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Paolo Valera nacque a Como il 18 gennaio 1850. Il padre era venditore di zolfanelli e la madre cucitrice.
Partecipò da giovanissimo alla campagna del Trentino del 1866 con i volontari garibaldini.
Successivamente si dedicò al giornalismo; scrisse su "La farfalla" fondò e diresse periodici tra cui "La plebe" (a puntate su questo pubblicò Milano sconosciuta sotto lo pseudonimo "Caio") e "La folla", attraverso i quali si rivelò come uno dei più battaglieri e vivaci rappresentanti di quella "scapigliatura democratica" che egli cercò di condurre in politica su posizioni "estremiste", ispirate alle idee della Comune parigina, di cui fu un appassionato apologista, - anche in relazione alla sua amicizia con Amilcare Cipriani, il garibaldino che partecipò alla Comune - e in letteratura alla più radicale interpretazione del naturalismo come denuncia sociale attraverso la rappresentazione violenta e colorita delle classi sociali più umili e oppresse.
Ebbe numerosi processi per diffamazione, e in seguito a uno di questi (con al centro la vicenda di Emma Allis, ex amante di Vittorio Emanuele II), condannato a tre anni di reclusione, fu costretto a vivere in esilio a Londra per quasi un decennio (1888-1898). Ritornato in Italia fu arrestato durante la repressione antipopolare di Bava Beccaris del maggio 1898 e tenuto in prigione sotto l'accusa di aver sobillato il popolo.
Assolto al processo, nel diverso clima politico dell'Italia giolittiana, visse ritirato dedicandosi a opere di storia e alle proprie memorie. Il suo ultimo scritto, Mussolini, redatto a caldo dopo il delitto Matteotti, venne fatto oggetto di provvedimento di sequestro da parte del gerarca Giampaoli e provocò l'espulsione di Valera dal partito socialista "dopo quaranta anni di tessera", come dichiara lo scrittore in una lettera alla direzione del partito nella quale reclama il diritto ad essere processato dallo stesso.
Muore a Milano, povero, il 1 maggio 1926.
Fra i suoi scritti ricordiamo: Milano sconosciuta (1879), Gli Scamiciati (1881), Amori bestiali (1884), La folla (1901), La sanguinosa settimana del maggio '98 (1907), I miei dieci anni all'estero (1925). Ha tradotto Quo Vadis? di H. Sienkieviez.
La narrativa di Valera ama le vicende forti e a fosche tinte, con clamorosi colpi di scena; la sua nota più viva consiste nell'appassionata polemica sociale, che si concreta nella rivendicazione dei diritti delle classi subalterne e nell'accusa più aspra all'ingiustizia della società.
Secondo B. Croce, Valera è narratore superficiale e grezzo, la sua opera è "non letteratura"; più efficaci sono considerate le testimonianze, le memorie, le pagine di polemica politica.
Fonti:
- B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari 1939.
- G. Mariani, Storia della scapigliatura, Caltanissetta-Roma 1961
- A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale.
- Articoli di G. Falco ("Avanti!") N. Frasca ("Settimo Giorno") Meipo ("Historia")
A cura di Paolo Alberti.
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