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Libri gratis? L'editore punta i piedi

Di Anna Masera

Gian Arturo Ferrari Marco Calvo
Gian Arturo Ferrari e Marco Calvo

Tra Internet e mercato il duello continua

La cultura è diventata più accessibile con Internet, ma il mercato si oppone: è battaglia ideologica tra chi considera la cultura patrimonio di tutti e chi proprietà da difendere.

«La gratuità è un furto» è lo slogan provocatorio lanciato da Denis Olivennes, direttore del Nouvel Observateur ex capo di Fnac, in un pamphlet che vanta nell’edizione italiana la prefazione del presidente Siae Giorgio Assumma: «Il peer-to-peer è l’ultima forma di pirateria, che danneggia gravemente tutta l’industria dei contenuti».

Gian Arturo Ferrari, capo dei libri Mondadori (nella foto a sinistra), è d’accordo con Olivennes: l’emergere di un mercato della cultura ha democratizzato le opere d’ingegno, entrate nei consumi di massa, ma «i libri gratis sono utopia, la funzione editoriale di tramite tra autore e pubblico è insostituibile». Per Ferrari il progresso aumenta il bisogno di intermediazione: «Altrimenti sarebbe il caos, comunicare è fatica. Internet è un torbido mare in cui non ti trova nessuno».

Di parere diverso Marco Calvo (nella foto a destra), fondatore dell’Associazione Liber Liber, che ha creato già 15 anni fa una biblioteca digitale ad accesso gratuito (Progetto Manuzio), arricchita da un’audioteca (LiberMusica) fino alla nuova piattaforma OpenAlexandria per la produzione e distribuzione di contenuti digitali liberi da copyright. «Allo Stato un popolo colto “conviene”. La cultura non è diventata più accessibile grazie al mercato, ma alle innovazioni tecnologiche». La macchina da stampa di Gutenberg fece crollare il costo dei libri e da allora il progresso ha subìto una straordinaria accelerazione. «Oggi Internet consentirebbe un crollo del costo della cultura altrettanto significativo, se non fosse per le resistenze controproducenti (meno cultura, meno mercato) dei grandi editori».

Internet propone nuovi intermediari: la reputazione di un autore è decretata dai suoi lettori, che lo fanno emergere tramite il passaparola. Ne sa qualcosa Lorenzo Fazio, fondatore di ChiareLettere (che pubblica autori di successo come Marco Travaglio), entusiasta delle potenzialità offerte dalla Rete: «I nostri autori hanno successo grazie ai blog e i social network». Si chiama «marketing reputazionale» e punta su un nuovo modello di business: sul Web gli autori dei libri di cucina, i più piratati, possono ripagarsi attraverso la pubblicità, il merchandising, perfino aprendo ristoranti, grazie al proprio «marchio».

Eppure Tracy Chevalier, best seller per «La ragazza con l'orecchino di perla», insiste che la pirateria attraverso Internet rischia di ridurre gli autori a «non poter più scrivere» e fa eco a Olivennes: «La cultura della gratuità, invece di diversificare l’offerta, la impoverisce». Calvo eccepisce: «Quali studi dimostrerebbero che la cultura gratuita impoverisce? Non sono certo che la diversità e ricchezza culturale sia tra le priorità delle multinazionali, che in realtà impongono gli stessi modelli culturali e gli stessi prodotti in tutto il mondo per abbattere costi di promozione e semplificare la gestione del catalogo».

Se molto materiale si trova solo nei circuiti pirata, è segno evidente che l'attuale mercato non funziona. Quanti autori vivono delle proprie opere? Quante sono fuori catalogo perché ritenute non produttive? Secondo la teoria della «coda lunga» di Chris Anderson, Internet fa fiorire le micro-nicchie, che sommate portano numeri molto più alti dei pochi successi di massa.

Per Ferrari di Mondadori, che guadagna tra il 10 e il 15% su ogni copia venduta, «la coda lunga è sottilissima» e bisogna modificare la legge sul copyright: l’autore ritorna in possesso della propria opera dopo vent’anni solo a patto che il libro sia ancora in commercio, ma «con il Print On Demand questa regola deve valere anche se il libro non è in stampa». Calvo si spinge oltre: «Gli autori, ostaggi dei mega-editori, devono essere liberi dai contratti di esclusiva».

Un fatto è certo: cercare di controllare la circolazione delle opere su Internet è come cercare di fermare il vento con le mani. Contenuti liberi in licenza «Creative Commons» (il copyright flessibile su Internet) sono già centinaia di milioni e permettono di fruire opere che le grandi multinazionali non distribuirebbero mai.

«Ad avere una pericolosità sociale ben più grave della pirateria sono i prezzi alti e il cartello dei circuiti bancari, che impediscono le microtransazioni, a loro poco convenienti, ma tecnicamente possibili da anni a costi sostanzialmente nulli» accusa Calvo. Autori da poche migliaia di opere ricaverebbero una remunerazione adeguata. E di fronte a prezzi convenienti, la pirateria sarebbe marginale.

Anna MaseraAnna Masera
La Stampa
http://www.lastampa.it/link esterno
12 maggio 2008

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