CAPITOLO TERZO


IL TROMBA

1. Origini storiche

Il tromba è un fenomeno di possessione diffuso in tutto il Madagascar. Originario dell'Ovest dell'isola, precisamente del popolo sakalava, si è in seguito esteso, in modo piuttosto omogeneo, anche sulla costa orientale e sugli altipiani dell'Imerina, come è dimostrato dalle ricerche di J. M. Estrade (1977), P. Lahady (1979) e G. Althabe (1969).

Per poter interpretare in maniera adeguata il tromba è necessario inquadrarlo storicamente, collocandolo all'interno della fondazione delle grandi dinastie malgasce. È infatti all'interno dei sistemi monarchici sakalava che ha avuto origine il culto di possessione, conosciuto come tromba. Tale fenomeno fu "istituzionalizzato" dai Maroserana per legittimare e strutturare il proprio potere nei confronti delle popolazioni autoctone (33), presenti nell'ovest dell'isola al momento della conquista sakalava (J. Lombard, 1988). Per spiegare i successi passati e costruire un avvenire solido, il popolo sakalava fa entrare dunque i suoi sovrani nella sfera divina (Estrade, 1977). È da questo momento che in ogni famiglia il culto dei propri antenati passa in secondo piano rispetto all'invocazione collettiva degli antenati reali e che «ogni riferimento alla monarchia» diventa «riferimento all'ordine divino del cosmo» (F. Raison-Jourde, 1983, 30).

La monarchia e le rappresentazioni del potere monarchico costituiscono una parte importante della simbologia del rito.

Il nesso tra potere monarchico e sfera religiosa è sottolineato anche da Rusillon (1912). Per i Sakalava, infatti, tutta la religiosità era concentrata intorno ai loro re e regine che erano ritenuti di origine divina (34) e come tali erano oggetto di culto.

Secondo Andrianjafy (1902) il rispetto e la venerazione profonda per il ampanjaka (re, regina) giungeva fino all'idolatria. Il popolo sakalava credeva fermamente "al diritto divino dei re" ed attribuiva ai propri sovrani una protezione speciale da parte della divinità; disobbedire loro diveniva non solo un crimine, ma un sacrilegio. Secondo i miti di fondazione sakalava la creazione del mondo è opera degli antenati reali, considerati sia figli della stessa divinità che incarnazione degli dèi più antichi (Jaovelo-Dzao, 1996).

Il re, in vita, godeva di un prestigio divino, testimoniato dall'obbligo di inchinarsi in sua presenza, di usare un linguaggio esoterico nei suoi confronti e dal diritto di vita e di morte che egli esercitava sui suoi sudditi. Il re veniva inoltre considerato il ministro del culto per eccellenza e gli erano attribuiti, grazie alla sua sacralità, poteri di guarigione. Una volta morto, diveniva ancora più potente. Il passaggio al nuovo stato - come è descritto da Estrade (1977) - si effettuava laboriosamente ed esigeva la partecipazione popolare. La prima tappa di questa "santificazione" erano i funerali. Il re veniva innanzitutto privato della carne in putrefazione. Queste operazioni duravano due o tre mesi, durante i quali il popolo offriva da mangiare ai becchini, che beneficiavano anche delle offerte fatte al re (incenso, oli profumati, musica dei tamburi sacri e delle conchiglie marine, canzoni rituali). Con la morte del re si apriva un periodo di instabilità sociale che si manifestava in un certo disordine visibile perfino nella barba, nei capelli e nei vestiti della popolazione, disordine dovuto anche all'abolizione provvisoria dell'esercizio della legge. Tale caos, secondo quanto affermato da Jaovelo-Dzao (1996), doveva rappresentare simbolicamente la fine del mondo, rivissuta alla morte di ogni ampanjaka.

Quando il corpo era ormai ridotto a scheletro e ne erano state prelevate le reliquie (barba, unghie, capelli, denti), si procedeva all'inumazione. L'entrata del re nel mondo sacro era simbolizzata dall'attribuzione di un nuovo nome, che riassumeva le sue qualità o la sua storia terrestre, mentre quello precedente diventava tabù. Da questo momento in poi il re era destinato a tornare tra i suoi sudditi attraverso solo la possessione tromba.

L'incarnazione dello spirito di un sovrano sakalava (tromba) diventerà un modello che si diffonderà in tutta l'isola, influenzando in particolare i culti di possessione betsimisaraka e merina (G.Althabe e J. M. Estrade). Disinseriti dalla loro storia dinastica, ridotti a stereotipi, questi spiriti sakalava acquistano un carattere mitico tale che sono chiamati tromba anche gli spiriti dei sovrani betsimisaraka e merina (F. Raison-Jourde, 1983).

Ancora oggi i fenomeni di possessione diffusi presso la popolazione malgascia sono ritenuti, generalmente, opera di un tromba, ovvero dello spirito di un antico sovrano che si incarna in un vivente per elargire benedizioni, consigli o rimedi per le malattie. I posseduti sono generalmente donne, spesso nubili o sterili. Nella società malgascia, in cui la prole e la fertilità godono della più grande considerazione (35), la presenza di queste donne al centro di un rito molto sentito dalla popolazione è considerata dalla maggior parte degli interpreti (Estrade, 1977; Baré, 1980) come una forma di riscatto sociale da una condizione subalterna. Tuttavia si registrano anche casi di possessione maschile, soprattutto da parte di vecchi (Estrade, 1977).

La venuta dello spirito è preceduta da uno stato di trance, che viene indotto con l'ausilio di musica, danza e numerose libagioni. Ma in realtà il tromba si manifesta per la prima volta in una forma più intima e privata, attraverso il sogno o la malattia. E' solo in seguito a questo "segno" che vengono poi organizzate, a spese della famiglia del posseduto, una serie di cerimonie pubbliche per consentire l'apparizione dello spirito e la guarigione dell'eletto. Il posseduto verrà consacrato ed investito ufficialmente dal medium (saha) nel suo nuovo ruolo durante il rito del Barisa; in seguito l'iniziato dovrà seguire un tirocinio per apprendere l'uso delle piante medicinali ed i segreti del suo ufficio, che hanno a che vedere con la storia delle dinastie e in particolare con quella determinata figura regale da cui è posseduto.

I seguaci del tromba sono organizzati in confraternite che raramente superano l'ampiezza del villaggio; ne fanno parte, oltre ai devoti ed ai malati-guariti, anche persone che partecipano alle cerimonie semplicemente per paura di ritorsioni (invio di disgrazie e malattie) da parte dello spirito.

I riti di possessione tromba sono stati visti con diffidenza ed avversati non solo dai cristiani e dai musulmani come manifestazione di "spiritismo" e magia, ma anche dalla medicina ufficiale, che li ha considerati espressioni patologiche ed ha ritenuto i "rimedi" dettati dallo spirito responsabili di numerosi decessi.

Come riscontrato da Estrade (1977) il carattere ossessivo e persecutorio del culto ha provocato in molti la conversione al cristianesimo, vista come definitiva liberazione dallo spirito tormentatore. Altri, la maggioranza, preferiscono invece frequentare sia la Chiesa che le sedute del tromba.


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