17 Aprile
Ti risovviene di quella giovinetta che quattro anni fa villeggiava appie' di queste
colline? era la innamorata del nostro Olivo P***, e tu sai com'ei impoverì, né poté
più averla in isposa. Oggi io l'ho riveduta accasata a un titolato, parente della
famiglia T***. Passando per le sue possessioni, venne a visitare Teresa. Io sedeva per
terra sul tappeto, e attentissimo all'esemplare della mia Isabellina che scorbiava l'abbiccì
sopra una sedia. Com'io la vidi, m'alzai correndole incontro quasi quasi per abbracciarla:
- quanto diversa! contegnosa, affettata, penò a ravvisarmi, e poi fece le maraviglie
masticando un complimentuccio mezzo a me, mezzo a Teresa - e scommetto che la mia vista
non preveduta l'ha sconcertata. Ma cinguettando e di giojelli e di nastri e di vezzi e di
cuffie, si rinfrancò. Io mi sperava di usarle un atto di carità graziosa sviando il
disorso da simili frascherie; e perché quasi tutte le giovani le si fanno più belle in
viso, e non bisognano d'altri ornamenti, allorquando modestamente ti parlano del lor
cuore, le ricordai queste campagne e que' suoi giorni beati. - Ah, ah, rispose
sbadatamente; e tirò innanzi ad anatomizzare l'oltramontano travaglio de' suoi
orecchini. Il marito frattanto (perché fra il Popolone de' pigmei ha scroccato
fama di savant come l'Algarotti e il ***) gemmando il suo pretto favellare
toscano di mille frasi francesi, magnificava il prezzo di quelle inezie, e il buon gusto
della sua sposa. Stava io per pigliarmi il cappello, ma un'occhiata di Teresa mi fe' star
cheto. La conversazione venne di mano in mano a cadere su' libri che noi leggevamo in
campagna. Allora tu avresti udito Messere tesserci il panegerico della prodigiosa
biblioteca de' suoi maggiori, e della collezione di tutte l'edizioni Principes
degli antichi ch'ei ne' suoi viaggi ebbe cura di completare. Io rideva fra cuore,
ed ei proseguiva la sua lezione di frontespizj. Quando Gesù volle, tornò un servo ch'era
ito in traccia del signore T*** ad avvertire Teresa che non l'avea potuto trovare, perché
egli era uscito a caccia per le montagne; e la lezione fu rotta. Chiesi alla sposa novella
di Olivo ch'io dopo le sue disgrazie non aveva più riveduto. Immaginerai che cuore fu il
mio quando m'intesi freddamente rispondere dall'antica sua amante: È già morto. - È
morto! sclamai balzando in piedi, e guardandola stupidito. E descrissi a Teresa l'egregia
indole di quel giovine senza pari, e la sua nemica fortuna che lo costrinse a combattere
con la povertà e con la infamia; e morì nondimeno scevro di taccia e di colpa.
Il marito allora prese a narrarci la morte del padre di Olivo, le dissensioni con suo
fratello primogenito, le liti sempre più accanite, e la sentenza de' tribunali che
giudici fra due figli di uno stesso padre, per arricchire l'uno, spogliarono l'altro;
divoratosi il povero Olivo fra le cabale del foro anche quel poco che gli rimanea.
Moralizzava su questo giovine stravagante che ricusò i soccorsi di suo fratello, e
invece di placarselo, lo inasprì sempre più. - Sì sì, lo interruppi, se suo fratello
non ha potuto essere giusto, Olivo non doveva essere vile. Tristo colui che ritira il suo
cuore dai consigli e dal compianto dell'amicizia, e sdegna i mutui sospiri della pietà, e
rifiuta il pronto soccorso che la mano dell'amico gli porge. Ma le mille volte più tristo
chi fida nell'amicizia del ricco: e presumendo virtù in chi non fu mai sventurato,
accoglie quel beneficio che dovrà poscia scontare con altrettanta onestà. La felicità
non si collega con la sventura che per comperare la gratitudine e tiranneggiare la virtù.
L'uomo, animale oppressore, abusa dei capricci della fortuna per aggiudicarsi il diritto
di soverchiare. A' soli afflitti è bensì conceduto il potersi e soccorrere e consolare
scambievolmente senz'insultarsi; ma colui che giunse a sedere alla mensa del ricco, tosto,
benché tardi, s'avvede.
Come sa di sale
Lo pane altrui.
E per questo, oh quanto è men doloroso l'andare accattando di porta in porta la vita,
anziché umiliarsi, o esecrare l'indiscreto benefattore che ostentando il suo beneficio,
esige in ricompensa il tuo rossore e la tua libertà! -
Ma voi, mi rispose il marito, non mi avete lasciato finire. Se Olivo uscì dalla casa
paterna, rinunziando tutti gl'interessi al primogenito, perché poi volle pagare i
debiti di suo padre? Che? non affrontò ei medesimo l'indigenza ipotecando per questa
sciocca delicatezza anche la sua porzione della dote materna? -
Perché? - se l'erede defraudò i creditori co' sotterfugj forensi, Olivo doveva mai
comportare che le ossa di suo padre fossero maledette da coloro che nelle avversità lo
aveano sovvenuto delle loro sostanze, e ch'ei fosse mostrato a dito per le strade come
figliuolo di un fallito? Questa generosa onestà diffamò il primogenito che non era nato
a imitarla, e che dopo d'avere tentato invano il fratello co' beneficj, gli giurò poscia
inimicizia mortale e veramente feudale e fraterna. Olivo intanto perdé l'ajuto di quelli
che lo lodavano forse nel loro secreto, perché restò soverchiato dagli scellerati,
essendo più agevole approvar la virtù, che sostenerla a spada tratta e seguirla. Per
questo l'uomo dabbene in mezzo a' malvagi rovina sempre; e noi siam soliti ad associarci
al più forte, a calpestare chi giace e a giudicar dall'evento. - Non mi rispondevano; ed
erano forse convinti, non già persuasi, e soggiunsi. - Invece di piangere Olivo,
ringrazio il sommo Iddio che lo ha chiamato lontano da tante ribalderie, e dalle nostre
imbecillità. Da che, a dir vero, noi stessi, noi devoti della virtù, siamo pure
imbecilli! Sono certi uomini che hanno bisogno della morte perché non sanno assuefarsi a'
delitti de' tristi, né alla pusillanimità degli uomini buoni.
La sposa parea intenerita. Oh pur troppo! esclamò con un sospiro. Ma - chi per altro ha
bisogno di pane non ha poi da assottigliarsi tanto su l'onore. -
E questa la è pure una delle vostre bestemmie! proruppi: voi dunque perché siete
favoriti dalla fortuna vorreste essere onesti voi soli; anzi perché la virtù su la
oscura vostr'anima non risplende, vorreste reprimerla anche ne' petti degl'infelici, che
pure non hanno altro conforto, e illudere in questa maniera la vostra coscienza? - Gli
occhi di Teresa mi davano ragione; pur si studiava di far mutare discorso - ma la visiera
era alzata; e come poteva io più tacere? ben ora ne sento rimorso - gli occhi degli sposi
erano fitti a terra, e la loro anima fu anch'essa atterrata, quando gridai con fierissima
voce: - Coloro che non furono mai sventurati, non sono degni della loro felicità.
Orgogliosi! guardano la miseria per insultarla: pretendono che tutto debba offerirsi in
tributo alla ricchezza e al piacere. Ma l'infelice che serba la sua dignità è spettacolo
di coraggio a' buoni, e di rimbrotto a' malvagi. - E sono uscito cacciandomi le mani ne'
capelli. Grazie a' primi casi della mia vita che mi costituirono sventurato! Lorenzo mio,
or non sarei forse tuo amico; or non sarei amico di questa fanciulla. - Mi sta sempre
davanti l'avvenimento di stamattina. Qui dove siedo solo mi guardo intorno e temo di
rivedere alcuno de' miei conoscenti. Chi l'avrebbe mai detto? Il cuore di colei non ha
palpitato al nome del suo primo amore! ardì di turbare le ceneri di lui che le ha per la
prima volta ispirato l'universale sentimento della vita. Né un solo sospiro? - ma pazzo!
tu t'affliggi perché non trovi fra gli uomini quella virtù che forse, ahi! forse non è
che voto nome - o necessità che si muta con le passioni e le circostanze - o prepotenza
di natura in alcuni pochi individui, i quali essendo generosi e pietosi per indole, sono
obbligati a guerra perpetua contro l'universalità de' mortali; - e bastasse! ma guai
allorché, volere e non volere, denno pure aprir gli occhi alla luce funerea del
disinganno!
Io non ho l'anima negra; e tu il sai, mio Lorenzo; nella mia prima gioventù avrei sparso
fiori su le teste di tutti i viventi: chi mi ha fatto così rigido e ombroso verso la più
parte degli uomini se non la loro ipocrita crudeltà? Perdonerei tutti i torti che mi
hanno fatto. Ma quando mi passa dinanzi la venerabile povertà che mentre s'affatica
mostra le sue vene succhiate dalla onnipotente opulenza; e quando io vedo tanti uomini
infermi, imprigionati, affamati, e tutti supplichevoli sotto il terribile flagello di
certe leggi - ah no, io non mi posso rinconciliare. Io grido allora vendetta con quella
turba di tapini co' quali divido il pane e le lagrime: e ardisco ridomandare in lor nome
la porzione che hanno ereditato dalla Natura, madre benefica ed imparziale - la Natura? ma
se ne ha fatti quali pur siamo, non è forse matrigna?
Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se non quanto potrò vivere teco. Tu sei uno
di que' pochi angioli sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditare l'amore
dell'umanità. Ma s'io ti perdessi, quale scampo si aprirebbe a questo giovine infastidito
di tutto il resto del mondo?
Se dianzi tu l'avessi veduta! mi stendeva la mano, dicendomi - Siate discreto; e davvero,
quelle due persone mi pareano compunte: e se Olivo non fosse stato infelice, avrebbe egli
avuto anche oltre la tomba un amico?
Ahi! proseguì dopo un lungo silenzio, per amar la virtù conviene dunque vivere nel
dolore? - Lorenzo! l'anima sua celeste raggiava da' lineamenti del viso.
29 Aprile
Vicino a lei io sono sì pieno di vita che appena sento di vivere. Così quand'io mi desto
dopo un pacifico sonno, se il raggio di Sole mi riflette su gli occhi, la mia vista si
abbaglia e si perde in un torrente di luce.
Da gran tempo mi lagno della inerzia in cui vivo. Al riaprirsi della primavera mi
proponeva di studiare botanica; e in due settimane io aveva raccattato su per le balze
parecchie dozzine di piante che adesso non so più dove me le abbia riposte. Mi sono assai
volte dimenticato il mio Linneo sopra i sedili del giardino, o appié di qualche
albero; l'ho finalmente perduto. Jeri Michele me ne ha recato due foglj tutti umidi di
rugiada; e stamattina mi ha recato notizia che il rimanente era stato mal concio dal cane
dell'ortolano.
Teresa mi sgrida: per compiacerle m'accingo a scrivere; ma sebbene incominci con la più
bella vocazione che mai, non so andar innanzi per più di tre o quattro periodi. Mi assumo
mille argomenti; mi s'affacciano mille idee: scelgo, rigetto, poi torno a scegliere;
scrivo finalmente, straccio, cancello, e perdo spesso mattina e sera: la mente si stanca,
le dita abbandonano la penna, e mi avvengo d'avere gittato il tempo e la fatica. - Se non
che t'ho detto che lo scrivere libri la è cosa da più e da meno delle mie forze:
aggiungi lo stato dell'animo mio, e t'accorgerai che s'io ti scrivo ogni tanto una
lettera, non è poco. - Oh la scimunita figura ch'io fo quand'ella siede lavorando, ed io
leggo! M'interrompo a ogni tratto, ed ella: Proseguite! Torno a leggere: dopo due carte la
mia pronunzia diventa più rapida e termina borbottando in cadenza. Teresa s'affanna: Deh
leggete un po' ch'io v'intenda! - io continuo; ma gli occhi miei, non so come, si sviano
disavvedutamente dal libro, e si trovano immobili su quell'angelico viso. Divento muto;
cade il libro e si chiude; perdo il segno, né so più ritrovarlo - Teresa vorrebbe
adirarsi; e sorride.
Pur se afferrassi tutti i pensieri che mi passano per fantasia! - ne vo notando su'
cartoni e su' margini del mio Plutarco; se non che, non sì tosto scritti, m'escono dalla
mente; e quando poi li cerco sovra la carta, ritrovo aborti d'idee scarne sconnesse,
freddissime. Questo ripiego di notare i pensieri, anzi che lasciarli maturare dentro
l'ingegno, è pur misero! - ma così si fanno de' libri composti d'altrui libri a mosaico.
- E a me pure, fuor d'intenzione, è venuto fatto un mosaico. - In un libretto inglese ho
trovato un racconto di sciagura; e mi pareva a ogni frase di leggere le disgrazie della
povera Lauretta: - il Sole illumina da per tutto ed ogni anno i medesimi guai su la terra!
- Or io per non parere di scioperare mi sono provato di scrivere i casi di Lauretta,
traducendo per l'appunto quella parte del libro inglese, e togliendovi, mutando,
aggiungendo assai poco di mio, avrei raccontato il vero, mentre forse il mio testo è
romanzo. Io voleva in quella sfortunata creatura mostrare a Teresa uno specchio della fatale
infelicità dell'amore. Ma credi tu che le sentenze, e i consigli, e gli esempj de' danni
altrui giovino ad altro fuorché a irritare le nostre passioni? Inoltre in cambio di
narrare di Lauretta, ho parlato di me: tale è lo stato dell'anima mia, torna sempre a
tastare le proprie piaghe - però non mi pare di lasciar leggere questi tre o quattro
fogli a Teresa: le farei più male che bene - e per ora lascio anche stare di scrivere -
Tu leggili. Addio.
Frammento della Storia di Lauretta
«Non so se il cielo badi alla terra. Pur se ci ha qualche volta badato (o almeno il primo
giorno che la umana razza ha incominciato a formicolare) io credo che il Destino
abbia scritto negli eterni libri:
L'uomo sarà infelice
Né oso appellarmi di questa sentenza, perché non saprei forse a che tribunale, tanto
più che mi giova crederla utile alle tante altre razze viventi ne' mondi
innumerabili. Ringrazio nondimeno quella Mente che mescendosi all'universo degli enti, li
fa sempre rivivere distruggendoli; perché con le miserie, ci ha dato almeno il dono del
pianto, ed ha punito coloro che con una insolente filosofia si vogliono ribellare dalla
umana sorte, negando loro gl'inesausti piaceri della compassione - Se vedi alcuno
addolorato e piangente non piangere. Stoico! or non sai tu che le lagrime di un uomo
compassionevole sono per l'infelice più dolci della rugiada su l'erbe appassite?
O Lauretta! io piansi con te sulla bara del tuo povero amante, e mi ricordo che la mia
compassione disacerbava l'amarezza del tuo dolore. T'abbandonavi sovra il mio seno, e i
tuoi biondi capelli mi coprivano il volto, e il tuo pianto bagnava le mie guance; poi col
tuo fazzoletto mi rasciugavi, e rasciugavi le tue lagrime che tornavano a sgorgarti dagli
occhi e scorrerti sulle labbra. - Abbandonata da tutti! - ma io no; non ti ho abbandonata
mai.
Quando tu erravi fuor di te stessa per le romite spiagge del mare, io seguiva furtivamente
i tuoi passi per poterti salvare dalla disperazione del tuo dolore. Poi ti chiamava a
nome, e tu mi stendevi la mano, e sedevi al mio fianco. Saliva in cielo la Luna, e tu
guardandola cantavi pietosamente - taluno avrebbe osato deriderti: ma il Consolatore de'
disgraziati che guarda con un occhio stesso e la pazzia e la saviezza degli uomini, e che
compiange e i loro delitti e le loro virtù - udiva forse le tue meste voci, e ti spirava
qualche conforto: le preci del mio cuore t'accompagnavano: e a Dio sono accetti i voti e i
sacrificj delle anime addolorate. - I flutti gemeano con flebile fiotto, e i venti che
gl'increspavano gli spingeano a lambir quasi la riva dove noi stavamo seduti. E tu
alzandoti appoggiata al mio braccio t'indirizzavi a quel sasso ove parevati di vedere
ancora il tuo Eugenio, e sentir la sua voce, e la sua mano, e i suoi baci. - Or che mi
resta? esclamavi; la guerra mi allontana i fratelli, e la morte mi ha rapito il padre e
l'amante; abbandonata da tutti!
O Bellezza, genio benefico della natura! Ove mostri l'amabile tuo sorriso scherza la
gioja, e si diffonde la voluttà per eternare la vita dell'universo: chi non ti conosce e
non ti sente incresca al mondo e a se stesso. Ma quando la virtù ti rende più cara, e le
sventure, togliendoti la baldanza e la invidia della felicità, ti mostrano ai mortali co'
crini sparsi e privi delle allegre ghirlande - chi è colui che può passarti davanti e
non altro offerirti che un'inutile occhiata di compassione?
Ma io t'offeriva, o Lauretta, le mie lagrime, e questo mio romitorio dove tu avresti
mangiato del mio pane, e bevuto nella mia tazza, e ti saresti addormentata sovra il mio
petto. Tutto quello ch'io aveva! e meco forse la tua vita sebbene non lieta, sarebbe
stata libera almeno e pacifica. Il cuore nella solitudine e nella pace va a poco a poco
obbliando i suoi affanni; perché la pace e la libertà si compiacciono della semplice e
solitaria natura.
Una sera d'autunno la Luna appena si mostrava alla terra rifrangendo i suoi raggi su le
nuvole trasparenti, che accompagnandola l'andavano ad ora ad ora coprendo, e che sparse
per l'ampiezza del cielo rapivano al mondo le stelle. Noi stavamo intenti a' lontani
fuochi dei pescatori, e al canto del gondoliere che col suo remo rompea il silenzio e la
calma dell'oscura laguna. Ma Lauretta volgendosi cercò con gli occhi intorno il suo
innamorato; e si rizzò, e ramingò un pezzo chiamandolo; poi stanca tornò dov'io sedeva,
e s'assise quasi spaventata della sua solitudine. Guardandomi parea che volesse dirmi: Io
sarò abbandonata anche da te! - e chiamò il suo cagnuolino.
Io? - Chi l'avrebbe mai detto che quella dovesse essere l'ultima sera ch'io la vedeva! Era
vestita di bianco; un nastro cilestro raccogliea le sue chiome, e tre mammole appassite
spuntavano in mezzo al lino che velava il suo seno. - Io l'ho accompagnata fino all'uscio
della sua casa; e sua madre che venne ad aprirci mi ringraziava della cura ch'io mi
prendeva per la sua disgraziata figliuola. Quando fui solo m'accorsi che m'era rimasto fra
le mani il suo fazzoletto: - gliel ridarò domani, diss'io.
I suoi mali incominciavano già a mitigarsi, ed io forse - è vero; io non poteva darti il
tuo Eugenio; ma ti sarei stato sposo, padre, fratello. I miei concittadini persecutori,
giovandosi de' manigoldi stranieri, proscrissero improvvisamente il mio nome; né ho
potuto, o Lauretta, lasciarti neppure l'ultimo addio.
Quand'io penso all'avvenire e mi chiudo gli occhi per non conoscerlo e tremo e mi
abbandono con la memoria a' giorni passati, io vo per lungo tratto vagando sotto gli
alberi di queste valli, e mi ricordo le sponde del mare, e i fuochi lontani, e il canto
del gondoliere. M'appoggio ad un tronco - sto pensando - il cielo me l'avea conceduta;
ma l'avversa fortuna me l'ha rapita! traggo il suo fazzoIetto - infelice chi ama
per ambizione! ma il tuo cuore, o Lauretta, è fatto per la schietta natura: m'ascugo
gli occhi, e torno sul far della notte alla mia casa.
Che fai tu frattanto? torni errando lungo le spiagge e mandando preghiere e lagrime a Dio?
- Vieni! tu corrai le frutta del mio giardino; tu berrai nella mia tazza, tu mangerai
del mio pane, e ti poserai sovra il mio seno e sentirai come batte, come oggi batte
assai diversamente il mio cuore. Quando si risveglierà il tuo martirio, e lo spirito
sarà vinto dalla passione, io ti verrò dietro per sostenerti in mezzo al cammino, e per
guidarti, se ti smarrissi, alla mia casa; mai ti verrò dietro tacitamente per lasciarti
libero almeno il conforto del pianto. Io ti sarò padre, fratello - ma, il mio cuore - se
tu vedessi il mio cuore! - una lagrima bagna la carta e cancella ciò che vado scrivendo.
Io la ho veduta tutta fiorita di gioventù e di bellezza; e poi impazzita, raminga,
orfana; e la ho veduta baciare le labbra morenti del suo unico consolatore - e poscia
inginocchiarsi con pietosa superstizione davanti a sua madre lagrimando e pregandola
acciocché ritirasse la maledizione che quella madre infelice aveva fulminata contro la
sua figliuola. - Così la povera Lauretta mi lasciò nel cuore per sempre la compassione
delle sue sventure. Preziosa eredità ch'io vorrei pur dividere con voi tutti a' quali non
resta altro conforto che di amare la virtù e di compiangerla. Voi non mi conoscete; ma
noi, chiunque voi siate, noi siamo amici. Non odiate gli uomini prosperi; solamente
fuggiteli.»
4 Maggio
Hai tu veduto dopo i giorni della tempesta prorompere fra l'auree nuvole dell'oriente il
vivo raggio del Sole e riconsolar la natura? Tale per me è la vista di costei. -
Discaccio i miei desiderj, condanno le mie speranze, piango i miei inganni: no, io non la
vedrò più; io non l'amerò. Odo una voce che mi chiama traditore; la voce di suo padre!
M'adiro contro me stesso, e sento risorgere nel mio cuore una virtù sanatrice, un
pentimento. - Eccomi dunque saldo nella mia risoluzione; saldo più che mai: ma poi? -
All'apparir del suo volto ritornano le illusioni, e l'anima mia si trasforma, e obblia se
medesima, e s'imparadisa nella contemplazione della bellezza.
8 Maggio
Ella non t'ama; e se pure volesse amarti, nol può. È vero, Lorenzo: ma s'io
consentissi a strapparmi il velo dagli occhi, dovrei subito chiuderli in sonno eterno;
poiché senza questo angelico lume, la vita mi sarebbe terrore, il mondo caos, la Natura
notte e deserto. - Anziché spegnere una per una le fiaccole che rischiarano la
prospettiva teatrale e disingannare villanamente gli spettatori, non sarebbe assai meglio
calar il sipario in un subito, e lasciarli nella loro illusione? Ma se l'inganno ti
nuoce: - che monta? se il disinganno mi uccide!
Una domenica intesi il parroco che sgridava i villani perché s'ubbriacavano. E non
s'accorgeva come avvelenava a que' meschini il conforto di addormentare nell'ebbrietà
della sera le fatiche del giorno, di non sentire l'amarezza del loro pane bagnato di
sudore e di lagrime, e di non pensare al rigore e alla fame che il venturo verno minaccia.
11 Maggio
Conviene dire che Natura abbia pur d'uopo di questo globo, e della specie di viventi
litigiosi che lo stanno abitando. E per provvedere alla conservazione di tutti, anziché
legarci in reciproca fratellanza, ha costituito ciascun uomo così amico di se medesimo,
che volentieri aspirerebbe all'esterminio dell'universo per vivere più sicuro della
propria esistenza e rimanersi despota solitario di tutto il creato. Niuna generazione ha
mai veduto per tutto il suo corso la dolce pace, la guerra fu sempre l'arbitra de'
diritti, e la forza ha dominato tutti i secoli. Così l'uomo or aperto, or secreto, e
sempre implacabile nemico della umanità, conservandosi con ogni mezzo, cospira
all'intento della Natura che ha d'uopo della esistenza di tutti: e i discendenti di Caino
e d'Abele, quantunque imitino i loro primitivi parenti e si trucidino perpetuamente l'un
l'altro, vivono e si propagano. Or odi. - Ho accompagnato stamattina per tempo Teresa e la
sua sorellina in casa di una lor conoscente venuta a villeggiare. Credeva di desinare in
lor compagnia, ma per mia disgrazia aveva fin dalla settimana passata promesso al chirurgo
che mi troverei a pranzo con lui, e se Teresa non me ne facea sovvenire, io, a dirti la
verità, me n'era dimenticato. Mi vi sono dunque avviato un'oretta innanzi al mezzogiorno;
ma affannato dal caldo, mi sono a mezza strada coricato sotto un ulivo: al vento di jeri
fuor di stagione, oggi è succeduta un'arsura nojosissima: e me ne stava lì al fresco
spensieratamente come se avessi già desinato. Voltando la testa mi sono avveduto di un
contadino che guardavami bruscamente: - Che fate voi qui?
- Sto, come vedete, riposando.
- Avete voi possessioni? - percotendo la terra col calcio del suo schioppo.
- Perché?
- Perché - sdrajatevi su i vostri prati, se ne avete; e non venite a pestare l'erba degli
altri, - e partendo, - fate ch'io tornando vi trovi!
Io non mi era mosso, ed egli se n'era ito. A bella prima, io non aveva badato alle sue
bravate; ma ripensandoci; se ne avete! e se la fortuna non avesse conceduto a' miei
padri due pertiche di terreno, tu m'avresti negato anche nella parte più sterile del tuo
prato l'estrema pietà del sepolcro! - Ma osservando che l'ombra dell'ulivo diventava più
lunga, mi sono ricordato del pranzo.
Poco fa tornandomi a casa ho trovato su la mia porta l'uomo stesso di stamattina. -
Signore, vi stava aspettando; se mai - vi foste adirato meco; vi domando perdono.
- Riponete il cappello: io non me ne sono già offeso.
Perché mai questo mio cuore nelle stesse occasioni ora è pace pace, ora è tutto
tempesta? Diceva quel viaggiatore: Il flusso e riflusso de' miei umori governa tutta la
mia vita. Forse un minuto prima il mio sdegno sarebbe stato assai più grave
dell'insulto. Perché dunque rimetterci al beneplacito di chi ne offende, permettendo
ch'egli ci possa turbare con una ingiuria non meritata? Vedi come l'amor proprio ruffiano
si prova con questa pomposa sentenza di ascrivermi a merito un'azione che è derivata
forse da - chi lo sa? In pari occasioni non ho usato di eguale moderazione: è vero che
passata mezz'ora ho filosofato contro di me; ma la ragione è venuta zoppicando; e il
pentimento, per chi aspira alla saviezza, è sempre tardo - ma né io v'aspiro: io mi sono
uno de' tanti figliuoli della terra, non altro; e porto meco tutte le passioni e le
miserie della mia specie.
Il contadino andava ridicendo: - Vi ho fatto villania, ma io non vi conosceva; que'
lavoratori che segavano il fieno ne' prati vicino mi hanno dopo ammonito.
- Non importa, buon uomo: come andrà egli il raccolto quest'anno?
- Patiremo del caro: or pregovi, signor mio, perdonatemi. Dio volesse v'avessi allor
conosciuto!
- Galantuomo; o conoscendo, o non conoscendo non date noja a nessuno, perché starete a
rischio a ogni modo o di inimicarvi il ricco, o di maltrattare il povero: quanto a me non
occorre.
- Dice bene il signore; Dio gliene rimeriti. - E si partì. E farà forse peggio; gli ha
un certo che di sfacciato nel viso; e la ragione degli animali ragionevoli, quando non
sentono verecondia, è ragione perniciosissima a chiunque ha che fare con loro.
Intanto? crescono ogni giorno i martiri perseguitati dal nuovo usurpatore della mia
patria. Quanti andranno tapinando e profughi ed esiliati, senza il letto di poca erba né
l'ombra di un ulivo - Dio lo sa! Lo straniero infelice è cacciato perfino dalla balza
dove le pecore pascono tranquillamente.
12 Maggio
Non ho osato no, non ho osato. - Io poteva abbracciarla e stringerla qui, a questo cuore.
La ho veduta addormentata: il sonno le tenea chiusi que' grandi occhi neri; ma le rose del
suo sembiante si spargeano allora più vive che mai su le sue guance rugiadose. Giacea il
suo bel corpo abbandonato sopra un sofà. Un braccio le sosteneva la testa e l'altro
pendea mollemente. Io la ho più volte veduta a passeggiare e a danzare; mi sono sentito
sin dentro l'anima e la sua arpa e la sua voce; la ho adorata pien di spavento come se
l'avessi veduta discendere dal paradiso - ma così bella come oggi, io non l'ho veduta
mai, mai. Le sue vesti mi lasciavano trasparire i contorni di quelle angeliche forme; e
l'anima mia le contemplava e - che posso più dirti? tutto il furore e l'estasi dell'amore
mi aveano infiammato e rapito fuori di me. Io toccava come un divoto e le sue vesti e le
sue chiome odorose e il mazzetto di mammole ch'essa aveva in mezzo al suo seno - sì sì,
sotto questa mano diventata sacra ho sentito palpitare il suo cuore. Io respirava gli
aneliti della sua bocca socchiusa - io stava per succhiare tutta la voluttà di quelle
labbra celesti - un suo bacio! e avrei benedette le lagrime che da tanto tempo bevo per
lei - ma allora allora io la ho sentita sospirare fra il sonno: mi sono arretrato,
respinto quasi da una mano divina. T'ho insegnato io forse ad amare, ed a piangere? e
cerchi tu un breve momento di sonno perché ti ho turbato le tue notti innocenti e
tranquille? a questo pensiero me le sono prostrato davanti immobile immobile rattenendo il
sospiro - e sono fuggito per non ridestarla alla vita angosciosa in cui geme. Non si
querela, e questo mi strazia ancor più: ma quel suo viso sempre più mesto, e quel
guardarmi con pietà, e tacere sempre al nome di Odoardo, e sospirare sua madre - ah! il
cielo non ce l'avrebbe conceduta se non dovesse anch'essa partecipare del sentimento del
dolore. Eterno Iddio! esisti tu per noi mortali? O sei tu padre snaturato verso le tue
creature? So che quando hai mandato su la terra la Virtù, tua figliuola primogenita, le
hai dato per guida la Sventura. Ma perché poi lasciasti la Giovinezza e la Beltà così
deboli da non poter sostenere le discipline di sì austera istitutrice? In tutte le mie
afflizioni ho alzato le braccia sino a te, ma non ho osato né mormorare né piangere: ahi
adesso! Or perché farmi conoscere la felicità s'io doveva bramarla sì fieramente, e
perderne la speranza per sempre? - No, Teresa è mia tutta; tu me l'hai assegnata perché
mi creasti un cuore capace di amarla immensamente, eternamente.
13 Maggio
S'io fossi pittore! che ricca materia al mio pennello! L'artista immerso nella idea
deliziosa del bello addormenta o mitiga almeno tutte le altre passioni. - Ma se anche
fossi pittore? Ho veduto ne' pittori e ne' poeti la bella, e talvolta anche la schietta
natura; ma la natura somma, immensa, inimitabile non la ho veduta dipinta mai. Omero,
Dante e Shakespeare, tre maestri di tutti gl'ingegni sovrumani, hanno investito la mia
immaginazione ed infiammato il mio cuore: ho bagnato di caldissime lagrime i loro versi; e
ho adorato le loro ombre divine come se le vedessi assise su le volte eccelse che
sovrastano l'universo a dominare l'eternità. Pure gli originali che mi veggo davanti mi
riempiono tutte le potenze dell'anima, e non oserei, Lorenzo, non oserei, s'anche si
trasfondesse in me Michelangelo, tirarne le prime linee. Sommo Iddio! quando tu miri una
sera di primavera ti compiaci forse della tua creazione? tu mi hai versato per consolarmi
una fonte inesausta di piacere, ed io la ho guardata sovente con indifferenza. Su la cima
del monte indorato da' pacifici raggi del Sole che va mancando, io mi vedo accerchiato da
una catena di colli su' quali ondeggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in
ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi lontani vanno sempre
crescendo come se gli uni fossero imposti su gli altri. Di sotto a me le coste del monte
sono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera,
che a poco a poco s'innalzano; il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di una voragine.
Nella falda del mezzogiorno l'aria è signoreggiata dal bosco che sovrasta e offusca la
valle dove pascono al fresco le pecore, e pendono dall'erta le capre sbrancate. Cantano
flebilmente gli uccelli come se piangessero il giorno che muore, mugghiano le giovenche, e
il vento pare che si compiaccia del susurrar delle fronde. Ma da settentrione si dividono
i colli, e s'apre all'occhio una interminabile pianura: si distinguono ne' campi vicini i
buoi che tornano a casa: lo stanco agricoltore li siegue appoggiato al suo bastone; e
mentre le madri e le mogli apparecchiano la cena alla affaticata famigliuola, fumano le
lontane ville ancor biancicanti, e le capanne disperse per la campagna. I pastori mungono
il gregge, e la vecchiarella che stava filando su la porta dell'ovile, abbandona il lavoro
e va carezzando e fregando il torello, e gli agnelletti che belano intorno alle loro
madri. La vista intanto si va dilungando, e dopo lunghissime file di alberi e di campi,
termina nell'orizzonte dove tutto si minora e si confonde. Lancia il Sole partendo pochi
raggi, come se quelli fossero gli estremi addio che dà alla Natura; e le nuvole
rosseggiano, poi vanno languendo, e pallide finalmente si abbujano: allora la pianura si
perde, l'ombre si diffondono su la faccia della terra; ed io, quasi in mezzo all'oceano,
da quella parte non trovo che il cielo.
Jer sera appunto dopo più di due ore d'estatica contemplazione d'una bella sera di
Maggio, io scendeva a passo a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non
sentiva che il canto della villanella, e non vedeva che i fuochi de' pastori.
Scintillavano tutte le stelle, e mentr'io salutava ad una ad una le costellazioni, la mia
mente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuore s'innalzava come se aspirasse ad
una regione più sublime assai della terra. Mi sono trovato su la montagnuola presso la
chiesa: suonava la campana de' morti, e il presentimento della mia fine trasse i miei
sguardi sul cimiterio dove ne' loro cumuli coperti di erba dormono gli antichi padri della
villa: - Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema,
nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce - umana sorte!
men felice degli altri chi men la teme. - Spossato mi sdrajai boccone sotto il boschetto
de' pini, e in quella muta oscurità, mi sfilavano dinanzi alla mente tutte le mie
sventure e tutte le mie speranze. Da qualunque parte io corressi anelando alla felicità,
dopo un aspro viaggio pieno di errori e di tormenti, mi vedeva spalancata la sepoltura
dove io m'andava a perdere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita. E mi
sentiva avvilito e piangeva perché avea bisogno di consolazione - e ne' miei singhiozzi
io invocava Teresa.
14 Maggio
Anche jer sera tornandomi dalla montagna, mi posai stanco sotto que' pini; anche jer sera
io invocava Teresa. - Udii un calpestio fra gli alberi; e mi parea d'intendere bisbigliare
alcune voci. Mi sembrò poi di vedere Teresa con sua sorella - sbigottitesi a prima vista
fuggivano. Io le chiamai per nome, e la Isabellina raffigurandomi, mi si gittò addosso
con mille baci. Mi rizzai. Teresa s'appoggiò al mio braccio, e noi passeggiammo taciturni
lungo la riva del fiumicello sino al lago de' cinque fonti. E là ci siamo quasi di
consenso fermati a mirar l'astro di Venere che ci lampeggiava su gli occhi. - Oh!
diss'ella, con quel dolce entusiasmo tutto suo, credi tu che il Petrarca non abbia
anch'egli visitato sovente queste solitudini sospirando fra le ombre pacifiche della notte
la sua perduta amica? Quando leggo i suoi versi io me lo dipingo qui - malinconico -
errante - appoggiato al tronco di un albero, pascersi de' suoi mesti pensieri, e volgersi
al cielo cercando con gli occhi lagrimosi la beltà immortale di Laura. Io non so come
quell'anima, che avea in sé tanta parte di spirito celeste, abbia potuto sopravvivere in
tanto dolore, e fermarsi fra le miserie de' mortali - oh quando s'ama davvero! - E mi
parve ch'essa mi stringesse la mano, e io mi sentiva il cuore che non voleva starmi più
in petto. - Sì! tu eri creata per me, nata per me, ed io - non so come ho potuto
soffocare queste parole che mi scoppiavano dalle labbra. - E saliva su per la collina ed
io la seguitava. Le mie potenze erano tutte di Teresa; ma la tempesta che le aveva agitate
era alquanto sedata. - Tutto è amore, diss'io; l'universo non è che amore; e chi lo ha
mai più sentito, chi più del Petrarca lo ha fatto dolcissimamente sentire? Que' pochi
genj che si sono innalzati sopra tanti altri mortali mi spaventano di meraviglia; ma il
Petrarca mi riempie di fiducia religiosa e d'amore; e mentre il mio intelletto gli
sacrifica come a nume, il mio cuore lo invoca padre e amico consolatore. - Teresa sospirò
insieme e sorrise.
La salita l'aveva stancata: riposiamo, diss'ella: l'erba era umida, ed io le additai un
gelso poco lontano. Il più bel gelso che mai. È alto, solitario, frondoso: fra' suoi
rami v'ha un nido di cardellini - ah vorrei poter innalzare sotto l'ombre di quel gelso un
altare! - La ragazzina intanto ci aveva lasciati, saltando su e giù, cogliendo fioretti e
gettandoli dietro le lucciole che veniano aleggiando - Teresa sedea sotto il gelso ed io
seduto vicino a lei con la testa appoggiata al tronco, le recitava le odi di Saffo -
sorgeva la Luna - oh! - perché mentre scrivo il mio cuore batte sì forte? beata sera!
14 Maggio, ore 11
Sì, Lorenzo! - dianzi io meditai di tacertelo - Or odilo, la mia bocca è tuttavia
rugiadosa - d'un suo bacio - e le mie guance sono state innondate dalle lagrime di Teresa.
Mi ama - lasciami, Lorenzo, lasciami in tutta l'estasi di questo giorno di paradiso.
14 Maggio, a sera
O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potuto continuare: mi sento un po' calmato
e torno a scriverti. - Teresa giacea sotto il gelso - ma e che posso dirti che non sia
tutto racchiuso in queste parole? Vi amo. A queste parole tutto ciò ch'io vedeva
mi sembrava un riso dell'universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cielo, e mi
parea ch'egli si spalancasse per accoglierci! deh! a che non venne la morte? e l'ho
invocata. Sì; ho baciato Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento un odore
soave; le aure erano tutte armonia; i rivi risuonavano da lontano; e tutte le cose
s'abbellivano allo splendore della Luna che era tutta piena della luce infinita della
Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nella gioja di due cuori ebbri di amore -
ho baciata e ribaciata quella mano - e Teresa mi abbracciava tutta tremante, e trasfondea
i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore palpitava su questo petto: mirandomi co'
suoi grandi occhi languenti, mi baciava, e le sue labbra umide, socchiuse mormoravano su
le mie - ahi! che ad un tratto mi si è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua
sorella e s'alzò correndole incontro. Io me le sono prostrato, e tendeva le braccia come
per afferrar le sue vesti - ma non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù
- e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgomentava: sentiva e sento
rimorso di averla io primo eccitata nel suo cuore innocente. Ed è rimorso - rimorso di
tradimento! Ahi mio cuore codardo! - Me le sono accostato tremando. - Non posso essere
vostra mai! - e pronunciò queste parole dal cuore profondo e con una occhiata con cui
parea rimproverarsi e compiangermi. Accompagnandola lungo la via, non mi guardò più; né
io avea più cuore di dirle parola. Giunta alla ferriata del giardino mi prese di mano la
Isabellina e lasciandomi: Addio, diss'ella; e rivolgendosi dopo pochi passi, - addio.
Io rimasi estatico: avrei baciate l'orme de' suoi piedi: pendeva un suo braccio, e i suoi
capelli rilucenti al raggio della Luna svolazzavano mollemente: ma poi, appena appena il
lungo viale e la fosca ombra degli alberi mi concedevano di travedere le ondeggianti sue
vesti che da lontano ancor biancheggiavano; e poiché l'ebbi perduta, tendeva l'orecchio
sperando di udir la sua voce. - E partendo, mi volsi con le braccia aperte, quasi per
consolarmi, all'astro di Venere: era anch'esso sparito.
15 Maggio
Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto
più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s'abbellisca a' miei
sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de' zefiri fra le frondi son oggi più
soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a' miei piedi; non
fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e
armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello terreno la
troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai
guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animali generosi che tramandano
dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con
le voci e co' pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne' nostri
petti la sola virtù utile a' mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro
dell'infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli
esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe
ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore
e distruzione universale. Adesso che l'anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico
le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe
dell'avvenire. - O Lorenzo! sto spesso sdrajato su la riva del lago de' cinque fonti: mi
sento vezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelli che alitando sommovono l'erba, e
allegrano i fiori, e increspano le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirando
deliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe ignude, saltanti, inghirlandate di rose, e invoco
in lor compagnia le Muse e l'Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti e spumosi, vedo
uscir sino al petto con le chiome stillanti sparse su le spalle rugiadose, e con gli occhi
ridenti le Najadi, amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida il filosofo. -
Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de' baci delle
immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano
lo splendore della divinità su le imperfezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO ed il
VERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di esse
io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e
nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto
con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.
21 Maggio
Ohimè che notti lunghe, angosciose! - il timore di non rivederla mi desta: divorato da un
presentimento profondo, ardente, smanioso, sbalzo dal letto al balcone e non concedo
riposo alle mie membra nude aggrezzate, se prima non discerno sull'oriente un raggio di
giorno. Corro palpitando al suo fianco e stupido! soffoco le parole, e i sospiri: non
concepisco, non odo: il tempo vola, e la notte mi strappa da quel soggiorno di paradiso. -
Ahi lampo! tu rompi le tenebre, splendi, passi ed accresci il terrore e l'oscurità.
25 Maggio
Ti ringrazio, eterno Iddio, ti ringrazio! Tu hai dunque ritirato il tuo sospiro, e
Lauretta ha lasciato alla terra le sue infelicità: tu ascolti i gemiti che partono dalle
viscere dell'anima, e mandi la Morte per isciogliere dalle catene della vita le tue
creature perseguitate ed afflitte. Mia cara amica! il tuo sepolcro beva almeno queste
lagrime, sole esequie ch'io posso offerirti: le zolle che ti nascondono sieno coperte di
fresca erba, e dalle benedizioni di tua madre e dalla mia. Tu vivendo speravi da me
qualche conforto; eppure! non ho potuto nemmeno prestarti gli ultimi ufficj; ma - ci
rivedremo - sì.
Quand'io, caro Lorenzo, mi ricordava di quella povera innocente, certi presentimenti mi
gridavano dentro l'anima: È morta. Pure se tu non me ne avessi scritto, io certo
non lo avrei saputo mai; perché, e chi si cura della virtù quand'è ravvolta nella
povertà? Spesso mi sono accinto a scriverle. M'è caduta la penna, e ho bagnato la carta
di lagrime: temeva non mi raccontasse de' nuovi martirj, e mi destasse nel cuore una corda
la cui vibrazione non sarebbe cessata sì tosto. Pur troppo! noi sfuggiamo d'intendere i
mali de' nostri amici; le loro miserie ci sono gravi, e il nostro orgoglio sdegna di
porgere il conforto delle parole, sì caro agli infelici, quando non si può unire un
soccorso vero e reale. Ma - fors'ella e sua madre mi annoveravano fra la turba di coloro
che ubbriacati dalla prosperità abbandonano gli sventurati. Lo sa il cielo! Frattanto Dio
ha conosciuto che non poteva reggere più: Ei tempera i venti in favore dell'agnello
recentemente tosato; e - tosato al vivo! E ti dee pur ricordare com'essa un giorno
tornò a casa sua, portando chiuso nel suo canestrino da lavoro un cranio di morto; e ci
scoverse il coperchio, e rideva; e mostrava il cranio in mezzo a un nembo di rose. - E
le sono tante e tante, diceva a noi, queste rose; e le ho rimondate di tutte le
spine: e domani le si appassiranno: ma io ne compererò ben dell'altre perché ogni
giorno, ogni mese crescono rose, e la morte se le piglia tuttequante. - Ma che vuoi tu
farne, o Lauretta; io le dissi. - Vo' coronare questo cranio di rose, e ogni giorno
di rose fresche; - e rispondendo rideva pur sempre con soave amabilità. E in quelle
parole e in quel riso e in quell'aria di volto demente e in quegli occhi fitti sul cranio
e in quelle sue dita pallide e tremanti che andavano intrecciando le rose - tu ti se' pur
avveduto come alle volte il desiderio di morire è necessario insieme e dolcissimo; ed
eloquente fin anche sul labbro d'una fanciulla impazzata.
Tornerò, Lorenzo: conviene ch'io esca; il mio cuore si gonfia e geme come se non volesse
starmi più in petto: su la cima di un monte mi sembra d'essere alquanto più libero; ma
qui nella mia stanza - sto quasi sotterrato in un sepolcro. -
Sono salito su la più alta montagna: i venti imperversavano; io vedeva le querce
ondeggiar sotto a' miei piedi; la selva fremeva come mar burrascoso, e la valle ne
rimbombava; su le rupi dell'erta sedeano le nuvole - nella terribile maestà della Natura
la mia anima attonita e sbalordita ha dimenticato i suoi mali, ed è tornata alcun poco in
pace con se medesima.
Vorrei dirti di grandi cose: mi passano per la mente; vi sto pensando! - m'ingombrano il
cuore, s'affollano, si confondono: non so più da quale io mi debba incominciare; poi
tutto a un tratto mi sfuggono, e prorompo in un pianto dirotto. Vado correndo come un
pazzo senza saper dove, e perché: non m'accorgo, e i miei piedi mi trascinano fra
precipizj. Io domino le valli e le campagne soggette; magnifica ed inesausta creazione! I
miei sguardi e i miei pensieri si perdono nel lontano orizzonte. - Vo salendo, e sto lì -
ritto - anelante - guardo ingiù; ahi voragine! - alzo gli occhi inorridito e scendo
precipitoso appiè del colle dove la valle è più fosca. Un boschetto di giovani querce
mi protegge dai venti e dal sole; due rivi d'acqua mormorano qua e là sommessamente: i
rami bisbigliano, e un rosignuolo - ho sgridato un pastore che era venuto per rapire dal
nido i suoi pargoletti: il pianto, la desolazione, la morte di quei deboli innocenti
dovevano essere venduti per una moneta di rame; così va! or bench'io l'abbia compensato
del guadagno che sperava di trarne e mi abbia promesso di non disturbare più i
rosignuoli, tu credi ch'ei non tornerà a desolarli? - e là io mi riposo. - Dove se' ito,
o buon tempo di prima! la mia ragione è malata e non può fidarsi che nel sopore, e guai
se sentisse tutta la sua infermità! Quasi quasi - povera Lauretta! tu forse mi chiami - e
forse fra non molto io verrò. Tutto, tutto quello ch'esiste per gli uomini non è che la
lor fantasia. Dianzi fra le rupi la morte mi era spavento; e all'ombra di quel boschetto
io avrei chiusi gli occhi volentieri in sonno eterno. Ci fabbrichiamo la realtà a nostro
modo; i nostri desideri si vanno moltiplicando con le nostre idee; sudiamo per quello che
vestito diversamente ci annoja; e le nostre passioni non sono alla stretta del conto che
gli effetti delle nostre illusioni. Quanto mi sta d'intorno richiama al mio cuore quel
dolce sogno della mia fanciullezza. O! come io scorreva teco queste campagne aggrappandomi
or a questo or a quell'arbuscello di frutta, immemore del passato, non curando che del
presente, esultando di cose che la mia immaginazione ingrandiva e che dopo un'ora non
erano più, e riponendo tutte le mie speranze ne' giuochi della prossima festa. Ma quel
sogno è svanito! e chi m'accerta che in questo momento io non sogni? Ben tu, mio Dio, tu
che creasti gli umani cuori, tu solo, sai che sonno spaventevole è questo ch'io dormo;
sai che non altro m'avanza fuorché il pianto e la morte.
Così vaneggio! cangio voti e pensieri, e quanto la Natura è più bella tanto più vorrei
vederla vestita a lutto. E veramente pare che oggi m'abbia esaudito. Nel verno passato io
era felice: quando la Natura dormiva mortalmente la mia anima pareva tranquilla - ed ora?
Eppur mi conforto nella speranza di essere compianto. Su l'aurora della vita io cercherò
forse invano il resto della mia età che mi verrà rapito dalle mie passioni e dalle mie
sventure; ma la mia sepoltura sarà bagnata dalle tue lagrime, dalle lagrime di quella
fanciulla celeste. E chi mai cede a una eterna obblivione questa cara e travagliata
esistenza? Chi mai vide per l'ultima volta i raggi del Sole, chi salutò la Natura per
sempre, chi abbandonò i suoi diletti, le sue speranze, i suoi inganni, i suoi stessi
dolori senza lasciar dietro a sé un desiderio, un sospiro, uno sguardo? Le persone a noi
care che ci sopravvivono, sono parte di noi. I nostri occhi morenti chiedono altrui
qualche stilla di pianto, e il nostro cuore ama che il recente cadavere sia sostenuto da
braccia amorose, e cerca un petto dove trasfondere l'ultimo nostro respiro. Geme la Natura
perfin nella tomba, e il suo gemito vince il silenzio e l'oscurità della morte.
M'affaccio al balcone ora che la immensa luce del Sole si va spegnendo, e le tenebre
rapiscono all'universo que' raggi languidi che balenano su l'orizzonte; e nella opacità
del mondo malinconico e taciturno contemplo la immagine della Distruzione divoratrice di
tutte le cose. Poi giro gli occhi sulle macchie de' pini piantati dal padre mio su quel
colle presso la porta della parrocchia, e travedo biancheggiare fra le frondi agitate da'
venti la pietra della mia fossa. E mi par di vederti venir con mia madre, a benedire, o
perdonar non foss'altro alle ceneri dell'infelice figliuolo. E predico a me, consolandomi:
Forse Teresa verrà solitaria su l'alba a rattristarsi dolcemente su le mie antiche
memorie, e a dirmi un altro addio. No! la morte non è dolorosa. Che se taluno metterà le
mani nella mia sepoltura e scompiglierà il mio scheletro per trarre dalla notte in cui
giaceranno, le mie ardenti passioni, le mie opinioni, i miei delitti - forse; non mi
difendere, Lorenzo; rispondi soltanto: Era uomo, e infelice.
26 Maggio
Ei viene, Lorenzo - ei ritorna.
Scrisse di Toscana ove si fermerà venti giorni; e la lettera è in data de' 18 Maggio:
fra due settimane al più - dunque!
27 Maggio
Ma penso: Ed è pur vero che questa immagine d'angelo de' cieli esista qui, in questo
basso mondo, fra noi? e sospetto d'essermi innamorato della creatura della mia fantasia.
E chi non avrebbe voluto amarla anche infelicemente? e dov'è l'uomo così avventuroso col
quale io degnassi di cangiare questo mio stato lagrimevole? - ma come io posso dall'altra
parte essere tanto carnefice mio per tormentarmi - or nol veggo? nol vidi pur sempre? -
senza niuna speranza? - Forse! un certo orgoglio in costei della sua bellezza e delle mie
angosce - non mi ama, e la sua compassione coverà un tradimento. Ma quel suo bacio
celeste che mi sta sempre su le labbra e mi domina tutti i pensieri? e quel suo pianto? -
ahi, ma dopo quel momento mi sfugge; né s'attenta di guardarmi più in faccia. Seduttore!
io? - e quando mi sento tuonare nell'anima quella tremenda sentenza: Non sarò vostra
mai; io trapasso di furore in furore e medito delitti di sangue. - Non tu, innocente
vergine, io solo io solo ho tentato il tradimento; e l'avrei, chi sa? - consumato.
O! un altro tuo bacio, e abbandonami poscia a' miei sogni e a' miei soavi delirj: io ti
morrò a' piedi; ma tutto tuo, e sapendo che pur t'ho lasciata innocente - ma insieme
infelice! Tu, se non potrai essermi sposa, mi sarai almeno compagna nel sepolcro. Ah no;
la pena di questo amore fatale si rovesci sopra di me. Ch'io pianga per tutta
un'eternità; ma che il cielo, o Teresa, non voglia che tu sia lungamente per mia cagione
infelice! - Ma intanto io ti ho perduta, e tu mi t'involi, tu stessa. Ah se tu mi amassi
com'io t'amo!
Eppure, o Lorenzo, in sì fieri dubbj, e in tanti tormenti, ogni qual volta io domando
consiglio alla mia ragione, mi riconforta dicendomi: Tu non se' immortale. Or via,
soffriamo dunque; e sino agli estremi - uscirò, uscirò dall'inferno della vita; e basto
io solo: a questa idea rido e della fortuna, e degli uomini, e quasi della onnipotenza di
Dio.
28 Maggio
Spesso io mi figuro tutto il mondo a soqquadro, e il Cielo, e il Sole, e l'Oceano, e tutti
i globi nelle fiamme e nel nulla; ma se anche in mezzo alla universale rovina io potessi
stringere un'altra volta Teresa - un'altra volta soltanto fra queste braccia, io
invocherei la distruzione del creato.
29 Maggio, all'alba
O illusione! perché quando ne' miei sogni quest'anima è un paradiso, e Teresa è al mio
fianco, e mi sento sospirar su la bocca, e - perché mi trovo poi un vuoto, un vuoto di
tomba? Almen que' beati momenti non fossero mai venuti, o non fossero fuggiti mai! -
questa notte io cercava brancicando quella mano che me l'ha strappata dal seno: mi parea
d'intendere da lontano un suo gemito; ma le coltri molli di pianto, i miei capelli sudati,
il mio petto ansante, la fitta e muta oscurità - tutto tutto mi gridava: Misero, tu
deliri! Spaventato e languente mi sono buttato boccone sul letto abbracciando il
guanciale, e cercando di tormentarmi nuovamente e d'illudermi.
Se tu mi vedessi stanco, squallido, taciturno errar su e giù per le montagne e cercar di
Teresa, e temer di trovarla, sovente brontolar fra me stesso, chiamare, pregarla, e
rispondere alle mie voci: arso dal Sole mi caccio sotto una macchia e m'addormento o
vaneggio - ahi che sovente la saluto come se la vedessi, e mi pare di stringerla e di
baciarla - poi mi svanisce, ed io tengo gli occhi inchiodati sui precipizj di qualche
dirupo. Sì! conviene ch'io la finisca.
29 Maggio, a sera
Fuggir dunque, fuggire: ma dove? credimi, io mi sento malato: appena reggo questo mio
corpo per potermelo strascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhi e bere un
altro sorso di vita, forse ultimo - ma senz'essa vorrei più questo inferno? Dianzi l'ho
salutata per andarmene; non rispose - scesi le scale; ma non poteva scostarmi dal suo
giardino: e - lo credi? la sua vista mi dà soggezione. Vedendola poi scendere con sua
sorella ho tentato di tirarmi sotto una pergola e fuggirmene. La Isabellina ha gridato:
Viscere mie, viscere mie, non ci avete vedute? Colpito quasi da un fulmine mi sono
precipitato sopra un sedile; la ragazza mi s'è gettata al collo carezzandomi, e dicendomi
all'orecchio: Perché taci sempre? Non so se Teresa m'abbia guardato; sparì dentro un
viale. Dopo mezz'ora tornò a chiamare la ragazza che stava ancora fra le mie ginocchia, e
m'accorsi come le sue pupille erano rosse di pianto; non mi parlò, ma mi ammazzò con
un'occhiata quasi volesse dirmi: Tu mi hai ridotta così.
2 Giugno
Ecco tutto ne' suoi veri sembianti. Ahi! non sapeva che in me s'annidasse questa furia che
m'investe, m'arde, mi annienta, eppur non mi uccide. Dov'è la Natura? Dov'è la sua
immensa bellezza? Dov'è l'intreccio pittoresco de' colli ch'io contemplava dalla pianura
inalzandomi con l'immaginazione nelle regioni dei cieli? mi sembrano rupi nude e non veggo
che precipizj. Le loro falde coperte di ombre ospitali mi sono fatte nojose: io vi
passeggiava un tempo fra le ingannevoli meditazioni della nostra debole filosofia. A qual
pro se ci fanno conoscere le infermità nostre, né porgono i rimedj da risanarle? - Oggi
io sentiva gemere la foresta ai colpi delle scuri: i contadini atterravano i roveri di
duecento anni: - tutto père quaggiù!
Guardo le piante ch'una volta scansava di calpestare, e mi soffermo sovr'esse e le
strappo, e le sfioro gittandole fra la polvere rapita dai venti. Gemesse con me
l'universo!
Sono uscito assai prima del Sole e correndo attraverso de' solchi, cercava nella
stanchezza del corpo qualche sopore a quest'anima tempestosa. La mia fronte era tutta
sudore, e il mio petto ansava con difficile anelito. Soffia il vento della notte e mi
scompiglia le chiome ed agghiaccia il sudore che grondavami dalle guance. - Oh! da
quell'ora mi sento per tutte le membra un brivido, le mani fredde, le labbra livide, e gli
occhi erranti fra le nuvole della morte.
Almeno costei non mi perseguitasse con la sua immagine, ovunque io mi vada, a piantarmisi
faccia a faccia: perch'ella, o Lorenzo - perch'ella mi move qui dentro un terrore, una
disperazione, una rabbia, una gran guerra - e medito talor di rapirla e di strascinarla
con me nei deserti lungi dalla prepotenza degli uomini. - Ahi sciagurato! mi percuoto la
fronte e bestemmio - partirò.
Lorenzo
A chi legge
Tu forse, o Lettore, ti se' fatto amico di Jacopo, e brami di sapere la storia della
sua passione; onde io per narrartela andrò quindi innanzi interrompendo la serie delle
sue lettere.
La morte di Lauretta esacerbò la sua malinconia fatta ancora più nera per l'imminente
ritorno di Odoardo. Diradò le sue visite in casa T***, e non parlava con anima nata.
Dimagrato, sparuto, con gli occhi incavati, ma spalancati e pensosi, la voce cupa, i passi
tardi, andava per lo più inferrajuolato, senza cappello, e con le chiome giù per la
faccia; vegliava le notti intere girando per le campagne, e il giorno fu spesso veduto
dormire sotta qualche albero.
In questa, tornò Odoardo in compagnia di un giovine pittore che ripatriava da Roma. Quel
giorno stesso incontrarono Jacopo. Odoardo gli si fe' incontro abbracciandolo; Jacopo
quasi sbigottito si arretrò. Il pittore gli disse che avendo udito a parlare di lui e
dell'ingegno suo, da gran tempo bramava di conoscerlo di persona. - Ei lo interruppe?:
Io? - io, signor mio, non ho mai potuto conoscere me medesimo negli altri mortali; però
non credo che gli altri possano mai conoscere se medesimi in me. Gli domandarono
interpretazione di sì ambigue parole; ed ei per tutta risposta si ravvolse nel suo
tabarro, si cacciò fra gli alberi; e sparì. Odoardo si dolse di questo contegno col
padre di Teresa, il quale già incominciava a temere della passione di Jacopo.
Teresa dotata di una indole meno risentita, ma passionata ed ingenua; propensa a una
affettuosa malinconia, priva nella solitudine d'ogni altro amico di cuore, nell'età in
cui parla in noi la dolce necessità di amare e di essere riamati, incominciò a confidare
a Jacopo tutta l'anima sua, e a poco a poco se ne innamorò; ma non ardiva confessarlo a
se stessa: e dopo la sera di quel bacio viveva assai riservata, sfuggendo l'amante, e
tremando alla presenza del padre. Allontanata da sua madre, senza consiglio e senza
conforto, atterrita dal suo stato futuro, e dalla virtù e dall'amore, diventò solitaria,
non parlava quasi mai, leggeva sempre, trascurava e il disegno, e la sua arpa, e il suo
abbigliamento, e fu spesso sorpresa dai famigliari con le lagrime agli occhi. Scansava la
compagnia delle giovinette sue amiche che a primavera villeggiavano a' colli Euganei; e
dileguandosi a tutti e alla sua sorellina, sedeva molte ore ne' luoghi più appartati del
suo giardino. Regnava quindi in quella casa un silenzio e una certa diffidenza che
turbarono lo sposo trafitto anche da' modi sdegnosi di Jacopo incapace di simulazione.
Naturalmente parlava con enfasi; e sebbene conversando fosse taciturno, fra' suoi amici
era loquace, pronto al riso, e ad una allegria schietta, eccessiva. Ma in que' giorni le
sue parole ed ogni suo atto erano veementi e amari come l'anima sua. Istigato una sera da
Odoardo che giustificava il trattato di Campo Formio, si diede a disputare, a gridare come
un invasato, a minacciare, a percuotersi la testa, e a piangere d'ira. Avea sempre un'aria
assoluta; ma il signore T*** mi raccontava che allora o stava sepolto ne' suoi pensieri, o
se discorreva, s'infiammava d'improvviso; i suoi occhi metteano paura, e talvolta fra il
discorso gli abbassava inondati di pianto. Odoardo si fe' più circospetto, e sospettò
del cangiamento di Jacopo.
Così passò tutto Giugno. Il misero giovine diveniva ogni dì più tetro ed infermo; né
scriveva più alla sua famiglia, né rispondeva alle mie lettere. Spesso fu veduto da'
contadini cavalcare a briglia sciolta per luoghi scoscesi, e in mezzo alle fratte e a
traverso de' fossi, ed è maraviglia com'ei non sia pericolato. Una mattina il pittore
stando a ritrarre la prospettiva de' monti, udì la sua voce fra il bosco: gli si accostò
di soppiatto, e intese ch'ei declamava una scena del Saule. Allora gli riuscì di
disegnare il ritratto dell'Ortis, che sta in fronte a questa edizione, appunto quand'ei si
soffermava pensoso dopo avere proferito que' versi dell'atto I, scena I.
Precipitoso
Già mi sarei fra gl'inimici ferri
Scagliato io da gran tempo; avrei già tronca
Così la vita orribile ch'io vivo.
Poi lo vide arrampicarsi sino alla cima della montagna, guardare all'ingiù
risolutamente con le braccia aperte, e tutto ad un tratto arretrarsi esclamando: O
madre mia!
Una domenica rimase a desinare in casa T***. Pregò Teresa perché suonasse, e le porse
l'arpa egli stesso. Mentr'ella incominciava, entrò suo padre e le s'assise da canto.
Jacopo pareva inondato da una dolce mestizia e il suo aspetto si andava rianimando; ma a
poco a poco chinò la testa, e ricadde in una malinconia più compassionevole di prima.
Teresa lo sogguardava e sforzavasi di reprimere il pianto: Jacopo se n'avvide, né
potendosi contenere, s'alzò e partì. Il padre intenerito si voltò a Teresa dicendole:
O figlia mia, tu vuoi dunque precipitare teco noi tutti? A queste parole le sgorgarono
d'improvviso le lagrime; si gittò fra le braccia di suo padre, e gli confessò. In questa
entrava Odoardo; e la subita partenza di Jacopo, e l'atteggiamento di Teresa, e il
turbamento del signore T*** lo raffermarono ne' suoi dubbj. Queste cose le ho udite dalla
bocca di Teresa.
Il dì seguente, che fu la mattina de' 7 luglio, Jacopo andò da Teresa, e vi trovò lo
sposo, e il pittore che le faceva il ritratto nuziale. Teresa confusa e tremante uscì in
fretta come per badare a qualche cosa di cui si era dimenticata; ma passando davanti a
Jacopo gli disse ansiosamente sottovoce: Mio padre sa tutto. Ei non fe' motto né
cambiò viso; passeggiò tre o quattro volte su e giù per la stanza, ed uscì. Per tutto
quel giorno non si lasciò vedere ad uomo vivente. Michele che lo aspettava a desinare, ne
cercò invano. Non si ridusse a casa che a mezzanotte suonata. Si sdrajò vestito sul
letto, e mandò a dormire il ragazzo. Poco dopo s'alzò e scrisse.
Mezzanotte
Io mandava alla Divinità i miei ringraziamenti, e i miei voti, ma io non la ho mai
temuta. Eppure adesso che sento tutto il flagello delle sventure, io la temo e la
supplico.
Il mio intelletto è acciecato, la mia anima è prostrata, il mio corpo è sbattuto dal
languore della morte.
È vero! i disgraziati hanno bisogno di un altro mondo diverso da questo dove mangiano un
pane amaro, e bevono l'acqua mescolata alle lagrime. La immaginazione lo crea, e il cuore
si consola. La virtù sempre infelice quaggiù persevera con la speranza di un premio - ma
sciagurati coloro che per non essere scellerati hanno bisogno della religione!
Mi sono prostrato in una chiesetta posta in Arquà, perché io sentiva che la mano di Dio
pesava sopra il mio cuore.
Son io debole forse, Lorenzo? Il cielo non ti faccia mai sentire la necessità della
solitudine, delle lagrime, e di una chiesa!
Ore 2
Il Cielo è tempestoso: le stelle rare e pallide; e la Luna mezza sepolta fra le nuvole
batte con raggi lividi le mie finestre.
All'alba
Lorenzo, non odi? t'invoca l'amico tuo: qual sonno! spunta un raggio di giorno e forse per
rinsanguinare i miei mali. - Dio non mi ode. Mi condanna anzi ad ogni minuto all'agonia
della morte; e mi costringe a maledire i miei giorni che pur non sono macchiati di alcun
delitto.
Che? se tu se' un Dio forte, prepotente, geloso, che rivedi le iniquità de' padri ne'
figli, e che visiti nel tuo furore la terza e la quarta generazione, dovrò io sperar
di placarti? Manda in me - bensì non in altri che in me - l'ira tua, la quale raccende
nell'inferno le fiamme che dovranno ardere milioni e milioni di popoli a' quali non ti
se' fatto conoscere. - Ma Teresa è innocente: e anziché stimarti crudele, t'adora con
serenità soavissima d'animo. Io non t'adoro, appunto perché ti pavento - e sento pure
che ho bisogno di te. Spogliati, deh! spogliati degli attributi di cui gli uomini t'hanno
vestito per farti simile a loro. Non se' tu forse il Consolatore degli afflitti? E il tuo
Figlio Divino non si chiamava egli il Figlio dell'Uomo? Odimi dunque. Questo cuore
ti sente, ma non t'offendere del gemito a cui la Natura costringe le viscere dilaniate
dell'uomo. E mormoro contro di te, e piango, e t'invoco, sperando di liberare l'anima mia
- di liberarla? ma e come, se non è piena di te? se non ti ha implorato nella
prosperità, e solo rifugge al tuo ajuto, e domanda il tuo braccio or quando è atterrata
nella miseria? se ti teme, e non ha in te veruna speranza? Né spera, né desidera che
Teresa: e ti vedo in lei sola.
Ecco, o Lorenzo, fuor delle mie labbra il delitto per cui Dio ha ritirato il suo sguardo
da me. Non l'ho mai adorato come adoro Teresa. - Bestemmia! Pari a Dio colei che sarà a
un soffio scheletro e nulla? Vedi l'uomo umiliato. Dovrò dunque io anteporre Teresa a
Dio? - Ah da lei si spande beltà celeste ed immensa, beltà onnipotente. Misuro
l'universo con uno sguardo; contemplo con occhio attonito l'eternità; tutto è caos,
tutto sfuma, e s'annulla; Dio mi diventa incomprensibile; e Teresa mi sta sempre davanti.
Dopo due giorni ammalò. Il padre di Teresa andò a visitarlo, e si giovò di
quell'occasione a persuaderlo che s'allontanasse da' colli Euganei. Come discreto e
generoso ch'egli era, stimava l'ingegno e l'animo di Jacopo, e lo amava come il più caro
amico ch'ei potesse aver mai; e m'accertò che in circostanze diverse avrebbe creduto
d'ornare la sua famiglia pigliandosi per genero un giovine che se partecipava d'alcuni
errori del nostro tempo, ed era dotato d'indomita tempra di cuore, aveva a ogni modo, al
dire del signore T***, opinioni e virtù degne de' secoli antichi. Ma Odoardo era ricco, e
di una famiglia sotto la cui parentela il signore T*** fuggiva alle persecuzioni e alle
insidie de' suoi nemici, i quali lo accusavano d'avere desiderato la verace libertà del
suo paese; delitto capitale in Italia. Bensì imparentandosi all'Ortis, avrebbe accelerato
la rovina di lui, e della propria famiglia. Oltre di che aveva obbligata la sua fede; e
per mantenerla s'era ridotto a dividersi da una moglie a lui cara. Né i suoi bilanci
domestici gli assentivano di accasare Teresa con una gran dote, necessaria alle mediocri
sostanze dell'Ortis. Il signore T*** mi scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che
sapeale da sé, e le ascoltò con aspetto riposatissimo; ma non sì tosto udì parlare di
dote. No, lo interruppe, esule, povero, oscuro a tutti i mortali, mi vorrei
sotterrar vivo anziché domandarvi vostra figlia in sposa. Sono sfortunato, non però
vile. Né i miei figliuoli dovranno riconoscere mai la loro fortuna dalla ricchezza della
loro madre. Vostra figlia è più ricca di me, ed è promessa. Dunque? rispose il
signore T***. - Jacopo non fiatò. Alzò gli occhi al cielo, e dopo molta ora: O
Teresa, esclamò, sarai a ogni modo infelice! O amico mio, gli soggiunse allora
amorevolmente il signore T***, e per chi mai cominciò ad essere misera se non per
voi? Erasi già per amor mio rassegnata al suo stato; e sola poteva rappacificare una
volta i suoi poveri genitori. Vi ha amato; e voi che pure l'amate con sì altera
generosità, voi pur le rapite uno sposo, e manterrete discorde una casa ove foste, e
siete, e sarete sempre accolto come figliuolo. Arrendetevi; allontanatevi per alcuni mesi.
Forse avreste trovato in altri un padre severo: ma io! - sono stato anch'io sventurato; ho
provato le passioni, pur troppo! e ne provo - e ho imparato a compiangerle, perché sento
io pure il bisogno d'essere compatito. Bensì da voi solo all'età mia quasi canuta ho
imparato come alle volte si stima l'uomo che ci danneggia, massime se è dotato di tale
carattere da far parere generosi e tremendi gli affetti che in altri pajoni colpevoli
insieme e risibili. Né io vel dissimulo: voi, dal dì che primamente vi ho conosciuto,
avete assunto tale inesplicabile predominio sopra di me, da costringermi a temervi insieme
ed amarvi: e spesso andava noverando i minuti per impazienza di rivedervi, e nel tempo
stesso io sentivami preso d'un tremito subitaneo e secreto allorché i miei servi mi
davano avviso che voi salivate le scale. Or voi abbiate pietà di me, e della vostra
gioventù, e della fama di Teresa. La sua beltà e la sua salute vanno languendo; le sue
viscere si struggono nel silenzio, e per voi. Io vi scongiuro in nome di Teresa, partite;
sacrificate la vostra passione alla sua quiete; e non vogliate ch'io sia l'amico insieme e
il marito e il padre più misero che sia mai nato. Jacopo parea intenerito: non però
mutò aspetto, né gli cadde lagrima dagli occhi, né rispose parola; benché il signore
T*** a mezzo il discorso si rattenesse a stento dal piangere: e restò a canto al letto di
Jacopo sino a notte tardissima: ma né l'uno né l'altro aprirono più bocca se non quando
si dissero addio. - La malattia del giovine aggravò; e ne' giorni seguenti fu sovrappreso
da febbre pericolosa.
Frattanto io sgomentato e dalle lettere recenti di Jacopo, e da quelle del padre di
Teresa, studiava ogni via per accelerare la partenza dell'amico mio, come solo rimedio
alla sua violenta passione. Né ebbi cuore di rivelarla a sua madre, la quale aveva già
avuto molte altre dolorosissime prove dell'indole sua capace d'eccessi; e le dissi
soltanto, ch'era un po' malato, e che il mutar aria gli avrebbe certamente giovato.
In quel tempo stesso incominciavano a inferocire in Venezia le persecuzioni. Non v'erano
leggi; ma tribunali arbitrarj; non accusatori, non difensori; bensì spie di pensieri,
delitti nuovi, ignoti a chi n'era punito, e pene subite, inappellabili. I più sospettati
gemevano carcerati; gli altri, benché d'antica e specchiata fama, erano tolti di notte
alle proprie case, manomessi dagli sgherri, strascinati a' confini e abbandonati alla
ventura, senza l'addio de' congiunti, e destituti d'ogni umano soccorso. Per alcuni pochi
l'esilio scevro da questi modi violenti ed infami fu somma clemenza. Ed io pure tardo, e
non ultimo e tacito martire, vo da più mesi profugo per l'Italia volgendo senza nessuna
speranza gli occhi lagrimosi alle sponde della mia patria. Onde io allora, adombrato anche
per la libertà di Jacopo, persuasi sua madre, quantunque desolatissima, a raccomandargli
che sino a tempi migliori cercasse rifuggio in altro paese; tanto più che quando s'era
partito di Padova, si scusò allegando gli stessi pericoli. Fu fidata la lettera a un
servo il quale giunse a' colli Euganei la sera de' 15 Luglio, e trovò Jacopo ancora a
letto, sebbene migliorato d'assai. Gli sedeva vicino il padre di Teresa. Lesse la lettera
sommessamente, e la posò sul guanciale; poco dopo la rilesse, e parve commosso; ma non ne
parlò.
Il dì 19 s'alzò da letto. In quel giorno stesso sua madre gli riscrisse inviandogli
danaro, due cambiali, e parecchie commendatizie, e scongiurandolo per le viscere di Dio
che partisse. Assai prima di sera andò da Teresa; e non trovò che l'Isabellina la quale
tutta intenerita contò ch'ei s'assise muto, si rizzò, la baciò, e se ne andò. Tornò
dopo un'ora, e salendo per le scale la incontrò nuovamente, e se la strinse al petto, la
baciò più volte, e la bagnò di lagrime. Si pose a scrivere, mutò varii fogli, e li
stracciò poi tutti. Si aggirò pensieroso per l'orto. Un servo passandovi su l'imbrunire,
lo vide sdrajato: ripassando, lo trovò ritto presso al rastrello in atto d'uscire, e col
capo rivolto attentissimo verso la casa ch'era battuta dalla Luna.
Tornatosi a casa, rimandò il messo rispondendo a sua madre, che domani su l'alba partiva.
Fece ordinare i cavalli alla posta più vicina. Innanzi di coricarsi, scrisse la lettera
seguente per Teresa, e la consegnò all'ortolano. All'alba partì.
Ore 9
Perdonami, Teresa; io ho funestato la tua giovinezza, e la quiete della tua casa; ma
fuggirò. Né io mi credeva dotato di tanta costanza. Posso lasciarti, e non morir di
dolore; e non è poco; usiamo dunque di questo momento finché il cuore mi regge, e la
ragione non mi abbandona affatto. Pur la mia mente è sepolta nel solo pensiero di amarti
sempre e di piangerti. Ma sarà obbligo mio di non più scriverti, né di mai più
rivederti se non se quando sarò certissimo di lasciarti quieta davvero. Oggi t'ho cercato
invano per dirti addio. Abbiti almeno, o Teresa, queste ultime righe ch'io bagno, tu 'l
vedi, d'amarissime lagrime. Mandami in qualunque tempo, in qualunque luogo il tuo
ritratto. Se l'amicizia, se l'amore - o la compassione e la gratitudine ti parlano ancora
per questo sconsolato, non negarmi il ristoro che addolcirà tutti i miei patimenti. Tuo
padre stesso me lo concederà, spero - egli egli che potrà vederti, ed udirti, e sentirsi
riconfortato da te; mentr'io nelle ore fantastiche del mio dolore e delle mie passioni,
nojato da tutto il mondo, diffidente di tutti, camminando sopra la terra come di locanda
in locanda, e drizzando volontariamente i miei passi verso la sepoltura - perché ho
veramente necessità di riposo - io mi conforterò intanto baciando dì e notte l'immagine
tua: e così tu m'infonderai da lontano costanza da sopportare questa mia vita, - e
finché avrò forze, io la sopporterò per te, e te lo giuro. E tu prega - prega, o
Teresa, dalle viscere del tuo cuore purissimo il Cielo - non che mi perdoni i dolori, che
forse avrò meritati, e che forse sono inseparabili dalla tempra dell'anima mia - bensì
che non mi levi le poche facoltà che ancora mi avanzano, da tollerarli. Con l'immagine
tua farò men angosciose le mie notti, e meno tristi i miei giorni solitarj, que' giorni
ch'io dovrò pur vivere senza di te. Morendo, io volgerò a te gli ultimi sguardi, io ti
raccomanderò il mio sospiro; verserò sovra di te l'anima mia, ti porterò meco nella mia
sepoltura attaccata al mio petto - e se è pure prescritto ch'io chiuda gli occhi in terra
straniera, e dove nessun cuore mi piangerà, io ti richiamerò tacitamente al mio
capezzale, e mi parrà di vederti in quell'aspetto, in quell'atto, con quella stessa
pietà che io ti vedeva, quando una volta, assai prima che tu sapessi di amarmi, assai
prima che tu t'accorgessi dell'amor mio - ed io era ancora innocente verso di te - mi
assistevi nella mia malattia. - Di te non ho se non l'unica lettera che mi scrivesti
quando io era in Padova: felice tempo! ma chi l'avrebbe mai detto? allora parevami che tu
mi raccomandassi di ritornare: - ed ora? scrivo il decreto; ed eseguirò fra poche ore il
decreto della nostra eterna separazione. Da quella tua lettera comincia la storia
dell'amor nostro e non mi abbandonerà mai. O mia Teresa! e questi son pure delirj: ma
sono insieme la sola consolazione di chi è insanabilmente infelice. Addio. Perdonami, mia
Teresa - ohimè, io mi credeva più forte! - scrivo male e di un carattere appena
leggibile; ma ho l'anima lacerata, e il pianto su gli occhi. Per carità non mi negare il
tuo ritratto. Consegnalo a Lorenzo: e s'ei non me lo potrà far arrivare, lo custodirà
come eredità santa che gli ricorderà sempre le tue virtù, e la tua bellezza, e l'unico
eterno infelicissimo amore del suo misero amico. Addio - ma non è l'ultimo; mi rivedrai:
e da quel giorno in poi sarò fatto tale da obbligare gli uomini ad avere pietà e
rispetto alla nostra passione; e a te non sarà più delitto l'amarmi - pur se innanzi
ch'io ti rivegga, il mio dolore mi scavasse la fossa, concedimi ch'io mi renda cara la
morte con la certezza che tu m'hai amato. - Or sì ch'io sento in che dolore io ti lascio!
Oh! potessi morire a' tuoi piedi: oh! morire ed essere sepolto nella terra che avrà le
tue ossa - ma addio.
Michele dissemi che il suo podrone viaggiò per due poste silenziosissimo, e con
aspetto assai calmo, e quasi sereno. Poi chiese il suo scrigno da viaggio; e tanto che si
rimutavano i cavalli, scrisse il seguente biglietto al signore T***.
Signore ed amico mio.
All'ortolano di casa mia ho raccomandato jer sera una lettera da ricapitarsi alla
Signorina; - e bench'io l'abbia scritta quand'io già m'era saldamente deliberato a questo
partito d'allontanarmi, temo a ogni modo d'avere versato sovra quel foglio tanta
afflizione da contristare quella innocente. A lei dunque, signor mio, non rincresca di
farsi mandare quella lettera dall'ortolano; e gli fo' dire che non la fidi se non a lei
solo. La serbi così sigillata o la bruci. Ma perché alla sua figliuola riescirebbe
amarissimo ch'io mi partissi senza lasciarle un addio, e tutto jeri non mi fu dato mai di
vederla - ecco qui annesso un polizzino pur sigillato - ed ardisco sperare ch'ella, signor
mio, la consegnerà a Teresa T*** innanzi che diventi moglie del marchese Odoardo. - Non
so se ci rivedremo - ho ben decretato di morire, non foss'altro, vicino alla mia casa
paterna; ma quand'anche questo mio proponimento fosse deluso - sono certo ch'ella, signore
ed amico mio, non vorrà mai dimenticarsi di me.
Il signore T*** mi fe' capitare la lettera per Teresa (che ho riportato dianzi) a
sigillo inviolato; - né tardò a dare a sua figlia il polizzino. L'ebbi sott'occhio; era
di poche righe; e d'uomo che per allora pareva tornato in sé.
Tutti quasi i frammenti che seguono mi vennero per la posta in diversi fogli.
Rovigo, 20 Luglio
Io la mirava e diceva a me stesso: Che sarebbe di me se non potessi vederla più? e
correva a piangere meco di consolazione sapendo ch'io le era vicino - e adesso?
Cos'è più l'universo? qual parte mai della terra potrà sostenermi senza Teresa? e mi
pare di esserle lontano sognando. Ho avuto io tanta costanza? e m'è bastato il cuore di
partire così - senza vederla? né un bacio, né un unico addio! A minuto a minuto credo
di trovarmi alla porta della sua casa, e di leggere nella mestizia del suo volto, che
m'ama. Fuggo; e con che velocità ogni minuto mi porta ognor più lontano da lei. E
intanto? quante care illusioni! ma io l'ho perduta. Non so più obbedire né alla mia
volontà, né alla mia ragione, né al mio cuore sbalordito: mi lascierò strascinare dal
braccio prepotente del mio destino. Addio.
Ferrara, 20 Luglio, a sera
Io traversava il Po e rimirava le immense sue acque, e più volte fui per precipitarmi, e
profondarmi, e perdermi per sempre. Tutto è un punto! - ah s'io non avessi una madre cara
e sventurata a cui la mia morte costerebbe amarissime lagrime!
Né finirò così da codardo. Sosterrò tutta la mia sciagura; berrò fino all'ultima
lagrima il pianto che mi fu assegnato dal Cielo; e quando le difese saranno vane,
disperate tutte le passioni, tutte le forze consunte; quando io avrò coraggio di mirare
la Morte in faccia, e ragionare pacatamente con lei, ed assaporare l'amaro suo calice, ed
espiate le altrui lagrime, e disperato di rasciugarle - allora.
Ma ora ch'io parlo non è forse tutto perduto? e non mi resta che la sola memoria e la
certezza che tutto è perduto: - hai tu provata mai quella piena di dolore quando ci
abbandonano tutte le speranze?
Né un bacio? né addio! - bensì le tue lagrime mi seguiranno nella mia sepoltura. La
mia salute, la mia sorte, il mio cuore, tu - tu! - insomma tutto congiura, ed io vi
obbedirò tutti.
Ore...
E ho avuto cuore di abbandonarla? anzi ti ho abbandonata, o Teresa, in uno stato più
deplorabile del mio. Chi sarà tuo consolatore? e tremerai al solo mio nome poiché t'ho
fatto vedere io - io primo, io unico sull'aurora della tua vita, le tempeste e le tenebre
della sventura; e tu, o giovinetta, non sei ancora sì forte né da tollerare né da
fuggire la vita. Tu, per anche non sai che l'alba e la sera sono tutt'uno. Ah né io te lo
voglio persuadere! - eppure non abbiamo più ajuto veruno dagli uomini, nessuna
consolazione in noi stessi. Ormai non so che supplicare il sommo Iddio, e supplicarlo co'
miei gemiti, e cercare alcuna speranza fuori di questo mondo dove tutti ci perseguitano e
ci abbandonano. E se gli spasimi, e le preghiere, e il rimorso ch'è fatto già mio
carnefice, fossero offerte accolte dal Cielo, ah! tu non saresti così infelice, ed io
benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nella mia disperazione mortale chi sa in che
pericoli tu sei! né io posso difenderti, né rasciugare il tuo pianto, né raccogliere
nel mio petto i tuoi secreti, né partecipare delle tue afflizioni; non so né dove fuggo,
né come ti lascio, né quando potrò più rivederti.
Padre crudele - Teresa è sangue tuo! quell'altare è profanato; la Natura ed il Cielo
maledicono quei giuramenti; il ribrezzo, la gelosia, la discordia ed il pentimento
gireranno fremendo intorno a quel letto e insanguineranno forse quelle catene. Teresa è
figlia tua; placati. Ti pentirai amaramente, ma tardi: fors'ella un giorno nell'orrore del
suo stato maledirà i suoi giorni e i suoi genitori, e conturberà con le sue querele le
tue ossa nel sepolcro, quando tu non potrai se non intenderla di sotterra. Placati. -
Ohimè! tu non mi ascolti - e dove me la trascini? - la vittima è sacrificata! io odo il
suo gemito - il mio nome nel suo ultimo gemito! Barbari! tremate - il vostro sangue, il
mio sangue - Teresa sarà vendicata. - Ahi delirio! - ma io son pure omicida.
Ma tu, Lorenzo mio, che non mi ajuti? io non ti scriveva perché un'eterna tempesta
d'ira, di gelosia, di vendetta, di amore infuriava dentro di me; e tante passioni mi si
gonfiavano nel petto, e mi soffocavano, e mi strozzavano quasi; io non poteva mandare
parola, e sentiva il dolore impietrito dentro di me - e questo dolore regna ancora e mi
chiude la voce e i sospiri, e m'inaridisce le lagrime: - mi sento mancata gran parte della
vita, e quel poco che pure mi resta è avvilito dal languore e dalla oscurità della
morte.
Or mi adiro sovente di essere partito, e mi accuso di viltà. - Perché mai non hanno
ardito d'insultare alla mia passione? Se taluno avesse comandato a quella misera di non
rivedermi; se me l'avessero a viva forza strappata, pensi tu ch'io l'avrei lasciata mai?
Ma doveva io pagare d'ingratitudine un padre che mi chiamava amico, che tante volte
commosso mi abbracciava dicendomi: E perché la sorte ti ha pur unito a noi
disgraziati? Poteva io precipitare nel disonore e nella persecuzione una famiglia che
in altre circostanze avrebbe diviso meco e la prosperità e l'infortunio? E che poteva io
rispondergli quand'ei mi diceva sospirando e pregandomi: - Teresa è mia figlia! -
Sì! divorerò nel rimorso e nella solitudine tutti i miei giorni: ma ringrazierò quella
tremenda mano invisibile che mi rapì da quel precipizio donde io cadendo avrei
strascinato meco nella voragine quella giovinetta innocente. E mi seguitava; ed io crudele
andava pur soffermandomi, e voltando gli occhi guardando se affrettavasi dietro a' miei
passi precipitosi - e mi seguitava; ma con animo spaventato, e con deboli forze. Che? Or
non son io seduttore? - e non dovrò tormele eternamente dagli occhi? Potessi anzi
nascondermi a tutto l'universo e piangere le mie sciagure! ma piangerli quando io gli ho
esacerbati?
Niuno sa quale segreto sta sepolto qui dentro - e questo sudore freddo improvviso - e
questo arretrarmi - e il lamento che tutte le sere vien di sotterra, e mi chiama - e quel
cadavere - perché io, Lorenzo, non sono forse omicida; ma pur mi veggo insanguinato d'un
omicidio.
Spunta appena il giorno, ed io sto per partire. Da quanto tempo l'aurora mi trova sempre
in un sonno da infermo! La notte non trovo mai posa. Poco fa io spalancava gli occhi
urlando e guatandomi intorno come se mi vedessi sul capo il manigoldo. Sento nello
svegliarmi certi terrori, simile a quegli sciagurati che hanno le mani calde di delitto. -
Addio addio. Parto, e ognor più lontano. Ti scriverò da Bologna dentr'oggi. Ringrazia
mia madre. Pregala perché benedica il suo povero figliuolo. S'ella sapesse tutto il mio
stato! ma taci: su le sue piaghe non aprire un'altra piaga.
(continua...)
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