor tutti sgomenti, la terza notte volli anch'io con loro montar la scolta; ed ecco che a conferma di quanto m'avean essi riferito, sia in merito all'ora che all'aspetto, quella figura appare nuovamente a tutti e tre: ed era vostro padre. L'ho ben riconosciuto; queste mani non potrebbero somigliarsi meglio. |
Amleto | E dove questo? |
Marcello | Là, sulla piazzola dove noi tre si montava di scolta. |
Amleto | Nessuno gli ha parlato di voi tre? |
Orazio | Io, signore, ma senza aver
risposta. Anche se m'è sembrato, a un certo punto, che alzasse il capo ed accennasse appena, quasi a volermi dire qualche cosa. Ma proprio in quell'istante risuonò il canto del gallo dell'alba, e in quella la figura si ritrasse prestamente svanendo al nostro sguardo. |
Amleto | Molto strano, davvero. |
Orazio | Eppure è vero, com'è vero ch'io vivo, mio signore; tanto che abbiam pensato tutti e tre esser nostro dovere d'informarvene. |
Amleto | Certo, certo, signori; ma la cosa non è senza turbarmi. Siete ancora di guardia stanotte? |
Marcello e Bernardo | Sì, monsignore. |
Amleto | Armato, avete detto? |
I due | Completamente, dalla testa ai piedi. |
Amleto | La faccia, allora, non l'avete vista. |
Marcello | Oh, sì, portava alzata la visiera. |
Amleto | Ah, e v'è parso fosse corrucciato? |
Orazio | Aveva un'espressione di dolore più che di collera. |
Amleto | Pallida o accesa? |
Orazio | Molto pallida. |
Amleto | E v'ha guardati fisso? |
Orazio | Per tutto il tempo. |
Amleto | Avrei voluto esserci. |
Orazio | Ne sareste rimasto assai colpito. |
Amleto | Lo credo bene... Ed è rimasto a lungo? |
Orazio | Il tempo di contare fino a cento, lentamente. |
Marcello e Bernardo | Eh, no, di più, di più! |
Orazio | Non quando io l'ho visto. |
Marcello | La barba brizzolata aveva... no? |
Orazio | Sì, come la ricordo di lui vivo, nera con strie d'argento. |
Amleto | Voglio vegliare anch'io con voi
stanotte. Forse ripasserà. |
Orazio | Ne sono certo. |
Amleto | Se dovesse riassumere l'aspetto del mio nobile padre, io gli parlo, dovesse scoperchiarsi anche l'inferno a impormi di star zitto. Ora vi prego, poiché avete serbato fino ad ora il segreto di questa apparizione, di tenerlo ancor chiuso nel silenzio. E qualunque altra cosa questa notte dovesse intervenire, ritenetela nella vostra mente, non sulla vostra lingua. Di tanto affetto vi ricompenserò. Ed ora addio... Vi raggiungerò stanotte alla piazzola del castello: all'ora tra le undici e le dodici. |
Tutti | Il nostro ossequio a vostra signoria. |
Amleto | Il vostro affetto, come il mio a
voi. (Escono Orazio, Marcello e Bernardo) Lo spirito del padre mio in armi! Non può essere buon segno... Ho il sospetto di qualche brutto gioco. Come vorrei che fosse già la notte!... Fino allora, sta' cheta, anima mia! Le azioni turpi verranno alla luce, fosse la terra intera a ricoprirle! (Esce) |
Entrano Laerte e Ofelia
Laerte | Il mio bagaglio è a bordo.
Addio, sorella. E quando il vento sarà favorevole, e sia pronta una vela per salpare, non dormire, ma dammi tue notizie. |
Ofelia | Come puoi dubitarne? |
Laerte | Quanto ad Amleto ed alle
frivolezze di cui ti circuisce, fanne il conto d'una moda, d'un gioco del suo sangue, una viola di primaticcio sboccio, precoce ma d'effimera esistenza, dolce ma non durevole, il profumo e lo svago di un momento. Nient'altro più. |
Ofelia | Nient'altro?... |
Laerte | Non pensarci. L'uomo, nel suo sviluppo naturale, non cresce solo di forza e statura, ma a misura che il suo tempio s'espande, (022) s'accrescono anche in esso le funzioni che vi celebra l'animo e la mente. Forse ora egli t'ama, ed in quest'ora nessuna macchia di riserva o calcolo appanna l'onestà dei suoi propositi; ma farai bene a star molto guardinga, perché data l'altezza del suo rango, egli non può disporre a suo talento della sua volontà, perché egli stesso è suddito dei suoi stessi natali, non può foggiarsi a suo modo la vita, come può un comune individuo; e ciò perché dalle sue decisioni può dipendere la salute e il bene del regno; ogni sua scelta è sottoposta ai desideri ed al consentimento di quel corpo del quale egli è la testa. S'egli ora dunque ti professa amore, sarai saggia se gliene farai credito nei limiti che a lui son consentiti, dalla particolarità del rango, di porre in atto quanto possa dire; perché non potrà farlo oltre quel tanto che possa consentirgli in generale la pubblica opinione in Danimarca. Rifletti dunque bene a quale perdita potrebbe derivare all'onor tuo se tu prestassi alle sue serenate troppo credulo orecchio, a cuor perduto, o se schiudessi il tuo casto tesoro alla sfrenata sua insistenza. Attenta, Ofelia, attenta, cara mia sorella! Tieniti sempre nella retroguardia della passione, fuor dalla portata e dai pericoli del desiderio. Fa già abbastanza dono di se stessa la vergine più schiva che alla luna discopre le sue vereconde grazie. Mai la virtù è sfuggita alla calunnia. A primavera il verme rode i fiori avanti che si schiudano dai bocci, così come la prima giovinezza, come la rorida rugiada all'alba, si trova molto spesso minacciata da effluvi contagiosi. Dunque, attenta! La migliore difesa è nel temere. La gioventù è ribelle già a se stessa, anche senza bisogno di alleati! (023) |
Ofelia | Custodirò, a guardiana del mio
cuore, la morale di questo tuo consiglio. Ma tu, per parte tua, fratello caro, non fare come certi indegni preti che, mentre additano la via del cielo erta e spinosa, vanno poi calcando da tronfi e ben pasciuti libertini i sentieri fioriti del piacere, dimentichi dei lor buoni precetti. |
Laerte | Oh, per me non temere!... Ma io m'attardo. Ecco ancora mio padre. Entra Polonio Il caso arride ad un secondo addio. Doppia benedizione, doppia grazia. |
Polonio | Ancora qui, Laerte?... A bordo, a
bordo! Il vento s'è già assiso da padrone in cima alla tua vela, e là t'aspettano. Va', figlio, con la mia benedizione, e imprimiti a caratteri di stampa nella tua mente queste poche regole: (024) mai non prestare lingua ai tuoi pensieri, mai prestar mano a pensieri avventati; gli amici di provata fedeltà aggràppateli saldamente al cuore con uncini d'acciaio; ma sta' attento a non scaldarti il cavo delle mani trattenendovi nuovi uccelli implumi schiusi appena dal guscio. Guàrdati dal mischiarti in tafferugli, ma se t'accada d'esservi coinvolto, agisci in modo che il tuo contendente abbia a guardarsi bene dai tuoi colpi. A tutti porgi orecchio, a pochi voce. Accogli sempre l'opinione altrui, ma pensa a modo tuo. Il tuo vestire, per quanto può permetterti la borsa, sia di buon prezzo, ma non stravagante; ricercato, ma non troppo fastoso, ché l'abito rivela spesso l'uomo, e in Francia le persone di buon ceto sono assai ricercate nel vestire ed hanno classe, specialmente in questo. Non chiedere né dar danaro in prestito: col prestito si perde, molto spesso, il danaro e l'amico, e il fare debiti ottunde il senso della parsimonia. Ma soprattutto tieni questo in mente: sii sempre, e resta, fedele a te stesso; ne seguirà, come la notte al giorno, che non sarai sleale con nessuno. Addio, figlio. La mia benedizione trapianti e faccia maturare in te questi pochi precetti di tuo padre. |
Laerte | Umilissimamente, padre mio, prendo da voi licenza. |
Polonio | L'ora incalza. Va', i servi aspettano. |
Laerte | Addio, Ofelia! E non dimenticar le mie parole. |
Ofelia | Stanno ben chiuse nella mia
memoria, e tu porti via con te la chiave. |
Laerte | Addio. (Esce Laerte) |
Polonio | Che cos'è che t'ha detto? |
Ofelia | Se vi piaccia, cosa a riguardo del principe Amleto. |
Polonio | A proposito! Mi vien riferito che in questi ultimi tempi molto spesso t'ha dedicato in segreto il suo tempo, e che tu gli hai concesso buon ascolto con alquanta larghezza e compiacenza. Se questo è vero - come m'hanno detto, non senza mettermi ben sull'avviso - debbo dirti che non hai chiaro in mente quel che s'addice a te come mia figlia ed al tuo onore. Che c'è fra voi due? Voglio da te tutta la verità. |
Ofelia | Signore, egli m'ha fatto,
ultimamente, ripetute profferte del suo affetto. |
Polonio | Affetto!... Poh!... Tu parli da
bimbetta all'oscuro di simili pericoli. Credi davvero a quelle "sue profferte", come le chiami tu? |
Ofelia | Non so cosa pensarne, mio signore. |
Polonio | Ebbene, te lo insegno io, tuo
padre: pensa di te che sei una bamboccia ad aver preso per oro zecchino queste profferte, non di buona lega. Offri te stessa a ben più alto prezzo, o, per cantarla sulla stessa musica, "offrirai" me come un bell'imbecille! (025) |
Ofelia | Mio signore, egli m'ha
sollecitato d'amore in modo del tutto onorevole. |
Polonio | Sì, modo... Chiamalo piuttosto
"moda"... Va' va'... |
Ofelia | ... e ha confortato il suo
parlare, con quasi tutti i sacri giuramenti. |
Polonio | Sì, cappi buoni ad acchiappar
beccacce! Io so, quando a noi bolle dentro il sangue, come l'animo nostro sia corrivo a prestare alla lingua giuramenti. Sono solo fiammate, figlia mia, che producon più luce che calore, e, appena accese, subito si estinguono, e nell'una e nell'altro. D'ora in poi, cerca di essergli piuttosto avara della tua virginale compagnia; metti ai colloqui tuoi più caro prezzo che d'un semplice invito a conversare. Quanto al principe Amleto, devi pensar di lui non più di tanto: che è giovane ed è libero di muoversi entro il raggio d'un più lungo guinzaglio che non sia quello consentito a te. In breve, Ofelia, a queste sue profferte tu non devi prestare fede alcuna: non sono che mezzani travestiti, semplici intermediari d'amorazzi, (026) che danno fiato a sacri e pii legami per meglio accalappiare le fanciulle. E questo valga per tutti e per sempre. In termini più chiari, d'ora innanzi non voglio che tu renda scandaloso alcun istante del tuo tempo libero con lo scambiar parola e con l'intrattenerti in conversari con il principe Amleto. Bada che questo è un ordine. Ora va'. |
Ofelia | Obbedirò a quest'ordine,
signore. (Escono da parti opposte) |
Entrano Amleto, Orazio e Marcello
Amleto | L'aria morde maligna. Fa assai freddo. |
Orazio | Sì, un'ariaccia pungente. |
Amleto | Che ora è? |
Orazio | La mezzanotte, credo. |
Marcello | È già battuta. |
Orazio | Ah, sì? Non l'ho sentita. Allora siamo vicini al momento in cui lo spirito usava passare. (Da dentro, due squilli di tromba e due colpi di cannone) Che significa questo, mio signore? |
Amleto | Che il re stanotte veglia e fa
baldoria, tracanna coppe e balla il saltinsù. (027) E mentre manda giù nel gargarozzo le sue sorsate di vino del Reno, timpano e tromba abbaiano così alla pompa delle sue libagioni. |
Orazio | È un'usanza? |
Amleto | Un'usanza, sì, purtroppo; una di quelle usanze che, a mio genio, con tutto ch'io sia nato in questa terra e vi sia stato avvezzo dalla nascita, sempre ho pensato fosse più decente far cessare che praticare ancora. Queste sfrenate, rozze gozzoviglie fanno di noi la favola e il ludibrio di tutti gli stranieri: ci chiaman ubriaconi e porci, e macchiano di brutti appellativi il nostro nome; e, per la verità, c'è di che sminuir le nostre imprese, pur se condotte nel modo migliore, ledendoci nel nerbo e nel midollo della reputazione. Ed è così che uomini di pregio, a cagione di un vizio di natura, che si sono portati dalla nascita e del quale non hanno alcuna colpa, poiché natura non fa distinzione d'origine; o per l'eccessiva crescita di qualche lor personale tendenza, che abbatte quanti ostacoli e fortezze possa loro frapporre la ragione; o per certo lor abito di vita che li porta ad esasperare al massimo la forma di plausibili maniere, è così, dico, che in questi individui, segnati dell'impronta di un difetto o da natura o da maligna stella, tutte l'altre loro buone qualità, per pure e limpide che possan essere fino all'estremo della perfezione, appaiono corrotte agli occhi altrui per colpa di quell'unico difetto. Insomma, basta un briciolo di male ad infettare della sua bassezza tutta la nobile essenza d'un dubbio. (028) Entra lo Spettro |
Orazio | Oh, guardate, signore, eccolo, viene! |
Amleto | O angeli e ministri della grazia, difendeteci voi!... Spirito buono o diavolo dannato che tu sia, o che porti tu con te aure del cielo o lezzi dell'inferno, sian buone o male le intenzione tue, tu vieni in tale dubitosa forma, ch'io ti voglio parlare... E mi rivolgerò a te come ad Amleto re, mio padre, re dei Danesi... Oh, dammi una risposta! Non mi far consumar nell'ignoranza! Di' perché le tue ossa consacrate, composte e seppellite nella morte, hanno rotto la cera del sudario; perché il sepolcro dove in santa quiete t'abbiam visto giacere, ha spalancato le sue possenti marmoree mascelle per rigettarti nuovamente fuori. Che vuol dire che tu, freddo cadavere, di nuovo, tutto in completa armatura, rivisiti i raggi della luna e rendi sì sinistra a noi la notte? E noi, come zimbelli di natura, siamo scrollati, per il raccapriccio, da pensieri che vanno oltre i confini della mente? Perché questo? A qual fine? Parla. Che cosa vuoi che noi facciamo? (Lo spettro fa cenno ad Amleto di avvicinarsi a lui) |
Orazio | Ecco, vi accenna d'andar con lui, come a volervi parlare da solo. |
Marcello | E guardate con che amorevol gesto v'invita ad appartarvi insieme a lui! Ma non ci andate. |
Orazio | No, assolutamente. |
Amleto | Perché? Che cosa c'è da aver
paura? Io, di questa mia vita materiale, non faccio maggior conto d'uno spillo, e quanto alla mia anima, che male mai può farle, s'è come lui immortale?... Mi fa cenno. Io vado. |
Orazio | E se dovesse trascinarvi verso i flutti del mare, mio signore, oppure sull'orribile strapiombo di quel picco sull'acque, (029) e poi, là giunto, si tramutasse in qualche orribil forma che può detronizzarvi la ragione o sospingervi verso la follia? Pensateci. Già il luogo, per se stesso, se non ci fosse nessun'altra causa, mette al cervello brividi d'orrore, a guardare da quell'altezza il mare e udir ruggire il flutto sottostante. |
Amleto | Insiste ad accennarmi di
seguirlo. (Allo spettro) Va' pure avanti, ti raggiungerò. |
Marcello | (Cercando di trattenerlo) No, monsignore, no! |
Amleto | (Svincolandosi) Via quelle mani! |
Orazio | Non lo seguite. Siate ragionevole. |
Amleto | Il mio destino mi grida d'andare, e sento in me ogni fibra del corpo farsi sempre più dura e più tenace di quelle del leone di Nemea. (030) (Lo spettro fa un altro cenno con la mano) Ecco, mi chiama ancora. Via, lasciatemi, o, giuraddio, fo di chi mi tiene un altro spettro!... Lasciatemi, dico! (Allo spettro) Va' pure avanti, ch'io ti vengo dietro. (Escono Amleto e lo spettro) |
Orazio | La fantasia lo fa farneticare. |
Marcello | Stiamogli dietro. Non siamo
tenuti davvero ad obbedirgli, in questo caso. |
Orazio | Sì, seguiamolo. Come finirà? |
Marcello | C'è qualcosa di marcio in Danimarca. |
Orazio | Lo guidi il cielo. |
Marcello | Sì, però seguiamolo. (Escono) |
Entrano lo Spettro e Amleto
Amleto | Dove vuoi trascinarmi? Dimmi,
parla. Io più oltre non vengo. |
Spettro | Ascolta. |
Amleto | Ascolto. |
Spettro | È quasi l'ora per me di tornare al tormento delle sulfuree fiamme. |
Amleto | Ahimè, povero spettro! |
Spettro | Non compiangermi, ma ascolta bene quanto sto per dirti. |
Amleto | Son tutt'orecchi, parla. |
Spettro | E sarai pure, Amleto, tutto
voglia di far di me vendetta, dopo che avrai ascoltato. |
Amleto | Che cosa? |
Spettro | Io lo spirito sono di tuo padre, condannato ad errare nella notte per alcun tempo, e il giorno a digiunare nel fuoco, fin che siano arsi e purgati i peccati (031) da me commessi in terra. Se svelare i segreti del mio carcere non mi fosse interdetto, potrei fartene tale descrizione ch'ogni parola d'essa, la più blanda, ti ferirebbe il cuore come un dardo, ti gelerebbe il sangue nelle vene e ti farebbe schizzar via dall'orbite, come stelle impazzite, le pupille, e ti farebbe scompigliar sul capo le ben composte ed annodate ciocche facendoti drizzare ogni capello come aculeo d'un istrice infuriato. Ma il racconto di questo eterno modo (032) non si può fare a orecchi in carne e sangue. Dunque ascoltami attento, Amleto. Ascolta! Se mai tu amasti il tuo diletto padre... |
Amleto | Oh, Dio!... |
Spettro | ... tu devi vendicare, Amleto, il turpe, innaturale (033) suo assassinio. |
Amleto | Assassinio? |
Spettro | Turpissimo assassinio, qual è in ogni caso anche il più giusto; ma questo fu di tutti il più nefando, il più mostruoso ed il più innaturale. |
Amleto | Ditemi tutto, presto, su,
affrettatevi, sì ch'io possa volare alla vendetta con ali rapide come un'idea o un pensiero d'amore. |
Spettro | Ti trovo ben disposto; ma più
fiacco dell'erba grassa che ha pigre radici sulle sponde del Lete tu saresti, se questo non ti desse alcun sussulto. Ascolta, Amleto: è voce generale ch'io sia morto pel morso d'un serpente mentre dormivo in terra nel giardino: è così che gli orecchi dei Danesi sono stati ingannati ignobilmente da una falsa versione dell'evento. Sappi, invece, mio generoso giovane, che il serpente che morse l'esistenza del padre tuo ne porta ora il diadema. |
Amleto | Mio zio!... Oh, presaga anima mia! |
Spettro | Sì, quell'adultera, incestuosa
bestia, con la stregoneria della sua mente e con fallaci doni - oh, maledetti e mente e doni, che hanno tal potere di seduzione! - ha vinto alle sue voglie la volontà della regina mia, a tutti apparsa sempre sì virtuosa. Oh, Amleto, che caduta è stata quella! Da un amore sì degno come il mio, sempre andato la mano nella mano col voto che le profferii sposandola, alle braccia d'un essere spregevole i cui doni dell'anima son zero al confronto dei miei!... Ma così come la virtù corrotta non sarà mai, per quanto la libidine la corteggi con modi celestiali, la lascivia, per quanto accompagnata a un angelo radioso, si giacerà su un letto celestiale a far la sua pastura di lordure. Ma sento già il respiro del mattino. Sarò breve. Dormivo nel giardino, come m'era consueto al pomeriggio; e in quel sonno pacifico e sicuro mi sorprende tuo zio, con una fiala piena d'infame succo di quisquiano, e dentro il padiglione dell'orecchio mi versa quella lebbra distillata d'effetto sì nemico al sangue umano da serpeggiare come argento vivo per tutti i suoi canali, arterie e vene, (034) e far che con fulmineo vigore il sangue fino e sano si rapprenda e cagli, come in latte aceto a gocce. Così fece del mio quella mistura: in un istante, una schifosa scabbia incortecciò tutto il mio liscio corpo d'una schifosa crosta, come Lazzaro. (035) E fu così che tuo padre, nel sonno, fu spogliato, per mano d'un fratello, della vita, del trono e della sposa, falciato proprio nel pieno rigoglio dei suoi peccati: senza comunione, impreparato, senza estrema unzione, senza poter contrire la sua anima; spedito a rendere il suo conto a Dio col fardello di tutti i suoi peccati. Orribile! Tremendamente orribile! Se tu conservi in te natura d'uomo, non devi tollerarlo. Non permettere che il talamo del re di Danimarca sia giaciglio d'incesto e di lussuria. Però ricòrdati: qualunque piano tu ordisca per raggiungere un tal fine, attento a non macchiarti la coscienza: non far che la tua anima abbia a mai cospirar contro tua madre; lascia al cielo e alle spine ch'ella ha in petto di pungerla e trafiggerla. Ed ora è forza ch'io ti lasci... Addio. La lucciola m'ha dato già il segnale che la luce dell'alba s'avvicina, perché vedo smorzare a poco a poco l'effimera sua fiamma. Addio, addio. Ricordati, ricordati di me. (Svanisce) |
Amleto | O voi, legioni del cielo! O tu,
terra! Che devo invocar più, anche l'inferno? Ah, che schifo, che schifo!... E tu, mio cuore, reggi! E voi, mie fibre, non cedete un sol attimo. Tenetemi... Ricordarmi di te, povero spirito! Ma sì, finché avrà spazio la memoria, su questa sfera di terra impazzita! Ricordarmi di te!... Cancellerò dalle pagine della mia memoria tutti gli altri ricordi triti, frivoli, le parole dei libri, le impressioni, le forme che su essa hanno stampato la giovinezza, l'esperienza, tutto! E solo il tuo comando, nello spazio vivrà del mio cervello, non frammisto a più vile altra materia. Sì, perniciosa femmina, perdio! Sì, furfante, grandissimo furfante! Sorridente furfante, ma dannato! Dov'è il mio taccuino... Questa voglio annotarmela: che un uomo possa sempre sorridere, sorridere, ed essere il peggiore dei ribaldi. Almeno in Danimarca. (Scrive qualcosa nel taccuino che ha cercato in tasca) E così sei servito, caro zio. D'ora innanzi la mia parola d'ordine sia questa: "Addio, ricordati di me!" L'ho giurato. |
Le voci di Orazio e Marcello da dentro | Signore! Monsignore! Principe Amleto! Il cielo vi protegga! |
Amleto | E così sia. Entrano Orazio e Marcello, ma nel buio non vedono ancora Amleto |
Orazio | (Fischiando) Chiù-chiù, (036) oh, oh, signore! |
Amleto | (Rispondendo al fischio) Chiù-chiù, ragazzo! Vieni, uccello, vieni. (Si trovano) |
Marcello | Com'è andata, mio nobile signore? |
Orazio | Che notizie, signore? |
Amleto | Oh, meraviglie! |
Orazio | Mettetecene a parte, monsignore. |
Amleto | No, lo andreste a ridire. |
Orazio | Non io, lo giuro al cielo, monsignore. |
Marcello | Né io, signore. |
Amleto | E sia, come volete; ma chi avrebbe potuto immaginarlo? Manterrete il segreto? |
Orazio e Marcello | Certamente, per il cielo giuriamo, monsignore! |
Amleto | Non c'è un pitocco in tutta
Danimarca che non sia una perla di furfante. |
Orazio | Ah, non c'è proprio che uno
spettro uscisse dalla tomba, monsignore, per dirci questo. |
Amleto | Già, tu hai ragione. Adesso, senza farci altri discorsi, credo sia conveniente per noi tutti darci la mano, qui, e separarci; voi, dove vi conducano ciascuno le vostre occupazioni e desideri - però che occupazioni e desideri ogni uomo ne ha, quali essi siano; e io, per parte mia - pensate un po'! - andrò a pregare. |
Orazio | Queste, mio signore, sono solo parole in libertà, senza costrutto. |
Amleto | Mi dispiace assai se t'hanno offeso. Davvero, di cuore. |
Orazio | Non c'è offesa, signore. |
Amleto | Eh, sì, c'è offesa, per San Patrizio, Orazio, grande offesa! (037) Per quanto è di questa apparizione, s'è trattato, lasciatemelo dire, d'un onesto fantasma. Abbandonate, perciò, il desiderio di conoscere quello che c'è stato fra me e lui. Ed ora, cari amici, poiché amici mi siete tutti e due, chi condiscepolo, chi camerata, (038) ch'io vi rivolga un'umile preghiera. |
Orazio | Quale, signore? Noi l'accoglieremo. |
Amleto | Questa: di non parlare con
nessuno di ciò che avete visto qui stanotte. |
Orazio e Marcello | Non lo faremo mai. |
Amleto | Sì, ma giuratelo solennemente. |
Orazio | Parola mia, non lo farò, signore. |
Marcello | Né io, parola mia. |
Amleto | Sulla mia spada. (039) |
Marcello | Vi abbiamo già giurato, monsignore. |
Amleto | Fatelo meglio, qui, sulla mia spada. |
La voce dello Spettro | (Da dentro) Giurate!... |
Amleto | Ah, ah, ragazzo, ancora lì? Sei tu che parli, là, onesto amico? (040) Ecco, lo avete udito: il nostro amico è in cantina. Accettate di giurare. |
Orazio | Diteci voi la formula, signore. |
Amleto | Mai parlare di quel che avete
visto. Sulla mia spada giurate. |
La voce dello Spettro | (Da dentro) Giurate! |
Amleto | (Rispondendo allo spettro) Hic et ubique? (041) Via, cambiamo posto. Venite qua, stendete ancor la mano sulla spada. Giurate su di essa di mai parlar di ciò che avete udito. |
La voce dello Spettro | (c. s.) Sulla spada! |
Amleto | Ben detto vecchia talpa! Ma come fai a scavarti la terra così veloce?... Un minatore in gamba. Via, signori, spostiamoci di nuovo. |
Orazio | Oh, giorno e notte insieme, (042) quale straniera meraviglia è questa! |
Amleto | E come tale dalle il benvenuto! (043) Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia. Ma sentite: qui, come mai innanzi, (044) voi due - così vi possa assistere la Grazia! - per quanto stravagante e stralunato possa apparirvi il mio comportamento (e m'accadrà di stimare opportuno di darmi un'aria stralunata e sfatta), non dovete far mostra, innanzi ad altri, di saperne di più di quel mio stato: magari solo incrociando le braccia, ecco, così, oppur scuotendo il capo, o bofonchiando frasi sospensive, come questa: "Eh, noi lo sapevamo...", o questa: "Se volessimo, potremmo...", o anche: "Se volessimo parlare..." ed altre dello stesso ambiguo tono. Ecco, giurate di non fare questo. Così la grazia e la pietà del cielo vi soccorrano in caso di bisogno. |
La voce dello Spettro | (c. s.) Giurate! |
Amleto | Pace, pace, inquieto spirito! (Orazio e Marcello giurano imponendo le mani sull'elsa della spada di Amleto) E così, gentiluomini, mi raccomando a voi con tutta l'anima. Quello che un pover'uomo come me potrà fare per dirvi l'amicizia e l'affetto che nutre per entrambi, non mancherà di farlo. Adesso rientriamo tutti insieme; ma, vi prego, col dito sulle labbra. Il mondo è fuor dei cardini; ed è un dannato scherzo della sorte ch'io sia nato per riportarlo in sesto. Ebbene, andiamo insieme. (Escono) |
001 | Orazio è nobile e sa il latino, come tutti i giovani di buona famiglia dell'età elisabettiana; e il latino era anche considerato il linguaggio della magia, degli esorcismi e degli scongiuri. I maghi e i fattucchieri, allora molto in voga, si esprimevano in latino. |
002 | Secondo l'uso del tempo, il sovrano di un paese veniva chiamato col nome del paese. Così, più sotto, "Polonia" il re di Polonia. |
003 | "... stars with trains of fire": si tratta, evidentemente, delle comete. Shakespeare ripete qui tutti i fenomeni già da lui decritti nel "Giulio Cesare" alla vigilia della morte di questi, come presagio della sua uccisione e dei torbidi che ne seguirono. Quanto alla verità storica delle comete, è accertato tuttavia che nessuna ne apparve a quel tempo. Una ne fu vistasecondo Plutarcodopo la morte di Cesare. |
004 | "... and dews of blood", letteralm.: "... e rugiade di sangue". Si credeva che il passaggio di una cometa sulla terra mutasse in sangue l'acqua delle gocce di rugiada. |
005 | La luna, il cui influsso determina le maree. |
006 | "... and the moist star... was sick almost to doomsday with eclipse": "Doomsday" è il Giudizio universale della credenza cristiana. |
007 | "... that may to thee do ease and grace to me": "grace" è qui nel senso di "sanctitude", "salvation", "benemerenza acquisita davanti a Dio"; Dio stesso è "The Source of Grace" in "Tutto è bene quel che finisce bene", I, 3, 226. ("Se innanzitempo Grazia a sé no'l chiama", Dante, Inf., XXXI, 129). |
008 | Era credenza popolare che gli spiriti di coloro che in vita si fossero indebitamente appropriati di beni altrui dovessero non trovar requie finché non avessero restituito il mal preso. |
009 | Era antica credenza popolare - avvalorata anche da scrittori protocristianiche il canto del gallo all'alba avesse il potere di cacciare dalla terra gli spiriti maligni che vi avessero vagato nella notte. |
010 | Per i segnali musicali nel teatro shakespeariano, v. la nota preliminare n. 7 alla mia traduzione del "Re Lear". |
011 | Da qui in poi, è da intendere che Claudio non si rivolga più alla regina, ma agli altri nobili presenti. |
012 | Si noti la corrispondenza delle corti di Danimarca e di Norvegia in ciò che entrambe hanno perduto un re, al quale è succeduto non il figlio, ma il fratello. |
013 | "You cannot speak of reason to the Dane / and lose your voice", letteralm.: "Non puoi parlare di qualcosa che meriti al re danese, e sprecare la voce". |
014 | Amleto esordisce con uno dei più sofisticati e fulminanti quibbles shakespeariani. Rispondendo al patrigno che gli chiede: "Com'è che su di te son sempre sospese tante nuvole?" (In termini più piani: "Perché stai sempre così rannuvolato?"), risponde: "Not so, my lord; I am too much in the sun": "Tutt'altro, mio signore; io sono troppo al sole"; dove si gioca sull'omofonia tra "sun", "sole" e "son", "figlio", che all'epoca l'attore doveva pronunciare entrambi "sun" (cfr. per identica assonanza, nel "Giulio Cesare", tra "Rome" e "room", I, 2, 156: "Now is it Rome indeed, and room enough..."). Ma, bisticcio nel bisticcio, c'è l'uso dell'espressione "to be in the sun" che vale sia "stare a ciel sereno (senza nuvole)", ma anche "stare sul lastrico", "essere ridotto in miseria (materiale e morale)". È la prima stoccata di Amleto contro lo zio che gli ha ucciso il padre, del quale ha usurpato il regno e presa in moglie la vedova. |
015 | Amleto veste di nero. |
016 | "... passing through nature to eternity", letteralm.: "... passando attraverso la natura all'eternità". |
017 | Città tedesca sull'Elba, sede della famosa università e della cattedrale alla cui parete Lutero affisse le sue tesi contro il papato di Roma. Sulla questione degli studi di Amleto in questa città, v. più sotto la nota (143). |
018 | L'associazione del fragore del tuono a quello della gozzoviglia reale non è solo metaforica: in Danimarca i banchetti di corte erano effettivamente contrappuntati da salve di artiglieria in segno di festa. |
019 | "... Hyperion to a satyr": Iperione, uno dei 12 Titani, figlio di Urano e di Gea, era raffigurato come un bellissimo giovane, simbolo della bellezza maschile, per contrapposto ai satiri, mostri con corpo d'uomo, gambe di capra e due corna in fronte, che rappresentavano l'aspetto bestiale e sensuale dell'uomo. |
020 | "... like Niobe, all tears": Niobe, figlia di Tantalo e moglie di Anfione re di Tebe, ebbe tutti i suoi 14 figli, sette maschi e sette femmine, uccisi da Apollo e Diana, la cui madre, Latona, ella aveva offeso. Il dolore la mutò in roccia. Era, nella mitologia classica, il simbolo del disperato amore materno. |
021 | Può sembrare strano e inspiegabile che Amleto non riconosca il suo amico Orazio; forse perché questi ha indosso l'armatura. Ma Orazio gli dice più sotto di aver assistito al funerale del padre e al matrimonio della madre. È impossibile che non si siano visti prima. È una evidente stonatura del copione. |
022 | "... but as his temple waxes...": l'immagine del corpo umano come tempio/santuario nel quale la persona umana celebra le sue funzioni, è frequente nella letteratura del XVI sec. |
023 | "Youth to itself rebels, tough none else near": senso: "la gioventù ha tante tentazioni da sola, che non ha bisogno che gliene procuri l'altrui compagnia". |
024 | "... and these few precepts in thy memory / Look thou character...": per l'uso di "character" nel senso di "scrittura", "writing", in Shakespeare, cfr. in "Misura su misura", I, 1, 28: "There is a kind of character in thy life". |
025 | Testo: "... Ornot to crack the wind of the poor phrase, /Running it thusyou'll tende me a fool": letteralm.: "... Altrimentiper non mozzare il fiato a questa povera frase che corre così...". La "povera frase" è quella con cui Polonio ha esortato prima la figlia ad offrirsi a maggior prezzo: "Tender yourself more dearly"le ha dettodove "tender" sta per "offrire qualcosa che si vuol vendere". Prima lo stesso Polonio aveva usato lo stesso termine "tenders", sostantivo, per "offerte", nel significato di "profferte d'amore"; ma il primo uso verbale del termine gli serve per dire alla figlia che non offra lui, Polonio, agli occhi altrui come un imbecille. |
026 | "For they are brokers, not of that dye which their investments show", letteralm.: "Perché essi sono intermediari, non del colore mostrato dai loro vestiti" ("Investments" sta qui come sinonimo di "attires".) |
027 | "Up-spring": si chiamava così una specie di trescone di origine germanica ("huepfang" in tedesco), simile al nostro salterello napoletano. |
028 | Testo: "The dram of eale doth all the noble substance of a doubt to his own scandal", letteralm.: "La dramma di male riduce ("doth", forma arcaica di "does") tutta la nobile sostanza di un dubbio alla sua propria bassezza". Ma il passo è oscuro. La traduzione letterale non può esserlo di meno; ma l'ho preferita ad altre, più o meno arbitrarie, e ugualmente incomprensibili, quando non anche letteralmente scorrette, come il rendere "the dram" con "il dramma" (Angeli) o il genitivo "of a doubt" "a causa di un dubbio" (Baldini). |
029 | Il castello di Elsinore è costruito su una specie di promontorio, a picco sul mare. |
030 | Il mostro mitologico di eccezionale forza, invulnerabile, che a Nemea, nell'Argolide, distruggeva uomini e cose. Fu strozzato da Ercole, nella prima delle sue dodici fatiche. |
031 | Il testo ha "the foul crimes", "i truci delitti"; ma il vecchio re Amleto è presentato sempre come modello di uomo probo ed onesto; solo che, come guerriero, ha ucciso in guerra. E questi sono i "crimini" di cui si sente responsabile avanti a Dio. |
032 | "But this eternal blazon": "blazon" è termine araldico per "blasone" nobiliare ("coat of arms"); ma qui è usato da Shakespeare in senso traslato per alludere alla qualità delle pene infernali o purgatoriali. Dante la chiama "modo" ("Il modo della nona bolgia sozzo", Inf., XXVIII, 21), e noi con lui, umilmente. |
033 | "Unnatural": lo spettro ripeterà questo aggettivo due volte in quattro versi, a sottolineare come, rispetto agli altri assassinii, quello di un fratello su un fratello è tra i più turpi, perché contro natura. |
034 | Il testo ha la metafora "gates and alleys", "ingressi e viali naturali". |
035 | Lazzaro, il povero lebbroso del Vangelo, di cui si parla nella parabola del Ricco Epulone. |
036 | "Illo, oh, oh, my lord!": "Illo!" è il verso usato, quasi un grido fischiato, dal falconiere per richiamare il falcone. |
037 | "By Saint Patrick": l'appello di Amleto a San Patrizio, qui, non è senza motivo: San Patrizio, secondo la tradizione, è il santo che ha bandito i serpenti dall'Irlanda, e lo spettro del padre di Amleto ha chiamato lo zio Claudio, suo fratello: "The serpent that did sting thy father's life" (I, 1, 59). La "grande offesa" cui egli pensa non sono le sue parole ad Orazio, ma l'assassinio del padre. |
038 | "... as you are friends, scholars, and soldiers": il compagno di studi ("scholar") è Orazio, il compagno d'armi ("soldier") è Marcello. |
039 | "Upon my sword": si giurava sulla spada perché la spada dei guerrieri cristiani aveva l'elsa a forma di croce. |
040 | "Art thou there, truepenny?": "truepenny", "buona moneta" è espressione colloquiale per "persona fidata", "onesto compare", genuino come moneta di buona lega. |
041 | Latino per: "Qui e dovunque?". |
042 | "O day and night": è la mezza luce del crepuscolo mattutino, quando non è più notte e non ancora giorno (cfr. in Dante, Inf., XXXI, 10: "Quivi era men che notte e men che giorno"). |
043 | Amleto gioca sul doppio significato dello "strange" detto prima da Orazio ("... but this is wondrous strange"), dove il termine sta per "strano", "inusitato"; ma "strange" vale anche "straniero", "forestiero", e così lo intende Amleto, nel rispondergli scherzosamente: "Se dici che è straniero, dàgli il benvenuto". |
044 | "Here, as before, never": cioè "da questo istante in poi, anche se prima non è stato mai così". S'è tradotto alla lettera, con Diego Angeli (Treves editori, Milano, 1927) per non perdere la bella forza poetica della frase inglese. |