da "Per le vie" (1883)
Il Bastione di Monforte
Nel vano della finestra s'incorniciano i castagni d'India del viale, verdi
sotto l'azzurro immenso - con tutte le tinte verdi della vasta campagna - il verde fresco
dei pascoli prima, dove il sole bacia le frondi; più in là l'ombrìa misteriosa dei
boschi. Fra i rami che agita il venticello s'intravvede ondeggiante un lembo di cielo,
quasi visione di patria lontana. Al muoversi delle foglie le ombre e la luce scorrono e
s`inseguono in tutta la distesa frastagliata di verde e di sole come una brezza che vi
giunga da orizzonti sconosciuti. E nel folto, invisibili, i passeri garriscono la loro
allegra giornata con un fruscìo d'ale fresco e carezzevole anch'esso.
Sotto, nel largo viale, la città arriva ancora col passo affaccendato di
qualche viandante, col lento vagabondaggio di una coppia furtiva. Ella va a capo chino,
segnando i passi coll'appoggiare cadenzato dell'ombrellino, e l'ondeggiamento carezzevole
del vestito attillato, che il sole ricama di bizzarri disegni, mentre l'ombre mobili delle
frondi giuocano sul biondo dei capelli e sulla nuca bianca come rapidi baci che la
sfiorino tutta. Ed egli le parla gesticolando, acceso della sua parola istessa che gli
suona innamorata. A un tratto levano il capo entrambi al sopraggiungere di un legno che va
adagio, dondolando come una culla, colle tendine chiuse; e la giovinetta si fa rossa,
pensando alla penombra azzurra di quelle tende che addormentò le sue prime ritrosie. Un
vecchio che va curvo per la sua strada alza il capo soltanto per vedere se la giornata gli
darà il sole.
E passa il rumore di un carro di cui si vedono le sole ruote polverose girare
al di sotto dei rami bassi, e ciondolare addormentati del pari il muso del cavallo e le
gambe del carrettiere penzoloni, rigate di sole. Poscia il trotto rapido di un cavallo,
col lampo del morso lucente; o la fuggevole visione di una vittoria bruna, nella
quale si adagia mollemente fra le piume e il velluto una forma bianca e vaporosa. Così si
dileguano in alto le nuvole viaggiando per lidi ignoti, e la dama bianca vi cerca cogli
occhi i sogni o i ricordi dell'ultimo ballo che vagano lontano, mollemente del pari.
E le foglioline si agitano fra di loro, con un tremolìo fresco d'ombre e di
luce; a un tratto, nell'ebbrezza di sentirsi vivere al sole, stormiscono insieme, e
cantano al limite della città romorosa la vita quieta dei boschi. Le coppie innamorate
tacciono, quasi comprese di un sentimento più vasto del loro; e colla mano nella mano,
vanno, sognando. Più in là, li desta il trotto stracco del carrozzino postale che passa
barcollando, portando svogliatamente la noia quotidiana di tutte le faccenduole umane che
va a raccogliere dalle cassette, e strascina sempre per la stessa via, al suono fesso
della sonagliera, addormentato sotto il gran mantice tentennante. Dall'altro lato risponde
il fischio del convoglio che corre laggiù, verso il sole, tirandosi dietro il pensiero,
lontano, lontano, verso altri luoghi, verso il passato.
Ecco, fra i rami degli ippocastani c'è una linea d'ombra che sprofonda nel
vuoto, come un viale tagliato nel dosso di un monticello, sotto un gran pennacchio di
carrubbi. Le belle passeggiate d'allora nel meriggio caldo e silenzioso, quando le cicale
stridevano nella valletta addormentata al sole! Accanto serpeggia verso l'alto la linea
bruna di un tronco, rendendo immagine del sentiero che ascendeva fra i pascoli ed il
sommacco di un noto poggio; e in cima, dove l'azzurro scappa infine libero, sembra di
scorgere quella vetta che vedeva tanta campagna intorno. Un dì che voci allegre fra i
sommacchi di quel poggio e le vigne di quel monticello! e tutta la comitiva che
s'arrampicava festante per l'erta in quel dolce tramonto d'ottobre! E il chiaro di luna
della sera in cui si aspettavano da quella vetta i fuochi della festa al paesetto lontano,
e che bagna ancora l'anima di luce malinconica al tornare di queste memorie! Quanto tempo
è trascorso? Quanto è lontano ormai quel paesetto? Ora il carrozzino postale vi porta la
sola cosa viva che rimanga di tanta festa, sotto un francobollo da venti centesimi. E una
farfalletta bianca s'affatica a svolazzare su pel viale immaginario, fra i rami dei
castagni d'India, aspirando forse alle cime troppo alte per le sue alucce.
Così quella donna che viene ogni giorno a passeggiare pel viale, e aspetta, e
torna a rileggere un foglio spiegazzato che trae di tasca, e guarda ansiosa di qua e di
là ad ogni passo che faccia scricchiolare la sabbia, rizzando il capo con tal moto che
sembra vederle brillare tutta l'anima negli occhi. Ogni tanto si ferma sotto un albero
colle braccia penzoloni e l'atteggiamento stanco. Anch'essa andò a chiedere trepidante
quella lettera al postino che ne scorreva un fascio sbadigliando. Ora legge e rilegge la
parola luminosa che ci dev'essere per rischiarare l'ombra uggiosa di quel viale, per
ravvivare il verde di quegli alberi che le sono passati dinanzi agli occhi con mille
gradazioni di tinte nelle desolate ore d'attesa. L'organetto che suonava il mattino gaio,
in qualche osteria del sobborgo, e le cantava in cuore tutte le liete promesse della
speranza, torna a passare collo stesso motivo già velato dalla mestizia della sera. Gli
amanti che si tengono per mano in mezzo a quella festa d'azzurro e di verde, si voltano
ridendo al vederla aspettare ancora, sola, vestita di nero. La sera giunge, e l'ombra
s'allunga malinconica.
A quell'ora, ogni giorno, suol passare uno sconosciuto alto e pallido,
coll'andatura svogliata e l'occhio vagabondo di chi voglia ingannare l'ora del pranzo.
Allorché incontrò la donna vestita di nero egli volse a fissarla il volto magro e
austero in cui la percezione acuta della vita ha scavato come dei solchi. E chinò il capo
quasi indovinasse, stanco della stanchezza di quella derelitta. Ma fu un lampo, e seguitò
ad andare diritto e fiero per la sua via, portando negli occhi la visione di tutte le
camerette nude e fredde in cui si sono strascinati i suoi sogni di giovinezza e i suoi
bauli sconquassati, pieni solo di scartafacci, nel vagabondare dietro un sogno. Quanti
dolori ha incontrato per quella via, e quante grida d'amore o di fame ha sentito
attraverso le pareti sottili di quelle camerette? Più tardi forse andrà a pranzare con
una tazza di caffè e latte fra gli specchi e le dorature del Biffi, pensando a quella
donna che aspettava colla stanchezza dell'anima negli occhi, mentre l'orchestra suona la
mazurca dell'Excelsior. Ora l'operaio che gli passa allato, strascinando un carretto, non
gli bada neppure. La città è troppo vasta, e ce ne son tanti.
E il tramonto in alto si spegne, tranquillo, in un cinguettìo confuso, con
mille rumori indistinti che dileguano insieme all'azzurro che svanisce lontano, lontano,
verso il paese dei sogni e delle memorie; e vi trasporta ai giorni in cui sentiste le
prime mestizie della sera, e la prima canzone d'amore vi si gonfiò melodiosa nell'anima.
Ora la canzone passa vagabonda e avvinazzata pel viale, al casto lume della
luna che stampa in terra le larghe orme nere dei castagni addormentati - la canzone in cui
suonano le note rauche della rissa d'osteria e la noia delle querimonie che aspettano a
casa colla donna - o la gaiezza dolorosa di chi non vuol pensare al domani senza pane -
oppure la brutale galanteria che si lascia alle spalle l'ospedale e la prigione, o il
richiamo caldo che cerca l'ora molle d'amore dopo la dura giornata dell'operaio. Solo il
bisbiglìo di due voci sommesse che si nascondono nell'ombra canta la primavera innamorata
e pudibonda. E a un tratto, nella tarda ora silenziosa, in mezzo alla gran luce d'argento
che piove sui rami, da una macchia nell'oscurità si leva una nota d'argento anch'essa, e
canta la festa dei nidi alle ragazze che ascoltano alla finestra. In fondo, fra i rami
s'intravvede lontano un lumicino, in una stanzuccia solitaria.
A quest'ora pure la cascatella mormora laggiù nel paese lontano, tutta sola
in quell'angolo della rupe paurosa, sotto i grappoli di capelvenere, dinanzi la valletta
che si stende bianca di luna.
O i molli pleniluni estivi in cui la giovinezza canta e sogna per le strade, e
le memorie sorgono dolci e candide del passato ad una ad una! - E le fredde lune d'acciaio
del Natale, quando i grandi scheletri dei castagni d'India segnano di nero l'azzurro
profondo e cupo, e il turbine strappa le foglie dimenticate dall'autunno con un mugolìo
che viene da lungi, dalle notti remote in cui passava dietro l'uscio chiuso sulla
famigliuola raccolta intorno al ceppo, e spazzava via tutto! - E l'albe livide, i meriggi
foschi sui rami inargentati di neve, i gemiti lunghi che vengono col vento dalle notti
remote, e i giorni che scorrono silenziosi e deserti sul viale bianco di neve! Ora di
tanto in tanto passa il carro funebre senza far rumore, come una macchia nera, ricamato di
neve anch'esso, quasi recasse la fioritura della morte; e il doganiere che inganna la
lunga guardia facendo quattro ciarle colla servotta dietro il muro, sbircia sospettoso se
mai il drappo funebre dei morti non nasconda il contrabbando dei vivi.
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