Frontiere di rete, Internet 2001: cosa c'è di nuovoEditori LaterzaE-text
Copertina Premessa I portali... Economia e finanza...
Internet per il cittadino E-book... Banda larga e Internet mobile Uno strano messaggio...

Appendice: Uno strano messaggio...

Le caselle di posta elettronica degli autori di questo libro sono di norma piuttosto trafficate, e una buona metà della cinquantina di nuovi messaggi che ci raggiungono ogni giorno appartiene alla fastidiosa categoria dello spamming più o meno esplicito: annunci di virus inesistenti, catene di S. Antonio, mirabolanti offerte su componenti informatiche ormai da tempo obsolete, pubblicità di nuovi siti e servizi camuffate da informazione giornalistica, messaggi da liste alle quali non ci si è mai iscritti e dalle quali è impossibile dimettersi, inviti ammiccanti di fanciulle sconosciute che promettono momenti indimenticabili su siti erotici rigorosamente a pagamento, e così via.

Davanti a messaggi siffatti, che l'intestazione basta quasi sempre a tradire, il puntatore del nostro mouse corre verso il pulsante 'delete' con la stessa rapidità con la quale la mano di uno sceriffo dell'antico West correva alla fondina della pistola.

Se dunque un messaggio dal titolo Your best deal EVER: the future - free of charges si è salvato dalla cancellazione immediata, lo si deve solo all'inevitabile curiosità suscitata dallo strano riferimento al futuro, curiosità certo stimolata dalle troppe letture fantascientifiche e dalla comune passione per i telefilm di Star Trek.

Ecco, tradotto in italiano per comodità del lettore, il testo del messaggio che tutti e quattro abbiamo ricevuto:

LA MATERIA NON PUÒ VIAGGIARE NEL TEMPO - L'INFORMAZIONE SÌ

Questo assunto, corollario della teoria di Powell-Bandel, è stato dimostrato sperimentalmente nel 2026. E dal 2028 la CTI inc. costituisce l'indiscussa società-leader nel settore del trasferimento temporale di informazione.

Con l'obiettivo di espandere il nostro mercato a Selezionati Clienti del periodo 2000-2005, il nostro sistema esperto ha individuato il Suo nominativo all'interno delle centinaia di milioni di schede registrate dalla nostra banca dati.

Ora anche Lei può approfittare delle straordinarie offerte informative della CTI inc.

Il Consistency of Information Act del 2029 vieta di trasferire attraverso il tempo informazioni militari o strategiche, informazioni economiche e finanziarie, risultati di eventi sportivi e lotterie (inclusi i risultati elettorali), informazioni riguardanti situazioni puramente private di persone (esiti di matrimoni, informazioni sanitarie ecc.), e numerose altre tipologie di dati. Ma - grazie ai servizi della CTI inc. e a speciali accordi con i detentori legali dei relativi diritti - Lei potrà leggere oggi i maggiori classici della narrativa 2010-2020 (tutti in edizione elettronica rigorosamente integrale, fatti salvi gli inevitabili tagli previsti dal Consistency of Information Act), ascoltare le canzoni della 'top ten' del 2011, o guardare Guerre Stellari, episodio XII (la CTI inc. non assume alcuna responsabilità per il degrado qualitativo imposto dal passaggio dall'alta definizione olografica ai sistemi standard della Sua linea temporale).

Per dimostrarLe la qualità dei nostri servizi, ci pregiamo inviarLe in visione totalmente gratuita alcuni brani del volume Internet 2010, di M. Calvo, F. Ciotti, G. Roncaglia e M.A. Zela. La diffusione di tali brani nell'intervallo temporale 2001-2009 è stata autorizzata con la seguente motivazione: "lo scarso rigore scientifico dimostrato dagli autori rende improbabile un uso commerciale dei dati forniti e la produzione di deviazioni significative dalla linea temporale standard".

Ricordiamo comunque che - qualora le informazioni fornite attraverso il ns. servizio dovessero portare alla registrazione di brevetti o all'avvio di attività economiche o commerciali - a partire dal 2029 gli autori, purché in regola con i versamenti alla SIAE (Società Intertemporale Autori ed Editori) - potranno reclamare i relativi diritti alla luce della normativa all'epoca vigente.

La consultazione dei ns. listini e l'acquisto di contenuti informativi potranno essere effettuati presso la filiale on-line della CTI inc. presente nella Vostra linea temporale, utilizzando una normale carta di credito.

Il messaggio aveva un allegato, che ci ha dato molto da penare: forse per una distrazione del mittente, risultava infatti codificato in un misterioso formato 'Word 2009', che il nostro Word 2000 si rifiutava ostinatamente di aprire. Fortunatamente, a un'analisi più attenta il formato risultava assai simile a quello di Word 5 per DOS: siamo dunque riusciti a estrarre la maggior parte del suo contenuto.

Naturalmente, pensiamo a uno scherzo. Una rapida ricerca in rete ci ha permesso di individuare numerose società dalla sigla 'CTI', impegnate in attività di tutti i tipi - dal turismo alla tessitura, dalle telecomunicazioni alle assicurazioni - ma nessuna di esse sembra lontanamente collegata al tema della singolare missiva testé citata. È dunque solo per curiosità e divertimento, sperando nell'indulgenza dei nostri lettori, che inseriamo in questo libro il frammentario documento che segue, sul cui contenuto e sulla cui attendibilità non assumiamo ovviamente responsabilità alcuna.

Quanto alla SIAE (nel senso di 'Società Intertemporale Autori ed Editori'), non abbiamo dubbi: se veramente esiste si farà viva, prima o poi, e non riusciremo a evitare di pagare i contributi richiesti.

...da Internet 2010

Dal sistema operativo alla rete

Il collegamento fra sistema operativo e strumenti di rete è ormai talmente stretto che non è possibile parlare di Internet senza considerare anche le caratteristiche dell'ambiente di lavoro utilizzato. E, a loro volta, le caratteristiche di tale ambiente di lavoro sono sempre più strettamente legate alle interfacce fisiche delle nostre apparecchiature informatiche.

Per capire meglio il senso di questa affermazione, chiediamo ai nostri lettori di seguirci in un breve excursus storico. Fino ad alcuni anni fa - diciamo, fin verso il 2003 - il termine 'computer' era legato a una connotazione piuttosto specifica: una 'scatola' contenente le componenti informatiche fondamentali (il microprocessore, la memoria, i dispositivi di memoria di massa...) collocata sulla nostra scrivania o sotto di essa e collegata a un monitor piuttosto ingombrante, a una tastiera, a un mouse.

Quest'immagine, che era stata ereditata dai primi anni dell'evoluzione dell'informatica personale, è tuttavia entrata in crisi nell'ultimo decennio, attraverso un rapidissimo processo di evoluzione e diversificazione delle interfacce. È proprio cogliendo le caratteristiche innovative di questo processo che nel 2006 la rivista Wired ha dedicato un numero monografico divenuto ormai un 'classico' alla Interface revolution.

Certo, esiste ancora un oggetto che la maggior parte di noi identifica immediatamente con il termine 'computer': il sottile monitor sensibile al tatto che appoggiamo sulla sua base inclinata e colleghiamo alla tastiera quando lavoriamo a casa, ma che possiamo staccare e infilare in borsa quando ne abbiamo bisogno 'sul campo'. Un oggetto familiare, che incorpora microprocessore e memoria, è perennemente connesso alla rete attraverso la tecnologia UMDT[ 1 ], ed è pronto ad ampliare le sue funzionalità attraverso i moduli di espansione collegati alla base da scrivania.

Ma computer è anche il Communicator che portiamo nel taschino e che integra le funzioni che un decennio prima erano state proprie dei telefonini e dei computer palmari (quando ci si è finalmente accorti che non aveva senso costruire Communicator troppo piccoli, dato che sotto una soglia minima il loro schermo risultava in realtà inutilizzabile, ci si è concentrati sulla leggerezza, sull'ergonomicità e sulla resistenza agli urti, allargando invece lievemente il taschino delle giacche e gli scomparti laterali delle borsette: un notevole esempio di influsso della tecnologia sulla moda! Del resto, a ben guardare l'ingombro totale non è aumentato di molto, dato che per molti di noi il Communicator sostituisce ormai, oltre al telefonino di un tempo, anche il vecchio portafoglio). Computer è l'e-book che i nostri figli portano ogni mattina a scuola al posto di libri e quaderni, e che (magari nella versione rilegata in pelle) noi stessi usiamo per leggere in poltrona le ultime notizie, un buon libro o la nostra rivista preferita. Computer è l'impianto HC[ 2 ] che in quasi tutte le case ha ormai sostituito il televisore e lo stereo. Computer è il piccolo pannello che in bagno o - più frequentemente - in cucina ci consente di controllare gli elettrodomestici della casa, e che in macchina ci informa in ogni momento sulla nostra posizione, sul funzionamento della vettura, sulle condizioni della viabilità.

Naturalmente, i microprocessori sono ancor più diffusi, e se considerassimo come 'computer' ogni apparato dotato di un microprocessore ci accorgeremmo di esserne completamente circondati. Ma fra i 'computer' che abbiamo considerato sopra e i mille 'oggetti intelligenti' dai quali siamo circondati esiste una notevole differenza: i 'computer', pur nella varietà di dimensioni e funzioni, tendono tutti ad utilizzare un'interfaccia software ragionevolmente simile. Sappiamo così che - sul nostro e-book o sul display da scrivania, sullo schermo HC o su quello del Communicator - la piccola 'I' azzurra racchiusa in un cerchio (un simbolo adottato dall'ISO resistendo alle pressioni della Microsoft per l'uso del mondo girevole che aveva caratterizzato le prime versioni di Explorer) indica che il dispositivo è regolarmente collegato alla rete, e che la 'I' rossa su un cerchio spezzato indica (accade ormai sempre più raramente...) l'assenza di collegamento. Sappiamo che su tutti questi dispositivi è possibile utilizzare lo stesso modulo di riconoscimento vocale e gli stessi comandi fondamentali, dato che ciascuno di essi può richiamare e se necessario modificare le relative librerie disponibili in rete, personalizzate attraverso l'analisi del timbro e delle inflessioni della nostra voce. Sappiamo infine che quelle che potremmo chiamare 'convenzioni d'ambiente' (le rappresentazioni schematiche dei principali strumenti di lavoro, dei documenti, dei brani audio o video, dei messaggi di posta elettronica, della presenza o meno di una connessione criptata e del suo livello di sicurezza, della disponibilità finanziaria sul nostro borsellino elettronico e così via) sono in linea di massima le stesse su tutti i diversi 'computer' che usiamo.

Quanto detto finora spiega la nostra osservazione sul rapporto fra interfacce e sistema operativo, e sullo stretto collegamento fra quest'ultimo e gli strumenti di rete. In passato, il sistema operativo era utilizzato su una tipologia abbastanza standard di strumenti informatici: i computer 'vecchio tipo'. Oggi viene utilizzato su una gamma assai più ampia di dispositivi, che comprende quantomeno tutti i diversi 'computer' che abbiamo ricordato sopra. Ed è importante che i sistemi operativi di questi dispositivi adottino convenzioni simili e possano comunicare fra loro: non solo per semplificarne l'uso da parte degli utenti, ma anche per la frequente necessità di utilizzare gli stessi strumenti (ad esempio la conversazione audio e audio-video, la posta elettronica, il borsellino elettronico, i nostri programmi agente) su 'computer' diversi in situazioni diverse: in macchina, alla scrivania, seduti in poltrona davanti all'e-book o all'impianto HC, 'sul campo' attraverso il Communicator...

Ecco dunque che il sistema operativo si è allargato: non più semplice desktop, scrivania virtuale, ma vero e proprio ambiente, vivo ed animato, capace di rispondere alle necessità di un numero assai più ampio di interfacce, di situazioni e di applicazioni. Questa evoluzione si è ben presto riflessa nei nomi dati al sistema operativo: nel 2005 Microsoft ha ribattezzato col nome di Ambient il vecchio sistema operativo Windows, e l'anno successivo - dopo una lunga discussione all'interno della comunità Linux, divisa al suo interno fra sollecitazioni e interessi assai diversi - anche la maggior parte delle implementazioni di quel sistema operativo si è dotata di un modulo 'd'ambiente', denominato OpenSpace.

Proprio per la necessità di essere utilizzati su interfacce dalle dimensioni e dalle funzionalità abbastanza diverse, i sistemi operativi d'ambiente non si sono tuttavia evoluti - come molti avevano profetizzato - verso l'uso della piena tridimensionalità e della realtà virtuale. Le promesse della realtà virtuale - come era già successo per quelle dell'intelligenza artificiale - vengono mantenute in tempi assai più lenti di quanto non si prevedesse una decina di anni or sono, e gli occhiali-visore, per quanto migliorati e assai più diffusi di un tempo, tendono ad essere utilizzati solo in settori e per scopi piuttosto specifici.

Al posto della piena tridimensionalità, i sistemi operativi d'ambiente preferiscono ricorrere alla tridimensionalità 'fittizia' possibile su schermi comunque bidimensionali, e a scelte grafiche influenzate dal mondo del cinema e dei cartoni animati. Fra le metafore più utilizzate restano la casa e la città, ma la varietà di ambientazioni possibili (che sostituiscono quelli che un tempo erano i temi del desktop e le skin delle sue principali componenti), molte delle quali realizzate dagli stessi utenti attraverso programmi quali Ambient Creator Plus, è davvero notevole. In questa sede, faremo riferimento alle interfacce standard di Microsoft Ambient (Computer Home) e di OpenSpace (OpenCity), ma le osservazioni che faremo resteranno ovviamente valide anche per gli utenti che abbiano scelto di personalizzare diversamente il proprio ambiente di lavoro.

Un discorso analogo vale per una componente sempre più importante delle interfacce d'ambiente: gli agenti software che - anche grazie alle sempre più notevoli capacità di sintesi e riconoscimento vocale - ci aiutano a svolgere la maggior parte dei nostri lavori in rete. Un campo nel quale le mode del momento propongono un'estrema variabilità, ma che continua a vedere molti utenti affezionati ai vecchi Holmes e Bogart offerti come standard da Ambient, e all'inquietante androide di OpenSpace.

[...]

Il mondo dei Communicator

Nel mondo dei Communicator, la guerra commerciale in corso ormai da tempo fra gli standard Comma (basato sul sistema operativo Microsoft Ambient) e ComPal (basato su OpenSpace e prodotto di punta della iN-Palm, l'azienda nata nel 2005 dalla fusione fra Palm e Nokia) continua a costituire lo sfondo dell'incessante annuncio di nuovi servizi. L'anno scorso, il servizio Hollywood messages proposto da Comma, con la possibilità di inviare messaggi recitati in video dai 'replicanti sintetici' di una nutrita serie di personaggi del mondo dello spettacolo (dai grandi divi del passato alle star più recenti del mondo giovanile), ha letteralmente spopolato sui Communicator di mezzo mondo, mentre come risultato della convenzione fra la iN-Palm e la NASA (e della sapientissima campagna pubblicitaria e mediatica lanciata dalle due società) si calcola che dal febbraio di quest'anno una buona metà dei ComPal sia impostata per mostrare, all'accensione dello schermo, le immagini in diretta della prima spedizione umana su Marte.

Ma la componente forse più interessante della guerra commerciale fra sistemi Comma e ComPal è rappresentata dagli strumenti di rete messi a disposizione, a cominciare dalle dimensioni e dalle funzionalità della Virtual Library offerta gratuitamente in rete ai propri utenti. In entrambi i casi è stata ormai superata la soglia di un Terabyte per utente, con la possibilità di ospitare e inviare a richiesta verso il Communicator (ma anche verso l'e-book e più in generale verso tutti gli altri dispositivi collegati alla rete) un'immensa quantità di brani musicali, film e testi. Numerosi analisti hanno sottolineato lo spreco di risorse insito in un sistema di questo genere, che porta a duplicare inutilmente, centinaia di migliaia di volte, gli stessi file (si calcola ad esempio che l'ultima collection dei Neural Enemies sia presente nella Virtual Library di oltre 6 milioni di utenti). Sembra tuttavia che il fascino di conservare i propri file nel 'proprio' spazio, nel proprio recinto di memoria, protetto dal proprio sigillo digitale, prevalga su tutte le considerazioni di carattere pratico e funzionale: una delle lezioni che possiamo trarre a questo riguardo è che, nonostante gli incredibili sviluppi degli ultimi decenni, la fame di memoria informatica è ancora ben lontana dall'essere soddisfatta!

Ovviamente, la gestione di una Virtual Library così larga impone l'uso di strumenti sofisticati per l'organizzazione e la ricerca dei file. Nei sistemi Ambient, Microsoft Holmes si occupa dell'interazione fra l'utente e la sua Virtual Library, e non c'è utente che non disponga fra i propri file musicali di almeno un brano per violino, per godersi lo spettacolo di vederlo eseguire dalla piccola figura del famoso detective, sapientemente animata. Quanto all'OpenSpace Droid, il suo punto di forza è nel sofisticato modulo di intelligenza artificiale, che riesce spesso ad anticipare le nostre richieste analizzando il contesto, l'ora della giornata, le nostre abitudini, e le operazioni effettuate immediatamente prima. Anche se i continui suggerimenti del Droid, per quanto spesso azzeccati, possono alla lunga risultare piuttosto petulanti!

Naturalmente, a offrire le comodità di una Virtual Library non sono solo la Microsoft e la iN-Palm, ma anche numerose società terze, collegate all'immenso mercato degli acquisti di e-book, e-music, e-news ed e-video. Non si tratta tuttavia di un mercato facile, e dopo un periodo iniziale caratterizzato da una vera e propria esplosione di offerte, il processo di concentrazione è ormai evidente. Un processo favorito anche dalle polemiche e dagli infiniti strascichi giudiziari legati a episodi come la completa cancellazione (non è ancora chiaro se dovuta a un guasto accidentale o a un atto di cyberterrorismo) delle oltre 400.000 caselle di Virtual Library ospitate dalla YourLib, dal conseguente fallimento di tale società e dal successivo - e temporaneo - crollo dei valori borsistici della maggior parte delle società del settore.

Ma la competizione sui servizi per Communicator non riguarda solo la Virtual Library. Ormai da diversi anni strumenti come PalMap, basati sull'uso del GPS, ci consentono di verificare in ogni momento sullo schermo del Communicator - con un margine di errore di poche decine di centimetri - la nostra esatta localizzazione geografica, completa di mappe delle strade vicine. Negli ultimi anni a questa funzione di puro orientamento geografico si sono aggiunti un'infinità di servizi 'accessori': da AroundYou, che - se attivato - bombarda lo schermo del nostro Communicator con informazioni sulle principali attrattive turistiche del luogo in cui ci troviamo ma soprattutto con pubblicità e offerte relative a negozi, ristoranti, cinema e teatri dei dintorni, a PalTrace, che ci consente di seguire minuto per minuto gli spostamenti dei nostri amici di rete (o almeno di quelli fra loro meno sensibili alla difesa della loro privacy). Uno strumento, quest'ultimo, che ha provocato innumerevoli e giustificate polemiche (anche giudiziarie): fino a che età, ad esempio, i genitori possono imporre ai figli di attivare servizi di questo genere in modo da seguirne ogni singolo spostamento? Naturalmente, la funzione di 'tracciamento' è in partenza disattivata su ogni Communicator, e comunque la rete pullula di programmi quali TraceHack che permettono di 'ingannare' con una certa facilità la maggior parte dei sistemi di controllo di spostamenti basati su GPS.

Molti fra i servizi offerti dai Communicator dipendono dall'uso di moduli hardware aggiuntivi, e sia lo standard Comma sia lo standard ComPal offrono la possibilità di 'agganciarsi' a moduli di espansione, spesso prodotti da terze parti. Il più diffuso è probabilmente il modulo video, che trasforma il Communicator in una piccola cinepresa e macchina fotografica digitale (con la possibilità di salvare automaticamente nella nostra Virtual Library le immagini o i filmati acquisiti). A sua volta, la disponibilità di questi moduli ha portato allo sviluppo di una offerta assai variegata di servizi, alcuni dei quali decisamente originali e talvolta assai discutibili. Il più noto è probabilmente Global VideoNet: i due giovani registi underground ai quali si deve l'idea sono diventati plurimiliardari in pochi mesi, e nell'immensa sala di regia di Global VideoNet a Seattle lavorano ormai migliaia di persone. L'idea di base è semplice: trasformare ogni utente fornito di Communicator e modulo video in una sorta di 'inviato speciale' permanente, in grado di trasmettere audio e video. Chi si trovi in una situazione considerata 'interessante' dal punto di vista giornalistico o spettacolare può 'chiedere la linea' e inviare l'audio e il video catturati dal suo Communicator alla regia del programma: dall'attentato all'incidente stradale, dalla catastrofe naturale all'incontro casuale con una star del cinema, tutto può fare spettacolo per Global VideoNet, la cui regia seleziona minuto per minuto i contenuti ricevuti e li trasmette attraverso i propri programmi (ormai numerosi, e differenziati sia su basi tematiche sia rispetto alle aree geografiche coperte). Per evitare il sovraccarico delle regie - alle quali le segnalazioni arrivano comunque dopo una 'catena' di veloci filtraggi da parte di una folta schiera di addetti - un complesso sistema di punteggi premia chi fornisce i contenuti migliori e sanziona (fino alla disattivazione della connessione a VideoNet) chi propone contenuti considerati poco interessanti.

Non stupisce che lo sviluppo di servizi come PalTrace o Global VideoNet ponga inquietanti interrogativi sulla difesa della privacy e sulla qualità dei contenuti informativi trasmessi attraverso la rete. L'argomento meriterebbe senz'altro una discussione più ampia di quella possibile in questa sede: ci limiteremo ad osservare come l'idea romantica secondo cui la capacità di 'dar voce' ai singoli utenti propria di Internet garantisse di per sé la democraticità e l'interesse qualitativo della comunicazione di rete, si sia dimostrata per molti versi fallace.

[...]

Scritture elettroniche: dalle discussioni sul futuro del libro al movimento 'Experience'

Fino ad alcuni anni or sono, la discussione relativa all'influsso dei nuovi media e della rete sulle pratiche di scrittura, e in particolare sulla scrittura letteraria, si concentrava soprattutto su due tematiche: la novità introdotta dall'uso degli strumenti ipertestuali, e il futuro del libro a stampa.

Di fronte a questi temi, tendevano a formarsi due schieramenti spesso vivacemente contrapposti: uno, che indicheremo solo per comodità con l'etichetta di 'conservatori', tendeva a rifiutare in entrambi i casi l'esistenza di un 'cambiamento di paradigma' rispetto alle pratiche tradizionali di scrittura (e di lettura). Riguardo alla scrittura ipertestuale, i 'conservatori' tendevano a sottolineare da un lato la presenza di forme implicite o embrionali di ipertestualità anche nella tradizione letteraria precedente la rivoluzione informatica, e dall'altro lo scarso interesse narrativo di una modalità di organizzazione testuale che porterebbe l'autore a 'perdere il controllo' sulla sua narrazione, e impedirebbe al lettore di 'abbandonarsi' al flusso della narrazione stessa. A conferma di tali tesi veniva spesso portata la scarsa qualità letteraria, e l'ancor minore diffusione effettiva all'interno del pubblico dei lettori, dei primi esempi di produzione letteraria ipertestuale.

Quanto al futuro del libro a stampa, i 'conservatori' non avevano dubbi: chi può pensare seriamente di leggere un libro davanti allo schermo di un computer? Il libro deve poter essere letto in poltrona, a letto, nella vasca da bagno, in spiaggia... e da questo punto di vista il buon vecchio libro a stampa restava, sostenevano i 'conservatori', assolutamente insostituibile. Del resto, argomentavano, non è forse vero che la rivoluzione informatica ha avuto fra i suoi effetti collaterali il più straordinario aumento di produzione cartacea mai osservato nella storia dell'umanità?

Il secondo schieramento, per il quale - nuovamente senza alcuna connotazione valutativa - useremo l'etichetta di 'rivoluzionari', sosteneva tesi diametralmente opposte: la scrittura ipertestuale liberava finalmente il lettore dalla secolare soggezione al dominio dell'autore, scardinava le barriere troppo rigide della linearità espositiva, consentiva lo sviluppo di una letteratura nuova, nella quale la pluralità di prospettive e di punti di vista insita in ogni costruzione narrativa poteva trovare finalmente un'e-spressione anche strutturale. Il modello rappresentato dalla narrazione lineare, che aveva raggiunto il proprio apice nei grandi romanzi ottocenteschi ed era già stato messo in crisi dalle avanguardie letterarie del Novecento, era destinato a soccombere definitivamente davanti alle nuove possibilità aperte dall'ipertestualità e dalla multimedialità.

Quanto al libro a stampa, i 'rivoluzionari' non avevano dubbi: il testo elettronico l'avrebbe soppiantato in pochi anni. Perché utilizzare un supporto limitato al testo scritto e alle immagini statiche, quando sullo schermo del computer possiamo integrare suoni e immagini? Perché dare in mano ad un bambino un libro a stampa, quando un buon videogioco educativo può fornirgli materiale di apprendimento e riflessione in forme assai più ricche e più vicine alla sua esperienza quotidiana?

Accanto ai 'conservatori' e ai 'rivoluzionari' trovava poi spazio una terza posizione, caratterizzata da convinzioni che per loro stessa natura portavano, più che all'impegno attivo in uno dei due schieramenti, all'abbandono sconsolato del campo di battaglia. Per i difensori di tale posizione, che potremmo etichettare come 'apocalittica' o 'catastrofista', i conservatori avevano ragione dal punto di vista teorico, ma i rivoluzionari - aiutati dal generale imbarbarimento culturale dovuto in gran parte proprio all'influsso dei nuovi media - si preparavano, disgraziatamente, a vincere sul campo.

A dieci anni di distanza, la contrapposizione fra questi schieramenti - che apparivano così radicalmente alternativi - si è almeno in parte attenuata. In compenso, nuove e vivaci polemiche si sono sviluppate proprio sul terreno specifico della produzione narrativa.

Per capire le ragioni di questo sviluppo, possiamo partire dalla ricerca dei vinti e dei vincitori nella contrapposizione fra 'conservatori' e 'rivoluzionari'. In termini molto generali (e necessariamente approssimativi), possiamo dire che i conservatori avevano torto nella difesa a oltranza del libro a stampa, e ragione nel mettere in discussione le virtù letterarie quasi salvifiche della scrittura ipertestuale. Simmetricamente, i rivoluzionari avevano ragione nel sostenere l'imminenza e il rilievo culturale del passaggio dal libro a stampa al libro elettronico, e torto nel ritenere che questo passaggio implicasse automaticamente un abbandono generalizzato della linearità della narrazione.

Sulla questione del futuro del libro, il punto delicato era rappresentato proprio dalla pervasività dell'immagine 'tradizionale' di computer sulla quale ci siamo già soffermati altrove. Per i conservatori, 'testo elettronico' equivaleva a 'testo che richiede di essere letto su un computer', e il modello di computer (e soprattutto di schermo) al quale fare naturale riferimento era quello ereditato dall'origine dell'informatica personale: ingombrante, pesante, legato soprattutto all'uso da scrivania, stancante per la vista. I computer portatili dell'epoca restavano sostanzialmente versioni 'ridotte e alleggerite' del computer da scrivania, ma non erano certo comodi strumenti di lettura: non rappresentavano dunque un controesempio valido all'asserita scomodità della 'lettura al computer'. Né un controesempio valido poteva essere fornito dai primi computer palmari, troppo piccoli e dallo schermo poco leggibile.

Solo fra il 2001 e il 2002 cominciarono a diffondersi i primi strumenti di lettura per testi elettronici capaci di essere utilizzati, come chiedevano i tradizionalisti, anche a letto o in poltrona. Si trattava dei palmari 'evoluti', dotati di uno schermo ancora piccolo ma di buona leggibilità. La funzione di libro elettronico non era certo né l'unica né la principale fra quelle loro affidate, ma veniva comunque svolta attraverso l'uso di software specifici. E solo negli anni successivi, dall'incrocio fra la linea evolutiva di questi palmari (che si avviavano a diventare i Communicator di oggi) e quella di prodotti pionieristici ma scarsamente diffusi come i lettori e-book RCA, si sviluppavano anche gli e-book: strumenti delle dimensioni e del peso del tutto paragonabili a quelli di un normale libro a stampa ma capaci di consentire l'accesso a una libreria smisurata di testi, suoni e filmati, permettendone la lettura su uno schermo ad alta risoluzione più ampio e leggibile di quello di un Communicator ma più piccolo, leggero e resistente di un display da scrivania.

Certo, la funzione di lettura dei libri elettronici continua a non essere l'unica (anche se ormai è fra le principali) assegnata all'e-book. Molti di voi ricorderanno, un paio di anni fa, la pubblicità di SplashBook, il primo e-book impermeabile, e dunque il primo lettore di libri elettronici a vincere la sfida più difficile, quella della lettura in spiaggia o nella vasca da bagno: una giovane fanciulla in un ridottissimo due pezzi, adagiata su un materassino fra le onde di una qualche spiaggia tropicale, intenta ad utilizzare il suo e-book non già per leggere un libro, ma... per guardare la televisione!

In ogni caso, almeno nell'Occidente industrializzato gli e-book stanno effettivamente e progressivamente scalzando il libro a stampa come supporto privilegiato per la lettura di testi. Naturalmente questo non vuol dire che i libri a stampa siano scomparsi o si avviino a scomparire nell'immediato futuro: la fase di transizione richiederà comunque qualche decennio. Ma è interessante notare come già adesso la stampa di libri su carta tenda a concentrarsi sulle due fasce 'estreme' dei libri d'arte da un lato, e dei supereconomici dall'altro: tra il 2006 e il 2010, praticamente tutte le case editrici universitarie nordamericane ed europee hanno completamente abbandonato la stampa su carta a favore di edizioni esclusivamente elettroniche. E lo stesso processo sta interessando la pubblicazione di giornali e riviste: secondo i dati ISTAT anche in Italia, negli ultimi quattro anni, più di un terzo dei quotidiani e delle riviste registrate ha chiuso definitivamente la propria edizione a stampa.

Quanto all'apparente paradosso dell'aumento di produzione cartacea che ha accompagnato i primi anni della rivoluzione informatica, sembra ormai possibile identificarne l'origine proprio in un problema di scelta dell'interfaccia di lettura. Quando l'interfaccia di lettura privilegiata per l'informazione in formato digitale era un monitor scomodo, ingombrante e soprattutto difficile da spostare, la reazione naturale era quella di cercare di trasferire su un supporto più comodo l'informazione da consultare, o almeno quella parte che poteva essere trasferita in maniera più semplice: l'informazione scritta. E quale supporto migliore della carta, leggerissima, economica, facilmente leggibile‚ già familiare, semplice da eliminare una volta utilizzata? Risultato: la naturale tendenza a 'stampare tutto lo stampabile'. Ecco dunque che l'impiego di carta negli uffici cresceva in parallelo con l'aumento di disponibilità informativa garantita dall'impiego degli strumenti informatici e telematici.

Tuttavia non era vero, come sostenevano i conservatori, che la carta costituisse un supporto intrinsecamente migliore di qualunque schermo di computer: costituiva semplicemente un supporto migliore degli schermi di computer disponibili all'epoca. Con lo sviluppo dei display supersottili e superleggeri e degli e-book, la produzione cartacea tende, pur se lentamente, a ridursi. Certo, siamo ancora lontani dal paperless office che negli anni '80 del secolo scorso qualcuno immaginava dietro l'angolo, e ciascuno di noi continua ad utilizzare - seppur più raramente - la stampante posata su un angolo della scrivania. Ma la linea di tendenza, sul lungo periodo, sembra ormai segnata.

D'altro canto, a questa evoluzione non si è affatto accompagnata, come alcuni profetizzavano, l'affermazione generalizzata del modello rappresentato dall'organizzazione ipertestuale dell'informazione. Anzi, ci si è progressivamente resi conto che non esiste un modello di organizzazione ipertestuale dell'informazione. Fra i due poli rappresentati dalla pura linearità e dall'ipertestualità più complessa e ramificata esistono infatti numerosi livelli intermedi: un'enciclopedia, una guida turistica o un manuale tecnico faranno utilmente ricorso a strutture ipertestuali complesse, un saggio o un manuale scolastico (altro genere del quale con troppa facilità si era preconizzata l'estinzione!) potranno trarre giovamento da una struttura ipertestuale meno complessa e comunque indirizzata lungo un percorso 'orientato' di progressiva acquisizione di competenze. Quanto alla produzione più propriamente letteraria, anche se nessuno contesta l'interesse dei tanti esempi di sperimentazione ipertestuale che continuano ad essere proposti, vi sono ormai davvero pochi dubbi sul fatto che la narrativa continui a preferire forme di testualità fondamentalmente lineari.

Come accennavamo, i conflitti e le contrapposizioni teoriche non si sono comunque sopiti, anche nel campo specifico dei rapporti fra letteratura e nuovi media. Il tema al centro del dibattito non è tuttavia più quello dell'ipertestualità, ma quello della realizzazione di opere letterarie in qualche misura 'ibride' fra la testualità scritta e l'uso di strumenti visivi e sonori mutuati da modelli cinematografici e televisivi.

L'e-book, come sappiamo, permette di affiancare al testo non solo immagini, ma anche suoni e filmati. Perché non sfruttare questa possibilità per integrare più strettamente nella narrazione elementi visivi e sonori? Già negli anni '90, questa integrazione è stata sperimentata soprattutto nella realizzazione di testi e giochi elettronici destinati all'infanzia, ma ben presto ci si è resi conto che non vi era alcun motivo per non estendere - nelle forme opportune - l'impiego di suoni e brani video anche in opere destinate a un pubblico adulto. Non era qui in questione l'ovvia comodità di disporre di inserti sonori e filmati in opere di riferimento quali enciclopedie o dizionari, quanto l'allargamento a codici diversi dalla sola scrittura nell'ambito di opere a pieno titolo narrative. Di questo allargamento si è fatta inizialmente portavoce una innovativa collana 'popolare' americana, Experience-it!, che in pochi anni ha conosciuto un'immensa diffusione - anche attraverso le molte versioni nazionalizzate - ed è risultata la capostipite di un'infinità di esperimenti e realizzazioni analoghe.

In qualche misura paragonabile a una versione digitale della letteratura 'pulp' americana degli anni '30 e '40 dello scorso secolo, Experience-it! propone testi elettronici 'a tinte forti' nei quali la lettura è accompagnata da effetti sonori e visivi studiati per sorprendere e coinvolgere il lettore. Due esempi 'nobili' basteranno a ricordare il tipo di opere alle quali facciamo riferimento. In Only the Murder Knows, Stephen King utilizza una ossessiva e lontana musica di sottofondo, che accompagna il lettore dall'inizio della narrazione e cresce progressivamente di volume fino all'urlo finale della vittima. Le ultime parole dell'e-book restano sullo schermo per pochi secondi, prima che l'immagine si trasformi in un vero e proprio fiume di sangue. Dal canto suo, nel recente Timing Out, Tom Clancy introduce ogni capitolo attraverso il video del notiziario CNN (ovviamente fittizio) che segue ora per ora l'incalzante vicenda descritta dal romanzo.

Esperimenti di questo genere non potevano non provocare un dibattito assai acceso. Da un lato, vi è chi sostiene che l'inserimento di brani audio e video tolga spazio all'immaginazione del lettore, e tenda a trasformare il libro nella brutta copia di un film. Dall'altro, quello che è ormai conosciuto come il movimento 'Experience' (un movimento che comprende, in una strana alleanza, non solo scrittori 'commerciali' ma anche una folta schiera di autori underground o sperimentali, pronti a citare fra i propri riferimenti teorici esempi dell'avanguardia novecentesca come il romanzo Nadja di Breton) vanta i meriti di un uso sapiente della multimedialità all'interno della narrazione come strumento per aumentare il coinvolgimento del lettore e, in ultima analisi, la stessa capacità 'immaginifica' del libro.

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La televisione in rete

In quale direzione si sta muovendo la televisione, nell'epoca della rete globale? Nella prima metà dell'ultimo decennio, la confusione ha regnato sovrana: una babele di tecnologie diverse (digitale satellitare - senza e con canale di ritorno -, analogico terrestre, digitale terrestre via etere, digitale terrestre via cavo, digitale via rete, il tutto nei formati 4:3 e 16:9, in chiaro o criptato utilizzando gli standard più vari...) tra le quali gli utenti avevano notevoli difficoltà a orientarsi. Come è noto, questa confusione ha in parte rallentato la diffusione delle nuove tecnologie in campo televisivo e - fattore non meno rilevante - ha rallentato la riflessione e la sperimentazione sui format televisivi adatti a sfruttare al meglio le possibilità offerte dal digitale. Anche perché, dopo essersi lanciati in investimenti e campagne pubblicitarie dai costi tutt'altro che trascurabili, molti fra gli operatori del settore venivano a trovarsi privi dei mezzi finanziari necessari a sostenere una programmazione quotidiana di qualità.

È solo negli ultimi anni, con l'avvio del processo di integrazione delle diverse tecnologie disponibili, che anche nel travagliato settore televisivo cominciano a delinearsi nuovi equilibri.

Per comprendere questo processo, occorre partire dallo standard IDN (Integrated Digital Network), del quale ci siamo occupati già altrove nel volume[ 3 ] e che permette di integrare fra loro tutti i canali capaci di veicolare informazione digitale, televisiva e non: digitale terrestre, satellitare e rete Internet. Attraverso IDN il segnale digitale di un singolo programma televisivo può - come già succedeva per tutta l'informazione trasmessa via Internet - viaggiare attraverso canali fisici diversi (ad esempio, via satellite e via cavo) per 'ricompattarsi' una volta giunto a destinazione. La centralina IDN - che secondo le previsioni troveremo entro il 2015 in quasi tutte le case - funge da vero e proprio 'coordinatore' di questo traffico di dati, gestendo la distribuzione all'impianto HC (collegandosi con il relativo decoder) della musica e dei programmi televisivi, ma anche il traffico Internet di tutti gli strumenti che utilizziamo per connetterci alla rete. Anche il nostro Communicator, pur lavorando sempre in tecnologia UMDT, quando siamo a casa utilizza prioritariamente il segnale emesso dalla centralina IDN, commutando sul segnale UMTS-2 quando ci allontaniamo.

Collegando direttamente il decoder dell'impianto HC con il nostro borsellino elettronico, la centralina IDN ha enormemente semplificato la ricezione dei programmi contenuti negli immensi archivi pay per view dei principali operatori; appositi plug-in disponibili sia per Microsoft Ambient sia per OpenSpace permettono ai nostri agenti software di guidarci nella scelta all'interno dell'offerta televisiva disponibile e di occuparsi della richiesta del relativo flusso dati. Ed è ancora IDN a garantire il 'canale di ritorno' verso l'operatore dal quale riceviamo i dati, permettendo di sfruttare le caratteristiche di interattività proprie di moltissime trasmissioni, a cominciare dai programmi giornalistici e dalle dirette sportive, anche a chi non dispone del canale di ritorno satellitare in banda Ka[ 4 ].

La televisione interattiva, dunque, è ormai una realtà. Ma come viene usata?

Il dato più rilevante è certo la diffusione dell'acquisto di contenuti pay per view. Dieci anni fa, ad esempio, pochi avrebbero immaginato che una catena come Blockbuster avrebbe finito per chiudere tutti i propri negozi di noleggio di videocassette e DVD, diventando in compenso uno dei principali protagonisti del mercato televisivo del pay per view. L'esplosione del fenomeno pay per view ha determinato cambiamenti profondi nel concetto tradizionale di 'canale televisivo': al centro dell'attenzione dello spettatore non sono più i canali ma i programmi, ed è direttamente ai programmi, o alle offerte coordinate di programmi, che si rivolgono ormai gli stessi investimenti pubblicitari. Chi si domandava se lo sviluppo del mercato televisivo avrebbe visto prevalere il modello rappresentato dai canali generalisti o quello rappresentato dai canali tematici, ha così trovato una risposta almeno in parte inattesa: esistono, e hanno fortuna, sia programmi 'generalisti' sia programmi 'tematici', ma i 'canali' che li ospitano corrispondono ormai più ad archivi facilmente navigabili che al tradizionale modello caratterizzato da un palinsesto organizzato in maniera lineare.

Fra i programmi, quelli che hanno tratto maggiori vantaggi dall'uso di strumenti interattivi, e che si sono rivelati uno dei maggiori 'business' del settore pay per view, sono le dirette di ogni genere: giornalistiche, sportive, ma anche legate a format particolari come quello della già ricordata Global VideoNet. Una interattività comunque condizionata dalla necessità di trovare sistemi 'naturali' e poco faticosi per permettere la scelta da parte del telespettatore, che ha mostrato chiaramente di preferire contenuti già almeno parzialmente organizzati a contenuti che richiedono un impegno continuo nella selezione delle varie opzioni. Perfino nel caso delle notizie del telegiornale, che per il loro carattere modulare si prestano particolarmente bene ad operazioni di selezione e organizzazione da parte dello spettatore, si è osservato che a fronte di un 25% di utenti che adottano la modalità 'riepilogo e selezione' (ascoltando il breve riepilogo delle notizie del giorno e selezionando attraverso il telecomando quelle per le quali si desidera ricevere servizi e approfondimenti), il 75% continua a preferire la tradizionale, e meno faticosa, presentazione lineare dei contenuti.

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Cyberterrorismo e guerra del controllo

Fino a una decina di anni fa, il pericolo rappresentato dai virus o dall'intrusione di 'pirati informatici' nei nostri sistemi informativi, pur se tutt'altro che trascurabile, poteva almeno essere gestito in sede 'locale' dai singoli utenti. In altri termini: il computer di ciascuno di noi era soggetto a rischi ed attacchi, ma potevamo anche organizzarne la difesa, ragionevolmente sicuri della solidità della piccola 'roccaforte' eretta attorno ai nostri dati attraverso l'uso di un buon antivirus e di un buon programma firewall. I danni provocati da virus e pirateria informatica sui computer degli altri, danni causati quasi sempre dall'assenza di poche e semplici misure difensive, non ci coinvolgevano direttamente, e suscitavano al massimo la nostra curiosità.

Con il progressivo sviluppo della rete e l'uso sempre più frequente di strumenti differenziati di collegamento - dal computer da scrivania al Communicator, dall'e-book all'impianto HC - è divenuto indispensabile utilizzare 'depositi' in rete capaci di ospitare i nostri dati e i nostri moduli software in maniera indipendente dai singoli dispositivi utilizzati di volta in volta per accedervi. Come risultato, la quantità dei nostri dati che viene fisicamente ospitata all'interno di un sistema sotto il nostro diretto controllo tende a diminuire (anche se questo non implica affatto, come pensavano erroneamente i primi profeti del 'network computing', una diminuzione nelle esigenze di memoria o di capacità di calcolo degli strumenti informatici che impieghiamo per richiamare ed utilizzare quei dati). Un numero crescente di servizi - a cominciare dalla nostra Virtual Library - dipende così dalla conservazione di dati, profili utente, preferenze, moduli software, in dispositivi di memoria di massa dei quali ci sfugge perfino la collocazione geografica, e la cui sicurezza non dipende da noi.

Certo, in molti casi questo si traduce in un aumento e non in una diminuzione della sicurezza, dato che a gestire questi spazi sono di norma società altamente professionali, i cui spazi macchina sono protetti da solidi firewall e garantiti da periodici backup. L'esperienza rappresentata dal fallimento di YourLib e dai conseguenti strascichi giudiziari dimostra inoltre che l'assoluta sicurezza dei dati costituisce un fattore essenziale per la stessa sopravvivenza di molti di questi servizi.

D'altro canto, sarebbe semplicistico pensare che non esistano problemi. Da un lato, queste immense basi di dati costituiscono ormai una risorsa dotata di vero e proprio valore strategico: gli attacchi informatici alle principali società di gestione dati non conoscono tregua, e - per quanto l'argomento sia protetto da una solidissima cortina di segretezza - le inchieste condotte dall'agenzia americana NSA sembrano indirizzare almeno in alcuni casi verso organizzazioni terroristiche ramificate, piuttosto che verso hackers isolati. L'attentato del 2008 alla sede di Costanza della tedesca Datenschutz e la serie di attentati che nel 2009 ha interrotto per diverse ore le principali dorsali Internet israeliane, dimostrano del resto che a proteggere le banche dati e le infrastrutture di rete non basta la sola sicurezza informatica. La consapevolezza ormai generalizzata della centralità strategica della rete è emersa chiaramente anche nella recente sollevazione popolare in Perù, nel corso della quale il primo edificio occupato dagli insorti non è stato né il parlamento né il palazzo della televisione ma il principale nodo di rete della capitale.

Ma forse ancor più rilevante è l'altro aspetto del problema, rappresentato dal controllo dei dati e dalla protezione della privacy. Nonostante le tranquillizzanti assicurazioni ufficiali al riguardo, vi sono pochi dubbi sul fatto che spesso agenzie governative e servizi segreti, e talvolta anche i servizi informativi di alcune fra le maggiori multinazionali, abbiano accesso a dati che rivelano ormai davvero moltissimo su ciascuno di noi, sui nostri gusti, sulle nostre attività. In altri termini: non vi è solo chi cerca di distruggere i nostri dati; vi è anche chi tenta di conoscerli per controllarci meglio.

Numerosi esempi dimostrano che non si tratta di eccessivo allarmismo. Così, per citare solo uno dei casi più discussi, il sofisticato agente software scoperto in maniera del tutto casuale all'interno di una delle principali banche dati dell'iN-Palm sembrava avere come propria funzione principale quella di analizzare, copiare e trasmettere grandi quantità di dati verso un sito esterno che non è mai stato possibile individuare con certezza, ma che sembrava utilizzare una dorsale dati governativa. E la programmazione di tale agente è sembrata agli esperti che l'hanno esaminata decisamente troppo sofisticata per essere opera di pochi hackers. La morte in circostanze misteriose di uno dei periti informatici che avevano partecipato all'inchiesta, associata alla scomparsa di una porzione significativa del codice che era stato disassemblato, non hanno fatto che aggiungere ombre a un caso decisamente inquietante.

Certo, i sistemi di criptatura associati ai sigilli elettronici personali costituiscono una difesa contro queste intrusioni. Ma si tratta di una difesa che - pur tecnicamente valida - si rivela in molti casi praticamente vulnerabile. Basti considerare che, a quanto risulta da una ricerca abbastanza attendibile, oltre il 70% degli utenti della rete conserva le chiavi dei propri sigilli elettronici... sulla rete stessa, facile preda degli agenti software che possono essere lanciati alla loro ricerca. In altri termini: gli algoritmi di criptatura sono ragionevolmente affidabili e sicuri, ma il vero punto debole del sistema è rappresentato dall'incompetenza dei loro utenti.

[...]

Fine


Note

[ 1 ] Una sigla che non sapremmo sciogliere. Potrebbe trattarsi di qualcosa di simile a Universal Mobile Data Transmission (nota del 2001).
[ 2 ] Immaginiamo che la sigla si riferisca a 'Home Cinema': un impianto composto da uno schermo piatto a parete di grandi dimensioni e una sezione audio capace di creare un ambiente sonoro avvolgente (nota del 2001).
[ 3 ] Presumibilmente, in sezioni del testo che non ci sono pervenute o che non siamo riusciti ad estrarre dal file originale (nota del 2001).
[ 4 ] L'uso della banda Ka, del quale si parla già oggi, dovrebbe permettere di utilizzare impianti satellitari lievemente modificati rispetto a quelli attuali - ma comunque non troppo costosi - per inviare dati verso il satellite sul quale siamo sintonizzati, oltre che per riceverne, migliorando in tal modo le possibilità di interazione offerte dalle trasmissioni satellitari (nota del 2001).
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