CAPITOLO PRIMO


UNO SGUARDO D'INSIEME

1. Cenni storici-culturali

L'origine del popolo malgascio è un problema etnologico non ancora completamente risolto. È opinione prevalente (Deschamps 1968; Iannettone 1966; Mosca 1987, 1994; Radavidrason 1988-89) che l'isola sia stata disabitata in epoca preistorica e popolata in seguito ad ondate migratorie. Nella tradizione orale autoctona, i più antichi abitanti del Madagascar sono i Vazimba, popoli considerati di origine africana, divenuti oggetto di venerazione. Si ritiene che l'occupazione dell'isola sia stata effettuata da gruppi eterogenei provenienti dall'Indonesia e da popolazioni africane (arrivate attraverso il canale di Monzambico). Le due componenti, indonesiana (definita anche austronesiana) ed africana (soprattutto bantù), si rilevano dalle caratteristiche fisiche della popolazione (10), dalla cultura e dalla lingua. Anche i fenomeni etnologici rivelano la doppia origine: la forma delle case, il culto degli antenati, le formule di cortesia e la letteratura orale ricordano l'Indonesia; alcuni aspetti, come l'importanza economica e simbolica dei buoi, evocano l'Africa dell'est; mentre altri elementi, come le danze e gli strumenti musicali, provengono da entrambe le aree. Non bisogna tralasciare altrettante importanti influenze di origine arabo-persiana ed indiana. Infatti nell'Est, nel Nord e nell'Ovest dell'isola quasi tutti i gruppi hanno risentito in gran parte della successiva occupazione musulmana, le cui tracce si rilevano soprattutto nell'organizzazione economica dei Sakalava (questa popolazione è dedita al commercio e qui fiorisce un mercato di tipo arabo o indiano). Gli abitanti degli altipiani presentano, invece, caratteristiche profondamente diverse: i Betsileo ed i Merina sono popoli di agricoltori e praticano la coltivazione del riso a terrazze, di chiara origine indonesiana.

Il popolo malgascio si suddivide in diciotto tribù-nazioni o etnie ufficiali. La definizione di tribù-nazioni è di Giovanni Iannettone (1966), mentre altri (Radavidrason 1988-89; Jaovelo-Dzao 1996; Deschamps 1968) parlano invece di etnie; altri ancora (Russillon 1912; Estrade 1977) li definiscono con il termine di tribù. Secondo Hubert Deschamps si tratta di più clan, che condividono lo stesso territorio ed hanno una storia comune; non si distinguono, invece, per le caratteristiche linguistiche e culturali. Gli elementi comuni a tutto il popolo malgascio sono costituiti, infatti, dalla lingua, dai costumi e dal patrimonio spirituale-religioso, articolato in un complesso sistema di credenze e di pratiche simboliche.

Ogni etnia - categoria che ritengo più adeguata - era strutturata in classi (Iannettone 1966) suddivise generalmente in nobili (andriana), uomini liberi (hova) (11) e schiavi (andevo). Deschamps (1968) preferisce, invece, utilizzare il termine di casta, valutando la genesi autonoma delle formazioni sociali (i clan) e la loro estrema chiusura verso l'esterno, anche successivamente alla costituzione dei regni (formatisi attraverso la confederazione di più clan), considerando semplici eccezioni le ipotesi di matrimoni interclanici. Anche Dilenge (1983) si rifà al concetto di casta, pur ammettendo che in alcune regioni vigeva il sistema dell'esogamia. Al contrario Françoise Raison-Jourde (1983) sostiene la non rigidità delle gerarchie sociali (il re ha il potere di far decadere a suo piacimento un clan di sangue "nobile" o di crearne uno nuovo) e ritiene che gli osservatori europei del XIX secolo abbiano parlato impropriamente di caste.

A ulteriore conferma della scarsa pertinenza del termine casta è opportuno ricordare la valutazione di Iannettone secondo cui è più adeguato parlare di classi dal momento che la "classe" dei nobili andriana, all'interno della quale venivano scelti i re, tenderà a divenire col tempo meno numerosa e a contrarre matrimoni con altri gruppi fino ad essere assorbita in gran parte dagli hova. Ancora, alcuni membri di quest'ultima classe, costituita prevalentemente da commercianti, artigiani e militari avevano accesso alle cariche più ambite e frequentavano la nobiltà, contraendo persino matrimoni con componenti della famiglia reale: tutto ciò è in evidente contrasto con il sistema di casta.

La condizione di schiavitù veniva trasmessa ereditariamente ed era inoltre riservata ai prigionieri di guerra e agli individui colpiti da condanna penale. Lo schiavo poteva emanciparsi, rientrando nella condizione da cui proveniva o altrimenti acquisendo lo status di schiavo affrancato. In realtà la dipendenza dal padrone si riduceva all'obbligo di determinate prestazioni di lavoro. Lo schiavo, infatti, era di solito trattato con umanità, faceva parte della casa e poteva disporre di qualche bene personale (ma certamente non del suolo); era libero di circolare, di formarsi una famiglia e di partecipare alle cerimonie pubbliche. L'abolizione della schiavitù, disposta dai Francesi nel 1896, creò degli squilibri tali (sia nella struttura sociale che nell'organizzazione economica) da rendere necessaria, dopo pochi mesi, l'istituzione del lavoro obbligatorio.

In base alla ricerca condotta tra il 1970 e il 1973, J. F. Baré riscontra nella società sakalava del nord-ovest dell'isola tre «ordres ou strates sociaux» (Baré 1980, 3): i nobili (ny ampanjaka), i "roturiers" (12) (vohitse), gli ex-schiavi (andevo); questi ultimi costituiscono lo strato più basso della classe media o si sono completamente assimilati ad essa. Inoltre la gerarchia sociale comprende anche una categoria di individui, chiamati Sambiarivo, a cui sono affidati istituzionalmente compiti religiosi importanti, come quello di posseduti reali (Baré, 1980).

Anticamente tutte le etnie erano inquadrate in monarchie assolute di carattere ereditario, il cui potere era considerato di origine divina (13). Tuttavia esisteva una diffusa partecipazione collettiva alla vita politica, come è dimostrato dall'esistenza in tutte le regioni di assemblee degli abitanti del villaggio, con poteri decisionali (come il fokonolona presso i Merina) o di altri istituti analoghi.

La famiglia patriarcale poligamica è la cellula di base del lignaggio, del clan (che riunisce famiglie con lo stesso antenato storico) (14), della tribù. Il capo famiglia ha una forte autorità: dispone dei beni familiari, è obbligato ad osservare solo i costumi degli antenati, è il solo legittimo interprete della volontà dei defunti della famiglia. Il matrimonio costituisce una vera alleanza tra due gruppi clanici; la maggior parte di quelli plebei sono retti dalla regola dell'esogamia, mentre i gruppi aristocratici hanno la tendenza a far prevalere l'endogamia, anche se non sono rare le loro unioni con persone appartenenti alla classe inferiore (15). La deroga al tabù d'incesto è possibile solo in seguito a rigide procedure rituali. Il divorzio è ammesso e può essere dichiarato solo dal marito, mentre la moglie può ritornare nella famiglia d'origine.

L'accesso alle donne è uno dei mezzi per conservare la potenza sociale ed economica (Lombard, 1988). La poligamia continua a sussistere in alcune regioni, anche dopo la sua formale abolizione (1881). Le nuove unioni si verificavano, in particolare modo, in seguito a separazioni temporanee dalla prima moglie da parte dei lavoratori autonomi, dei funzionari in trasferta o dei militari. La poligamia, in realtà, non è praticata da tutti, ma è e resta un privilegio solo dei ricchi, dal momento che il futuro sposo è tenuto a versare del denaro ai parenti della sposa. Per quanto riguarda le mogli, "il marito deve trattarle tutte, dal punto di vista dei doveri coniugali, su piede di perfetta eguaglianza e ogni infrazione a questa regola sarebbe una causa di divorzio" (Decary, 1951, 38).

I rapporti sociali si basano sul vincolo della parentela e su quello della "fratellanza del sangue" (16) che unisce spiritualmente persone di clan diversi. I fratelli di sangue stabiliscono dei circuiti di scambi tra i rispettivi gruppi secondo un sistema di reciprocità che prevede anche lo scambio delle donne (17). I loro discendenti sono uniti da legami di "parenté à plaisanterie", la quale costituisce il corrispettivo dei legami di fraternità di sangue (Lombard, 1988).

I Malgasci costituiscono la maggior parte della popolazione attuale di Madagascar (18), arricchita in proporzione decrescente anche da Francesi, Comoriani, Indiani, Cinesi ed altri. Più dell'82% della popolazione vive ancora in aree rurali, ma le città sono in continua crescita.

Le lingue ufficiali sono il malgascio (19) ed il francese.


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