CAPITOLO SESTO


INTERPRETAZIONI DEL TROMBA

6. Il punto di vista emico: Jaovelo-Dzao e Radavidrason

Robert Jaovelo-Dzao nasce e studia nell'isola di Madagascar (89). Appartenente alla popolazione sakalava basa il suo libro (1996, Mythes, rites et transes à Madagascar. Angano, jôro et tromba sakalava), consacrato all'interpretazione dei riti della propria etnia, oltre che su fonti bibliografiche e sull'osservazione diretta delle cerimonie anche sui ricordi dei racconti familiari riguardanti i miti sakalava. L'autore sottolineando il carattere emico delle sue osservazioni scrive: "nous pensons comme les informateurs sakalava et les possédée eux-mêmes" (Jaovelo-Dzao, 1996, 6).

Secondo la definizione di Jaovelo-Dzao (1996) "il tromba è una forma di religione" ed è quindi a suo giudizio "opportuno inserirla nell'insieme dei riti e delle credenze sakalava". Dopo aver raccontato il mito cosmogonico sakalava (90) l'autore infatti spiega il rituale del tromba come espressione di tale mito. Come sostiene Eliade, nelle religioni arcaiche i miti cosmogonici rivelano il modo in cui è nato il cosmo perché per tali culture "il tempo nasce con la prima creazione all'inizio dei tempi" (Eliade, 1973, 52). Il rito raccontando il mito riattualizza il tempo sacro in cui è avvenuto l'atto della creazione e tale desiderio "di reintegrare il tempo dell'origine equivale" secondo Eliade "sia al desiderio di ritrovare la presenza degli dei che di ricuperare il mondo forte, fresco e puro, così come era in illo tempore" (Eliade, 1973, 62). Attraverso "l'eterno ritorno", ossia con il periodico rinnovarsi del contatto con il sacro attraverso il rito, "l'esistenza umana si salva dall'annientamento e dalla morte" (Eliade, 1973, 70).

Gli elementi rituali del tromba (l'acqua, la danza del medium, il bastone dello spirito, il travestimento del posseduto e il colore rosso) esprimono quindi, secondo Jaovelo-Dzao (1996), la riattualizzazione della creazione. La danza del medium è infatti messa in relazione con gli spiriti dell'aria trasportati dai turbini e con i vortici primordiali da cui ebbe origine il mondo. Anche l'acqua del diluvio primordiale è evocata in tutti i simboli acquatici presenti nel tromba e viene identificata quindi allo stesso tempo con la vita e con la creazione oppure con la morte e la distruzione. Infine la distinzione ed allo stesso tempo la confusione dei sessi a cui si assiste nella cerimonia, durante la quale infatti un uomo può vestirsi da donna se il tromba che lo abita è lo spirito di una regina e viceversa, ricordano per Jaovelo-Dzao (1996) la situazione primordiale (il mondo ha avuto origine da un uovo ambivalente) e allo stesso tempo l'androginia divina.

Jaovelo-Dzao (1996) afferma che durante la trance il medium-saha e il malato si appoggiano a turno al bastone sacro dello spirito-tromba. Il gesto viene spiegato dall'autore come la partecipazione simbolica all'essenza dell'Albero Cosmico, rappresentato dal bastone. Tale albero, piantato sin dalle origini da Zañaharibe (91) al centro del mondo, costituisce un ponte tra cielo e terra ed assicura agli uomini in modo permanente la discesa degli spiriti e le benedizioni divine, nonché l'energia necessaria al funzionamento di tutti gli elementi del cosmo. Secondo la tesi di Eliade (1952) l'Albero Cosmico è un simbolo che manifesta lo "spazio sacro", il luogo cioè in cui si viene in contatto direttamente col mondo divino. L'Albero Cosmico infatti trovandosi al centro dell'universo sostiene e mette in contatto i tre mondi che lo costituiscono, il cielo, la terra e l'inferno.

Il serpente, il coccodrillo e lo zebù, che sono spesso scolpiti sul bastone, sono animali sacri ed incarnano i geni della natura e gli antenati di determinati gruppi clanici (Jaovelo-Dzao, 1996). Il serpente e il coccodrillo, avvicinati all'acqua, suggeriscono il tempo primordiale. Lo zebù è un animale sempre da presente nella vita quotidiana dei malgasci ed ha avuto secondo Jaovelo-Dzao (1996) molta importanza nella civilizzazione dell'etnia. Il sacrificio di questo animale, il cui sangue è bevuto dagli spiriti-tromba e dai loro adepti durante il rito, rievoca il sacrificio primordiale del figlio della divinità, spesso assimilato al sole il cui "sangue" continua a dare la vita agli elementi del cosmo. I sacrifici umani che accompagnavano un tempo i funerali reali e lo stesso culto dinastico tromba si riferiscono, invece, al secondo sacrificio compiuto nel tempo mitico e cioè quello della regina Andriamandikavavy e di uno zebù rosso, entrambi sacrificati per la prosperità dei posteri.

Gli aody contenuti in una piccola scatola d'argento posta nella parte alta del bastone, costituiscono dei rimedi simbolici che conservano le virtù terapeutiche e magiche del bastone stesso e sono solitamente una pietra, che rappresenta la forza e l'immortalità, del miele, che evoca la dolcezza e la vitalità, l'olio, che simboleggia la forza (Jaovelo-Dzao, 1996).

Per Jaovelo-Dzao (1996) la presenza nel tromba del rosso e del sangue ha delle referenze mitiche. Innanzitutto il rosso rappresenta il sangue versato dal figlio della divinità, ucciso dai suoi rivali, che, come abbiamo già visto, continua ad inondare il cosmo sotto forma di raggi solari. Poi è il segno della presenza di Andriamandenta (lett. il-Principe-che-taglia-la-gola) morto sul campo di battaglia oppure del ritorno di Mbilo, un rinomato mago sakalava che preferì suicidarsi piuttosto che darsi al nemico.

Anche altri elementi del rito riproducono i modelli di comportamento stabiliti dagli dei, dagli eroi civilizzatori o dagli antenati mitici nel tempo primordiale. La preghiera e l'offerta presenti nel tromba obbediscono infatti, secondo l'interpretazione di Jaovelo-Dzao (1996), alla volontà di Ratovoana, l'uomo-dio che coltivò per primo sulla terra il riso che fino a quel momento era stato l'alimento esclusivo degli dei, e riprendono le norme di comportamento da lui dettate: «tutti coloro che coltivano il riso devono offrire le primizie del raccolto a Zañahary». Eliade spiega tale bisogno dell'uomo di imitare "gli stessi gesti esemplari e gli atti divini" come il riflesso della "sua aspirazione e del suo sforzo di vivere il più possibile vicino ai suoi dei" (Eliade, 1973, 60).

Per essere compreso nella sua vera essenza il tromba viene poi necessariamente inscritto da Jaovelo-Dzao all'interno delle credenze malgasce e viene infatti in questa ottica interpretato come «una pratica religiosa di carattere carismatico, che mira a provocare, attraverso un saha, medium in trance, il contatto e la comunicazione con esseri immateriali, per ottenere oracoli per il comportamento o la terapia religiosa» (Jaovelo-Dzao, 1996, 243).

L'autore mette da parte l'aspetto terapeutico del rito, che è del resto presente nel tromba come in tutti i riti che celebrano il ritorno alle origini (Eliade, 1973), e sottolinea piuttosto la necessità di inscrivere il tromba all'interno delle credenze sakalava, riferendosi in particolare a quelle, diffuse anche in tutta l'isola, che riguardano la onnipresenza dei morti sulla terra e la loro incarnazione nei viventi e la continuità della vita dopo la morte attraverso l'anima presente nell'uomo.

Il tromba è tra i riti che mettono in comunicazione i vivi con ciò che viene definito dall'autore "l'aldilà indeterminato" e cioè con gli antenati lontani, primordiali o di origine mitica, che vengono distinti dagli antenati recenti, ben conosciuti e individuati ("l'aldilà determinato"), appartenenti al gruppo familiare del posseduto, i quali vengono onorati in altro modo (ad esempio con la manutenzione del cimitero, la riparazione e la costruzione in muratura della tomba).

Il rito del tromba, e in particolare la figura del medium, costituisce secondo l'autore, "da una prospettiva più dinamica", l'asse principale che permette a Zañahary, così come agli antenati reali divinizzati e ai geni della natura, di umanizzarsi ed all'uomo di divinizzarsi. "E' allora che il medium diviene da un lato la quintessenza del movimento ascendente dell'uomo verso le regioni superiori della divinità e dall'altro l'emanazione della superiorità divina in un movimento discendente" (Jaovelo-Dzao, 1996, 249).

Oltre a costituire il mezzo principale di comunicazione degli uomini con le forze soprannaturali, il tromba serve anche a riequilibrare il rapporto dei vivi con tali forze e a ristabilire "l'armonia cosmica" verso la cui realizzazione tendono tutte le cerimonie religiose malgasce. Tale armonia viene infatti spesso turbata da colpe rituali (violazioni dei fady o dei comportamenti tradizionali) e la sua rottura è segnalata dall'avvento di malattie e sciagure.

Le cerimonie tromba sono infine, sempre secondo l'autore, anche un mezzo per risolvere i conflitti e moltiplicare gli incontri e le occasioni di festa tra gli abitanti del villaggio, nonché per stringere relazioni interpersonali tra gli adepti e i partecipanti alle cerimonie che talvolta provengono da altri villaggi.

Appartenente al gruppo etnico dei Merina anche Radavidrason Zafisoatompoina Noro, come Jaovelo-Dzao, nel raccogliere informazioni per la stesura del suo lavoro (una tesi relativa all'anno accademico 1988-89 intitolata Ciclo della vita umana in Madagascar) si basa su fonti bibliografiche, sulla ricerca sul campo ma anche su reminiscenze personali, scolastiche e familiari.

Secondo l'autrice il tromba si inserisce nella venerazione e nel rispetto malgascio per i propri antenati e trae origine dalla credenza in esseri invisibili che rappresentano gli antichi re fondatori della stirpe o comunque antenati remoti di grande prestigio.

Per quanto immateriali questi spiriti vengono rappresentati con modalità umane. Sono infatti di sesso maschile o femminile, buoni o malvagi e non tollerano assolutamente la mancanza di rispetto. Scelgono i loro discepoli tra gli uomini mandando loro sogni e visioni e rendendo nota attraverso la possessione la propria volontà. I posseduti saranno poi protetti e soccorsi in tutte le circostanze dagli spiriti che li abitano.

La consapevolezza dell'esistenza del soprannaturale si manifesta in un'intima connessione tra il divino ed il quotidiano e si traduce concretamente nella celebrazione di riti, preghiere e sacrifici che accompagnano anche le fasi della vita.

«Nella concezione malgascia dell'esistenza, ogni essere, ogni oggetto, lo stesso tempo ed i luoghi sono come presi in prestito dalle potenze soprannaturali. Da qui nasce quel senso di fatalismo e di precarietà, di timore per la propria sorte che domina lo stato d'animo del malgascio. Da qui la paura dell'insolito, di ciò che non è abituale e da qui l'indecisione profonda che caratterizza ogni circostanza della vita del malgascio» (Radavidrason, 1988-89, 96).

I riti tromba hanno dunque secondo l'autrice un significato di comunicazione e di comunione con le temute potenze soprannaturali.


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