Libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
Da' colli Euganei, 11 Ottobre 1797
Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne
verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia.
Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi
m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le
ho obbedito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or
dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi
il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai
raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi
italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può. Poiché ho
disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il
mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente
compianto da' pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la
terra de' miei padri.
13 Ottobre
Ti scongiuro, Lorenzo; non ribattere più. Ho deliberato di non allontanarmi da questi
colli. È vero ch'io aveva promesso a mia madre di rifuggirmi in qualche altro paese; ma
non mi è bastato il cuore: e mi perdonerà, spero. Merita poi questa vita di essere
conservata con la viltà, e con l'esilio? Oh quanti de' nostri concittadini gemeranno
pentiti, lontani dalle loro case! perché, e che potremmo aspettarci noi se non se
indigenza e disprezzo; o al più, breve e sterile compassione, solo conforto che le
nazioni incivilite offrono al profugo straniero? Ma dove cercherò asilo? in Italia? terra
prostituita premio sempre della vittoria. Potrò io vedermi dinanzi agli occhi coloro che
ci hanno spogliati, derisi, venduti, e non piangere d'ira? Devastatori de' popoli, si
servono della libertà come i Papi si servivano delle crociate. Ahi! sovente disperando di
vendicarmi mi caccerei un coltello nel cuore per versare tutto il mio sangue fra le ultime
strida della mia patria.
E questi altri? - hanno comperato la nostra schiavitù, racquistando con l'oro quello che
stolidamente e vilmente hanno perduto con le armi. - Davvero ch'io somiglio un di que'
malavventurati che spacciati morti furono sepolti vivi, e che poi rinvenuti, si sono
trovati nel sepolcro fra le tenebre e gli scheletri, certi di vivere, ma disperati del
dolce lume della vita, e costretti a morire fra le bestemmie e la fame. E perché farci
vedere e sentire la libertà, e poi ritorcerla per sempre? e infamemente!
16 Ottobre
Or via, non se ne parli più: la burrasca pare abbonacciata; se tornerà il pericolo,
rassicurati, tenterò ogni via di scamparne. Del resto io vivo tranquillo; per quanto si
può tranquillo. Non vedo persona del mondo: vo sempre vagando per la campagna; ma a dirti
il vero penso, e mi rodo. Mandami qualche libro.
Che fa Lauretta? povera fanciulla! io l'ho lasciata fuori di sé. Bella e giovine ancora,
ha pur inferma la ragione; e il cuore infelice infelicissimo. Io non l'ho amata; ma fosse
compassione o riconoscenza per avere ella scelto me solo consolatore del suo stato,
versandomi nel petto tutta la sua anima e i suoi errori e i suoi martirj - davvero ch'io
l'avrei fatta volentieri compagna di tutta la mia vita. La sorte non ha voluto; meglio
così, forse. Ella amava Eugenio, e l'è morto fra le braccia. Suo padre e i suoi fratelli
hanno dovuto fuggire la loro patria, e quella povera famiglia destituta di ogni umano
soccorso è restata a vivere, chi sa come! di pianto. Eccoti, o Libertà, un'altra
vittima. Sai ch'io ti scrivo, o Lorenzo, piangendo come un ragazzo? - pur troppo! ho avuto
sempre a che fare con de' tristi; e se alle volte ho incontrato una persona dabbene ho
dovuto sempre compiangerla. Addio, addio.
18 Ottobre
Michele mi ha recato il Plutarco, e te ne ringrazio. Mi disse che con altra
occasione m'invierai qualche altro libro; per ora basta. Col divino Plutarco potrò
consolarmi de' delitti e delle sciagure dell'umanità volgendo gli occhi ai pochi illustri
che quasi primati dell'umano genere sovrastano a tanti secoli e a tante genti. Temo per
altro che spogliandoli della magnificenza storica e della riverenza per l'antichità, non
avrò assai da lodarmi né degli antichi, né de' moderni, né di me stesso - umana razza!
23 Ottobre
Se m'è dato lo sperare mai pace, l'ho trovata, o Lorenzo. Il parroco, il medico, e tutti
gli oscuri mortali di questo cantuccio della terra mi conoscono sin da fanciullo e mi
amano. Quantunque io viva fuggiasco, mi vengono tutti d'intorno quasi volessero mansuefare
una fiera generosa e selvatica. Per ora io lascio correre. Veramente non ho avuto tanto
bene dagli uomini da fidarmene così alle prime: ma quel menare la vita del tiranno che
freme e trema d'essere scannato a ogni minuto mi pare un agonizzare in una morte lenta,
obbrobriosa. Io seggo con essi a mezzodì sotto il platano della chiesa leggendo loro le
vite di Licurgo e di Timoleone. Domenica mi s'erano affollati intorno tutti i contadini,
che, quantunque non comprendessero affatto, stavano ascoltandomi a bocca aperta. Credo che
il desiderio di sapere e ridire la storia de' tempi andati sia figlio del nostro amor
proprio che vorrebbe illudersi e prolungare la vita unendoci agli uomini ed alle cose che
non sono più, e facendole, sto per dire, di nostra proprietà. Ama la immaginazione di
spaziare fra i secoli e di possedere un altro universo. Con che passione un vecchio
lavoratore mi narrava stamattina la vita de' parrochi della villa viventi nella sua
fanciullezza, e mi descriveva i danni della tempesta di trentasett'anni addietro, e i
tempi dell'abbondanza, e quei della fame, rompendo il filo ogni tanto, ripigliandolo, e
scusandosi dell'infedeltà! Così mi riesce di dimenticarmi ch'io vivo.
È venuto a visitarmi il signore T*** che tu conoscesti a Padova. Mi disse che spesso gli
parlavi di me, e che jer l'altro glien'hai scritto. Anche egli s'è ridotto in campagna
per evitare i primi furori del volgo, quantunque a dir vero non siasi molto ingerito ne'
pubblici affari. Io n'aveva inteso parlare come d'uomo di colto ingegno e di somma
onestà: doti temute in passato, ma adesso non possedute impunemente. Ha tratto cortese,
fisonomia liberale, e parla col cuore. V'era con lui un tale; credo, lo sposo promesso di
sua figlia. Sarà forse un bravo e buono giovine; ma la sua faccia non dice nulla. Buona
notte.
24 Ottobre
L'ho pur una volta afferrato nel collo quel ribaldo contadinello che dava il guasto al
nostro orto, tagliando e rompendo tutto quello che non poteva rubare. Egli era sopra un
pesco, io sotto una pergola: scavezzava allegramente i rami ancora verdi perché di frutta
non ve ne erano più: appena l'ebbi fra le ugne, cominciò a gridare: Misericordia! Mi
confessò che da più settimane facea quello sciagurato mestiere perché il fratello
dell'ortolano aveva qualche mese addietro rubato un sacco di fave a suo padre. - E tuo
padre t'insegna a rubare? - In fede mia, signor mio, fanno tutti così. - L'ho lasciato
andare, e scavalcando una siepe io gridava: Ecco la società in miniatura; tutti così.
26 Ottobre
La ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te ne ringrazio. La trovai seduta
miniando il proprio ritratto. Si rizzò salutandomi come s'ella mi conoscesse, e ordinò a
un servitore che andasse a cercar di suo padre. Egli non si sperava, mi diss'ella, che voi
sareste venuto; sarà per la campagna; né starà molto a tornare. Una ragazzina le corse
fra le ginocchia dicendole non so che all'orecchio. È un amico di Lorenzo, le rispose
Teresa, è quello che il babbo andò a trovare l'altr'jeri. Tornò frattanto il signor
T***: m'accoglieva famigliarmente, ringraziandomi che io mi fossi sovvenuto di lui. Teresa
intanto, prendendo per mano la sua sorellina, partiva. Vedete, mi diss'egli, additandomi
le sue figliuole che uscivano dalla stanza; eccoci tutti. Proferì, parmi, queste parole
come se volesse farmi sentire che gli mancava sua moglie. Non la nominò. Si ciarlò lunga
pezza. Mentr'io stava per congedarmi, tornò Teresa: Non siamo tanto lontani, mi disse;
venite qualche sera a veglia con noi.
Io tornava a casa col cuore in festa. - Che? lo spettacolo della bellezza basta forse ad
addormentare in noi tristi mortali tutti i dolori? vedi per me una sorgente di vita: unica
certo, e chi sa! fatale. Ma se io sono predestinato ad avere l'anima perpetuamente in
tempesta, non è tutt'uno?
28 Ottobre
Taci, taci: - vi sono de' giorni ch'io non posso fidarmi di me: un demone mi arde, mi
agita, mi divora. Forse io mi reputo molto; ma e' mi pare impossibile che la nostra patria
sia così conculcata mentre ci resta ancora una vita. Che facciam noi tutti i giorni
vivendo e querelandoci? insomma non parlarmene più, ti scongiuro. Narrandomi le nostre
tante miserie mi rinfacci tu forse perché io mi sto qui neghittoso? e non t'avvedi che tu
mi strazi fra mille martirj? Oh! se il tiranno fosse uno solo, e i servi fossero meno
stupidi, la mia mano basterebbe. Ma chi mi biasima or di viltà, m'accuserebbe allor di
delitto; e il savio stesso compiangerebbe in me, anziché il consiglio del forte, il
furore del forsennato. Che vuoi tu imprendere fra due potenti nazioni che nemiche giurate,
feroci, eterne, si collegano soltanto per incepparci? e dove la loro forza non vale, gli
uni c'ingannano con l'entusiasmo di libertà, gli altri col fanatismo di religione: e noi
tutti guasti dall'antico servaggio e dalla nuova licenza, gemiamo vili schiavi, traditi,
affamati, e non provocati mai né dal tradimento, né dalla fame. - Ahi, se potessi,
seppellirei la mia casa, i miei più cari e me stesso per non lasciar nulla nulla che
potesse inorgoglire costoro della loro onnipotenza e della mia servitù! E' vi furono de'
popoli che per non obbedire a' Romani ladroni del mondo, diedero all'incendio le loro
case, le loro mogli, i loro figli e sé medesimi, sotterrando fra le gloriose ruine e le
ceneri della loro patria la lor sacra indipendenza.
1 Novembre
Io sto bene, bene per ora come un infermo che dorme e non sente i dolori; e mi passano
gl'interi giorni in casa del signore T*** che mi ama come figliuolo: mi lascio illudere, e
l'apparente felicità di quella famiglia mi sembra reale, e mi sembra anche mia. Se
nondimeno non vi fosse quello sposo, perché davvero - io non odio persona del mondo, ma
vi sono cert'uomini ch'io ho bisogno di vedere soltanto da lontano. - Suo suocero me
n'andava tessendo jer sera un lungo elogio in forma di commendatizia: buono - esatto -
paziente! e niente altro? possedesse queste doti con angelica perfezione, s'egli avrà
il cuore sempre così morto, e quella faccia magistrale non animata mai né dal sorriso
dell'allegria, né dal dolce silenzio della pietà, sarà per me un di que' rosaj senza
fiori che mi fanno temere le spine. Cos'è l'uomo se tu lo abbandoni alla sola ragione
fredda, calcolatrice? scellerato, e scellerato bassamente. - Del resto, Odoardo sa di
musica; giuoca bene a scacchi; mangia, legge, dorme, passeggia, e tutto con l'oriuolo alla
mano; e non parla con enfasi se non per magnificare tuttavia la sua ricca e scelta
biblioteca. Ma quando egli mi va ripetendo con quella sua voce cattedratica, ricca e
scelta, io sto lì lì per dargli una solenne smentita. Se le umane frenesie che col
nome di scienze e di dottrine si sono iscritte e stampate in tutti i secoli,
e da tutte le genti, si riducessero a un migliajo di volumi al più, e' mi pare che la
presunzione de' mortali non avrebbe da lagnarsi - e via sempre con queste dissertazioni.
Frattanto ho preso a educare la sorellina di Teresa: le insegno a leggere e a scrivere.
Quand'io sto con lei, la mia fisonomia si va rasserenando, il mio cuore è più gajo che
mai, ed io fo mille ragazzate. Non so perché, tutti i fanciulli mi vogliono bene. E
quella ragazzetta è pur cara! bionda e ricciuta, occhi azzurri, guance pari alle rose,
fresca, candida, paffutella, pare una Grazia di quattr'anni. Se tu la vedessi corrermi
incontro, aggrapparmisi alle ginocchia, fuggirmi perch'io la siegua, negarmi un bacio e
poi improvvisamente attaccarmi que' suoi labbruzzi alla bocca! Oggi io mi stava su la cima
di un albero a cogliere le frutta: quella creaturina tendeva le braccia, e balbettando
pregavami che per carità non cascassi. Che bell'autunno! addio Plutarco! sta
sempre chiuso sotto il mio braccio. Sono tre giorni ch'io perdo la mattina a colmare un
canestro d'uva e di pesche, ch'io copro di foglie, avviandomi poi lungo il fiumicello, e
giunto alla villa, desto una famiglia cantando la canzonetta della vendemmia.
12 Novembre
Jeri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantato i pini delle vicine collinette sul
monte rimpetto la chiesa. Mio padre pure tentava di fecondare quello sterile monticello;
ma i cipressi ch'esso vi pose non hanno mai potuto allignare, e i pini sono ancor
giovinetti. Assistito io da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde casca l'acqua,
di cinque pioppi, ombreggiando la costa orientale di un folto boschetto che sarà il primo
salutato dal Sole quando splendidamente comparirà dalle Cime de' monti. E jeri appunto il
Sole più sereno del solito riscaldava l'aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno.
Le villanelle vennero sul mezzodì co' loro grembiuli di festa intrecciando i giuochi e le
danze di canzonette e di brindisi. Tale di esse era la sposa novella, tale la figliuola, e
tal altra la innamorata di alcuno de' lavoratori; e tu sai che i nostri contadini
sogliono, allorché si trapianta, convertire la fatica in piacere, credendo per antica
tradizione de' loro avi e bisavi che senza il giolito de' bicchieri gli alberi non possano
mettere salda radice nella terra straniera. - Frattanto io mi vagheggiava nel lontano
avvenire un pari giorno di verno quando canuto mi trarrò passo passo sul mio bastoncello
a confortarmi a' raggi del Sole, sì caro a' vecchi: salutando, mentre usciranno dalla
chiesa, i curvi villani già miei compagni ne' dì che la gioventù rinvigoriva le nostre
membra; e compiacendomi delle frutta che, benché tarde, avranno prodotti gli alberi
piantati dal padre mio. Conterò allora con fioca voce le nostre umili storie a' miei e a'
tuoi nepotini, o a quei di Teresa che mi scherzeranno dattorno. E quando le ossa mie
fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai ricco ed ombroso, forse nelle sere
d'estate al patetico susurrar delle fronde si uniranno i sospiri degli antichi padri della
villa, i quali al suono della campana de' morti pregheranno pace allo spirito dell'uomo
dabbene e raccomanderanno la sua memoria ai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore
verrà a ristorarsi dall'arsura di giugno, esclamerà guardando la mia fossa: Egli egli
innalzò queste fresche ombre ospitali! - O illusioni! e chi non ha patria, come può
dire lascierò qua o là le mie ceneri?
O fortunati! e ciascuno era certo |
Della sua sepoltura; ed ancor nullo |
Era, per Francia, talamo deserto. |
(Dante, Paradiso, XV) |
20 Novembre
Più volte incominciai questa lettera: ma la faccenda andava assai per le lunghe; e la
bella giornata, la promessa di trovarmi alla villa per tempo, e la solitudine - ridi? -
L'altr'jeri, e jeri mi svegliava proponendo di scriverti; e senza accorgermi, mi trovava
fuori di casa.
Piove, grandina, fulmina: penso di rassegnarmi alla necessità, e di giovarmi di questa
giornata d'inferno, scrivendoti. - Sei o sette giorni addietro s'è iti in pellegrinaggio.
Io ho veduto la Natura più bella che mai. Teresa, suo padre, Odoardo, la piccola
Isabellina, ed io siamo andati a visitare la casa del Petrarca in Arquà. Arquà è
discosto, come tu sai, quattro miglia dalla mia casa; ma per più accorciare il cammino
prendemmo la via dell'erta. S'apriva appena il più bel giorno d'autunno. Parea che Notte
seguìta dalle tenebre e dalle stelle fuggisse dal Sole, che uscia nel suo immenso
splendore dalle nubi d'oriente, quasi dominatore dell'universo; e l'universo sorridea. Le
nuvole dorate e dipinte a mille colori salivano su la volta del cielo che tutto sereno
mostrava quasi di schiudersi per diffondere sovra i mortali le cure della Divinità. Io
salutava a ogni passo la famiglia de' fiori e dell'erbe che a poco a poco alzavano il capo
chinato dalla brina. Gli alberi susurrando soavemente, faceano tremolare contro la luce le
gocce trasparenti della rugiada; mentre i venti dell'aurora rasciugavano il soverchio
umore alle piante. Avresti udito una solenne armonia spandersi confusamente fra le selve,
gli augelli, gli armenti, i fiumi, e le fatiche degli uomini: e intanto spirava l'aria
profumata delle esalazioni che la terra esultante di piacere mandava dalle valli e da'
monti al Sole, ministro maggiore della Natura. - Io compiango lo sciagurato che può
destarsi muto, freddo e guardare tanti beneficj senza sentirsi gli occhi bagnati dalle
lagrime della riconoscenza. Allora ho veduto Teresa nel più bell'apparato delle sue
grazie. Il suo aspetto per lo più sparso di una dolce malinconia, si andava animando di
una gioja schietta, viva, che le usciva dal cuore; la sua voce era soffocata; i suoi
grandi occhi neri aperti prima nell'estasi, si inumidivano poscia a poco a poco: tutte le
sue potenze parevano invase dalla sacra beltà della campagna. In tanta piena di affetti
le anime si schiudono per versarli nell'altrui petto: ed ella si volgeva a Odoardo. Eterno
Iddio! parea ch'egli andasse tentone fra le tenebre della notte, o ne' deserti abbandonati
dalla benedizione della Natura. Lo lasciò tutto a un tratto, e s'appoggiò al mio
braccio, dicendomi - ma, Lorenzo! per quanto mi studi di continuare, conviene pur ch'io mi
taccia. Se potessi dipingerti la sua pronunzia, i suoi gesti, la melodia della sua voce,
la sua celeste fisonomia, o ricopiar non foss'altro le sue parole senza cangiarne o
traslocarne sillaba, certo che tu mi sapresti grado; diversamente, rincresco persino a me
stesso. Che giova copiare imperfettamente un inimitabile quadro, la cui fama soltanto
lascia più senso che la sua misera copia? E non ti pare ch'io somigli i poeti traduttori
d'Omero? Giacché tu vedi ch'io non mi affatico, che per annacquare il sentimento che
m'infiamma e stemprarlo in un languido fraseggiamento.
Lorenzo, ne sono stanco; il rimanente del mio racconto, domani: il vento imperversa;
tuttavolta vo' tentare il cammino; saluterò Teresa in tuo nome.
Per dio! e' m'è forza di proseguire la lettera: su l'uscio della casa ci è un pantano
d'acqua che mi contrasta il passo: potrei varcarlo d'un salto; e poi? la pioggia non
cessa: mezzogiorno è passato, e mancano poche ore alla notte che minaccia la fine del
mondo. Per oggi, giorno perduto, o Teresa. -
Non sono felice! mi disse Teresa; e con questa parola mi strappò il cuore. Io camminava
al suo fianco in un profondo silenzio. Odoardo raggiunse il padre di Teresa; e ci
precedevano chiacchierando. La lsabellina ci tenea dietro in braccio all'ortolano. Non
sono felice! - io aveva concepito tutto il terribile significato di queste parole, e
gemeva dentro l'anima, veggendomi innanzi la vittima che doveva sacrificarsi a' pregiudizi
ed all'interesse. Teresa, avvedutasi della mia taciturnità, cambiò voce, e tentò di
sorridere: Qualche cara memoria, mi diss'ella - ma chinò subito gli occhi - Io non
m'attentai di rispondere.
Eravamo già presso ad Arquà, e scendendo per l'erboso pendio, andavano sfumando e
perdendosi all'occhio i paeselli che dianzi si vedeano dispersi per le valli soggette. Ci
siamo finalmente trovati a un viale cinto da un lato di pioppi che tremolando lasciavano
cadere sul nostro capo le foglie più giallicce, e adombrato dall'altra parte d'altissime
querce, che con la loro opacità silenziosa faceano contrapposto a quell'ameno verde de'
pioppi. Tratto tratto le due file d'alberi opposti erano congiunte da varij rami di vite
selvatica, i quali incurvandosi formavano altrettanti festoni mollemente agitati dal vento
del mattino. Teresa allora soffermandosi e guardando d'intorno: Oh quante volte, proruppe,
mi sono adagiata su queste erbe e sotto l'ombra freschissima di queste querce! io ci
veniva sovente la state passata con mia madre. Tacque e si rivoltò addietro dicendo di
volere aspettare la Isabellina che si era un po' dilungata da noi; ma io sospettai ch'ella
m'avesse lasciato per nascondere le lagrime che le innondavano gli occhi, e che forse non
poteva più rattenere. Ma, e perché, le diss'io, perché mai non è qui vostra madre? -
Da più settimane vive in Padova con sua sorella; vive divisa da noi e forse per sempre!
Mio padre l'amava: ma da ch'ei s'è pur ostinato a volermi dare un marito ch'io non posso
amare, la concordia è sparita dalla nostra famiglia. La povera madre mia dopo d'avere
contraddetto invano a questo matrimonio, s'è allontanata per non aver parte alla mia
necessaria infelicità. Io intanto sono abbandonata da tutti! ho promesso a mio padre, e
non voglio disubbidirlo - ma e mi duole ancor più, che per mia cagione la nostra famiglia
sia così disunita - per me, pazienza! - E a questa parola, le lagrime le piovevano dagli
occhi. Perdonate, soggiunse, io aveva bisogno di sfogare questo mio cuore angosciato. Non
posso né scrivere a mia madre né avere sue lettere mai. Mio padre fiero e assoluto nelle
sue risoluzioni non vuole sentirsela nominare; egli mi va tuttavia replicando, che la è
la sua e la mia peggiore nemica. Pur sento che non amo, non amerò mai questo sposo col
quale è già decretato - immagina, o Lorenzo, in quel momento il mio stato. Io non
sapeva né confortarla, né risponderle, né consigliarla. Per carità, ripigliò, non
v'affliggete, ve ne scongiuro: io mi sono fidata di voi: il bisogno di trovare chi sia
capace di compiangermi - una simpatia - non ho che voi solo. - O angelo! sì sì! potessi
io piangere per sempre, e rasciugare così le tue lagrime! questa mia misera vita è tua,
tutta: io te la consacro; e la consacro alla tua felicità!
Quanti guai, mio Lorenzo, in una sola famiglia! Vedi ostinazione nel signore T*** che
d'altronde è un ottimo galantuomo. Ama svisceratamente sua figlia; spesso la loda e la
guarda con compiacenza; e intanto le tiene la mannaja sul collo. Teresa qualche giorno
dopo mi raccontò, com'ei dotato d'un'anima ardente visse sempre consumato da passioni
infelici; sbilanciato nella sua domestica economia per troppa magnificenza; perseguitato
da quegli uomini che nelle rivoluzioni piantano la propria fortuna su l'altrui rovina, e
tremante pe' suoi figliuoli, crede di provvedere allo stato di casa sua imparentandosi a
un uomo di senno, ricco, e in aspettativa di una eredità ragguardevole - forse, o
Lorenzo, anche per certo fumo; ed io vorrei scommettere cento contr'uno ch'ei non
lascierebbe in isposa la sua figliuola a chi mancasse mezzo quarto di nobiltà: chi
nasce patrizio muore patrizio. Tanto più che egli considera l'opposizione di sua
moglie come una lesione alla propria autorità, e questo sentimento tirannesco lo rende
ancor più inflessibile. E nondimeno è di ottimo cuore; e quella sua aria sincera, e
quell'accarezzare sempre la sua figliuola e alcuna volta compiangerla sommessamente,
mostrano ch'ei vede gemendo la dolorosa rassegnazione di quella povera fanciulla, ma - E
per questo quand'io veggo come gli uomini cercano per una certa fatalità le sciagure con
la lanterna, e come vegliano, sudano, piangono per fabbricarsele dolorosissime, eterne; io
mi sparpaglierei le cervella temendo che non mi si cacciasse per capo una simile
tentazione.
Ti lascio, o Lorenzo; Michele mi chiama a desinare: tornerò a scriverti, s'altro non
posso, a momenti.
Il mal tempo s'è diradato, e fa il più bel dopo pranzo del mondo. Il Sole squarcia
finalmente le nubi, e consola la mesta Natura, diffondendo su la faccia di lei un suo
raggio. Ti scrivo di rimpetto al balcone donde miro la eterna luce che si va a poco a poco
perdendo nell'estremo orizzonte tutto raggiante di fuoco. L'aria torna tranquilla; e la
campagna, benché allagata, e coronata soltanto d'alberi già sfrondati e cospersa di
piante atterrate pare più allegra che la non era prima della tempesta. Così, o Lorenzo,
lo sfortunato si scuote dalle funeste sue cure al solo barlume della speranza, e inganna
la sua trista ventura, con que' piaceri a' quali era affatto insensibile in grembo alla
cieca prosperità. - Frattanto il dì m'abbandona: odo la campana della sera; eccomi
dunque a dar fine una volta alla mia narrazione.
Noi proseguimmo il nostro breve pellegrinaggio fino a che ci apparve biancheggiar dalla
lunga la casetta che un tempo accoglieva
Quel Grande alla cui fama è angusto il mondo,
Per cui Laura ebbe in terra onor celesti.
Io mi vi sono appressato come se andassi a prostrarmi su le sepolture de' miei padri, e
come uno di que' sacerdoti che taciti e riverenti s'aggiravano per li boschi abitati
dagl'Iddii. La sacra casa di quel sommo italiano sta crollando per la irreligione di chi
possiede un tanto tesoro. Il viaggiatore verrà invano di lontana terra a cercare con
meraviglia divota la stanza armoniosa ancora dei canti celesti del Petrarca. Piangerà
invece sopra un mucchio di ruine coperto di ortiche e di erbe selvatiche fra le quali la
volpe solitaria avrà fatto il suo covile. Italia! placa l'ombre de' tuoi grandi. - Oh! io
mi risovvengo col gemito nell'anima, delle estreme parole di Torquato Tasso. Dopo d'essere
vissuto quaranta sette anni in mezzo a' dileggi de' cortigiani, le noje de' saccenti, e
l'orgoglio de' principi, or carcerato ed or vagabondo, e tuttavia melancolico, infermo,
indigente; giacque finalmente nel letto della morte e scriveva esalando l'eterno sospiro: Io
non mi voglio dolere della malignità della fortuna, per non dire della ingratitudine
degli uomini, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura mendico.
O mio Lorenzo, mi suonano queste parole sempre nel cuore! e' mi par di conoscere chi forse
un giorno morrà ripetendole.
Frattanto io recitava sommessamente con l'anima tutta amore e armonia la canzone: Chiare,
fresche, dolci acque; e l'altra: Di pensier in pensier, di monte in monte; e il
sonetto: Stiamo, Amore, a veder la gloria nostra; e quanti altri di que' sovrumani
versi la mia memoria agitata seppe allora suggerire al mio cuore.
Teresa e suo padre se n'erano iti con Odoardo il quale andava a rivedere i conti al
fattore d'una tenuta ch'egli ha in que' dintorni. Ho poi saputo ch'e' sta sulle mosse per
Roma, stante la morte di un suo cugino; né si sbrigherà così in fretta, perché
essendosi gli altri parenti impadroniti de' beni del morto, l'affare si ridurrà a'
tribunali.
Come tornarono, quella famigliuola d'agricoltori ci allestì da colazione, dopo di che ci
siamo avviati verso casa. Addio, addio. Avrei a narrarti delle altre cose; ma, a dirti il
vero, ti scrivo svogliatamente. - Appunto: mi dimenticava di dirti che, ritornando,
Odoardo accompagnò a passo a passo Teresa e le parlò lungamente quasi importunandola e
con un'aria di volto autorevole. Da alcune poche parole che mi venne fatto d'intendere,
sospetto ch'egli la torturasse per sapere a ogni patto di che abbiamo parlato. Onde tu
vedi ch'io devo diradar le mie visite - almeno finch'ei si parta.
Buona notte, Lorenzo. Serbati questa lettera: quando Odoardo si porterà seco la
felicità, ed io non vedrò più Teresa, né più scherzerà su queste ginocchia la sua
ingenua sorellina, in que' giorni di noja ne' quali ci è caro perfino il dolore,
rileggeremo queste memorie sdrajati su l'erba che guarda la solitudine d'Arquà, nell'ora
che il dì va mancando. La rimembranza che Teresa fu nostra amica rasciugherà il nostro
pianto. Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti gli
anni, che ancora tristi e perseguitati ci avanzano, la memoria che non siamo sempre
vissuti nel dolore.
22 Novembre
Tre giorni, e Odoardo, a dir molto - non sarà qui. Il padre di Teresa lo accompagnerà
sino a' confini. S'era lasciato intendere che m'avrebbe pregato di far seco questa breve
corsa; ma io ne l'ho ringraziato, perché voglio assolutamente partire: andrò a Padova.
Non devo abusare dell'amicizia del signore T*** e della sua buona fede. - Tenete buona
compagnia alle mie figliuole, mi diceva egli questa mattina. A vedere, egli mi reputa
Socrate - me? e con quell'angelica creatura nata per amare, e per essere amata? e così
misera a un tempo! ed io sono sempre in perfetta armonia con gl'infelici, perché -
davvero - io trovo un non so che di cattivo nell'uomo prospero.
Non so com'ei non s'avvegga ch'io parlando della sua figlia mi confondo e balbetto; cangio
viso e sto come un ladro davanti al giudice. In quel punto io m'immergo in certe
meditazioni, e bestemmierei il cielo veggendo in quest'uomo tante doti eccellenti, guaste
tutte da' suoi pregiudizi e da una cieca predestinazione che lo faranno piangere
amaramente. - Così intanto io divoro i miei giorni, querelandomi e de' miei propri mali e
degli altrui.
Eppure me ne dispiace: - spesso rido di me, perché propriamente questo mio cuore non può
sofferire un momento, un solo momento di calma. Purché io sia sempre agitato, per lui non
rileva se i venti gli spirano avversi o propizj. Ove gli manchi il piacere, ricorre tosto
al dolore. Jeri è venuto Odoardo a restituirmi uno schioppetto da caccia ch'io gli aveva
prestato, e a pigliare il buon viaggio da me; non ho potuto vederlo partire senza
gettarmigli al collo tuttoché avessi dovuto veramente imitare la sua indifferenza. Non so
mai di che nome voi altri saggi chiamate chi troppo presto ubbidisce al proprio cuore:
perché di certo non è un eroe; ma è forse vile per questo? Coloro che trattano da
deboli gli uomini appassionati somigliano quel medico che chiamava pazzo un malato non per
altro se non perch'era vinto dalla febbre. Così odo i ricchi tacciare di colpa la
povertà, per la sola ragione che non è ricca. A me però sembra tutto apparenza; nulla
di reale, nulla. Gli uomini non potendo per se stessi acquistare la propria e l'altrui
stima, si studiano d'innalzarsi, paragonando que' difetti che per ventura non hanno, a
quelli che ha il loro vicino. Ma chi non si ubbriaca perché naturalmente odia il vino,
merita egli lode di sobrio?
O tu che disputi pacatamente su le passioni: se le tue fredde mani non trovassero freddo
tutto quello che toccano; se quant'entra nel tuo cuore di ghiaccio non divenisse tosto
gelato; credi tu che andresti così glorioso della tua severa filosofia? or come puoi
ragionare di cose che non conosci?
Per me, lascio che i saggi vantino una infeconda apatia. Ho letto già tempo, non so in
che poeta, che la loro virtù è una massa di ghiaccio che attrae tutto in se stessa e
irrigidisce chi le si accosta. Né Dio sta sempre nella sua maestosa tranquillità; ma
si ravvolge fra gli aquiloni e passeggia con le procelle.
27 Novembre
Odoardo è partito, ed io me n'andrò quando tornerà il padre di Teresa. Buon giorno.
3 Dicembre
Stamattina io me n'andava un po' per tempo alla villa, ed era già presso alla casa T***,
quando mi ha fermato un lontano tintinnio d'arpa. O! io mi sento sorridere l'anima, e
scorrere in tutto me quanta mai voluttà allora m'infondeva quel suono. Era Teresa - come
poss'io immaginarti, o celeste fanciulla, e chiamarti dinanzi a me in tutta la tua
bellezza, senza la disperazione nel cuore! Pur troppo! tu cominci a gustare i primi sorsi
dell'amaro calice della vita, ed io con questi occhi ti vedrò infelice, né potrò
sollevarti se non piangendo! io; io stesso ti dovrò per pietà consigliare a pacificarti
con la tua sciagura.
Certo ch'io non potrei né asserire né negare a me stesso ch'io l'amo; ma se mai, se mai!
- in verità non d'altro che di un amore incapace di un solo pensiero: Dio lo sa! -
Io mi fermava, lì lì, senza batter palpebra, con gli occhi, le orecchie, e i sensi tutti
intenti per divinizzarmi in quel luogo dove l'altrui vista non mi avrebbe costretto ad
arrossire de' miei rapimenti. Ora ponti nel mio cuore, quand'io udiva cantar da Teresa
quelle strofette di Saffo tradotte alla meglio da me con le altre due odi, unici avanzi
delle poesie di quella amorosa fanciulla, immortale quanto le Muse. Balzando d'un salto,
ho trovato Teresa nel suo gabinetto su quella sedia stessa ove io la vidi il primo giorno,
quand'ella dipingeva il proprio ritratto. Era neglettamente vestita di bianco; il tesoro
delle sue chiome biondissime diffuse su le spalle e sul petto, i suoi divini occhi
nuotanti nel piacere, il suo viso sparso di un soave languore, il suo braccio di rose, il
suo piede, le sue dita arpeggianti mollemente, tutto tutto era armonia: ed io sentiva una
nuova delizia nel contemplarla. Bensì Teresa parea confusa, veggendosi d'improvviso un
uomo che la mirava così discinta, ed io stesso cominciava dentro di me a rimproverarmi
d'importunità e di villania: essa tuttavia proseguiva ed io sbandiva tutt'altro
desiderio, tranne quello di adorarla, e di udirla. Io non so dirti, mio caro, in quale
stato allora io mi fossi: so bene ch'io non sentiva più il peso di questa vita mortale.
S'alzò sorridendo e mi lasciò solo. Allora io rinveniva a poco a poco: mi sono
appoggiato col capo su quell'arpa e il mio viso si andava bagnando di lagrime - oh! mi
sono sentito un po' libero.
Padova, 7 Dicembre
Non lo vo' dire; pur temo assai non tu m'abbia pigliato in parola e ti sia maneggiato a
tutto potere per cacciarmi dal mio dolce romitorio. Jeri mi sopravvenne Michele a darmi
avviso da parte di mia madre ch'era già allestito l'alloggio in Padova dov'io aveva detto
altra volta (davvero appena me ne sovviene) di volermi ridurre al riaprirsi della
università. Vero è ch'io avea fatto sacramento di venirci; e te n'ho scritto; ma
aspettava il signore T*** - non per anche tornato. Del resto, ho fatto bene a cogliere il
punto della mia vocazione, e ho abbandonato i miei colli senza dire addio ad anima
vivente. Diversamente, malgrado le tue prediche e i miei proponimenti, non mi sarei
partito mai più: e ti confesso ch'io mi sento un certo che d'amaro nel cuore, e che
spesso mi salta la tentazione di ritornarvi - or via in somma, vedimi in Padova: e presto
a diventar sapientone, acciocché tu non vada tuttavia predicando ch'io mi perdo in
pazzie. Per altro bado di non volermiti opporre quando mi verrà voglia d'andarmene;
perché tu sai ch'io sono nato espressamente inetto a certe cose, massime quando si tratta
di vivere con quel metodo di vita ch'esigono gli studj, a spese della mia pace e del mio
libero genio, o di' pure, ch'io tel perdono, del mio capriccio. Frattanto ringrazia mia
madre, e per minorarle il dispiacere, fa di pronosticarle, così come se la cosa venisse
da te, ch'io qui non troverò lunga stanza per più d'un mese, o poco più.
Padova, 11 Dicembre
Ho conosciuto la moglie del patrizio M*** che abbandona i tumulti di Venezia e la casa del
suo indolente marito per godersi gran parte dell'anno in Padova. Peccato! la sua giovane
bellezza ha già perduto quella vereconda ingenuità che sola diffonde le grazie e
l'amore. Dotta assai nella donnesca galanteria, si studia di piacere non per altro che per
conquistare; così almeno giudico. Tuttavolta, chi sa! Ella sta con me volentieri, e
mormora meco sottovoce sovente, e sorride quando la lodo; tanto più ch'ella non si pasce
come le altre di quell'ambrosia di freddure chiamate be' motti, e frizzi di
spirito, indizj sempre d'animo nato maligno. Ora sappi che jer sera accostando la sua
sedia alla mia, mi parlò d'alcuni miei versi, e innoltrando di mano in mano a ciarlare di
sì fatte inezie, non so come, nominai certo libro di cui ella mi richiese. Promisi di
recarglielo io stamattina; addio - s'avvicina l'ora.
Ore 2
Il paggio m'additò un gabinetto ove innoltratomi appena, mi si fe' incontro una donna di
forse trentacinque anni leggiadramente vestita, e ch'io non avrei presa mai per cameriera
se non mi si fosse appalesata ella stessa, dicendomi - La padrona è a letto ancora: a
momenti uscirà. Un campanello la fe' correre nella stanza contigua ov'era il talamo della
Dea, ed io rimasi a scaldarmi al caminetto, considerando ora una Danae dipinta sul
soffitto, ora le stampe di cui le pareti erano tutte coperte, ed ora alcuni romanzi
francesi gittati qua e là. In questa le porte si schiusero, ed io sentiva l'aere
d'improvviso odorato di mille quintessenze, e vedeva madama tutta molle e rugiadosa
entrarsene presta presta e quasi intirizzita di freddo, e abbandonarsi sovra una sedia
d'appoggio che la cameriera le preparò presso al fuoco. Mi salutava più con le occhiate,
che con la persona - e mi chiedea sorridendo s'io m'era dimenticato della promessa. Io
frattanto le porgeva il libro osservando con meraviglia ch'ella non era vestita che di una
lunga e rada camicia la quale non essendo allacciata radeva quasi il tappeto, lasciando
ignude le spalle e il petto ch'era per altro voluttuosamente difeso da una candida pelle
in cui ella stavasi involta. I suoi capelli benché imprigionati da un pettine, accusavano
il sonno recente; perché alcune ciocche posavano i loro ricci or sul collo, or fin dentro
il seno, quasi che quelle picciole liste nerissime dovessero servire agli occhi inesperti
di guida; ed altre calando giù dalla fronte le ingombravano le pupille; essa frattanto
alzava le dita per diradarle e talvolta per avvolgerle e rassettarle meglio nel pettine,
mostrando in questo modo, forse sopra pensiero, un braccio bianchissimo e tondeggiante
scoperto dalla camicia che nell'alzarsi della mano cascava fin'oltre il gomito. Posando
sopra un piccolo trono di guanciali si volgeva con compiacenza al suo cagnuolino che le si
accostava e fuggiva e correva torcendo il dosso e scuotendo le orecchie e la coda. Io mi
posi a sedere sopra una seggiola avvicinata dalla cameriera che si era già dileguata.
Quell'adulatrice bestiuola schiattiva, e mordendole e scompigliandole, quasi avesse
intenzione, con le zampine gli orli della camicia, lasciava apparire una gentile pianella
di seta rosa-languida, e poco dopo un picciolo piede, o Lorenzo, simile a quello che
l'Albano dipingerebbe a una Grazia ch'esce dal bagno. O! se tu avessi, com'io, veduto
Teresa nell'atteggiamento medesimo, presso un focolare, anch'ella appena balzata di letto,
così discinta, così - chiamandomi a mente quel fortunato mattino mi ricordo che non
avrei osato respirar l'aria che la circondava, e tutti tutti i miei pensieri si univano
riverenti e paurosi soltanto per adorarla - e certo un genio benefico mi presentò la
immagine di Teresa; perch'io, non so come, ebbi l'arte di guardare con un rattenuto
sorriso il cagnuolino, e la bella, poi il cagnuolino, e di bel nuovo il tappeto ove posava
il bel piede; ma il bel piede era intanto sparito. M'alzai chiedendole perdono ch'io fossi
venuto fuor d'ora; e la lasciai quasi pentita - certo; di gaja e cortese si fe' un po'
contegnosa - del resto non so. Quando fui solo, la mia ragione, che è in perpetua lite
con questo mio cuore, mi andava dicendo: Infelice! temi soltanto di quella beltà che
partecipa del celeste: prendi dunque partito, e non ritrarre le labbra dal contravveleno
che la fortuna ti porge. Lodai la ragione; ma il cuore aveva già fatto a suo modo. -
T'accorgerai che questa lettera la è ricopiata, perch'io ho voluto sfoggiare lo bello
stile.
O! la canzoncina di Saffo! io vado canticchiandola scrivendo, passeggiando, leggendo: né
così io vaneggiava, o Teresa, quando non mi era conteso di poterti vedere e udire:
pazienza! undici miglia ed eccomi a casa; e poi altre due; e poi? - Quante volte mi sarei
fuggito da questa terra se il timore di non essere dalle mie disavventure strascinato
troppo lontano da te, non mi trattenesse in tanto pericolo? qui siamo almeno sotto lo
stesso cielo.
P.S. Ricevo in questo momento tue lettere - e torna, Lorenzo! la è pure la quinta volta
che tu mi tratti da innamorato: innamorato sì, e che perciò? Ho veduto di molti
innamorarsi della Venere Medicea, della Psiche, e perfin della Luna o di qualche stella
lor favorita. E tu stesso non eri talmente entusiasta di Saffo, che pretendevi ravvisarne
il ritratto nella più bella donna che tu conoscessi, trattando da maligni e ignoranti
coloro che la dipingono piccola, bruna, e bruttina anzi che no?
Fuor di scherzo: conosco d'essere un cervello bizzarro, e stravagante fors'anche; ma
dovrò perciò vergognarmi? di che? - da più dì tu mi vuoi cacciar per la testa il
grillo di arrossire: ma, salva la tua grazia, io non so, né posso, né devo arrossire di
cosa alcuna rispetto a Teresa, né pentirmi, né dolermi. - E viviti lieto.
Padova
Di questa lettera si sono smarrite due carte dove Jacopo narrava certo dispiacere a cui
per la sua natura veemente e pe' suoi modi assai schietti andò incontro. L'editore,
propostosi di pubblicare religiosamente l'autografo, crede acconcio d'inserire ciò che di
tutta la lettera gli rimane, tanto più che da questo si può quasi desumere quello che
manca.
manca la prima carta.
...
... riconoscente de' beneficj, sono riconoscentissimo anche delle ingiurie; e nondimeno
tu sai quante volte io le ho perdonate: ho beneficato chi mi ha offeso; e talora ho
compianto chi mi ha tradito. Ma le piaghe fatte al mio onore, Lorenzo! - doveano essere
vendicate. Io non so che ti abbiano scritto, né ho cura di saperlo. Ma quando mi
s'affacciò quello sciagurato, quantunque da tre anni quasi io non lo rivedeva, m'intesi
ardere tutte le membra; eppur mi contenni. Ma doveva egli con nuovi frizzi inasprire
l'antico mio sdegno? Io ruggiva quel giorno come un leone, e mi pareva che l'avrei
sbranato, anche se l'avessi trovato nel santuario.
Due giorni dopo, il codardo scansò le vie dell'onore, ch'io gli aveva esibite; e tutti
gridavano la crociata contro di me, come s'io avessi dovuto tranguggiarmi pacificamente
una ingiuria da colui, che ne' tempi addietro mi aveva mangiato la metà del cuore. Questa
galante gentaglia affetta generosità, perché non ha coraggio di vendicarsi a visiera
alzata; ma chi vedesse i notturni pugnali, e le calunnie, e le brighe! - E dall'altra
parte io non l'ho soperchiato. Gli dissi: Voi avete braccia, e petto al pari di me, ed io
sono mortale come voi. Ei pianse, e gridò; ed allora la ira, quella furia mia
dominatrice, cominciò ad ammansarsi, perché dall'avvilimento di lui mi accorsi che il
coraggio non deve dare diritto per opprimere il debole. Ma deve per questo il debole
provocare chi sa trarne vendetta? Credimi: ci vuole una stupida bassezza o una sovrumana
filosofia per lasciarsi a beneplacito d'un nemico che ha faccia impudente, anima negra, e
mano tremante.
Frattanto l'occasione mi ha smascherato tutti que' signorotti, che mi giuravano sviscerata
amicizia; che ad ogni mia parola faceano le meraviglie; e che ad ogni ora mi proferivano
la loro borsa e il lor cuore. Sepolture! bei marmi, e pomposi epitaffi: ma schiudili, vi
trovi vermi e fetore. Pare a te, mio Lorenzo, che se l'avversità ci riducesse a domandar
del pane, vi sarebbe taluno memore delle sue promesse? o nessuno, o qualche astuto
soltanto, che co' suoi beneficj vorrebbe comperare il nostro avvilimento. Amici da
bonaccia, nelle burrasche ti annegano. Per costoro tutto è calcolo in fondo. Onde se v'ha
taluno nelle cui viscere fremano le generose passioni, o le deve strozzare, o rifuggirsi
come le aquile e le fiere magnanime ne' monti inaccessibili e nelle foreste lungi dalla
invidia e dalla vendetta degli uomini. Le sublimi anime passeggiano sopra le teste della
moltitudine che oltraggiata dalla loro grandezza tenta d'incatenarle o di deriderle, e
chiama pazzie le azioni ch'essa immersa nel fango non può, non che ammirare, conoscere. -
Io non parlo di me; ma quand'io ripenso agli ostacoli che frappone la società al genio ed
al cuore dell'uomo, e come ne' governi licenziosi o tirannici tutto è briga, interesse e
calunnia - io m'inginocchio a ringraziar la Natura che dotandomi di questa indole, nemica
di ogni servitù, mi ha fatto vincere la fortuna e mi ha insegnato a innnalzarmi sopra la
mia educazione. So che la prima, sola, vera scienza è questa dell'uomo la quale non si
può studiare nella solitudine, e ne' libri: e so che ognuno dee prevalersi della propria
fortuna, o dell'altrui per camminare con qualche sostegno su i precipizj della vita. Sia:
per me, pavento d'essere ingannato da chi saprebbe ammaestrarmi, precipitato da quella
stessa fortuna che potrebbe innalzarmi; e battuto dalla mano che avrebbe tanto vigore da
sostenermi...
manca un'altra carta.
...
... s'io fossi nuovo: ma ho sentito fieramente tutte le passioni, né potrei vantarmi
intatto da tutti i vizj. È vero, che nessun vizio mi ha vinto mai, e ch'io in questo
terrestre pellegrinaggio sono d'improvviso trapassato dai giardini ai deserti: ma insieme
confesso che i miei ravvedimenti nacquero da un certo sdegno orgoglioso, e dalla
disperazione di trovare la gloria e la felicità a cui da' primi anni io agognava. S'io
avessi venduta la fede, rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno, credi tu ch'io
non vivrei più onorato e tranquillo? Ma gli onori e la tranquillità del mio secolo
guasto meritano forse di essere acquistati col sagrificio dell'anima? Forse più che
l'amore della virtù, il timore della bassezza m'ha rattenuto alle volte da quelle colpe,
che sono rispettate ne' potenti, tollerate ne' più, ma che per non lasciare senza vittime
il simulacro della giustizia sono punite nei miseri. No; né umana forza, né prepotenza
divina mi faranno recitare mai nel teatro del mondo la parte del piccolo briccone. Per
vegliare le notti nel gabinetto delle belle più illustri, ben io mi so che conviene
professare libertinaggio, perché le vogliono mantenersi in riputazione dove sospettano
ancora il pudore. E taluna m'addottrinò nelle arti della seduzione, e mi confortò al
tradimento - e avrei forse tradito e sedotto; ma il piacere ch'io ne sperava scendeva
amarissimo dentro il mio cuore, il quale non ha saputo mai pacificarsi co' tempi, o far
alleanza con la ragione. E però tu mi udivi assai volte esclamare che tutto dipende
dal cuore! - dal cuore che né gli uomini né il cielo, né i nostri medesimi
interessi possono cangiar mai.
Nella Italia più culta, e in alcune città della Francia ho cercato ansiosamente il
bel mondo ch'io sentiva magnificare con tanta enfasi: ma dappertutto ho trovato volgo
di nobili, volgo di letterati, volgo di belle, e tutti sciocchi, bassi, maligni; tutti. Mi
sono intanto sfuggiti que' pochi che vivendo negletti fra il popolo o meditando nella
solitudine serbano rilevati i caratteri della loro indole non ancora strofinata. Intanto
io correva di qua, di là, di su, di giù come le anime de' scioperati cacciate da Dante
alle porte dell'inferno, non reputandole degne di starsi fra' perfetti dannati. In tutto
un anno sai tu che raccolsi? ciance, vituperj, e noja mortale. - E qui dond'io guardava il
passato tremando, e mi rassicurava, credendomi in porto, il demonio mi strascina a sì
fatti malanni. - Or tu vedi ch'io debbo drizzar gli occhi miei al raggio di salute che il
Cielo mi ha presentato. Ma ti scongiuro, lascia andare l'usata predica: Jacopo Jacopo!
questa tua indocilità ti fa divenire misantropo. E' ti pare che se odiassi gli
uomini, mi dorrei come fo' de' lor vizj? tuttavia poiché non so riderne, e temo di
rovinare, io stimo migliore partito la ritirata. E chi mi affida dall'odio di questa razza
d'uomini tanto da me diversa? né giova disputare per iscoprire per chi stia la ragione:
non lo so; né la pretendo tutta per me. Quello che importa, si è (e tu in ciò sei
d'accordo) che questa indole mia altera, salda, leale; o piuttosto ineducata, caparbia,
imprudente, e la religiosa etichetta che veste d'una stessa divisa tutti gli esterni
costumi di costoro, non si confanno; e davvero io non mi sento in umore di mutar abito.
Per me dunque è disperata perfino la tregua, anz'io sono in aperta guerra, e la sconfitta
è imminente; poiché non so neppure combattere con la maschera della dissimulazione, virtù
d'assai credito e di maggiore profitto. Ve' la gran presunzione! io mi reputo meno brutto
degli altri e sdegno perciò di contraffarmi; anzi buono o reo ch'io mi sia, ho la
generosità, o di' pure la sfrontatezza, di presentarmi nudo, e quasi quasi come sono
uscito dalle mani della Natura. Che se talvolta io dico fra me: Pensi tu che la verità in
bocca tua sia men temeraria? io da ciò ne desumo che sarei matto se avendo trovato nella
mia solitudine la tranquillità de' Beati, i quali s'imparadisano nella contemplazione del
sommo bene, io per non istare a rischio d'innamorarmi (ecco la tua solita antifona)
mi commettessi alla discrezione di questa ciurma cerimoniosa e maligna.
Padova, 23 Dicembre
Questo scomunicato paese m'addormenta l'anima, nojata della vita: tu puoi garrirmi a tua
posta, in Padova non so che farmi: se tu vedessi con che faccia sguajata mi sto qui
scioperando e durando fatica a incominciarti questa meschina lettera! - Il padre di Teresa
è tornato a' colli e mi ha scritto; gli ho risposto dandogli avviso che fra non molto ci
rivedremo; e mi pare mill'anni.
Questa università (come saranno, pur troppo, tutte le università della terra!) è per lo
più composta di professori orgogliosi e nemici fra loro, e di scolari dissipatissimi. Sai
tu perché fra la turba de' dotti gli uomini sommi son così rari? Quello istinto ispirato
dall'alto che costituisce il GENIO non vive se non se nella indipendenza e nella
solitudine, quando i tempi vietandogli d'operare, non gli lasciano che lo scrivere. Nella
società si legge molto, non si medita, e si copia; parlando sempre, si svapora quella
bile generosa che fa sentire, pensare, e scrivere fortemente: per balbettar molte lingue,
si balbetta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranieri e a noi stessi:
dipendenti dagl'interessi, dai pregiudizj, e dai vizj degli uomini fra' quali si vive, e
guidati da una catena di doveri e di bisogni, si commette alla moltitudine la nostra
gloria, e la nostra felicità: si palpa la ricchezza e la possanza, e si paventa perfino
di essere grandi perché la fama aizza i persecutori, e l'altezza di animo fa sospettare i
governi; e i principi vogliono gli uomini tali da non riescire né eroi, né incliti
scellerati mai. E però chi in tempi schiavi è pagato per istruire, rado o non mai si
sacrifica al vero e al suo sacrosanto istituto; quindi quell'apparato delle lezioni
cattedratiche le quali ti fanno difficile la ragione e sospetta la verità. - Se non ch'io
d'altronde sospetto che gli uomini tutti sieno altrettanti ciechi che viaggiano al bujo,
alcuni de' quali si schiudano le palpebre a fatica immaginando di distinguere le tenebre
fra le quali denno pur camminar brancolando. Ma questo sia per non detto: e' ci sono certe
opinioni che andrebbero disputate con que' pochi soltanto che guardano le scienze col
sogghigno con che Omero guardava le gagliardie delle rane e de' topi.
A questo proposito: vuoi tu darmi retta una volta? or che Dio mandò il compratore, vendi
in corpo e in anima tutti i miei libri. Che ho da fare di quattro migliaja e più di
volumi ch'io non so né voglio leggere? Preservami que' pochissimi che tu vedrai ne'
margini postillati di mia mano. O come un tempo io m'affannava profondendo co' librai
tutto il mio! ma questa pazzia la non se n'è ita se non per cedere forse luogo ad
un'altra. Il danaro dàllo a mia madre. Cercando di rifarla di tante spese - io non so
come, ma, a dirtela, darei fondo a un tesoro - questo ripiego mi è sembrato il più
spiccio. I tempi diventano sempre più calamitosi, e non è giusto che quella povera donna
meni per me disagiata la poca vita che ancora le avanza. Addio.
Da' colli Euganei, 3 Gennajo 1798
Perdona; ti credeva più savio. - Il genere umano è questo branco di ciechi che tu vedi
urtarsi, spingersi, battersi, e incontrare o strascinarsi dietro la inesorabile fatalità.
A che dunque seguire, o temere ciò che ti deve succedere?
M'inganno? l'umana prudenza può rompere questa catena invisibile di casi e d'infiniti
minimi accidenti che noi chiamiamo destino? sia: ma può ella per questo mettere sicuro lo
sguardo fra le ombre dell'avvenire? O! tu nuovamente mi esorti a fuggire Teresa; e gli è
come dirmi: Abbandona ciò che ti fa cara la vita; trema del male, e t'imbatti nel peggio.
Ma poniamo ch'io paventando il pericolo da prudente, dovessi chiudere l'anima mia a ogni
barlume di felicità, tutta la mia vita non somiglierebbe forse le austere giornate di
questa nebbiosa stagione, le quali ci fanno desiderare di poter non esistere fin tanto
ch'esse rattristano la Natura? Di' il vero, Lorenzo; or non saria meglio che parte almeno
del mattino fosse confortata dal raggio del Sole anche a patti che la notte si rapisse il
dì innanzi sera? Che s'io dovessi far sempre la guardia a questo mio cuore prepotente,
sarei con me stesso in eterna guerra, e senza pro. Navigherò per perduto, e vada come sa
andare. - Intanto io
Sento l'aura mia antica, e i dolci colli |
Veggo apparir! |
10 Gennajo
Odoardo spera distrigato il suo affare tra un mese; così scrive: tornerà dunque, a dir
tardi, a primavera. - Allora sì, verso ai primi d'Aprile, crederò ragionevole di
partirmi.
19 Gennajo
Umana vita? sogno; ingannevole sogno al quale noi pur diam sì gran prezzo, siccome le
donnicciuole ripongono la loro ventura nelle superstizioni e ne' presagj! Bada; ciò cui
tu stendi avidamente la mano è un'ombra forse, che mentre è a te cara, a tal altro è
nojosa. Sta dunque tutta la mia felicità nella vota apparenza delle cose che ora
m'attorniano; e s'io cerco alcun che di reale, o torno a ingannarmi, o spazio attonito e
spaventato nel nulla! Io non lo so; ma, per me, temo che Natura abbia costituito la nostra
specie quasi minimo anello passivo dell'incomprensibile suo sistema, dotandone di cotanto
amor proprio, perché il sommo timore e la somma speranza creandoci nella immaginazione
una infinita serie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre affannati di questa
esistenza breve, dubbia, infelice. E mentre noi serviamo ciecamente al suo fine, essa ride
del nostro orgoglio che ci fa reputare l'universo creato solo per noi, e noi soli degni e
capaci di dar leggi al creato.
Andava dianzi perdendomi per le campagne, inferrajuolato sino agli occhi, considerando lo
squallore della terra tutta sepolta sotto le nevi, senza erba né fronda che mi attestasse
le sue passate dovizie. Né potevano gli occhi miei lungamente fissarsi su le spalle de'
monti, il vertice de' quali era immerso in una negra nube di gelida nebbia che piombava ad
accrescere il lutto dell'aere freddo ed ottenebrato. E parevami vedere quelle nevi
disciogliersi e precipitare a torrenti che innondavano il piano, trascinandosi
impetuosamente piante, armenti, capanne, e sterminando in un giorno le fatiche di tanti
anni, e le speranze di tante famiglie. Trapelava di quando in quando un raggio di Sole, il
quale quantunque restasse poi soverchiato dalla caligine, lasciava pur divedere che sua
mercé soltanto il mondo non era dominato da una perpetua notte profonda. Ed io
rivolgendomi a quella parte di cielo che albeggiando manteneva ancora le tracce del suo
splendore: - O Sole, diss'io, tutto cangia quaggiù! E verrà giorno che Dio ritirerà il
suo sguardo da te, e tu pure sarai trasformato; né più allora le nubi corteggeranno i
tuoi raggi cadenti; né più l'alba inghirlandata di celesti rose verrà cinta di un tuo
raggio su l'oriente ad annunziar che tu sorgi. Godi intanto della tua carriera, che sarà
forse affannosa, e simile a questa dell'uomo; tu 'l vedi; l'uomo non gode de' suoi giorni;
e se talvolta gli è dato di passeggiare per li fiorenti prati d'Aprile, dee pur sempre
temere l'infocato aere dell'estate, e il ghiaccio mortale del verno.
22 Gennajo
Così va, caro amico: - stavami al focolare del mio castaldo, dove alcuni villani de'
contorni s'adunano a crocchio a scaldarsi, contandosi le loro novelle e le antiche
avventure. Entrò una ragazza scalza, assiderata, e fattasi all'ortolano, lo richiese
della limosina per la povera vecchia. Mentre la si stava rifocillando al fuoco, esso le
preparava due fasci di legna e due pani bigi. La villanella se li pigliò, e salutandoci,
uscì. Usciva io pure, e senz'avvedermi, la seguitava calcando dietro le sue peste la
neve. Giunta a un mucchio di ghiaccio, si soffermò esaminando con gli occhi un altro
sentiero, ed io raggiungendola: - Andate voi lontano ragazza? - Signor mio, no; un mezzo
miglio. - Pur que' due fasci vi fanno camminare a disagio; lasciatene portare uno anche a
me. - I fasci tanto non mi darebbero noja se me li potessi reggere sulla spalla con tutte
due le braccia; ma questi due pani m'intrigano. - Or via, porterò i pani. - Non fiatò, e
la si fe' tutta rossa, e mi porse i pani ch'io mi riposi sotto il tabarro. Dopo breve ora
entrammo in una capannuccia. Sedeva in un cantuccio una vecchierella con un caldano fra
piedi pieno di brace smorzata sovra le quali stendeva le palme, appoggiando i polsi su le
estremità de' ginocchi. - Buongiorno, madre. - Buongiorno. - Come state voi, madre? - Né
a questa, né a dieci altre interrogazioni mi fu possibile d'impetrare risposta;
perch'essa attendeva a riscaldarsi le mani, alzando gli occhi di quando in quando come per
vedere se eravamo ancora partiti. Posammo trattanto quelle poche provvisioni, e la
vecchia, senza più guardar noi, le stava considerando con occhio mobile: e a' nostri
saluti e alle promesse di ritornare domani, la non rispose se non se un'altra volta quasi
per forza - Buongiorno.
Ravviandoci verso casa, la villanella mi raccontava, come quella donna ad onta di forse
ottanta anni e più, e di una difficilissima vita, perché talvolta avveniva che i
temporali vietavano a' contadini di recarle la limosina che le raccoglievano, in guisa che
vedevasi sul punto di perire d'inedia, pur nondimeno tremava tuttavia di morire e
borbottava sempre sue preci perché il cielo la tenesse ancor viva. Ho poi udito dire a'
vecchi del contado, che da molti anni le morì di un'archibugiata il marito dal quale ebbe
figliuoli e figliuole, e poi generi, nuore e nipoti ch'essa vide tutti perire e cascarle
l'un dopo l'altro a' piedi nell'anno memorabile della fame. - Eppur, fratel mio, né i
passati né i presenti mali la uccidono, e si palpa ancora una vita che nuota sempre in un
mar di dolore.
Ahi dunque! tanti affanni assediano la nostra vita, che a mantenerla vuolsi non meno che
un cieco istinto prepotente per cui (quantunque la Natura ci spiani i mezzi da
liberarcene) siamo spesso forzati a comperarla con l'avvilimento, col pianto, e talvolta
ancor col delitto!
17 Marzo
Da due mesi non ti do segno di vita, e tu ti se' sgomentato; e temi ch'io sia vinto
oggimai dall'amore da dimenticarmi di te e della patria. Fratel mio Lorenzo, tu
conosci pur poco me e il cuore umano ed il tuo, se presumi che il desiderio di patria
possa temperarsi mai, non che spegnersi; se credi che ceda ad altre passioni - ben irrita
le altre passioni, e n'è più irritato; ed è pur vero, e in questo hai detto pur bene! L'amore
in un'anima esulcerata, e dove le altre passioni sono disperate, riesce onnipotente -
e io lo provo; ma che riesca funesto, t'inganni: senza Teresa, io sarei forse oggi
sotterra.
La Natura crea di propria autorità tali ingegni da non poter essere se non generosi;
venti anni addietro sì fatti ingegni si rimanevano inerti ed assiderati nel sopore
universale d'Italia: ma i tempi d'oggi hanno ridestato in essi le virili e natie loro
passioni; ed hanno acquistato tal tempra, che spezzarli puoi, piegarli non mai. E non è
sentenza metafisia questa: la è verità che splende nella vita di molti antichi mortali
gloriosamente infelici: verità di cui mi sono accertato convivendo fra molti nostri
concittadini: e li compiango insieme e gli ammiro; da che, se Dio non ha pietà
dell'Italia, dovranno chiudere nel loro secreto il desiderio di patria - funestissimo!
perché o strugge, o addolora tutta la vita; e nondimeno anziché abbandonarlo, avranno
cari i pericoli, e quell'angoscia, e la morte. Ed io mi sono uno di questi; e tu, mio
Lorenzo.
Ma s'io scrivessi intorno a quello ch'io vidi, e so delle cose nostre, farei cosa
superflua e crudele ridestando in voi tutti il furore che vorrei pur sopire dentro di me:
piango, credimi, la patria - la piango secretamente, e desidero,
Che le lagrime mie si spargan sole
Un'altra specie d'amatori d'Italia si quereli ad altissima voce a sua posta. Esclamano
d'essere stati venduti e traditi: ma se si fossero armati sarebbero stati vinti forse, non
mai traditi; e se si fossero difesi sino all'ultimo sangue, né i vincitori avrebbero
potuto venderli, né i vinti si sarebbero attentati di comperarli. Se non che moltissimi
de' nostri presumono che la libertà si possa comperare a danaro; presumono che le nazioni
straniere vengano per amore dell'equità a trucidarsi scambievolmente su' nostri campi
onde liberare l'Italia! Ma i francesi che hanno fatto parere esecrabile la divina teoria
della pubblica libertà, faranno da Timoleoni in pro nostro? - Moltissimi intanto si
fidano nel Giovine Eroe nato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idioma. Io
da un animo basso e crudele, non m'aspetterò mai cosa utile ed alta per noi. Che importa
ch'abbia il vigore e il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se ne compiace? Sì;
basso e crudele - né gli epiteti sono esagerati. A che non ha egli venduto Venezia con
aperta e generosa ferocia? Selim I che fece scannare sul Nilo trenta mila guerrieri
Circassi arresisi alla sua fede, e Nadir Schah che nel nostro secolo trucidò trecento
mila Indiani, sono più atroci, bensì meno spregevoli. Vidi con gli occhi miei una
costituzione democratica postillata dal Giovine Eroe, postillata di mano sua, e mandata da
Passeriano a Venezia perché s'accettasse; e il trattato di Campo Formio era già da più
giorni firmato e Venezia era trafficata; e la fiducia che l'Eroe nutriva in noi tutti ha
riempito l'Italia di proscrizioni, d'emigrazioni, e d'esilii. - Non accuso la ragione di
stato che vende come branchi di pecore le nazioni: così fu sempre, e così sarà: piango
la patria mia,
Che mi fu tolta, e il modo ancor m'offende.
Nasce italiano, e soccorrerà un giorno alla patria: - altri sel creda; io
risposi, e risponderò sempre: La Natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda
a patria; e non l'ha.
Alcuni altri de' nostri, veggendo le piaghe d'Italia, vanno pur predicando doversi sanarle
co' rimedi estremi necessari alla libertà. Ben è vero, l'Italia ha preti e frati; non
già sacerdoti: perché dove la religione non è inviscerata nelle leggi e ne' costumi
d'un popolo, l'amministrazione del culto è bottega. L'Italia ha de' titolati quanti ne
vuoi; ma non ha propriamente patrizj: da che i patrizj difendono con una mano la
repubblica in guerra, e con l'altra la governano in pace; e in Italia sommo fasto de'
nobili è il non fare e il non sapere mai nulla. Finalmente abbiamo plebe; non già
cittadini; o pochissimi. I medici, gli avvocati, i professori d'università, i letterati,
i ricchi mercatanti, l'innumerabile schiera degl'impiegati fanno arti gentili essi dicono,
e cittadinesche; non però hanno nerbo e diritto cittadinesco. Chiunque si guadagna sia
pane, sia gemme con l'industria sua personale, e non è padrone di terre, non è se non
parte di plebe; meno misera, non già meno serva. Terra senza abitatori può stare; popolo
senza terra, non mai: quindi i pochi signori delle terre in Italia, saranno pur sempre
dominatori invisibili ed arbitri della nazione. Or di preti e frati facciamo de'
sacerdoti; convertiamo i titolati in patrizj; i popolani tutti, o molti almeno, in
cittadini abbienti, e possessori di terre - ma badiamo! senza carnificine; senza riforme
sacrileghe di religione; senza fazioni; senza proscrizioni né esilii; senza ajuto e
sangue e depredazioni d'armi straniere; senza divisione di terre; né leggi agrarie; né
rapine di proprietà famigliari - da che se mai (a quanto intesi ed intendo) se mai questi
rimedi necessitassero a liberarne dal nostro infame perpetuo servaggio, io per me non so
cosa mi piglierei - né infamia, né servitù: ma neppur essere esecutore di sì crudeli e
spesso inefficaci rimedi - se non che all'individuo restano molte vie di salute; non fosse
altro il sepolcro: - ma una nazione non si può sotterrar tuttaquanta. E però, se
scrivessi, esorterei l'Italia a pigliarsi in pace il suo stato presente, e a lasciare alla
Francia la obbrobriosa sciagura di avere svenato tante vittime umane alla Libertà - su le
quali la tirannide de' Cinque, o de' Cinquecento, o di Un solo - torna tutt'uno - hanno
piantato e pianteranno i lor troni; e vacillanti di minuto in minuto, come tutti i troni
che hanno per fondamenta i cadaveri.
Il lungo tempo da che non ti scrivo non è corso perduto per me; credo invece d'avere
guadagnato anche troppo - ma guadagni fatali! Il sigoore T*** ha moltissimi libri di
filosofia politica, e i migliori storici del mondo moderno: e tra per non volermi trovare
assai spesso vicino a Teresa, tra per noja e per curiosità, due vigili istigatrici del
genere umano - mi son fatto mandare que' libri; e parte n'ho letto, parte ne ho
scartabellato, e mi furono tristi compagni di questa vernata. Certo che più amabile
compagnia mi parvero gli uccelletti i quali cacciati per disperazione dal freddo a
cercarsi alimento vicino alle abitazioni degli uomini loro nemici, si posavano a famiglie
e a tribù sul mio balcone dov'io apparecchiava loro da desinare e da cena - ma forse ora
che va cessando il loro bisogno non mi visiteranno mai più. Intanto dalle mie lunghe
letture ho raccolto: Che il non conoscere gli uomini è pur cosa pericolosa; ma il
conoscerli quando non s'ha cuore da volerli ingannare è pur cosa funesta! Ho raccolto:
Che le molte opinioni de' molti libri, e le contraddizioni storiche, t'inducono al
pirronismo e ti fanno errare nella confusione, e nel caos, e nel nulla: ond'io, a chi mi
stringesse o di sempre leggere, o di non leggere mai, mi torrei di non leggere mai; e
così forse farò. Ho raccolto: Che abbiamo tutti passioni vane com'è appunto la vanità
della vita; e che nondimeno sì fatta vanità è la sorgente de' nostri errori, del nostro
pianto, e de' nostri delitti.
Pur nondimeno io mi sento rinsanguinare più sempre all'anima questo furore di patria: e
quando penso a Teresa - e se spero - rientro in un subito in me assai più costernato di
prima; e ridico: Quand'anche l'amica mia fosse madre de' miei figliuoli, i miei figliuoli
non avrebbero patria; e la cara campagna della mia vita se n'accorgerebbe gemendo. - Pur
troppo! alle altre passioni che fanno alle giovinette sentire sull'aurora del loro giorno
fuggitivo i dolori, e più assai alle giovinette italiane, s'è aggiunto questo infelice
amore di patria. Ho sviato il signore T*** da' discorsi di politica, de' quali si
appassiona - sua figlia non apriva mai bocca: ma io pur m'avvedeva come le angosce di suo
padre e le mie si rovesciavano nelle viscere di quella fanciulla. Tu sai che non è
femminetta volgare: e prescindendo anche da' suoi interessi - da che in altri tempi
avrebbero potuto eleggersi altro marito - è dotata d'animo altero, e di signorili
pensieri. E vede quanto m'è grave quest'ozio di oscuro e freddo egoista in cui logoro
tutti i miei giorni - davvero, Lorenzo; anche tacendo, io paleso che sono misero e vile
dinanzi a me stesso. La volontà forte e la nullità di potere in chi sente una passione
politica lo fanno sciaguratissimo dentro di sé: e se non tace, lo fanno parere ridicolo
al mondo; si fa la figura di paladino da romanzo e d'innamorato impotente della propria
città. Quando Catone s'uccise, un povero patrizio, chiamato Cozio, lo imitò: l'uno fu
ammirato perché aveva prima tentato ogni via a non servire; l'altro fu deriso perché per
amore della libertà non seppe far altro che uccidersi.
Ma qui stando, non foss'altro co' miei pensieri, presso a Teresa - perch'io regno ancor
tanto sopra di me, ch'io lascio passare tre e quattro giorni senza vederla - pur il solo
ricordarmene mi fa provare un foco soave, un lume, una consolazione di vita - breve forse,
ma divina dolcezza - e così mi preservo per ora dalla assoluta disperazione.
E quando sto seco - ad altri forse nol crederesti, o Lorenzo, a me sì - allora non le
parlo d'amore. È mezz'anno oramai da che l'anima sua s'è affratellata alla mia, e non ha
mai inteso uscire fuor delle mie labbra la certezza ch'io l'amo. - Ma e come non può
esserne certa? - Suo padre giuoca meco a scacchi le intere serate: essa lavora seduta
accanto a quel tavolino, silenziosissima, se non quanto parlano gli occhi suoi; ma di
rado: e chinandosi a un tratto non mi domandano che pietà. - E qual altra pietà posso
mai darle, da questa in fuori di tenerle, quanto avrò forza, tenerle occulte come più
potrò tutte le mie passioni? Né io vivo se non per lei sola: e quando anche questo mio
nuovo sogno soave terminerà, io calerò volentieri il sipario. La gloria, il sapere, la
gioventù, le ricchezze, la patria, tutti fantasmi che hanno fino ad or recitato nella mia
commedia, non fanno più per me. Calerò il sipario; e lascierò che gli altri mortali
s'affannino per accrescere i piaceri e menomare i dolori d'una vita che ad ogni minuto
s'accorcia, e che pure que' meschini se la vorrebbero persuadere immortale.
Eccoti con l'usato disordine, ma con insolita pacatezza risposto alla tua lunga
affettuosissima lettera: tu sai dire assai meglio le tue ragioni: - io le mie le sento
troppo; però pajo ostinato. - Ma s'io ascoltassi più gli altri che me, rincrescerei
forse a me stesso: - e nel non rincrescere a sé, sta quel po' di felicità che l'uomo
può sperar su la terra.
3 Aprile
Quando l'anima è tutta assorta in una specie di beatitudine, le nostre deboli facoltà
oppresse dalla somma del piacere diventano quasi stupide, mute, e inette ad ogni fatica.
Che s'io non menassi una vita da santo, le mie lettere ti capiterebbero innanzi più
spesse. Se le sventure raggravano il carico della vita, noi corriamo a farne parte a
qualche infelice; ed egli spreme conforto dal sapere che non è il solo dannato alle
lagrime. Ma se lampeggia qualche momento di felicità, noi ci concentriamo tutti in noi
stessi, temendo che la nostra ventura possa, partecipandosi, diminuirsi; o l'orgoglio
nostro soltanto ci consiglia a menarne trionfo. E poi sente assai poco la propria
passione, o lieta o trista che sia, chi sa troppo minutamente descriverla. - Intanto la
Natura ritorna bella - quale dev'essere stata quando nascendo la prima volta dall'informe
abisso del caos, mandò foriera la ridente Aurora di Aprile; ed ella abbandonando i suoi
biondi capelli su l'oriente, e cingendo poi a poco a poco l'universo del roseo suo manto,
diffuse benefica le fresche rugiade, e destò l'alito vergine de' venticelli per
annunciare ai fiori, alle nuvole, alle onde e agli esseri tutti che la salutavano, il
Sole: il Sole! sublime immagine di Dio, luce, anima, vita di tutto il creato.
6 Aprile
È vero; troppo! - questa mia fantasia mi dipinge così realmente la felicità ch'io
desidero, e me la pone davanti agli occhi, e sto lì lì per toccarla con mano, e mi
mancano ancor pochi passi - e poi? il tristo mio cuore se la vede svanire e piange quasi
perdesse un bene posseduto da lungo tempo. Tuttavia - ei le scrive che la cabala forense
gli fu da prima cagione d'indugio, e che poi la rivoluzione ha interrotto per qualche
giorno il corso dei tribunali: aggiungi che dove predomina l'interesse, le altre passioni
si tacciono; un nuovo amore forse - ma tu dirai: E tutto ciò cosa importa? Nulla, caro
Lorenzo: a Dio non piaccia ch'io mi prevalga della freddezza d'Odoardo - ma non so come si
possa starle lontano un solo giorno di più! - Andrò dunque ognor più lusingandomi per
tracannarmi poscia la mortale bevanda che mi sarò io medesimo preparata?
11 Aprile
Ella sedeva sopra un sofà di rincontro alla finestra delle colline, osservando le nuvole
che passeggiavano per la ampiezza del cielo. Vedete, mi disse, quel l'azzurro profondo! Io
le stava accanto muto muto, con gli occhi fissi su la sua mano che tenea socchiuso un
libricciuolo. - Io non so come - ma non mi avvidi che la tempesta cominciava a muggire dal
settentrione, e atterrava le piante più giovani. Poveri arbuscelli! esclamò Teresa. Mi
scossi. Si addensavano le tenebre della notte che i lampi rendeano più negre. Diluviava,
tuonava - poco dopo vidi le finestre chiuse, e i lumi nella stanza. Il ragazzo per far
ciò ch'ei soleva fare tutte le sere e temendo del mal tempo, venne a rapirci lo
spettacolo della Natura adirata; e Teresa che stava sopra pensiero, non se ne accorse e lo
lasciò fare.
Le tolsi di mano il libro e aprendolo a caso, lessi:
«La tenera Gliceria lasciò su queste mie labbra l'estremo sospiro. Con Gliceria ho
perduto tutto quello ch'io poteva mai perdere. La sua fossa è il solo palmo di terra
ch'io degni di chiamar mio. Niuno, fuori di me, ne sa il luogo. L'ho coperta di folti
rosaj i quali fioriscono come un giorno fioriva il suo volto, e diffondono la fragranza
soave che spirava il suo seno. Ogni anno nel mese delle rose io visito il sacro boschetto.
Siedo su quel cumulo di terra che serba le sue ossa; colgo una rosa, e - sto meditando: Tal
tu fiorivi un dì! E sfoglio quella rosa, e la sparpaglio - e mi rammento quel dolce
sogno de' nostri amori. O mia Gliceria, ove sei tu? una lagrima cade su l'erba che spunta
su la sepoltura, e appaga l'ombra amorosa».
Tacqui. - Perchè non leggete? diss'ella sospirando e guardandomi. Io rileggeva: e
tornando a proferire nuovamente: Tal tu fiorivi un dì! la mia voce fu soffocata;
una lagrima di Teresa grondò su la mia mano che stringeva la sua.
(continua...)
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