CAPITOLO SECONDO


LA RELIGIONE

1. L'animismo

Alla complessità del substrato etnico malgascio corrisponde la varietà delle concezioni religiose e delle rappresentazioni mitologiche, di fondo indonesiano con larghe influenze derivate dagli apporti africani, musulmani e, talvolta, cristiani. La visione religiosa di questo popolo è influenzata, poi, secondo Lahady (1979), dagli elementi del quadro geografico (le piogge, i corsi d'acqua, le foreste).

La religione tradizionale è animistica (Mosca 1993; Tudor 1997): si fonda sulla concezione di un'anima separata dal corpo, invisibile in condizioni ordinarie e rivelata da esperienze quali il sogno, la visione o la trance.

I tratti principali della religione malgascia, che si ritrovano nella vita religiosa di tutti i gruppi, sono:

a. La credenza in un dio supremo, creatore del mondo, detto Zanahary-be (29) nelle regioni costiere, Andrianahary (Principe o Signore creatore) o Andriamanitra (Principe o Signore profumato) nell'interno. Il grande creatore è evocato all'inizio di tutte le cerimonie religiose e nei momenti più importanti della vita, tuttavia nessuna offerta, nessun tempio, nessun culto gli sono indirizzati: egli si tiene distante dagli avvenimenti umani; un pantheon di intermediari tra lui ed il mondo, quali i Vazimba (primi abitanti legendari dell'isola, dal sangue nobile), gli esseri mitici, gli antichi re, i geni della natura e gli altri spiriti, sono i veri destinatari del culto.

Il mondo divino è concepito, poi, sul modello dell'organizzazione sociale: vi è infatti correlazione tra la tendenza monoteista e la società più patriarcale del sud e la concezione politeistica (le divinità creatrici sono numerose) e la struttura sociale più democratica del nord.

b. Il culto degli antenati (Razana). Questi vegliano sull'osservanza degli usi e dei costumi tradizionali; sono considerati come fonte di vita e come intercessori dei vivi presso Zañahary. Alcuni di loro che si sono distinti in modo speciale in vita o a cui sono state attribuite qualità ammirabili, prendono generalmente, dopo più generazioni, il nome di Zañahary (creatore).

Secondo un'interpretazione ricorrente (Radavidrason 1988-89; Jaovelo-Dzao 1996; Estrade 1977; Rusillon 1912) lo spirito del defunto può talvolta riprendere possesso del corpo, riportandolo alla vita, o può materializzarsi presso le tombe, presso la sua abitazione o sui luoghi da lui preferiti; in genere resta in una zona della terra, posta verso l'est, che è la sua residenza invisibile. Sono sede dei morti, o loro consacrate, molte acque (sorgenti, cascate, laghi), perché connesse a spiriti di personaggi mitici. Secondo quanto riportato da Jean-Marie Estrade, un mito recente fissa la residenza dei morti su un'alta montagna, l'Anbondrombe, al confine dei paesi Tanala e Betsileo, olimpo ignorato dalla maggior parte dei malgasci della costa che localizza la vita dei defunti semplicemente nella tomba e nei suoi dintorni.

Il culto degli antenati è basato sulla credenza dei Malgasci in un'altra vita: morire significa accedere ad un'altra forma di esistenza, quella di Razana. Il culto -come dice Radavidrason- è connesso alle idee «sulla morte come evento principale della vita, su un aldilà tutto terreno che vive ed interviene nella realtà quotidiana» (Radavidrason 1988-89, 11), sull'esistenza nell'uomo di un'anima (avelo, ambiroa), che, dopo la morte, attraverso i riti funebri, diventerà Razana (antenato pacificato) e quindi Razam-be (grande antenato lontano) per le generazioni successive, per poi dissolversi nella divinità Andriamanitra. Il ciclo non necessariamente giunge al termine, potendosi interrompere precocemente, a seconda della sorte distribuita da Dio a ciascuno. L'azione necessaria perché il defunto continui la sua esistenza come "Antenato" è la celebrazione delle cerimonie funebri da parte della famiglia di origine e dei figli; altrimenti diverrà un' "anima in pena", ostile e vendicativa.

La morte ed i funerali non mettono fine alla relazione tra vivi e i morti. Presso tutte le tribù, infatti, hanno luogo riti diversi, ma dallo stesso significato, intesi ad entrare in contatto con i defunti per conoscerne le volontà e ad onorarli con l'offerta sacrificale di animali.

Jaovelo-Dzao (1996) descrive le diverse categorie di Antenati. La prima corrisponde a quelli promossi al rango della Divinità superiore: sono gli Antenati illustri e reali, che eleggono il loro domicilio in posseduti reali e portano il nome di tromba. La seconda categoria è quella degli Antenati semplici, che si manifestano sia riproducendosi in un animale o in una pianta, sia incarnandosi in un loro parente, sia attraverso sogni o malattie. Generalmente, a condizione che il rituale funebre sia stato completato, questi ultimi restano tranquilli nella loro dimora ancestrale. La terza categoria è costituita da coloro che, al contrario, non hanno potuto raggiungere tale dimora (sia perché non hanno ricevuto le cerimonie necessarie, sia perché sono stati troppo malvagi in vita) e che quindi errano tra la natura.

c. Il culto di idoli e feticci (sampy). I più importanti sono i sampy "reali", da cui derivano quelli familiari e personali. Il culto dei sampy prevede l'offerta di omaggi (hasina); a ciascuno dei sampy corrispondono, poi, dei divieti (fady) da rispettare e dei riti da celebrare.

d. L'infinità delle forme rituali che si riferiscono al culto degli dei o a quello degli antenati. Secondo Jaovelo-Dzao (1996) ciò è legato alla concezione del mondo come un'unità contenente allo stesso tempo il mondo degli uomini e quello degli Antenati e della Divinità; tra l'uno e l'altro esiste una relazione dialettica e permanente, il cui passaggio simbolico avviene attraverso la celebrazione dei Riti, mentre quello ontologico attraverso la nascita e la morte.

e. La credenza negli spiriti e nella sorte. Nella cosmogonia malgascia tutti gli avvenimenti della vita sono sottomessi all'influenza misteriosa di forze occulte (spiriti o semplici correnti magiche), benevole o malvage, manipolate da stregoni e guaritori. Esistono degli esseri dotati di una coscienza di tipo umano, generalmente invisibili, tra i quali si distinguono gli spiriti della vita, o geni della natura, e gli spiriti dei morti. I primi (tsiñy o tiñy), generalmente maligni, popolano la natura, sono le divinità della crescita umana, animale e vegetale; la loro psicologia è dominata dal capriccio, la fantasia, la suscettibilità, lo spirito di vendetta; ogni regione ha i suoi geni dominanti e ben definiti, molti altri sono anonimi. I secondi sono gli spiriti tutelari della tribù e della famiglia, dispensatori dei regali divini (salute, fecondità, ricchezza), i quali instaurano un dialogo permanente con i viventi. I lolo sono degli spiriti che abitano tutti gli elementi della natura e quasi sempre sono ritenuti essere i fantasmi degli antenati. Secondo le credenze locali essi si abbandonano alle loro attività preferite: visitare i parenti, disturbare il sonno con sogni bizzarri, imporre idee curiose e inattese, suggerire azioni, spegnere le luci, ecc. Le condizioni nelle quali vivono sono quelle conosciute nella vita ordinaria: hanno le stesse preoccupazioni, gli stessi amici e nemici, le stesse ricchezze, gli stessi gusti.

Il pantheon malgascio è completato da fantasmi di stregoni e da anime di animali sacri, ingiustamente uccisi, in particolare i camaleonti (che si crede entrino nei corpi di chi li calpesta).

f. Un complesso ritualismo connesso ai ritmi di produzione ed ai tempi di semina e di raccolta. Ogni nuovo raccolto è tabuizzato e sacralizzato e può essere destinato al consumo normale soltanto dopo un rito di immissione nell'ambito profano. Il rito è il Santabary o "primizie del riso".

g. La presenza, nella vita sociale e religiosa, di rigide norme di osservanza e di evitazione (i fady). Questi indicano il limite fra il sacro e il profano, designando ciò che non può essere mangiato, detto, toccato, fatto, nella maggior parte delle attività umane. L'infrazione del fady comporta una crisi nell'ordine sociale o nella vita individuale e la necessità di conseguenti pratiche rituali riparatrici. Spesso i fady osservati hanno un'origine mitica.

h. L'evocazione degli spiriti per riceverne oracoli. Tale pratica è diffusa in tutta l'isola, ma cambia denominazione a seconda delle regioni. Secondo Estrade (1977) si distinguono le evocazioni dei geni della natura dalla negromanzia che invece è una forma di evocazione degli spiriti dei morti. Alla negromanzia appartengono i culti reali Merina, Betsileo e Sakalava. L'invocazione dei re è una pratica religiosa che si inserisce in una rete di credenze: in Dio, nella sopravvivenza degli antenati e nella loro missione permanente di tutelare gli individui, le famiglie, il paese. Generalmente l'invocazione si fa nelle vicinanze dei resti mortali del defunto (tombe, reliquie, oggetti).

i. La convinzione che la malattia o la disgrazia siano "segni" della rottura dell' armonia cosmica, ossia di quella solidarietà che, secondo una credenza diffusa tra i malgasci, lega l'uomo alla società e all'universo e che si manifesta nel rispetto dell'ordine, della gerarchia e dei costumi creati dagli antenati. I garanti di tale armonia sono le divinità e gli antenati.

l. Il sikidy, divinazione di origine araba. La tecnica divinatoria si basa sull'interpretazione della posizione presa dai semi su sedici figure, che rappresentano interessi vitali dell'esistenza malgascia (la ricchezza, il paese natale, i genitori,...). Prima di presentare il caso della consultazione (malattia, malanno, colpa, sospetto, progetti), l'indovino (ampisikidy) procede all'invocazione delle Divinità e dello spirito Sikidy. L'essenziale di tale pratica consiste nell'esorcismo del dika (male sacro), che può essere stato generato da un genio, da un antenato, da un'ingiuria, dalla violazione di un tabù o di un divieto ancestrale, dalla stregoneria. Il male è neutralizzato con gli aody (elementi minerali e vegetali), individuati attraverso la stessa arte divinatoria.
Agli indovini (ampisikidy) e agli astrologi (mpanandro) si ricorre anche per conoscere il proprio destino (vintana), assegnato a ciascuno da Dio e rivelato dall'oroscopo (30).


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