da "Novelle rusticane " (1883)
Il reverendo
Di reverendo non aveva più né la barba lunga, né lo scapolare di
zoccolante, ora che si faceva radere ogni domenica, e andava a spasso colla sua bella
sottana di panno fine, e il tabarro colle rivolte di seta sul braccio. Allorché guardava
i suoi campi, e le sue vigne, e i suoi armenti, e i suoi bifolchi, colle mani in tasca e
la pipetta in bocca, se si fosse rammentato del tempo in cui lavava le scodelle ai
cappuccini, e che gli avevano messo il saio per carità. si sarebbe fatta la croce colla
mano sinistra.
Ma se non gli avessero insegnato a dir messa, e a leggere e a scrivere per
carità, non sarebbe riescito a ficcarsi nelle primarie casate del paese, né ad
inchiodare nei suoi bilanci il nome di tutti quei mezzadri che lavoravano e pregavano Dio
e la buon'annata per lui, e bestemmiavano poi come turchi al far dei conti. «Guarda ciò
che sono e non da chi son nato» dice il proverbio. Da chi era nato lui, tutti lo
sapevano, ché sua madre gli scopava tuttora la casa. Il Reverendo non aveva la boria di
famiglia, no; e quando andava a fare il tresette dalla baronessa, si faceva aspettare in
anticamera dal fratello, col lanternone in mano.
Nel far del bene cominciava dai suoi, come Dio stesso comanda; e s'era tolta
in casa una nipote, belloccia, ma senza camicia, che non avrebbe trovato uno straccio di
marito; e la manteneva lui, anzi l'aveva messa nella bella stanza coi vetri alla finestra,
e il letto a cortinaggio, e non la teneva per lavorare, o per sciuparsi le mani in alcun
ufficio grossolano. Talché parve a tutti un vero castigo di Dio, allorquando la
poveraccia fu presa dagli scrupoli, come accade alle donne che non hanno altro da fare, e
passano i giorni in chiesa a picchiarsi il petto pel peccato mortale - ma non quando c'era
lo zio, ch'ei non era di quei preti i quali amano farsi vedere in pompa magna sull'altare
dall'innamorata. Le donne, fuori di casa, gli bastava accarezzarle con due dita sulla
guancia, paternamente, o dallo sportellino del confessionario, dopo che s'erano
risciacquata la coscienza, e avevano vuotato il sacco dei peccati propri ed altrui, ché
qualche cosa di utile ci si apprendeva sempre, per dar la benedizione, uno che speculasse
sugli affari di campagna.
Benedetto Dio! egli non pretendeva di essere un sant'uomo, no! I sant'uomini
morivano di fame; come il vicario il quale celebrava anche quando non gli pagavano la
messa; e andava attorno per le case de' pezzenti con una sottana lacera che era uno
scandalo per la Religione.
Il Reverendo voleva portarsi avanti; e ci si portava, col vento in
poppa; dapprincipio un po' a sghembo per quella benedetta tonaca che gli dava noia, tanto
che per buttarla nell'orto del convento aveva fatta causa al Tribunale della Monarchia, e
i confratelli l'avevano aiutato a vincerla per levarselo di torno, perché sin quando ci
fu lui in convento volavano le panche e le scodelle in refettorio ad ogni elezione di
provinciale; il padre Battistino, un servo di Dio robusto come un mulattiere, l'avevano
mezzo accoppato, e padre Giammaria, il guardiano, ci aveva rimesso tutta la dentatura. Il
Reverendo, lui, stava chiotto in cella, dopo di aver attizzato il fuoco, e in tal modo era
arrivato ad esser reverendo con tutti i denti, che gli servivano bene; e al padre
Giammaria che era stato lui a ficcarsi quello scorpione nella manica, ognuno diceva: - Ben
gli sta! -
Ma il padre Giammaria, buon uomo, rispondeva, masticandosi le labbra colle
gengive nude:
- Che volete? Costui non era fatto per cappuccino. È come papa Sisto, che da
porcaio arrivò ad essere quello che fu. Non avete visto ciò che prometteva da ragazzo? -
Per questo padre Giammaria era rimasto semplice guardiano dei Cappuccini,
senza camicia e senza un soldo in tasca, a confessare per l'amor di Dio, e cuocere la
minestra per i poveri.
Il Reverendo, da ragazzo, come vedeva suo fratello, quello del lanternone,
rompersi la schiena a zappare, e le sorelle che non trovavano marito neanche a regalarle,
e la mamma la quale filava al buio per risparmiar l'olio della lucerna, aveva detto: - Io
voglio esser prete! - Avevano venduto la mula e il campicello, per mandarlo a scuola,
nella speranza che se giungevano ad avere il prete in casa ci avevano meglio della chiusa
e della mula. Ma ci voleva altro per mantenerlo al seminario! Allora il ragazzo si mise a
ronzare attorno al convento perché lo pigliassero novizio; e un giorno che si aspettava
il provinciale, e c'era da fare in cucina, lo accolsero per dare una mano. Padre
Giammaria, il quale aveva il cuore buono, gli disse: - Ti piace lo stato? e tu stacci -. E
fra Carmelo, il portinaio, nelle lunghe ore d'ozio, che s'annoiava seduto sul muricciuolo
del chiostro a sbattere i sandali l'un contro l'altro, gli mise insieme un po' di
scapolare coi pezzi di saio buttati sul fico a spauracchio delle passere. La mamma, il
fratello e la sorella protestavano che se entrava frate era finita per loro, e ci
rimettevano i denari della scuola, perché non gli avrebbero cavato più un baiocco. Ma
lui che era frate nel sangue, si stringeva le spalle, e rispondeva: - Sta a vedere che uno
non può seguire la vocazione a cui Dio l'ha chiamato! -
Il padre Giammaria l'aveva preso a ben volere perché era lesto come un gatto
in cucina, e in tutti gli uffici vili, persino nel servir la messa, quasi non avesse fatto
mai altro in vita sua, cogli occhi bassi, e le labbra cucite come un serafino. - Ora che
non serviva più la messa aveva sempre quegli occhi bassi e quelle labbra cucite, quando
si trattava di un affare scabroso coi signori, che c'era da disputarsi all'asta le terre
del comune, o da giurare il vero dinanzi al Pretore.
Di giuramenti, nel 1854, dovette farne uno grosso davvero, sull'altare,
davanti alla pisside, mentre diceva la santa messa, ché la gente lo accusava di spargere
il colèra, e voleva fargli la festa.
- Per quest'ostia consacrata che ho in mano - disse lui ai fedeli
inginocchiati sulle calcagna - sono innocente , figliuoli miei! Del resto vi prometto che
il flagello cesserà fra una settimana. Abbiate pazienza! -
Sì, avevano pazienza! per forza dovevano averla! Poiché egli era tutt'uno
col giudice e col capitan d'armi, e il re Bomba gli mandava i capponi a Pasqua e a Natale
per disobbligarsi, dicevasi; e gli aveva mandato anche il contravveleno, caso mai
succedesse una disgrazia.
Una vecchia zia che aveva dovuto tirarsi in casa, per non fare mormorare il
prossimo, e non era più buona che a mangiare il pane a tradimento, aveva sturato una
bottiglia per un'altra, e acchiappò il colèra bell'e buono; ma il nipote stesso, per non
fare insospettir la gente, non aveva potuto amministrarle il contravveleno. - Dammi il
contravveleno! dammi il contravveleno! - supplicava la vecchia, già nera come il carbone,
senza aver riguardo al medico ed al notaio ch'erano lì presenti, e si guardavano in
faccia imbarazzati. Il Reverendo, colla faccia tosta, quasi non fosse fatto suo,
borbottava stringendosi nelle spalle: - Non le date retta, che sta delirando -. Il
contravveleno, se pur ce l'aveva, il re glielo aveva mandato sotto suggello di
confessione, e non poteva darlo a nessuno. Il giudice in persona era andato a
chiederglielo ginocchioni per sua moglie che moriva, e s'era sentito rispondere dal
Reverendo:
- Comandatemi della vita, amico caro; ma per cotesto negozio, proprio, non
posso servirvi -.
Questa era storia che tutti la sapevano, e siccome sapevano che a furia di
intrighi e d'abilità era arrivato ad essere l'amico intrinseco del re, del giudice e del
capitan d'armi, che aveva la polizia come l'Intendente, e i suoi rapporti arrivavano a
Napoli senza passar per le mani del Luogotenente, nessuno osava litigare con lui, e
allorché gettava gli occhi su di un podere da vendere, o su di un lotto di terre comunali
che si affittavano all'asta, gli stessi pezzi grossi del paese, se s'arrischiavano a
disputarglielo, lo facevano coi salamelecchi, e offrendogli una presa di tabacco.
Una volta, col barone istesso, durarono una mezza giornata a tira e molla. Il
barone faceva l'amabile, e il Reverendo seduto in faccia a lui, col tabarro raccolto fra
le gambe, ad ogni offerta d'aumento gli presentava la tabacchiera d'argento, sospirando: -
Che volete farci, signor barone. Qui è caduto l'asino, e tocca a noi tirarlo su -.
Finché si pappò l'aggiudicazione, e il barone tirò su la presa, verde dalla bile.
Cotesto l'approvavano i villani, perché i cani grossi si fanno sempre la
guerra fra di loro, se capita un osso buono, e ai poveretti non resta mai nulla da
rosicare. Ma ciò che li faceva mormorare era che quel servo di Dio li smungesse peggio
dell'anticristo, allorché avevano da spartire con lui, e non si faceva scrupolo di
chiappare la roba del prossimo, perché gli arnesi della confessione li teneva in mano e
se cascava in peccato mortale poteva darsi l'assoluzione da sé. - Tutto sta ad averci il
prete in casa! - sospiravano. E i più facoltosi si levavano il pan di bocca per mandare
il figliuolo al seminario.
- Quando uno si dà alla campagna, bisogna che ci si dia tutto, - diceva il
Reverendo, onde scusarsi se non usava riguardi a nessuno. E la messa stessa lui non la
celebrava altro che la domenica, quando non c'era altro da fare, che non era di quei
pretucoli che corrono dietro al tre tarì della messa. Lui non ne aveva bisogno. Tanto che
Monsignor Vescovo, nella visita pastorale, arrivando a casa sua, e trovandogli il
breviario coperto di polvere, vi scrisse su col dito «deo gratias»! Ma il Reverendo
aveva altro in testa che perdere il tempo a leggere il breviario, e se ne rideva del
rimprovero di Monsignore. Se il breviario era coperto di polvere, i suoi buoi erano
lucenti, le pecore lanute, e i seminati alti come un uomo, che i suoi mezzadri almeno se
ne godevano la vista, e potevano fabbricarvi su dei bei castelli in aria, prima di fare i
conti col padrone. I poveretti slargavano tanto di cuore. - Seminati che sono una magìa!
Il Signore ci è passato di notte! Si vede che è roba di un servo di Dio e conviene
lavorare per lui che ci ha in mano la messa e la benedizione! - In maggio, all'epoca in
cui guardavano in cielo per scongiurare ogni nuvola che passava, sapevano che il padrone
diceva la messa pella raccolta, e valeva più delle immagini dei santi, e dei pani
benedetti per scacciare il malocchio e la malannata. Anzi il Reverendo non voleva che
spargessero i pani benedetti pel seminato, perché non servono che ad attirare i passeri e
gli altri uccelli nocivi. Delle immagini sante poi ne aveva le tasche piene, giacché ne
pigliava quante ne voleva in sagrestia, di quelle buone, senza spendere un soldo, e le
regalava ai suoi contadini.
Ma alla raccolta, giungeva a cavallo, insieme a suo fratello, il quale gli
faceva da campiere, collo schioppo ad armacollo, e non si muoveva più, dormiva lì, nella
malaria, per guardare ai suoi interessi, senza badare neanche a Cristo. Quei poveri
diavoli, che nella bella stagione avevano dimenticato i giorni duri dell'inverno,
rimanevano a bocca aperta sentendosi sciorinare la litania dei loro debiti. - Tanti rotoli
di fave che tua moglie è venuta a prendere al tempo della neve. - Tanti fasci di sarmenti
consegnati al tuo figliuolo. - Tanti tumoli di grano anticipati per le sementi - coi
frutti - a tanto il mese. - Fa il conto -. Un conto imbrogliato. Nell'anno della carestia,
che lo zio Carmenio ci aveva lasciato il sudore e la salute nelle chiuse del Reverendo,
gli toccò di lasciarvi anche l'asino, alla messe, per saldare il debito, e se ne andava a
mani vuote, bestemmiando delle parolacce da far tremare cielo e terra. Il Reverendo, che
non era lì per confessare, lasciava dire, e si tirava l'asino nella stalla.
Dopo che era divenuto ricco aveva scoperto nella sua famiglia, la quale non
aveva mai avuto pane da mangiare, certi diritti ad un beneficio grasso come un canonicato,
e all'epoca dell'abolizione delle manimorte aveva chiesto lo svincolo e s'era pappato il
podere definitivamente. Solo gli seccava per quei denari che si dovevano pagare per lo
svincolo, e dava del ladro di Governo il quale non rilascia gratis la roba dei
beneficii a chi tocca.
Su questa storia del Governo egli aveva dovuto inghiottir della bile assai,
fin dal 1860, quando avevano fatto la rivoluzione, e gli era toccato nascondersi in una
grotta come un topo, perché i villani, tutti quelli che avevano avuto delle quistioni con
lui, volevano fargli la pelle. In seguito era venuta la litania delle tasse, che non
finiva più di pagare, e il solo pensarci gli mutava in tossico il vino a tavola. Ora
davano addosso al Santo Padre, e volevano spogliarlo del temporale. Ma quando il Papa
mandò la scomunica per tutti coloro che acquistassero beni delle manimorte, il Reverendo
sentì montarsi la mosca al naso, e borbottò:
- Che c'entra il Papa nella roba mia? Questo non ci ha a far nulla col
temporale. - E seguitò a dir la santa messa meglio di prima.
I villani andavano ad ascoltare la sua messa, ma pensavano senza volere alle
ladrerie del celebrante, e avevano delle distrazioni. Le loro donne, mentre gli
confessavano i peccati, non potevano fare a meno di spifferargli sul mostaccio:
- Padre, mi accuso di avere sparlato di voi che siete un servo di Dio, perché
quest'inverno siamo rimasti senza fave e senza grano a causa vostra. - A causa mia! Che li
faccio io il bel tempo o la malannata? Oppure devo possedere le terre perché voialtri ci
seminiate e facciate i vostri interessi? Non ne avete coscienza, né timore di Dio?
Perché ci venite allora a confessarvi? Questo è il diavolo che vi tenta per farvi
perdere il sacramento della penitenza. Quando vi mettete a fare tutti quei figliuoli non
ci pensate che son tante bocche che mangiano? Ve li ho fatti far io tutti quei figliuoli?
Io mi son fatto prete per non averne -.
Però assolveva, come era obbligo suo; ma nondimeno nella testa di quella
gente rozza restava qualche confusione fra il prete che alzava la mano a benedire in nome
di Dio, e il padrone che arruffava i conti, e li mandava via dal podere col sacco vuoto e
la falce sotto l'ascella.
- Non c'è che fare, non c'è che fare - borbottavano i poveretti rassegnati.
- La brocca non ci vince contro il sasso, e col Reverendo non si può litigare, ché lui
sa la legge! -
Se la sapeva! Quand'erano davanti al giudice, coll'avvocato, egli chiudeva la
bocca a tutti col dire: - La legge è così e così -. Ed era sempre come giovava a lui.
Nel buon tempo passato se ne rideva dei nemici, degli invidiosi. Avevano fatto un casa del
diavolo, erano andati dal vescovo, gli avevano gettato in faccia la nipote, massaro
Carmenio e la roba malacquistata, gli avevano fatto togliere la messa e la confessione.
Ebbene? E poi? Egli non aveva bisogno del vescovo né di nessuno. Egli aveva il fatto suo
ed era rispettato come quelli che in paese portano la battuta; egli era di casa della
baronessa, e più facevano del chiasso intorno a lui, peggio era lo scandalo. I pezzi
grossi non vanno toccati, nemmeno dal vescovo, e ci si fà di berretto, per prudenza, e
per amor della pace. Ma dopo che era trionfata la eresia, colla rivoluzione, a che gli
serviva tutto ciò? I villani che imparavano a leggere e a scrivere, e vi facevano il
conto meglio di voi; i partiti che si disputavano il municipio, e si spartivano la
cuccagna senza un riguardo al mondo; il primo pezzente che poteva ottenere il gratuito
patrocinio, se aveva una quistione con voi, e vi faceva sostener da solo le spese del
giudizio! Un sacerdote non contava più né presso il giudice , né presso il capitano
d'armi; adesso non poteva nemmeno far imprigionare con una parolina, se gli mancavano di
rispetto, e non era più buono che a dir messa, e confessare, come un servitore del
pubblico. Il giudice aveva paura dei giornali, dell'opinione pubblica, di quel che
avrebbero detto Caio e Sempronio, e trinciava giudizi come Salomone! Perfino la roba che
si era acquistata col sudore della fronte gliela invidiavano, gli avevano fatto il
malocchio e la iettatura; quel po' di grazia di Dio che mangiava a tavola, gli dava gran
travaglio, la notte, mentre suo fratello, il quale faceva una vita dura, e mangiava pane e
cipolla, digeriva meglio di uno struzzo, e sapeva che di lì a cent'anni, morto lui,
sarebbe stato il suo erede, e si sarebbe trovato ricco senza muovere un dito. La mamma,
poveretta, non era più buona a nulla, e campava per penare e far penare gli altri,
inchiodata nel letto dalla paralisi, che bisognava servir lei piuttosto; e la nipote
istessa, grassa, ben vestita, provvista di tutto, senza altro da fare che andare in
chiesa, lo tormentava, quando le saltava in capo di essere in peccato mortale, quasi ei
fosse di quegli scomunicati che avevano spodestato il Santo Padre, e gli aveva fatto levar
la messa dal vescovo.
- Non c'è più religione, né giustizia, né nulla! - brontolava il Reverendo
come diventava vecchio. - Adesso ciascuno vuol dir la sua. Chi non ha nulla vorrebbe
chiapparvi il vostro. - Levati di lì, che mi ci metto io! - Chi non ha altro da fare
viene a cercarvi le pulci in casa. I preti vorrebbero ridurli a sagrestani, dir messa e
scopare la chiesa. La volontà di Dio non vogliono farla più, ecco cos'è! -
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