CAPITOLO SESTO


INTERPRETAZIONI DEL TROMBA

7. Un altro approccio emico: la "coreomania palustre" e il trattamento adatto alla sua cura

Un medico malgascio, il dottor Andrianjafy (92), con l'aiuto di suo padre, ha osservato il fenomeno del Ramanenjana, che, come abbiamo visto precedentemente, è una manifestazione "selvaggia" della possessione tromba, apparsa per la prima volta negli anni 1863-1964 durante il regno di Radama II, un re particolarmente favorevole all'afflusso degli europei nell'isola.

Il Ramanenjana è considerato da Andrianjafy una malattia tropicale, che viene chiamata "coreomania palustre" per i sintomi coreutici e maniaci che la caratterizzano e perché si manifesta sempre nella stagione pluviale (93), successiva alla grande siccità e che corrisponde alla prima e più attesa raccolta del riso che avviene in acque stagnanti e quindi nel periodo più caldo e malsano dell'anno.

Secondo la descrizione di Andrianjafy la crisi malarica è caratterizzata da dolori diffusi in tutto il corpo, da spossatezza generale e da febbre. Dopo l'attacco febbrile, il malato ha la pelle e la fronte sudaticce, gli occhi rossi e lo sguardo inespressivo; subito dopo comincia a lamentarsi della testa, "la gira e la rigira" in modo molto bizarro, " la dondola", questa maniera particolare di muovere la testa è la postura caratteristica del Ramanenjana. Per due o tre giorni il paziente prova un malessere generale, poi si manifesta un'agitazione nervosa che assume una forma molto curiosa. Da questo momento infatti se il minimo rumore agisce su di lui e, specialmente, se gli capita di ascoltare un canto o una musica, diviene incapace di controllarsi, si sottrae ad ogni costrizione, corre dove proviene la musica e danza, talvolta per molte ore consecutive con una rapidità vertiginosa. Egli dondola la testa da un lato all'altro con un movimento ritmico, agita le mani dall'alto in basso in modo uniforme. Lo sguardo è stravolto e tutta la fisionomia prende un'espressione di smarrimento e di estraneità a ciò che accade.

Il ritmo della danza si regola sensibilmente sulla musica, sempre più rapida, ma degenera spesso in un calpestio sul posto. Il malato danza in tal modo, con lo stupore dei presenti, come se fosse posseduto da qualche spirito maligno, con una persistenza quasi soprannaturale, fino a cadere, infine, come privo di vita. Se la musica viene sospesa, il malato si precipita in avanti, come preso da un nuovo attacco e si mette a correre fino al momento in cui cade a terra, in uno stato di insensibilità totale. A questo punto si riporta il paziente a casa propria.

Come osserva Andrianjafy nel "vero Ramanenjana" (94), che presenta i sintomi patologici febbrili e nervosi appena descritti "la cui realtà non può essere messa in dubbio" (Andrianjafy, 1902), si manifestano dei movimenti coreutici, quali oscillazione della testa, abbassamento e sollevamento delle spalle, delle braccia e delle dita delle mani e dei piedi. Ma la danza vera e propria non è un sintomo immediato e si osserva solo nei malati che sono stati sottomessi all'influenza dei medium. Spesso alcuni, raggiunti semplicemente da convulsioni o da movimenti coreutici, sono stati invitati o addirittura forzati dai loro parenti ad eseguire dei movimenti ritmici di vera danza.

A fianco a questi casi, vi sono poi dei malati "in buona fede" che presentano il quadro quasi completo del Ramanenjana, senza alcun condizionamento esterno. Una spiegazione plausibile di questo può essere secondo Andrianjafy il fatto che la maggior parte dei malgasci conosce il Ramanenjana e i suoi mezzi di guarigione. Le persone allora, quando vengono prese da una malattia che presenta sintomi coreutici o nervosi, si credono, in buona fede, raggiunti dal Ramanenjana ed inconsciamente giungono fino a manifestarne i sintomi.

La musica, da sempre usata nelle "manie danzanti" (95) per "canalizzare" in qualche modo il disordine dei movimenti, si ritrova quindi anche nel Ramanenjana come agente curatore. Tuttavia secondo Andrianjafy la musica non è sufficiente, perché il malato guarisce solo dopo un certo numero di danze (che attraverso la sudorazione provocano la fine degli attacchi di febbre), mentre il Ramanenjana, trattato senza musica, ma semplicemente con il chinino, guarisce in due o tre giorni.

I "veri" malati durante le manifestazioni febbrili non sono secondo Andrianjafy comunque in grado di eseguire da soli un rito o un'azione, come ad esempio recarsi sulle tombe degli antenati, eseguire movimenti ritmici e faticosi o danzare con una caraffa colma d'acqua sulla testa, azioni di cui spesso gli stessi malati non hanno coscienza e nella cui esecuzione vengono infatti aiutati dai medium, che forniscono loro anche gli oggetti rituali utilizzati durante la possessione (il bastone o la caraffa con l'acqua).

Le cause che predispongono al Ramanenjana sono individuate da Andrianjafy nell'indebolimento dell'organismo provocato dalla raccolta del riso, nel sesso femminile, più incline a suggestioni di ogni natura, ed infine nell'ambiente insalubre delle risaie, in cui si ritrovano tutte insieme le cause determinanti del paludismo (acqua stagnante, alte erbe, caldo umido, punture di zanzare).

Per combattere il Ramanenjana Andrianjafy indica non solo dei rimedi materiali, quali "la guerra alle zanzare" e la diffusione gratuita del solfato di chinino, ma suggerisce anche l'apertura alla civilizzazione e al progresso europei e soprattutto "la guerra ai guaritori ed alla superstizione, che attraverso le loro suggestioni, tengono questi cervelli primitivi sotto la loro dominazione religiosa e politica" (Andrianjafy, 1902).

La malattia, che ha origine dall'intossicazione palustre, è infatti secondo Andrianjafy condizionata dalla cultura e va quindi combattuta attraverso un'opera di "igiene morale", oltre che con la scienza medica.

Andrianjafy considera infine come forme violente di paludismo anche le altre epidemie coreutiche storiche, come il "Tégretier" (Ballo di Abissinia), le convulsioni del cimitero di S. Medardo, il Tanzwuth tedesco e il Tarantismo pugliese,. Per rafforzare la sua tesi riporta poi ciò che scriveva a questo proposito J. Rochard (1870) sul Tarantismo:

ĢI casi di Tarantismo che si osservano attualmente non sono che degli attacchi violenti in forme deliranti o comatose, di cui gli abitanti non conoscono la causa, e che attribuiscono senza ragione alla puntura della tarantola. Facendo danzare i malati al suono del violino e della cornamusa, fino a quando cadono ormai sfiniti, sperano di eliminare il veleno provocando una abbondante traspirazione; si limitano, in realtà, ad accelerare l'apparizione dello stadio di sudore e la fine della crisi, che ne è la conseguenza, sembra giustificare la loro teoria, e li mantiene nell'erroreģ.


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