Bologna, 24 Luglio, ore 10
Vuoi tu versare sul cuore dell'amico tuo qualche stilla di balsamo? Fa che Teresa ti dia
il suo ritratto, e consegnalo a Michele ch'io ti rimando imponendogli di non ritornare
senza tue tisposte. Va a' colli Euganei tu stesso: forse quella disgraziata avrà bisogno
di chi la compianga. Leggi alcuni frammenti di lettere che ne' miei affannosi delirj io
tentava di scriverti. Addio. - Vedrai la Isabellina, baciala mille volte per me. Quando
nessuno si ricorderà più di me, fors'ella nominerà qualche volta il suo Jacopo. O mio
caro! avvolto in tante miserie, fatto diffidente dagli uomini, con un'anima ardente e che
pur vuole amare ed essere riamata, in chi poss'io confidarmi se non in una fanciullina non
corrotta ancora dall'esperienza né dall'interesse, e che per una secreta simpatia mi ha
tante volte bagnato del suo pianto innocente? S'io un giorno sapessi che non mi nomina
più, credo, morrei di dolore.
E tu, dimmi, Lorenzo mio, m'abbandonerai tu? L'amicizia cara passione della gioventù ed
unico conforto dell'infortunio s'agghiaccia nella prosperità. O gli amici, gli amici! Tu
non mi perderai se non quando io scenderò sotterra. Ed io cesso dal querelarmi talvolta
delle mie disgrazie perché senza di esse non sarei degno forse di te; né avrei un cuore
capace di amarti. Ma quando io non vivrò più; e tu avrai ereditato da me il calice delle
lagrime - oh! non cercare altro amico fuor di te stesso.
Bologna, la notte de' 28 Luglio
E' mi parrebbe pure di star meno male se potessi dormire lungamente un gravissimo sonno.
L'oppio non giova; mi desta dopo brevi letarghi pieni di visioni e di spasimi - e sono
più notti! - Ora mi sono alzato per provarmi di scriverti; ma non mi regge più il polso.
- Tornerò a coricarmi. Pare che l'anima mia siegua lo stato negro e burrascoso della
Natura. Sento diluviare: e giaccio con gli occhi spalancati. Dio mio! Dio mio!
Bologna, 12 Agosto
Oramai sono passati diciotto giorni da che Michele è ripartito per le poste, né torna
ancora: e non veggo tue lettere. Tu pure mi lasci? Per Dio, scrivimi almeno: aspetterò
sino a lunedì, e poi prenderò la volta di Firenze. Qui tutto il giorno sto in casa
perché non posso vedermi impacciato fra tanta gente; e la notte vo baloccone per città
come larva, e mi sento sbranare le viscere da tanti indigenti che giacciono per le strade,
e gridano pane; non so se per loro colpa, o d'altri - so che domandano pane. Oggi
tornandomi dalla posta mi sono abbattuto in due sciagurati menati al patibolo: ne ho
chiesto a quei che mi si affollavano addosso; e mi è stato risposto, che uno avea rubato
una mula, e l'altro cinquantasei lire per fame. Ahi Società! E se non vi fossero leggi
protettrici di coloro che per arricchire col sudore e col pianto de' proprj concittadini
li sospingo al bisogno e al delitto, sarebbero poi sì necessarie le prigioni e i
carnefici? Io non sono sì matto da presumere di riordinare i mortali; ma perché mi si
contenderà di fremere su le loro miserie e più di tutto su la lor cecità? - E mi vien
detto che non v'ha settimana senza carneficina; e il popolo vi accorre come a solennità.
I delitti intanto crescono co' supplizj. No, no; non voglio più respirare quest'aria
fumante sempre del sangue de' miseri. - E dove?
Firenze, 27 Agosto
Dianzi io adorava le sepolture di Galileo, del Machiavelli, e di Michelangelo; e
nell'appressarmivi io tremava preso da brivido. Coloro che hanno eretti que' mausolei
sperano forse di scolparsi della povertà e delle carceri con le quali i loro avi punivano
la grandezza di que' divini intelletti? Oh quanti perseguitati nel nostro secolo saranno
venerati da' posteri! Ma e le persecuzioni a' vivi, e gli onori a' morti sono documenti
della maligna ambizione che rode l'umano gregge.
Presso a que' marmi mi parea di rivivere in quegli anni miei fervidi, quand'io vegliando
su gli scritti de' grandi mortali mi gittava con la immaginazione fra i plausi delle
generazioni future. Ma ora troppo alte cose per me! - e pazze forse. La mia mente è
cieca, le membra vacillanti, e il cuore guasto qui - nel profondo.
Ritienti le commendatizie di cui mi scrivi: quelle che mi mandasti io le ho bruciate. Non
voglio più oltraggi, né favori da veruno degli uomini potenti. L'unico mortale ch'io
desiderava conoscere era Vittorio Alfieri; ma odo dire ch'ei non accoglie persone nuove:
né io presumo di fargli rompere questo suo proponimento che deriva forse da' tempi, da'
suoi studj, e più ancora dalle sue passioni e dall'esperienza del momdo. E fosse anche
una debolezza, le debolezze di sì fatti mortali vanno rispettate; e chi n'è senza,
scagli la prima pietra.
Firenze, 7 Settembre
Spalanca le finestre, o Lorenzo, e saluta dalla mia stanza i miei colli. In un bel mattino
di Settembre saluta in mio nome il cielo, i laghi, le pianure, che si ricordano tutti
della mia fanciullezza, e dove io per alcun tempo ho riposato dopo le ansietà della vita.
Se passeggiando nelle notti serene i piedi ti conducessero verso i viali della parrocchia,
io ti prego di salire sul monte de' pini che serba tante dolci e funeste mie rimembranze.
Appiè del pendio, passata la macchia de' tigli che fanno l'aere sempre fresco e odorato,
là dove que' rigagnoli adunano un pelaghetto, troverai il salice solitario sotto i cui
rami piangenti io stava più ore prostrato parlando con le mie speranze. E come tu sarai
giunto presso alla vetta, udrai forse un cuculo il quale parea che ogni sera mi chiamasse
col lugubre suo metro, e soltanto lo interrompea quando accorgevasi del mio borbottare o
del calpestio de' miei piedi. Il pino dove allora e' si stava nascosto, fa ombra a'
rottami di una cappelletta ove anticamente si ardeva una lampada a un crocifisso: il
turbine la sfracellò quella notte che lasciò fino ad oggi e mi lascierà finché avrò
vita lo spirito atterrito di tenebre e di rimorso; e quelle ruine mezzo sotterrate mi
pareano nell'oscurità pietre sepolcrali, e più volte io mi pensava di erigere in quel
luogo e fra quelle secrete ombre il mio avello. Ed ora? chi sa ov'io lascierò le mie
ossa! - Consola tutti i contadini che ti chiederanno novelle di me. Già tempo mi si
affollavano attorno, ed io li chiamava miei amici, e mi chiamavano benefattore. Io era il
medico più accetto a' loro figliuoletti malati; io ascoltava amorevolmente le querele di
que' meschini lavoratori, e componeva i loro dissidj; io filosofava con que' rozzi vecchj
cadenti ingegnandomi di dileguare dalla lor fantasia i terrori della religione, e
dipingendo i premj che il Cielo riserba all'uomo stanco della povertà e del sudore. Ma
ora s'attristeranno nel nominarmi, poiché in questi ultimi mesi passava muto e fantastico
senza talvolta rispondere a' loro saluti; e scorgendoli da lontano mentre cantando
tornavano da' lavori, o riconduceano gli armenti, io gli scansava imboscandomi dove la
selva è più negra. E mi vedeano su l'alba saltare i fossi e sbadatamente urtar gli
arboscelli, i quali crollando mi pioveano la brina su le chiome; e così affrettarmi per
le praterie, e poi arrampicarmi sul monte più alto donde io fermandomi ritto e ansante,
con le braccia stese all'oriente, aspettava il Sole per querelarmi con lui che più non
sorgeva allegro per me. Ti additeranno il ciglione della rupe sul quale, mentre il mondo
era addormentato, io sedeva intento al lontano fragore delle acque, e al rombare dell'aria
quando i venti ammassavano quasi su la mia testa le nuvole, e le spingevano a funestare la
Luna che tramontando, ad ora ad ora illuminava nella pianura co' suoi pallidi raggi le
croci conficcate su i tumuli del cimitero; e allora il villano de' vicini tugurj, per le
mie grida destandosi sbigottito, s'affacciava alla porta, e m'udiva in quel silenzio
solenne mandare le mie preci, e piangere, e ululare, e guatare dall'alto le sepolture, e
invocare la morte. O antica mia solitudine! Ove sei tu? Non v'è gleba, non antro, non
albero che non mi riviva nel cuore alimentandomi quel soave e patetico desiderio che
sempre accompagna fuori dalle sue case l'uomo esule, e sventurato. Parmi che i miei
piaceri e i miei dolori, i quali in que' luoghi m'erano cari - tutto insomma quello ch'è
mio, sia rimasto tutto con te; e che qui non si trascini pellegrinando se non lo spettro
del povero Jacopo.
Ma tu, amico unico mio, perché appena mi scrivi due nude parole avvisandomi che tu se'
con Teresa? E non mi dici né come vive; né se s'attenta di nominarmi; né se Odoardo me
l'ha rapita? Corro, e ricorro alla posta, ma senza pro; e torno lento, smarrito, e mi si
legge nel volto il presentimento di grave sciagura. E mi par d'ora in ora udirmi
pronunziare la mia sentenza mortale - Teresa ha giurato. - Ohimè! e quando mai
cesserò da' miei funebri delirj, e dalle mie crudeli lusinghe? Addio.
Firenze, 17 Settembre
Tu mi hai inchiodata la disperazione nel cuore. Vedo oramai che Teresa tenta di punirmi
d'averla amata. Il suo ritratto l'aveva mandato a sua madre prima ch'io lo chiedessi? - tu
me ne accerti, ed io credo; ma guardati che per tentare di risanarmi tu non congiurassi a
contendermi l'unico balsamo alle mie viscere lacerate.
O mie speranze! si dileguano tutte; ed io siedo qui derelitto nella solitudine del mio
dolore.
In che devo più confidare? non mi tradire, Lorenzo: io non ti perderò mai dal mio petto,
perché la tua memoria è necessaria all'amico tuo: in qualunque tua avversità tu non mi
avresti perduto. Sono io dunque destinato a vedermi svanire tutto davanti? - anche l'unico
avanzo di tante speranze? ma sia così! io non mi querelo né di lei, né di te - non di
me stesso, non della mia fortuna - ben m'avvilisco con tante lagrime, e perdo la
consolazione di poter dire: Soffro i miei travagli e non mi lamento.
Voi tutti mi lascierete - tutti: e il mio gemito vi seguirà da per tutto; perché senza
di voi non sono uomo: e da ogni luogo vi richiamerò disperato. - Ecco le poche parole
scrittemi da Teresa: «Abbiate rispetto alla vostra vita; ve ne scongiuro per le nostre
disgrazie. Non siamo noi due soli infelici. Avrete il mio ritratto quando potrò. Mio
padre piange con me; e non gli rincresce ch'io risponda al biglietto che mi ha ricapitato
da parte vostra; pur con le sue lagrime a me pare che tacitamente mi proibisca di
scrivervi d'ora innanzi - ed io piangendo lo prometto; e vi scrivo, forse per l'ultima
volta, piangendo - perché io non potrò più confessare d'amarvi fuorché davanti a Dio
solo».
Tu sei dunque più forte di me? Sì, ripeterò queste poche righe come fossero le tue
ultime volontà - parlerò teco un'altra volta, o Teresa; ma solamente quel giorno che mi
sarò agguerrito di tanta ragione e di tale coraggio da separarmi davvero da te.
Che se ora l'amarti di questo amore insoffribile, immenso, e tacere e seppellirmi agli
occhi di tutti, potesse ridarti pace - se la mia morte potesse espiare al tribunale de'
nostri persecutori la tua passione e sopirla per sempre dentro il tuo petto, io supplico
con tutto l'ardore e la verità dell'anima mia la Natura ed il Cielo perché mi tolgano
finalmente dal mondo. Or ch'io resista al mio fatale e insieme dolcissimo desiderio di
morte, te lo prometto; ma ch'io lo vinca, ah! tu sola con le tue preghiere potrai forse
impetrarmelo dal mio Creatore - e sento che ad ogni modo ei mi chiama. Ma tu deh! vivi per
quanto puoi felice - per quanto puoi ancora. Iddio forse convertirà a tua consolazione,
sfortunata giovine, queste lagrime penitenti ch'io mando a lui domandandogli misericordia
per te. Pur troppo tu, pur troppo, tu ora partecipi del doloroso mio stato, e per me tu
se' fatta infelice - e come ho io rimeritato tuo padre delle affettuose sue cure, della
fiducia, de' suoi consigli, delle sue carezze? e tu a che precipizio non ti se' trovata e
non ti trovi per me? - Ma e di che dunque mi ha egli beneficato tuo padre, e ch'io oggi
nol ricompensi con gratitudine inaudita? non gli presento in sacrificio il mio cuore che
insanguina? Nessun mortale mi è creditore di generosità; - né io, che pur sono, e tu 'l
sai, ferocissimo giudice mio posso incolparmi d'averti amata - bensì l'esserti causa
d'affanni, è il più crudele delitto ch'io mai potessi commettere.
Ohimè! con chi parlo? e a che pro?
Se questa lettera ti trova ancora a' miei colli, o Lorenzo, non la mostrare a Teresa. Non
le parlare di me - se te ne chiede, dille ch'io vivo, ch'io vivo ancora - non le parlare
insomma di me. Ma io te lo confesso: mi compiaccio delle mie infermità: io stesso palpo
le mie ferite dove sono più mortali, e cerco d'esulcerarle, e le contemplo insanguinate -
e mi pare che i miei martirj rechino qualche espiazione alle mie colpe, e un breve
refrigerio a' dolori di quella innocente.
Firenze, 25 Settembre
In queste terre beate si ridestarono dalla barbarie le sacre Muse e le lettere. Dovunque
io mi volga, trovo le case ove nacquero, e le pie zolle dove riposano que' primi grandi
Toscani: ad ogni passo ho timore di calpestare le loro reliquie. La Toscana è tuttaquanta
una città continuata, e un giardino; il popolo naturalmente gentile; il cielo sereno; e
l'aria piena di vita e di salute. Ma l'amico tuo non trova requie: spero sempre - domani,
nel paese vicino - e il domani viene, ed eccomi di città in città, e mi pesa sempre più
questo stato di esilio e di solitudine. - Neppure mi è conceduto di proseguire il mio
viaggio: avea decretato di andare a Roma a prostrarmi su le reliquie della nostra
grandezza. Mi negano il passaporto; quello già mandatomi da mia madre è per Milano: e
qui, come s'io fossi venuto a congiurare, mi hanno circuito con mille interrogazioni: non
avran torto; ma io risponderò domani, partendo. - Così noi tutti Italiani siamo
fuorusciti e stranieri in Italia: e lontani appena dal nostro territoriuccio, né ingegno,
né fama, né illibati costumi ci sono di scudo: e guai se t'attenti di mostrare una
dramma di sublime coraggio! Sbanditi appena dalle nostre porte, non troviamo chi ne
raccolga. Spogliati dagli uni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbandonati
da' nostri medesimi concittadini, i quali anziché compiangersi e soccorrersi nella comune
calamità, guardano come barbari tutti quegl'Italiani che non sono della loro provincia, e
dalle cui membra non suonano le stesse catene - dimmi, Lorenzo, quale asilo ci resta? Le
nostre messi hanno arricchiti nostri dominatori; ma le nostre terre non somministrano né
tugurj né pane a tanti Italiani che la rivoluzione ha balestrati fuori dal cielo natio, e
che languenti di fame e di stanchezza hanno sempre all'orecchio il solo, il supremo
consigliere dell'uomo destituto da tutta la natura, il delitto! Per noi dunque quale asilo
più resta, fuorché il deserto, e la tomba? - e la viltà! e chi più si avvilisce più
vive forse; ma vituperoso a se stesso, e deriso da quei tiranni medesimi a cui si vende, e
da' quali sarà un dì trafficato.
Ho corsa tutta Toscana. Tutti i monti e tutti i campi sono insigni per le fraterne
battaglie di quattro secoli addietro; i cadaveri intanto d'infiniti Italiani ammazzatisi
hanno fatte le fondamenta a' troni degl'Imperadori e de' Papi. Sono salito a Monteaperto
dove è infame ancor la memoria della sconfitta de' Guelfi. - Albeggiava appena un
crepuscolo di giorno, e in quel mesto silenzio, e in quella oscurità fredda, con l'anima
investita da tutte le antiche e fiere sventure che sbranano la nostra patria - o mio
Lorenzo! io mi sono sentito abbrividire, e rizzare i capelli; io gridava dall'alto con
voce minacciosa e spaventata. E mi parea che salissero e scendessero dalle vie dirupate
della montagna le ombre di tutti que' Toscani che si erano uccisi; con le spade e le vesti
insanguinate; guatarsi biechi, e fremere tempestosamente, e azzuffarsi e lacerarsi le
antiche ferite. - O! per chi quel sangue? il figliuolo tronca il capo al padre e lo
squassa per le chiome - e per chi tanta scellerata carnificina? I re per cui vi trucidate
si stringono nel bollor della zuffa le destre e pacificamente si dividono le vostre vesti
e il vostro terreno. - Urlando io fuggiva precipitosamente guatandomi dietro. E quelle
orride fantasie mi seguitavano sempre - e ancora quando io mi trovo solo di notte mi sento
attorno quegli spettri, e con essi uno spettro più tremendo di tutti, e ch'io solo
conosco. - E perché io debbo dunque, o mia patria, accusarti sempre e compiangerti, senza
niuna speranza di poterti emendare o di soccorrerti mai?
Milano, 27 Ottobre
Ti scrissi da Parma; e poi da Milano il dì ch'io ci giunsi: la settimana addietro ti
scrissi una lettera lunghissima. Come dunque la tua mi capita sì tarda, e per la via di
Toscana d'onde partii sino dai 28 Settembre? mi morde un sospetto: le nostre lettere sono
intercette. I governi millantano la sicurezza delle sostanze; ma invadono intanto il
secreto, la preziosissima di tutte le proprietà: vietano le tacite querele; e profanano
l'asilo sacro che le sventure cercano nel petto dell'amicizia. Sia pure! io mel dovea
prevedere: ma que' loro manigoldi non andranno più a caccia delle nostre parole e de'
nostri pensieri. Troverò compenso perché le nostre lettere d'ora in poi viaggino
inviolate.
Tu mi chiedi novelle di Giuseppe Parini: serba la sua generosa fierezza, ma parmi
sgomentato dai tempi e dalla vecchiaja. Andandolo a visitare, lo incontrai su la porta
delle sue stanze mentre egli strascinavasi per uscire. Mi ravvisò; e fermatosi sul suo
bastone, mi posò la mano su la spalla, dicendomi: Tu vieni a rivedere quest'animoso
cavallo che si sente nel cuore la superbia della sua bella gioventù; ma che ora stramazza
fra via e si rialza soltanto per le battiture della fortuna. - E' paventa di essere
cacciato dalla sua cattedra, e di trovarsi costretto dopo settanta anni di studj e di
gloria ad agonizzare elemosinando.
Milano, 11 Novembre
Chiesi la vita di Benvenuto Cellini a un librajo - Non l'abbiamo. Lo richiesi di un altro
scrittore; e allora quasi dispettoso mi disse, ch'ei non vendeva libri italiani. La gente
civile parla elegantemente francese, e appena intende lo schietto toscano. I pubblici atti
e le leggi sono scritte in una cotal lingua bastarda che le ignude frasi suggellano la
ignoranza e la servitù di chi le detta. I Demosteni Cisalpini disputarono caldamente nel
loro senato per esiliare con sentenza capitale dalla repubblica la lingua greca e la
latina. S'è creata una legge che avea l'unico fine di sbandire da ogni impiego il
matematico Gregorio Fontana, e Vincenzo Monti, poeta; non so cos'abbiano scritto contro
alla Libertà, prima che fosse discesa a prostituirsi in Italia; so che sono presti a
scrivere anche per essa. E quale pur fosse la loro colpa, la ingiustizia della punizione
li assolve, e la solennità d'una legge creata per due soli individui accresce la loro
celebrità. - Chiesi ov'erano le sale de' Consiglj Legislativi: pochi m'intesero;
pochissimi mi risposero; e niuno seppe insegnarmi.
Milano, 4 Dicembre
Siati questa l'unica risposta a' tuoi consiglj. In tutti i paesi ho veduto gli uomini
sempre di tre sorta: i pochi che comandano; l'universalità che serve; e i molti che
brigano. Noi non possiam comandare, né forse siam tanto scaltri; noi non siam ciechi, né
vogliamo ubbidire; noi non ci degniamo di brigare. E il meglio è vivere come que' cani
senza padrone a' quali non toccano né tozzi né percosse. - Che vuoi tu ch'io accatti
protezioni ed impieghi in uno Stato ov'io sono reputato straniero, e donde il capriccio di
ogni spia può farmi sfrattare? Tu mi esalti sempre il mio ingegno; sai tu quanto io
vaglio? né più né meno di ciò che vale la mia entrata: se per altro io non facessi il letterato
di corte, rintuzzando quel nobile ardire che irrita i potenti, e dissimulando la
virtù e la scienza, per non rimproverarli della loro ignoranza, e delle loro
scelleraggini. Letterati! - O! tu dirai, così da per tutto. - E sia così: lascio il
mondo com'è; ma s'io dovessi impacciarmente vorrei o che gli uomini mutassero modo, o che
mi facessero mozzare il capo sul palco; e questo mi pare più facile. Non che i tirannetti
non si avveggano delle brighe; ma gli uomini balzati da' trivj al trono hanno d'uopo di
faziosi che poi non possono contenere. Gonfj del presente, spensierati dell'avvenire,
poveri di fama, di coraggio e d'ingegno, si armano di adulatori e di satelliti, da' quali,
quantunque spesso traditi e derisi, non sanno più svilupparsi: perpetua ruota di
servitù, di licenza e di tirannia. Per essere padroni e ladri del popolo conviene prima
lasciarsi opprimere, depredare, e conviene leccare la spada grondante del tuo sangue.
Così potrei forse procacciarmi una carica, qualche migliajo di scudi ogni anno di più,
rimorsi, ed infamia. Odilo un'altra volta: Non reciterò mai la parte del piccolo
briccone.
Tanto e tanto so di essere calpestato; ma almen fra la turba immensa de' miei conservi,
simile a quegli insetti che sono sbadatamente schiacciati da chi passeggia. Non mi glorio
come tanti altri della servitù; né i miei tiranni si pasceranno del mio avvilimento.
Serbino ad altri le loro ingiurie e i lor beneficj; e' vi son tanti che pur vi agognano!
Io fuggirò il vituperio morendo ignoto. E quando io fossi costretto ad uscire dalla mia
oscurità - anziché mostrarmi fortunato stromento della licenza o della tirannide, torrei
d'essere vittima deplorata.
Che se mi mancasse il pane e il fuoco, e questa che tu mi additi fosse l'unica sorgente di
vita - cessi il cielo ch'io insulti alla necessità di tanti altri che non potrebbero
imitarmi - davvero, Lorenzo, io me n'andrei alla patria di tutti, dove non vi sono né
delatori, né conquistatori, né letterati di corte, né principi; dove le ricchezze non
coronano il delitto; dove il misero non è giustiziato non per altro se non perché è
misero; dove un dì o l'altro verranno tutti ad abitare con me e a rimescolarsi nella
materia, sotterra.
Aggrappandomi sul dirupo della vita, sieguo alle volte un lume ch'io scorgo da lontano e
che non posso raggiungere mai. Anzi mi pare che s'io fossi con tutto il corpo dentro la
fossa, e che rimanessi sopra terra solamente col capo, mi vedrei sempre quel lume
sfolgorare sugli occhi. O Gloria! tu mi corri sempre dinanzi, e così mi lusinghi a un
viaggio a cui le mie piante non reggono più. Ma dal giorno che tu più non sei la mia
sola e prima passione, il tuo risplendente fantasma comincia a spegnersi e a barcollare -
cade e si risolve in un mucchio d'ossa e di ceneri fra le quali io veggio sfavillar tratto
tratto alcuni languidi raggi; ma ben presto io passerò camminando sopra il tuo scheletro,
sorridendo della mia delusa ambizione. - Quante volte vergognando di morire ignoto al mio
secolo ho accarezzato io medesimo le mie angosce mentre mi sentiva tutto il bisogno e il
coraggio di terminarle! Né avrei forse sopravvissuto alla mia patria, se non mi avesse
rattenuto il folle timore, che la pietra posta sopra il mio cadavere non seppellisse ad un
tempo il mio nome. Lo confesso; sovente ho guardato con una specie di compiacenza le
miserie d'Italia, poiché mi parea che la fortuna e il mio ardire riserbassero forse anche
a me il merito di liberarla. Io lo diceva jer sera al Parini - addio: ecco il messo del
banchiere che viene a pigliar questa lettera; e il foglio tutto pieno mi dice di finire. -
Pur ho a dirti ancora assai cose: protrarrò di spedirtela sino a sabbato; e continuerò a
scriverti. Dopo tanti anni di sì affettuosa e leale amicizia, eccoci, e forse
eternamente, disgiunti. A me non resta altro conforto che di gemere teco scrivendoti; e
così mi libero alquanto da' miei pensieri; e la mia solitudine diventa assai meno
spaventosa. Sai quante notti io mi risveglio, e m'alzo, e aggirandomi lentamente per le
stanze t'invoco! siedo e ti scrivo; e quelle carte sono tutte macchiate di pianto e piene
de' miei pietosi delirj e de' miei feroci proponimenti. Ma non mi dà il cuore
d'inviartele. Ne serbo taluna, e molte ne brucio. Quando poi il Cielo mi manda questi
momenti di calma, io ti scrivo con quanto più di fermezza mi è possibile per non
contristarti del mio immenso dolore. Né mi stancherò di scriverti; tutt'altro conforto
è perduto; né tu, mio Lorenzo, ti stancherai di leggere queste carte ch'io senza
vanità, senza studio e senza rossore ti ho sempre scritto ne' sommi piaceri e ne' sommi
dolori dell'anima mia. Serbale. Presento che un dì ti saranno necessarie per vivere,
almeno come potrai, col tuo Jacopo.
Jer sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della
città sotto un boschetto di tigli. Egli si sosteneva da una parte sul mio braccio,
dall'altra sul suo bastone: e talora guardava gli storpj suoi piedi, e poi senza dire
parola volgevasi a me, quasi si dolesse di quella sua infermità, e mi ringraziasse della
pazienza con la quale io lo accompagnava. S'assise sopra uno di que' sedili ed io con lui:
il suo servo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio più dignitoso e più
eloquente ch'io m'abbia mai conosciuto; e d'altronde un profondo, generoso, meditato
dolore a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva e per
le antiche tirannidi e per la nuova licenza. Le lettere prostituite; tutte le passioni
languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione: non più la sacra
ospitalità, non la benevolenza, non più l'amore figliale - e poi mi tesseva gli annali
recenti, e i delitti di tanti uomiciattoli ch'io degnerei di nominare, se le loro
scelleraggini mostrassero il vigore d'animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di
quegli animosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque e' si vedano presso il
patibolo - ma ladroncelli, tremanti, saccenti - più onesto insomma è tacerne. - A quelle
parole io m'infiammava di un sovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non si tenta?
morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore. - Egli mi guardò attonito: gli
occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spaventosi, e il mio dimesso e pallido
aspetto si rialzò con aria minaccevole - io taceva, ma si sentiva ancora un fremito
rumoreggiare cupamente dentro il mio petto. E ripresi: Non avremo salute mai? ah se gli
uomini si conducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sì vilmente. - Il
Parini non apria bocca; ma stringendomi il braccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi
mi trasse, come accennandomi perch'io tornassi a sedermi: E pensi, tu, proruppe, che s'io
discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta della mia inferma vecchiaja in
questi vani lamenti? o giovine degno di patria più grata! se non puoi spegnere quel tuo
ardore fatale, ché non lo volgi ad altre passioni?
Allora io guardai nel passato - allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io errava
sempre nel vano e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla; e conobbi
tutta tutta la disperazione del mio stato. Narrai a quel generoso Italiano la storia delle
mie passioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que' genj celesti i quali par che
discendano a illuminare la stanza tenebrosa di questa vita. E alle mie parole e al mio
pianto, il vecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo. - No, io gli dissi, non
veggo più che il sepolcro: sono figlio di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi
sembrò di vederla calcare tremando le mie pedate e seguirmi fino a sommo il monte, donde
io stava per diruparmi, e mentre era quasi con tutto il corpo abbandonato nell'aria - essa
afferravami per la falda delle vesti, e mi ritraeva, ed io volgendomi non udiva più che
il suo pianto. Pure s'ella - spiasse tutti gli occulti miei guai, implorerebbe ella stessa
dal Cielo il termine degli ansiosi miei giorni. Ma l'unica fiamma vitale che anima ancora
questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare la libertà della patria. - Egli
sorrise mestamente; e poiché s'accorse che la mia voce infiochiva, e i miei sguardi si
abbassavano immoti sul suolo, ricominciò: - Forse questo tuo furore di gloria potrebbe
trarti a difficili imprese; ma - credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro
audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a' loro delitti. Pur se ti reputi
bastevolmente fortunato e crudele per aspirare a questa gloria, pensi tu che i tempi te ne
porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questo giogo della nostra patria non ti
hanno per anco insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero? Chiunque
s'intrica nelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la
propria infamia. Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive
le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù. E allora? avrai tu la fama e il
valore di Annibale che profugo cercava per l'universo un nemico al popolo Romano? - Né ti
sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma povero
di ricchezze, ed incauto d'ingegno quale sei tu, sarà sempre o l'ordigno del fazioso, o
la vittima del potente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato
dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale
notturno della calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da' tuoi amici, e il tuo
sepolcro degnato appena di un secreto sospiro. - Ma poniamo che tu superando e la
prepotenza degli stranieri e la malignità de' tuoi concittadini e la corruzione de'
tempi, potessi aspirare al tuo intento; di'? spargerai tutto il sangue col quale conviene
nutrire una nascente repubblica? arderai le tue case con le faci della guerra civile?
unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi
le fortune? ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri
come tiranno. Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che
dall'intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l'onestà che
le pare dannosa; e per avere i suoi plausi, conviene o atterrirla, o ingrassarla, e
ingannarla sempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna
reprimere in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento
della tua superiorità, e della conoscenza del comune avvilimento? I mortali sono
naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a
puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; e per pochi anni di possanza e
di tremore, avresti perduta la tua pace, e confuso il tuo nome fra la immensa turba dei
despoti. - Ti avanza ancora un seggio fra' capitani; il quale si afferra per mezzo di un
ardire feroce, di una avidità che rapisce per profondere, e spesso di una viltà per cui
si lambe la mano che t'aita a salire. Ma - o figliuolo! l'umanità geme al nascere di un
conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza di sorridere su la sua bara. -
Tacque - ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: O Cocceo Nerva! tu almeno sapevi morire
incontaminato. - Il vecchio mi guardò - Se tu né speri, né temi fuori di questo mondo -
e mi stringeva la mano - ma io! - Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisionomia
si raddolciva di soave conforto, come s'ei lassù contemplasse tutte le tue speranze. -
Intesi un calpestio che s'avanzava verso di noi; e poi travidi gente fra' tiglj; ci
rizzammo; e l'accompagnai sino alle sue stanze.
Ah s'io non mi sentissi oramai spento quel fuoco celeste che nel tempo della fresca mia
gioventù spargeva raggi su tutte le cose che mi stavano intorno, mentre oggi vo
brancolando in una vota oscurità! s'io potessi avere un tetto ove dormire sicuro; se non
mi fosse conteso di rinselvarmi fra le ombre del mio romitorio; se un amore disperato che
la mia ragione combatte sempre, e che non può vincere mai - questo amore ch'io celo a me
stesso, ma che riarde ogni giorno e che s'è fatto onnipotente, immortale - ahi! la Natura
ci ha dotati di questa passione che è indomabile in noi forse più dell'istinto fatale
della vita - se io potessi insomma impetrare un anno solo di calma, il tuo povero amico
vorrebbe sciogliere ancora un voto e poi morire. Io odo la mia patria che grida: - SCRIVI
CIÒ CHE VEDESTI. MANDERÒ LA MIA VOCE DALLE ROVINE, E TI DETTERÒ LA MIA STORIA.
PIANGERANNO I SECOLI SU LA MIA SOLITUDINE; E LE GENTI SI AMMAESTRERANNO NELLE MIE
DISAVVENTURE. IL TEMPO ABBATTE IL FORTE: E I DELITTI DI SANGUE SONO LAVATI NEL SANGUE. - E
tu lo sai, Lorenzo, avrei coraggio di scrivere; ma l'ingegno va morendo con le mie forze,
e vedo che fra pochi mesi avrò fornito questo mio angoscioso pellegrinaggio.
Ma voi pochi sublimi animi che solitarj o perseguitati, su le antiche sciagure della
nostra patria fremete, se i cieli vi contendono di lottare contro la forza, perché almeno
non raccontate alla posterità i nostri mali? Alzate la voce in nome di tutti, e dite al
mondo: Che siamo sfortunati, ma né ciechi né vili; che non ci manca il coraggio, ma la
possanza. - Se avete braccia in catene, perché inceppate da voi stessi anche il vostro
intelletto di cui né i tiranni né la fortuna, arbitri d'ogni cosa, possono essere
arbitri mai? Scrivete. Abbiate bensì compassione a' vostri concittadini, e non istigate
vanamente le lor passioni politiche; ma sprezzate l'universalità de' vostri
contemporanei: il genere umano d'oggi ha le frenesie e la debolezza della decrepitezza; ma
l'umano genere, appunto quand'è prossimo a morte, rinasce vigorosissimo. Scrivete a quei
che verranno, e che soli saranno degni d'udirvi, e forti da vendicarvi. Perseguitate con
la verità i vostri persecutori. E poi che non potete opprimerli, mentre vivono, co'
pugnali, opprimeteli almeno con l'obbrobrio per tutti i secoli futuri. Se ad alcuni di voi
è rapita la patria, la tranquillità, e le sostanze; se niuno osa divenire marito; se
tutti paventano il dolce nome di padre, per non procreare nell'esilio e nel dolore nuovi
schiavi e nuovi infelici, perché mai accarezzate così vilmente la vita ignuda di tutti i
piaceri? Perché non la consecrate all'unico fantasma ch'è duce degli uomini generosi, la
gloria? Giudicherete l'Europa vivente, e la vostra sentenza illuminerà le genti avvenire.
L'umana viltà vi mostra terrori e pericoli; ma voi siete forse immortali? fra
l'avvilimento delle carceri e de' supplicj v'innalzerete sovra il potente, e il suo futuro
contro di voi accrescerà il suo vituperio e la vostra fama.
Milano, 6 Febbraio 1799
Diriggi le tue lettere a Nizza di Provenza perch'io domani parto verso Francia: e chi sa?
forse assai più lontano: certo che in Francia non mi starò lungamente. Non rammaricarti,
o Lorenzo, di ciò; e consola quanto tu puoi la povera madre mia. Tu dirai forse ch'io
dovrei fuggire prima me stesso, e che se non v'ha luogo dov'io trovi stanza, sarebbe omai
tempo ch'io m'acquetassi. È vero, non trovo stanza; ma qui peggio che altrove. La
stagione, la nebbia perpetua, quest'aria morta, certe fisonomie - e poi - forse m'inganno
- ma parmi di trovar poco cuore; né posso incolparli; tutto si acquista; ma la
compassione e la generosità, e molto più certa delicatezza di animo nascono sempre con
noi, e non le cerca se non chi le sente. - Insomma domani. E mi si è fitta in fantasia
tale necessità di partire, che queste ore d'indugio mi pajono anni di carcere.
Malaugurato! perché mai tutti i suoi sensi si risentono soltanto al dolore, simili a
quelle membra scorticate che all'alito più blando dell'aria si ritirano? goditi il mondo
com'è, e tu vivrai più riposato e men pazzo. - Ma se a chi mi declama sì fatti sermoni,
io dicessi: Quando ti salta addosso la febbre, fa che il polso ti batta più lento, e
sarai sano - non avrebbe egli ragione da credermi farneticante di peggior febbre? come
dunque potrò io dar leggi al mio sangue che fluttua rapidissimo? e quando urta nel cuore
io sento che vi si ammassa bollendo, e poi sgorga impetuosamente; e spesso all'improvviso
e talora fra il sonno par che voglia spaccarmisi il petto. - O Ulissi! eccomi ad obbedire
alla vostra saviezza, a patti ch'io, quando vi veggo dissimulatori, agghiacciati, incapaci
di soccorrere alla povertà senza insultarla, e di difendere il debole dalla ingiustizia;
quando vi veggo, per isfamare le vostre plebee passioncelle, prostrati appié del potente
che odiate e che vi disprezza, allora io possa trasfondere in voi una stilla di questa mia
fervida bile che pure armò spesso la mia voce e il mio braccio contro la prepotenza; che
non mi lascia mai gli occhi asciutti né chiusa la mano alla vista della miseria; e che mi
salverà sempre dalla bassezza. Voi vi credete savi, e il mondo vi predica onesti: ma
toglietevi la paura! - Non vi affannate dunque; le parti sono pari: Dio vi preservi dalle
mie pazzie; ed io lo prego con tutta l'espansione dell'anima perché mi preservi
dalla vostra saviezza. - E s'io scorgo costoro, anche quando passano senza vedermi,
io corro subitamente a cercare rifugio nel tuo petto, o Lorenzo. Tu rispetti amorosamente
le mie passioni, quantunque tu abbia sovente veduto il leone ammansarsi alla sola tua
voce. Ma ora! Tu il vedi: ogni consiglio e ogni ragione è funesta per me. Guai s'io non
obbedissi al mio cuore! - la Ragione? - è come il vento; ammorza le faci, ed anima
gl'incendj. Addio frattanto.
Ore 10, della mattina
Ripenso - e sarà meglio che tu non mi scriva finché tu non abbia mie lettere. Prendo il
cammino delle Alpi Liguri per iscansare i ghiacci del Moncenis: sai quanto micidiale m'è
il freddo.
Ore 1
Nuovo inciampo: hanno a passare ancora due giorni prima ch'io riabbia il passaporto.
Consegnerò questa lettera nel punto ch'io sarò per salire in calesse.
8 Febbraro, ore 1 1/2
Eccomi con le lagrime su le tue lettere. Riordinando le mie carte mi sono venuti
sott'occhio questi pochi versi che tu mi scrivevi sotto una lettera di mia madre due
giorni innanzi ch'io abbandonassi i miei colli. - «T'accompagnano tutti i miei pensieri,
o mio Jacopo: t'accompagnano i miei voti, e la mia amicizia, che vivrà eterna per te. Io
sarò sempre l'amico tuo e il tuo fratello d'amore; e dividerò teco anche l'anima mia.»
Sai tu ch'io vo ripetendo queste parole, e mi sento sì fieramente percosso che sono in
procinto di venire a gittarmiti al collo e a spirare fra le tue braccia? Addio addio.
Tornerò.
Ore 3
Sono andato a dire addio al Parini. - Addio, mi disse, o giovine sfortunato. Tu porterai
da per tutto e sempre con te le tue generose passioni alle quali non potrai soddisfare
giammai. Tu sarai sempre infelice. Io non posso consolarti co' miei consiglj, perché
neppure giovano alle sventure mie derivanti dal medesimo fonte. Il freddo dell'età ha
intorpidito le mie membra; ma il cuore - veglia ancora. Il solo conforto ch'io possa darti
è la mia pietà: e tu la porti tutta con te. Fra poco io non vivrò più, ma se le mie
ceneri serberanno alcun sentimento - se troverai qualche sollievo querelandoti su la mia
sepoltura, vieni. - Io proruppi in dirottissime lagrime, e lo lasciai: ed uscì seguendomi
con gli occhi mentr'io fuggiva per quel lunghissimo corridojo, e intesi che ei tuttavia mi
diceva con voce piangente - addio.
Ore 9 della sera
Tutto è in punto: I cavalli sono ordinati per la mezzanotte - vado a coricarmi così
vestito sino a che giungano: mi sento sì stracco! - addio frattanto; addio Lorenzo -
Scrivo il tuo nome e ti saluto con tenerezza e con certa superstizione ch'io non ho
provato mai mai. Ci rivedremo - se mai dovessi! no, io non morrei senza rivederti e senza
ringraziarti per sempre - e te, mia Teresa: ma poiché il mio infelicissimo amore
costerebbe la tua pace ed il pianto della tua famiglia, io fuggo senza sapere dove mi
trascinerà il mio destino: l'Alpi e l'Oceano e un mondo intero, s'è possibile, ci
divida.
Genova, 11 Febbraro
Ecco il Sole più bello! Tutte le mie fibre sono in un tremito soave perché risentono la
giocondità di questo Cielo raggiante e salubre. Sono pure contento di essere partito!
proseguirò fra poche ore; non so ancora dirti dove mi fermerò, né quando terminerà il
mio viaggio: ma per li 16 sarò in Tolone.
Dalla Pietra, 15 Febbraro
Strade alpestri, montagne orride dirupate, tutto il rigore del tempo, tutta la stanchezza
e i fastidj del viaggio, e poi?
Nuovi tormenti e nuovi tormentati.
Scrivo da un paesetto appié delle Alpi Marittime. E mi fu forza di sostare perché la
posta è senza cavalcatura; né so quando potrò partire. Eccomi dunque sempre con te, e
sempre con nuove afflizioni: sono destinato a non movere passo senza incontrare lungo la
mia via dolore. - In questi due giorni io usciva verso mezzodì un miglio forse lungi
dall'abitato, passeggiando fra certi oliveti che stanno verso la spiaggia del mare: io
vado a consolarmi a' raggi del Sole, e a bere di quel aere vivace; quantunque anche in
questo tepido clima il verno di questo anno è clemente meno assai dell'usato. E là mi
pensava di essere tutto solo, o almeno sconosciuto a que' viventi che passavano; ma appena
mi ridussi a casa, Michele il quale salì a ravviarmi il fuoco, mi venia raccontando, come
certo uomo quasi mendico capitato poc'anzi in questa balorda osteria gli chiese, s'io era
un giovine che avea già tempo studiato in Padova; non gli sapea dire il nome, ma porgeva
assai contrassegni e di me e di que' tempi, e nominava te pure - Davvero, seguì a dire
Michele, io mi trovava imbrogliato; gli risposi nonostante ch'ei s'apponeva: parlava
veneziano; ed è pure la dolce cosa il trovare in queste solitudini un compatriota - e poi
- è così stracciato! insomma io gli promisi - forse può dispiacere al signore - ma mi
ha fatto tanta compassione, ch'io gli promisi di farlo venire; anzi sta qui fuori. - E
venga, io dissi a Michele - e aspettandolo mi sentiva tutta la persona inondata d'una
subitanea tristezza. Il ragazzo rientrò con un uomo alto, macilento; parea giovine e
bello; ma il suo volto era contraffatto dalle rughe del dolore. Fratello! io era
impellicciato e al fuoco; stava gittato oziosamente nella seggiola vicina il mio
larghissimo tabarro; l'oste andava su e giù allestendomi da desinare - e quel misero; era
appena in farsetto di tela ed io intirizziva solo a guardarlo. Forse la mia mesta
accoglienza e il meschino suo stato l'hanno disanimato alla prima; ma poi da poche mie
parole s'accorse che il tuo Jacopo non è nato per disanimare gl'infelici; e s'assise con
me a riscaldarsi, narrandomi quest'ultimo lagrimevole anno della sua vita. Mi disse: Io
conobbi famigliarmente uno scolare che era dì e notte a Padova con voi - e ti nominò -
quanto tempo è ormai ch'io non ne odo novella! ma spero che la fortuna non gli sarà
così iniqua. Io studiava allora - non ti dirò, mio Lorenzo, chi egli è. Dovrò io
contristarti con le sciagure di un uomo che hai conosciuto felice, e che tu forse ami
ancora? è troppo anche se la sorte ti ha condannato ad affliggerti sempre per me.
Ei proseguiva: Oggi venendo da Albenga, prima di arrivare nel paese v'ho scontrato lungo
la marina. Voi non vi siete avveduto com'io mi voltava spesso a considerarvi, e mi parea
di avervi raffigurato; ma non conoscendovi che di vista, ed essendo scorsi quattro anni,
sospettava di sbagliare. Il vostro servo poi mi accertò.
Lo ringraziai perch'ei fosse venuto a vedermi; gli parlai di te; e voi mi siete anche più
grato, gli dissi, perché m'avete recato il nome di Lorenzo. - Non ti ripeterò il suo
doloroso racconto. Emigrò per la pace di Campo Formio, e s'arruolò Tenente
nell'artiglieria Cisalpina. Querelandosi un giorno delle fatiche e delle angarie che gli
parea di sopportare, gli fu da un amico suo proferito un impiego. Abbandonò la milizia.
Ma l'amico, l'impiego, e il tetto gli mancarono. Tapinò per l'Italia, e s'imbarcò a
Livorno. - Ma mentr'esso parlava, io udiva nella camera contigua un rammarichio di bambino
e un sommesso lamento; e m'avvidi ch'egli andavasi soffermando, e ascoltava con certa
ansietà: e quando quel rammarichio taceva, ei ripigliava. - Forse, gli diss'io, saranno
passaggeri giunti pur ora. - No, mi rispose; è la mia figlioletta di tredici mesi che
piange.
E seguì a narrarmi, ch'ei mentre era Tenente s'ammogliò a una fanciulla di povero stato,
e che le perpetue marcie a cui la giovinetta non potea reggere, e lo scarso stipendio lo
stimolarono anche più a confidare in colui che poi lo tradì. Da Livorno navigò a
Marsiglia, così alla ventura: e si trascinò per tutta Provenza; e poi nel Delfinato,
cercando d'insegnare l'Italiano, senza mai potersi trovare né lavoro né pane; ed ora
tornavasi d'Avignone a Milano. Io mi rivolgo addietro, continuò, e guardo il tempo
passato, e non so come sia passato per me. Senza danaro; seguitato sempre da una moglie
estenuata, co' piedi laceri, con le braccia spossate dal continuo peso di una creatura
innocente che domanda alimento all'esausto petto di sua madre, e che strazia con le sue
strida le viscere degli sfortunati suoi genitori, mentre non possiamo acquetarla con la
ragione delle nostre disgrazie. Quante giornate arsi, quante notti assiderati abbiamo
dormito nelle stalle fra' giumenti, o come le bestie nelle caverne! cacciato di città in
città da tutti i governi, perché la mia indigenza mi serrava la porta de' magistrati, o
non mi concedeva di dar conto di me: e chi mi conosceva, o non volle più conoscermi, o mi
voltò le spalle. - E sì, gli diss'io, so che in Milano e altrove molti de' nostri
concittadini emigrati sono tenuti liberali. - Dunque, soggiunse, la mia fiera fortuna li
ha fatti crudeli unicamente per me. Anche le persone di ottimo cuore si stancano di fare
del bene; sono tanti i tapini! Io non lo so - ma il tale - il tale (e i nomi di questi
uomini ch'io scopriva così ipocriti mi erano, Lorenzo, tante coltellate nel cuore) chi mi
ha fatto aspettare assai volte vanamente alla sua porta; chi dopo sviscerate promesse, mi
fe' camminare molte miglia sino al suo casino di diporto, per farmi la limosina di poche
lire: il più umano mi gittò un tozzo di pane senza volermi vedere; e il più magnifico
mi fece così sdruscito passare fra un corteggio di famigli e di convitati, e dopo
d'avermi rammemorata la scaduta prosperità della mia famiglia, e inculcatomi lo studio e
la probità, mi disse amichevolmente che non mi rincrescesse di ritornare domattina per
tempo. Tornatomi, ritrovai nell'anticamera tre servidori, uno de' quali mi disse che il
padrone dormiva; e mi pose nelle mani due scudi e una camicia. Ah signore! non so se voi
siete ricco; ma il vostro aspetto, e que' sospiri mi dicono che voi siete sventurato e
pietoso. Credetemi; io vidi per prova che il danaro fa parere benefico anche l'usurajo, e
che l'uomo splendido di rado si degna di locare il suo beneficio fra' cenci. - Io taceva;
ed ei rizzandosi per accommiatarsi riprese a dire: I libri m'insegnavano ad amare gli
uomini e la virtù; ma i libri, gli uomini e la virtù mi hanno tradito. Ho dotta la
testa; sdegnato il cuore; e le braccia inette ad ogni utile mestiere. Se mio padre udisse
dalla terra ove sta seppellito con che gemito grave io lo accuso di non avere fatti i suoi
cinque figliuoli legnajuoli o sartori! Per la misera vanità di serbare la nobiltà senza
la fortuna, ha sprecato per noi tutto quel poco che ei possedeva, nelle università e nel
bel mondo. E noi frattanto? - Non ho mai saputo che si abbia fatto la fortuna degli altri
fratelli miei. Scrissi molte lettere; non però vidi risposta: o sono miseri, o sono
snaturati. Ma per me, ecco il frutto delle ambiziose speranze del padre mio. Quante volte
io sono condotto o dalla notte, o dalla fame a ricoverarmi in una osteria; ma entrandovi,
non so come pagherò la mattina imminente. Senza scarpe, senza vesti - Ah copriti! gli
diss'io, rizzandomi; e lo coprii del mio tabarro. E Michele, che essendo venuto già in
camera per qualche faccenda vi s'era fermato poco discosto ascoltando, si avvicinò
asciugandosi gli occhi col rovescio della mano, e gli aggiustava in dosso quel tabarro: ma
con certo rispetto, come s'ei temesse d'insultare alla scaduta fortuna di quella persona
così ben nata.
O Michele! io mi ricordo che tu potevi vivere libero sino al dì che tuo fratello maggiore
avviando una botteghetta, ti chiamò seco; eppure scegliesti di rimanerti con me, benché
servo: io noto l'amoroso rispetto per cui tu dissimuli gl'impeti miei fantastici; e taci
anche le tue ragioni ne' momenti dell'ingiusta mia collera: e vedo con quanta ilarità te
la passi fra le noje della mia solitudine; e vedo la fede con che sostieni i travaglj di
questo mio pellegrinaggio. Spesso col tuo giovale sembiante mi rassereni; ma quando io
taccio le intere giornate, vinto dal mio nerissimo umore, tu reprimi la gioja del tuo
cuore contento per non farmi accorgere del mio stato. Pure! questo atto gentile verso quel
disgraziato ha santificata la mia riconoscenza verso di te. Tu se' il figliuolo della mia
nutrice, tu se' allevato nella mia casa; né io t'abbandonerò mai. Ma io t'amo ancor più
poiché mi avvedo che il tuo stato servile avrebbe forse indurita la bella tua indole, se
non ti fosse stata coltivata dalla mia tenera madre, da quella donna che con l'animo suo
delicato, e co' soavi suoi modi fa cortese e amoroso tutto quello che vive in lei.
Quando fui solo, diedi a Michele quel più che ho potuto; ed esso, mentre io desinava, lo
recò a quel derelitto. Appena mi sono risparmiato tanto da arrivare a Nizza dove
negozierò le cambiali ch'io né banchi di Genova mi feci spedire per Tolone e Marsiglia.
- Stamattina quando ei, prima di andarsene, è venuto con la sua moglie e con la sua
creatura per ringraziarmi, ed io vedeva con quanto giubilo mi replicava: Senza di voi io
sarei oggi andato cercando il primo spedale - io non ho avuto animo di rispondergli; ma il
mio cuore dicevagli: Ora tu hai come vivere per quattro mesi - per sei - e poi? La
bugiarda speranza ti guida intanto per mano, e l'ameno viale dove t'innoltri mette forse a
un sentiero più disastroso. Tu cercavi il primo spedale - e t'era forse poco discosto
l'asilo della fossa. Ma questo mio poco soccorso, né la sorte mi concede di ajutarti
davvero, ti ridarà più vigore da sostenere di nuovo e per più tempo que' mali che già
t'avevano quasi consunto e liberato per sempre. Goditi intanto del presente - ma quanti
disagi hai pur dovuto durare perché questo tuo stato, che a molti pure sarebbe affannoso,
a te paja sì lieto! Ah se tu non fossi padre e marito, io ti darei forse un consiglio! -
e senza dirgli parola, l'ho abbracciato; e mentre partivano, io li guardava, stretto d'un
crepacuore mortale.
Jer sera spogliandomi io pensava: Perché mai quell'uomo emigrò dalla sua patria? perché
s'ammogliò? perché mai lasciò un pane sicuro? e tutta la storia di lui pareva il
romanzo di un pazzo; ed io sillogizzava cercando ciò ch'egli per non strascinarmi dietro
tutte quelle sciagure, avrebbe potuto fare, o non fare. Ma siccome ho più volte udito
infruttuosamente ripetere sì fatti perché, ed ho veduto che tutti fanno da medici
nelle altrui malattie - io sono andato a dormire borbottando: O mortali che giudicate
inconsiderato tutto quello che non è prospero, mettetevi una mano sul petto e poi
confessate - siete più savj, o più fortunati?
Or credi tu vero tutto ciò ch'ei narrava? - Io? Credo ch'egli era mezzo nudo, ed io
vestito; ho veduto una moglie languente; ho udito le strida di una bambina. Mio Lorenzo,
si vanno pure cercando con la lanterna nuove ragioni contro del povero perché si sente
nella coscienza il diritto che la Natura gli ha dato su le sostanze del ricco. - Eh! le
sciagure non derivano per lo più che da' vizj; e in costui forse derivarono da un
delitto. - Forse? per me non lo so, né lo indago. Io giudice, condannerei tutti i
delinquenti; ma io uomo, ah! penso al ribrezzo col quale nasce la prima idea del delitto;
alla fame e alle passioni che strascinano a consumarlo; agli spasimi perpetui; al rimorso
con che l'uomo si sfama del frutto insanguinato dalla colpa, alle carceri che il reo si
mira sempre spalancate per seppellirlo - e se poi scampando dalla giustizia, ne paga il
fio col disonore e con l'indigenza, dovrò io abbandonarlo alla disperazione ed a nuovi
delitti? è egli solo colpevole? la calunnia, il tradimento del secreto, la seduzione, la
malignità, la nera ingratitudine sono delitti più atroci, ma sono essi neppur
minacciati? e chi dal delitto ha ricavato campi ed onore! - O legislatori, o giudici,
punite: ma talvolta aggiratevi ne' tuguri della plebe e ne' sobborghi di tutte le città
capitali, e vedrete ogni giorno un quarto della popolazione che svegliandosi su la paglia
non sa come placare le supreme necessità della vita. Conosco che non si può rimutare la
società; e che l'inedia, le colpe, e i supplizj sono anch'essi elementi dell'ordine e
della prosperità universale; però si crede che il mondo non possa reggersi senza giudici
né senza patiboli; ed io lo credo poiché tutti lo credono. Ma io? non sarò giudice mai.
In questa gran valle dove l'umana specie nasce, vive, muore, si riproduce, s'affanna, e
poi torna a morire, senza saper come né perché, io non distinguo che fortunati e
sfortunati. E se incontro un infelice, compiango la nostra sorte; e verso quanto balsamo
posso su le piaghe dell'uomo: ma lascio i suoi meriti e le sue colpe su la bilancia di
Dio.
Ventimiglia, 19 e 20 Febbraro
Tu sei disperatamente infelice; tu vivi fra le agonie della morte, e non hai la sua
tranquillità: ma tu dèi tollerarle per gli altri. - Così la Filosofia domanda agli
uomini un eroismo da cui la Natura rifugge. Chi odia la propria vita può egli amare il
minimo bene che è incerto di recare alla Società e sacrificare a questa lusinga molti
anni di pianto? e come potrà sperare per gli altri colui che non ha desiderj, né
speranze per sé; e che abbandonato da tutto, abbandona se stesso? - Non sei misero tu
solo. - Pur troppo! ma questa consolazione non è anzi argomento dell'invidia secreta che
ogni uomo cova dell'altrui prosperità? La miseria degli altri non iscema la mia. Chi è
tanto generoso da addossarsi le mie infermità? e chi anco volendo, il potrebbe? avrebbe
forse più coraggio da comportarle; ma cos'è il coraggio voto di forza? Non è vile
quell'uomo che è travolto dal corso irresistibile di una fiumana; bensì chi ha forze da
salvarsi e non le adopra. Ora dov'è il sapiente che possa costituirsi giudice delle
nostre intime forze? chi può dare norma agli effetti delle passioni nelle varie tempre
degli uomini e delle incalcolabili circostanze onde decidere: Questi è un vile, perché
soggiace; quegli che sopporta, è un eroe? mentre l'amore della vita è così imperioso
che più battaglia avrà fatto il primo per non cedere, che il secondo per sopportare.
Ma i debiti i quali tu hai verso la Società? - Debiti? forse perché mi ha tratto dal
libero grembo della Natura, quand'io non aveva né la ragione, né l'arbitrio di
acconsentirvi, né la forza di oppormivi, e mi educò fra' suoi bisogni e fra' suoi
pregiudizj? - Lorenzo, perdona s'io calco troppo su questo discorso tanto da noi
disputato. Non voglio smoverti dalla tua opinione sì avversa alla mia; vo' bensì
dileguare ogni dubbio da me. Saresti convinto al pari di me, se ti sentissi le piaghe mie;
il Cielo te le risparmi! - Ho io contratto questi debiti spontaneamente? e la mia vita
dovrà pagare, come uno schiavo, i mali che la Società mi procaccia, solo perché gli
intitola beneficj? e sieno beneficj: ne godo e li ricompenso fino che vivo; e se nel
sepolcro non le sono io di vantaggio, qual bene ritraggo io da lei nel sepolcro? O amico
mio! ciascun individuo è nemico nato della Società, perché la Società è necessaria
nemica degli individui. Poni che tutti i mortali avessero interesse di abbandonare la
vita, credi tu che la sosterrebbero per me solo? e s'io commetto un'azione dannosa a'
più, io sono punito; mentre non mi verrà fatto mai di vendicarmi delle loro azioni,
quantunque ridondino in sommo mio danno. Possono ben essi pretendere ch'io sia figliuolo
della grande famiglia; ma io rinunziando e a' beni e a' doveri comuni posso dire: Io sono
un mondo in me stesso: e intendo d'emanciparmi perché mi manca la felicità che mi avete
promesso. Che s'io dividendomi non trovo la mia porzione di libertà; se gli uomini me
l'hanno invasa perché sono più forti; se mi puniscono perché la ridomando - non gli
sciolgo io dalle loro bugiarde promesse e dalle mie impotenti querele cercando scampo
sotterra? Ah! que' filosofi che hanno evangelizzato le umane virtù, la probità naturale,
la reciproca benevolenza - sono inavvedutamente apostoli degli astuti, ed adescano quelle
poche anime ingenue e bollenti le quali amando schiettamente gli uomini per l'ardore di
essere riamate, saranno sempre vittime tardi pentite della loro leale credulità. -
Eppur quante volte tutti questi argomenti della ragione hanno trovato chiusa la porta del
mio cuore, perch'io tuttavia mi sperava di consecrare i miei tormenti all'altrui
felicità! Ma! - per il nome d'Iddio, ascolta e rispondimi. A che vivo? di che pro ti son
io, io fuggitivo fra queste cavernose montagne? di che onore a me stesso, alla mia patria,
a' miei cari? V'ha egli diversità da queste solitudini alla tomba? La mia morte sarebbe
per me la meta de' guai, e per voi tutti la fine delle vostre ansietà sul mio stato.
Invece di tante ambasce continue, io vi darei un solo dolore - tremendo, ma ultimo: e
sareste certi della eterna mia pace. I mali non ricomprano la vita.
E penso ogni giorno al dispendio di cui da più mesi sono causa a mia madre; né so come
ella possa far tanto. S'io mi tornassi, troverei casa nostra vedova del suo splendore. E
incominciava già ad oscurarsi, molto innanzi ch'io mi partissi, per le pubbliche e
private estorsioni le quali non restano di percuoterci. Né però quella madre
benefattrice cessa dalle sue cure: trovai dell'altro denaro a Milano; ma queste affettuose
liberalità le scemeranno certamente quegli agi fra' quali nacque. Pur troppo fu moglie
mal avventurata! le sue sostanze sostengono la mia casa che rovinava per le prodigalità
di mio padre; e l'età di lei mi fa ancora più amari questi pensieri. - Se sapesse! tutto
è vano per lo sfortunato suo figliuolo. E s'ella vedesse qui dentro - se vedesse le
tenebre e la consunzione dell'anima mia! deh! non gliene parlare, o Lorenzo: ma vita è
questa? - Ah sì! io vivo ancora; e l'unico spirito de' miei giorni è una sorda speranza
che li rianima sempre, e che pure tento di non ascoltare: non posso - e s'io voglio
disingannarla, la si converte in disperazione infernale. - Il tuo giuramento, o Teresa,
proferirà ad un tempo la mia sentenza - ma finché tu se' libera; - e il nostro amore è
tuttavia nell'arbitrio delle circostanze - dell'incerto avvenire - e della morte, tu sarai
sempre mia. Io ti parlo, e ti guardo, e ti abbraccio: e mi pare che così da lontano tu
senta l'impressioni de' miei baci e delle mie lagrime. Ma quando tu sarai offerita dal
padre tuo come olocausto di riconciliazione su l'altare di Dio - quando il tuo pianto
avrà ridata la pace alla tua famiglia - allora - non io - ma la disperazione sola, e da
sé, annienterà l'uomo e le sue passioni. E come può spegnersi, mentre vivo, il mio
amore? e come non ti sedurranno sempre nel tuo secreto le sue dolci lusinghe? ma allora
più non saranno sante e innocenti. Io non amerò, quando sarà d'altri, la donna che fu
mia - amo immensamente Teresa; ma non la moglie d'Odoardo - ohimè! tu forse mentre scrivo
sei nel suo letto! - Lorenzo! - Ahi Lorenzo! eccolo quel demonio mio persecutore; torna a
incalzarmi, a premermi, a investirmi, e m'accieca l'intelletto, e mi ferma perfino le
palpitazioni del cuore, e mi fa tutto ferocia, e vorrebbe il mondo finito con me. -
Piangete tutti - e perché mi caccia fra le mani un pugnale, e mi precede, e si volge
guardando se io lo sieguo, e mi addita dov'io devo ferire? Vieni tu dall'altissima
vendetta del Cielo? - E così nel mio furore e nelle mie superstizioni io mi prostendo su
la polvere a scongiurare orrendamente un Dio che non conosco, che altre volte ho
candidamente adorato, ch'io non offesi, di cui dubito sempre - e poi tremo, e l'adoro.
Dov'io cerco ajuto? non in me, non negli uomini: la Terra io la ho insanguinata, e il Sole
è negro.
Alfine eccomi in pace! - Che pace? stanchezza, sopore di sepoltura. Ho vagato per
queste montagne. Non v'è albero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi; aspri e lividi
macigni; e qua e là molte croci che segnano il sito de' viandanti assassinati. - Là giù
è il Roja, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle
Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa immensa montagna. V'è un ponte presso
alla marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli
occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di
burroni cavernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell'Alpi altre Alpi di neve che
s'immergono nel Cielo e tutto biancheggia e si confonde - da quelle spalancate Alpi cala e
passeggia ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. La Natura
siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi.
I tuoi confini, o Italia, son questi! ma sono tutto dì sormontati d'ogni parte dalla
pertinace avarizia delle nazioni. Ove sono dunque i tuoi figli? Nulla ti manca se non la
forza della concordia. Allora io spenderei gloriosamente la mia vita infelice per te: ma
che può fare il solo mio braccio e la nuda mia voce? - Ov'è l'antico terrore della tua
gloria? Miseri! noi andiamo ogni dì memorando la libertà e la gloria degli avi, le quali
quanto più splendono tanto più scoprono la nostra abbietta schiavitù. Mentre invochiamo
quelle ombre magnanime, i nostri nemici calpestano i loro sepolcri. E verrà forse giorno
che noi perdendo e le sostanze, e l'intelletto, e la voce, sarem fatti simili agli schiavi
domestici degli antichi, o trafficati come i miseri Negri, e vedremo i nostri padroni
schiudere le tombe e disseppellire, e disperdere al vento le ceneri di que' Grandi per
annientarne le ignude memorie: poiché oggi i nostri fasti ci sono cagione di superbia, ma
non eccitamento dell'antico letargo.
Così grido quand'io mi sento insuperbire nel petto il nome Italiano, e rivolgendomi
intorno io cerco, né trovo più la mia patria. - Ma poi dico: Pare che gli uomini sieno
fabbri delle proprie sciagure; ma le sciagure derivano dall'ordine universale, e il genere
umano serve orgogliosamente e ciecamente a' destini. Noi argomentiamo su gli eventi di
pochi secoli: che sono eglino nell'immenso spazio del tempo? Pari alle stagioni della
nostra vita normale, pajono talvolta gravi di straordinarie vicende, le quali pur sono
comuni e necessarj effetti del tutto. L'universo si controbilancia. Le nazioni si divorano
perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell'altra. Io guardando da queste
Alpi l'Italia piango e fremo, e invoco contro agl'invasori vendetta; ma la mia voce si
perde tra il fremito ancora vivo di tanti popoli trapassati, quando i Romani rapivano il
mondo, cercavano oltre a' mari e a' deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano
gl'Iddii de' vinti, incatenevano principi e popoli liberissimi, finché non trovando più
dove insanguinare i lor ferri, li ritorceano contro le proprie viscere. Così gli
Israeliti trucidavano i pacifici abitatori di Canaan, e i Babilonesi poi strascinarono
nella schiavitù i sacerdoti, le madri, e i figliuoli del popolo di Giuda. Così
Alessandro rovesciò l'impero di Babilonia, e dopo avere passando arsa gran parte della
terra, si corrucciava che non vi fosse un altro universo. Così gli Spartani tre volte
smantellarono Messene e tre volte cacciarono dalla Grecia i Messeni che pur Greci erano
della stessa religione e nipoti de' medesimi antenati. Così sbranavansi gli antichi
Italiani finché furono ingojati dalla fortuna di Roma. Ma in pochissimi secoli la regina
del mondo divenne preda de' Cesari, de' Neroni, de' Costantini, de' Vandali, e de' Papi.
Oh quanto fumo di umani roghi ingombrò il Cielo della America, oh quanto sangue
d'innumerabili popoli che né timore né invidia recavano agli Europei, fu dall'Oceano
portato a contaminare d'infamia le nostre spiagge! ma quel sangue sarà un dì vendicato e
si rovescierà su i figli degli Europei! Tutte le nazioni hanno le loro età. Oggi sono
tiranne per maturare la propria schiavitù di domani: e quei che pagavano dianzi vilmente
il tributo, lo imporranno un giorno col ferro e col fuoco. La Terra è una foresta di
belve. La fame, i diluvj, e la peste sono ne' provvedimenti della Natura come la
sterilità di un campo che prepara l'abbondanza per l'anno vegnente: e chi sa? fors'anche
le sciagure di questo globo apparecchiano la prosperità di un altro.
Frattanto noi chiamiamo pomposamente virtù tutte quelle azioni che giovano alla sicurezza
di chi comanda e alla paura di chi serve. I governi impongono giustizia: ma potrebbero
eglino imporla se per regnare non l'avessero prima violata? Chi ha derubato per ambizione
le intere province, manda solennemente alle forche chi per fame invola del pane. Onde
quando la forza ha rotti tutti gli altrui diritti, per serbarli poscia a se stessa inganna
i mortali con le apparenze del giusto, finché un'altra forza non la distrugga. Eccoti il
mondo, e gli uomini. Sorgono frattanto d'ora in ora alcuni più arditi mortali; prima
derisi come frenetici, e sovente come malfattori, decapitati: che se poi vengono
patrocinati dalla fortuna ch'essi credono lor propria, ma che in somma non è che il moto
prepotente delle cose, allora sono obbediti e temuti, e dopo morte deificati. Questa è la
razza degli eroi, de' capisette, e de' fondatori delle nazioni i quali dal loro orgoglio e
dalla stupidità de' volghi si stimano saliti tant'alto per proprio valore; e sono cieche
ruote dell'oriuolo. Quando una rivoluzione nel globo è matura, necessariamente vi sono
gli uomini che la incominciano, e che fanno de' loro teschj sgabello al trono di chi la
compie. E perché l'umana schiatta non trova né felicità né giustizia sopra la terra,
crea gli Dei protettori della debolezza e cerca premj futuri del pianto presente. Ma gli
Dei si vestirono in tutti i secoli delle armi de' conquistatori: e opprimono le genti con
le passioni, i furori, e le astuzie di chi vuole regnare.
Lorenzo, sai tu dove vive ancora la vera virtù? in noi pochi deboli e sventurati; in noi,
che dopo avere sperimentati tutti gli errori, e sentiti tutti i guai della vita, sappiamo
compiangerli e soccorrerli. Tu o Compassione, sei la sola virtù! tutte le altre sono
virtù usuraje.
Ma mentre io guardo dall'alto le follie e le fatali sciagure della umanità, non mi sento
forse tutte le passioni e la debolezza ed il pianto, soli elementi dell'uomo? Non sospiro
ogni dì la mia patria? Non dico a me lagrimando: Tu hai una madre e un amico - tu ami -
te aspetta una turba di miseri, a cui se' caro, e che forse sperano in te - dove fuggi?
anche nelle terre straniere ti perseguiranno la perfidia degli uomini e i dolori e la
morte: qui cadrai forse, e niuno avrà compassione di te; e tu senti pure nel tuo misero
petto il piacere di essere compianto. Abbandonato da tutti, non chiedi tu ajuto dal Cielo?
non t'ascolta; eppure nelle tue afflizioni il tuo cuore torna involontario a lui - va,
prostrati; ma all'are domestiche.
O natura! hai tu forse bisogno di noi sciagurati, e ci consideri come i vermi e gl'insetti
che vediamo brulicare e moltiplicarsi senza sapere a che vivano? Ma se tu ci hai dotati
del funesto istinto della vita sì che il mortale non cada sotto la soma delle tue
infermità ed ubbidisca irrepugnabilmente a tutte le tue leggi, perché poi darci questo
dono ancor più funesto della ragione? Noi tocchiamo con mano tutte le nostre calamità
ignorando sempre il modo di ristorarle.
Perché dunque io fuggo? e in quali lontane contrade io vado a perdermi? dove mai troverò
gli uomini diversi dagli uomini? O non presento io forse i disastri, le infermità, e la
indigenza che fuori della mia patria mi aspettano? - Ah no! Io tornerò a voi, o sacre
terre, che prime udiste i miei vagiti, dove tante volte ho riposato queste mie membra
affaticate, dove ho trovato nella oscurità e nella pace i miei pochi diletti, dove nel
dolore ho confidato i miei pianti. Poiché tutto è vestito di tristezza per me, se
null'altro posso ancora sperare che il sonno eterno della morte - voi sole, o mie selve,
udirete il mio ultimo lamento, e voi sole coprirete con le vostre ombre pacifiche il mio
freddo cadavere. Mi piangeranno quegli infelici che sono compagni delle mie disgrazie - e
se le passioni vivono dopo il sepolcro, il mio spirito doloroso sarà confortato da'
sospiri di quella celeste fanciulla ch'io credeva nata per me, ma che gl'interessi degli
uomini e il mio destino feroce mi hanno strappata dal petto.
Alessandria, 29 Febbraro
Da Nizza invece d'innoltrarmi in Francia, ho preso la volta del Monferrato. Stasera
dormirò a Piacenza. Giovedì scriverò da Rimino. Ti dirò allora - Or addio.
(continua...)
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