Secondo le leggi vigenti in Europa un'opera dell'ingegno, come ad esempio un libro, diviene "patrimonio dell'umanità" 70 anni dopo la morte dall'autore*.
Prima di tale periodo le opere sono ancora soggette a "diritto d'autore", o copyright, il che vuol dire, in sintesi, che solo il proprietario dei diritti (quasi sempre una casa editrice) può decidere:
- quanto costa un'opera;
- se può essere pubblicata o no;
- chi la distribuisce e come.
L'estensione del diritto d'autore oltre la vita stessa dell'autore, quando fu introdotta nei primi anni del XVIII secolo, in Inghilterra, aveva un fondamento etico condivisibile: serviva a garantire un sostegno economico alla famiglia dell'autore per una durata ragionevole. Nel 1790 gli Stati Uniti d'America promulgarono una legge simile a quella inglese, e stabilirono che una durata "ragionevole" era pari a 14 anni.
È importante che la durata del diritto d'autore sia "ragionevole", perché l'idea che dopo tale periodo l'opera diventi patrimonio dell'umanità è tutt'altro che astratta. Un'opera libera:
- può essere pubblicata da chiunque, senza balzelli e senza burocrazia;
- produce una grande quantità e varietà di edizioni;
- innesca la competizione tra gli editori, che devono così preoccuparsi di garantire edizioni sempre più accurate, apparati critici di alto livello e costi equi.
Purtroppo questo meccanismo concorrenziale e virtuoso non piace a tutti. Le lobby degli editori un tempo, e delle multinazionali dell'intrattenimento oggi (si noti che il diritto d'autore riguarda ovviamente anche la musica, i film, ecc.), hanno spinto e spingono per chiudere il più possibile il mercato. È così che siamo passati dai ragionevoli 14 anni originali, ai grotteschi 70 anni in vigore oggi. Uno dei rari casi di regresso legislativo, destinato - sembrerebbe - ad aggravarsi: nel gennaio 2003 la Corte suprema degli Stati Uniti d'America ha avallato una legge che porta a 95 anni la durata del copyright.
Non ci piacciono le campagne basate sui buoni sentimenti e le belle frasi. Auspichiamo che l'Europa si faccia promotrice di leggi che restituiscano ragionevolezza al diritto d'autore perché sappiamo che un mercato editoriale aperto alla concorrenza, libero dalle rendite di posizione e dai monopoli, giova agli stessi editori. Consente a chi realizza i prodotti migliori di farsi strada, eleva la qualità globale e, per usare le parole dei legislatori del XVIII secolo, "garantisce il progresso della scienza e delle arti".
È improbabile che la "stampa tradizionale" si occupi di questo argomento. È tuttavia un tema che ci riguarda tutti: aiutaci a far circolare questa denuncia; parlane con i tuoi amici, e se hai un sito Internet o un weblog, crea un link!
Nota: in questi giorni l'Associazione Software Libero (una organizzazione affiliata alla Free Software Foundation Europe) propone una petizione sulla EUCD - European Union Copyright Directive -, che secondo il parere dei più costituisce uno dei tentativi più forti di imporre anche in Europa un quadro legislativo fortemente sbilanciato a favore dei grossi editori e dei produttori di software proprietario. Per saperne di più e firmare la petizione:
* (torna) Vi sono delle eccezioni. Ad esempio, per quanto riguarda D'Annunzio, una casa editrice che ne abbia pubblicato le opere tra i 1/1/1995 e il 29/6/1995 (cioè prima dell'entrata in vigore delle legge che ha elevato a 70 anni la durata del copyright) può continuare a pubblicarle.
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