1.1 Un'analisi semantica del termine "comunicazione"

"Comunicare" deriva infatti dal latino communicare (dall'aggettivo communis, <<comune, che appartiene a parecchi>>, ma anche <<affabile e cortese>> e, sostantivato <<comunità, nazione, bene comune>>). Il primo significato di communicare è appunto: <<mettere in comune qualche cosa>> e poi <<accomunare, dividere (cose tra persone), fare o essere partecipe di, prender parte a, condividere>>. C'è sempre un accento sull'esistenza o sulla produzione di una comunanza fra persone. La base di tutto ciò era la communitas, ovvero la <<condizione comune>> dei membri di una comunità, data per scontata e connotata positivamente: communitas significa infatti anche <<socievolezza, affabilità>>. La comunanza poi è riferita prima di tutto a oggetti e solo secondariamente a eventi o a comunicazioni, e questo è degno di nota per chi voglia fare ipotesi sull'origine del modo di intendere la comunicazione come trasmissione o trasferimento di informazioni. Infatti i verbi latini transmittere e transferire, da cui hanno origine i nostri "trasmettere" e "trasferire", si riferiscono prima di tutto proprio allo spostamento "da qui a là" di oggetti.

Solo il secondo significato di communicare (<<abboccarsi, consigliarsi con uno>> e anche <<aver rapporti>>) ha a che fare con una comunicazione in un senso più simile al nostro, e precisamente con la conversazione. In epoca paleocristiana e medioevale, prevale ancora il significato legato al mettere in comune e alla vita di comunità. Il termine communicare assume qui anche un preciso significato rituale, quello di <<avvicinarsi all'altare per prendere la comunione>>. Durante l'epoca moderna, lo sviluppo dapprima dei mezzi di trasporto di persone e cose, e poi di mezzi di trasmissione delle informazioni, apre nuove possibilità per la "comunanza" tra persone. Di conseguenza, i nuovi mezzi assumono una connotazione comunicativa: si parla così di mezzi di comunicazione e vie di comunicazione. Il riferimento originario alla comunanza permane ancora oggi, ma non più tanto nel senso di mettere in comune oggetti, quanto idee e pensieri. Nel 1941, il dizionario di italiano Zingarelli (VII Edizione, Zanichelli, Bologna 1942) definiva "comunicare" come <<far partecipe, rendere comune ad altri, dividere insieme>> e "comunicazione" come <<partecipazione, mezzo di corrispondere, impulso, trasmissione, passaggio>>, prendendo esempi prima dalle vie di comunicazione ferroviarie, stradali e marittime, e poi da quelle telegrafiche, telefoniche e aree [Volli 1994, 17]. Sotto la voce "Comunicazioni" del Grande Dizionario Enciclopedico della UTET (2a ed., 1954-1964, vol. III), vengono trattate prima di tutto le comunicazioni terrestri, per via acquea e aerea, poi quelle postali e telegrafiche e alla fine le più recenti radio e televisione. Lo Zingarelli del 1970 (X Edizione, Zanichelli, Bologna 1974) definisce "comunicare" come <<rendere comune, trasmettere>>, <<somministrare o ricevere la comunione>>, <<essere in relazione, in comunicazione>> non solo di uomini ma anche di luoghi, <<condividere o trasmettere pensieri>>. I significati <<mettere qualcosa in comune>> e <<far vita comune>> sono marcati come desueti. "Comunicazione" è definita invece come <<atto del comunicare, trasmettere ad altri>>, oppure come <<collegamento>> nel senso di <<mezzo attraverso il quale persone e cose comunicano tra di loro>>. La XII edizione dello stesso vocabolario (lo "Zingarelli 1996") aggiunge un significato al termine "comunicazione" mantenendo inalterati gli altri. Tale significato è riferito agli elaboratori e recita <<processo mediante il quale si trasmettono informazioni, con appositi segnali, da un sistema all'altro>>. L'Enciclopedia Universale Garzanti '96 (ottobre 1995), spiega il termine "comunicazione" tramite la rielaborazione fatta da Roman Jakobson [1966] dello schema di un sistema di comunicazione di Shannon e Weaver [1983, 6], da lui adattato alla comunicazione umana. Tramite la sua rielaborazione, Jakobson definisce la struttura (elementi) e le funzioni della comunicazione, ma non fa distinzione tra segnale e messaggio, come nota anche Volli [1994, 21-24].

Gradualmente, all'immagine della comunanza si è affiancata quindi, e con forza uguale se non superiore, quella del passaggio, del movimento, del trasferimento, dapprima di cose e persone e poi, per analogia, di informazioni. Alla base del paradigma trasmissivo sta quindi la metafora di un passaggio di oggetti o di uno scambio di "fluidi" (la famosa metafora idraulica) e di conseguenza l'ipotesi che la comunicazione consista nel trasferimento di un messaggio come se fosse un oggetto, ovvero nel "trasporto" di un contenuto di coscienza della sorgente nella coscienza del destinatario. Mano a mano però l'idea di comunicazione si complessifica alquanto. I progressi più consistenti riguardano la crescente importanza teorica data ai concetti di contesto della comunicazione e di aspettative dei comunicanti. In particolare queste ultime, che includono conoscenze, atteggiamenti, condizioni psicologiche momentanee e così via, non permettono di pensare ai codici comunicativi come a un qualcosa di indipendente dai soggetti. Diventa sempre più chiaro perciò che non si può pensare la comunicazione come se si trattasse di un semplice passaggio di oggetti. La terminologia corrispondente però fatica un po' ad adattarsi. In Ricci Bitti e Zani [1983] ad esempio troviamo che per avere un atto comunicativo sono necessari almeno sei fattori: <<l'emittente, cioè chi produce il messaggio, un codice, che è il sistema di riferimento in base al quale il messaggio viene prodotto, un messaggio, che è l'informazione trasmessa e prodotta secondo le regole del codice, un contesto in cui il messaggio è inserito e a cui si riferisce; un canale, cioè un mezzo fisico-ambientale che rende possibile la trasmissione del messaggio, un ricevente (o ascoltatore) che è colui che riceve e interpreta il messaggio>> (vedi sotto Figura 1-1) e definiscono la comunicazione <<in prima approssimazione (...), il processo che consiste nel trasmettere o nel far circolare delle informazioni, cioè un'insieme di dati tutti o in parte sconosciuti al ricevente prima dell'atto comunicativo>> [id., 23].

Componenenti della comunicazione secondo Ricci Bitti Zani

Si dà per scontato che emittente e ricevente condividano lo stesso codice, perché solo così può aver luogo il processo di decodifica, cioè di comprensione del messaggio. Tale definizione, introducendo i concetti di contesto e di interpretazione, supera un'idea puramente trasmissiva di comunicazione, ma non fa ancora una chiara distinzione tra i concetti di informazione, segnale, messaggio e significato, così come tra quelli di sorgente e trasmittente da un lato e di ricevente e destinatario dall'altro.