1.2 La comunicazione secondo Shannon e Weaver

Lo schema di un sistema della comunicazione riportato sopra ha le sue origini nel fondamentale lavoro di Claude E. Shannon e Warren Weaver pubblicato nel 1949 col titolo The Mathematical Theory of Communication, che costituirà una delle basi della allora nascente scienza cibernetica [Wiener 1982]. Nella prima parte di tale opera Weaver dà una definizione generale della comunicazione come processo di influenza, ovvero come comprendente <<i procedimenti attraverso i quali un meccanismo (...) entra attivamente in rapporto con un altro meccanismo>> e in un senso ristretto ai fenomeni umani <<tutti i procedimenti attraverso i quali un pensiero può influenzarne un altro. (...) di fatto, qualunque comportamento umano>> [Shannon e Weaver 1983, 1]. La definizione (e quindi la teoria) è di portata generale ed ha potuto perciò essere adattata, per proprio uso, da molte discipline (biologia, psicologia, sociologia, linguistica, informatica e così via), ben al di là del campo di origine delle discipline ingegneristiche. Oltre alla generalità, un'altra ragione del grande successo transdisciplinare di cui ha goduto questa teoria è la sua definizione della comunicazione come processo di influenza, concetto in pratica equivalente a quello di causalità. Secondo Weaver, infatti, <<per qualsiasi definizione sufficientemente ampia di comportamento appare chiaro che o la comunicazione determina un comportamento oppure risulta del tutto priva di qualsivoglia comprensibile e probabile effetto>> [Shannon e Weaver 1983, 4 corsivazione nostra]. Se a ciò aggiungiamo la pretesa dello stesso Weaver di ridurre i problemi della comprensione e dell'efficacia di una comunicazione all'esatta trasmissione di simboli, vediamo subito come il paradigma della comunicazione così inteso non sia altro che un semplice caso particolare del paradigma causa-effetto classico.

Con tali premesse, ci si poteva anche aspettare che i due paradigmi divenissero in fondo indistinguibili, che la comunicazione stessa cioè fosse intesa solo come un particolare processo causale e il sistema corrispettivo come una macchina a stati determinati. Il nuovo paradigma cibernetico sarebbe stato così solo una versione un poco più complessa (non unidimensionale e non lineare) del vecchio paradigma causale. Ciò è avvenuto solo in alcune delle discipline (vicine alle cosiddette hard sciences) che hanno adottato tale modello della comunicazione, ma non in tutte. I motivi sono vari e riconducibili al contesto culturale generale dal quale la teoria matematica della comunicazione sorgeva e nel quale poi andava a impattare, in parte già preesistenti e in parte successivi alla sua comparsa. Tra essi, il rifiuto epistemologico della validità universale del principio di causalità lineare semplice, lo statuto epistemologico particolare della coscienza e della società come fenomeni non spiegabili in modo naturalistico-causalistico (la fenomenologia trascendentale ad esempio), l'introduzione nella biologia del concetto di complessità e di modelli del vivente che non seguono il meccanicismo classico (degli animali-macchina alla Descartes, per intenderci), la diversa complicazione dei differenti modelli cibernetici e così via. Tutto ciò ha portato, fra l'altro, a un mutamento proprio dei concetti di influenza (ad esempio si distinguono "sistemi", per cui ciò che avviene "dentro" non dipende in modo diretto da ciò che avviene "fuori") e di macchina (ad esempio si distinguono macchine autopoietiche da macchine allopoietiche) [per la definizione di autopoiesi e allopoiesi vedi Maturana e Varela 1985 e 1987; per l'applicazione del concetto di autopoiesi alla sociologia vedi Luhmann 1987 e 1989; Luhmann e De Giorgi 1992] [1] . Ripercorreremo perciò brevemente i punti salienti di tale teoria, per mostrare come alcuni assunti semplificatori, del tutto leciti nel contesto in cui la teoria era nata (i laboratori della Bell Telephone Corporation) non siano accettabili se applicati alla comunicazione umana e sociale. Questa operazione ci servirà per costruire uno sfondo sul quale far risaltare le caratteristiche interattive della comunicazione, di cui parleremo nel prossimo capitolo.


[1] Il paradigma causale e quello sistemico si possono vedere come metodi equivalenti di spiegazione degli eventi. Secondo il primo paradigma il mondo consiste di una catena di cause ed effetti che non può essere spezzata in nessun punto per dire che vi è un "dentro" e un "fuori". Se si ammettono confini e sistemi in questo paradigma, è solo per fini espositivi, ma senza rilevanza teorica, perché per principio qualsiasi differenza interno-esterno può essere dissolta in una catena di cause (inputs e outputs). Il paradigma sistemico invece spezza la catena causale ponendo i confini già come concetti paradigmatici. In questo modo può tentare di semplificare le spiegazioni distinguendo tra cause esogene (che non vengono a loro volta spiegate) e cause endogene (che dipendono dal sistema). Torna Su