CAPITOLO II - IL SOFTWARE NELLA EVOLUZIONE DELLA DOTTRINA E DELLA GIURISPRUDENZA

PRIMI STUDI ED ORIENTAMENTI SULLA TUTELA

Con il d.lgs. 518/92, dopo anni di dibattito, anche il nostro ordinamento accoglie l'impostazione, già adottata dalla Direttiva CEE 14 maggio 1991 (n. 91/250), secondo cui i programmi per elaboratore debbono considerarsi come opere dell'ingegno e, più specificamente, come opera letteraria, e godere di conseguenza della tutela apprestata dalla legge sul diritto d'autore.

Prima di analizzare i singoli aspetti del ricordato decreto è opportuno dare uno sguardo allo sviluppo storico e alle discussioni che hanno portato dottrina e giurisprudenza a considerare la disciplina del diritto d'autore come forma di protezione giuridica più idonea per i programmi per elaboratore.

L'analisi non potrà ovviamente prescindere da riferimenti comparatistici, che se pur superficiali, saranno comunque utili, per capire come la disciplina adottata dai Paesi grandi produttori tanto di hardware che di software abbia influenzato la nostra.

Infatti è interessante rilevare come già nel 1964 il Patent Office degli Stati Uniti si pronunciò contro la tutelabilità dei programmi mediante la normativa sui brevetti e a favore dell'applicabilità dei principi sul diritto d'autore, probabilmente per effetto delle pressioni esercitate dai grossi produttori di "hardware" i quali, almeno nei primi tempi, si opponevano formalmente alla brevettabilità del "software" ritenendo che qualsiasi limitazione all'uso dei programmi avrebbe diminuito le vendite di "hardware".

Così, il Copyright Office con apposita circolare del 19 maggio del '64 intitolata "Copyright Registration for Computer Programs", previde espressamente la registrabilità dei programmi. E, in effetti, tra il 1964 e il 1976, data della riforma della legge americana sul diritto d'autore, furono registrati circa duemila programmi. I programmi venivano registrati come "books" (libri) purché avessero carattere di originalità, fossero stati pubblicati, e le copie prodotte per la registrazione fossero leggibili dall'uomo ("in human-readable form"). Tuttavia, il Copyright Act, come riformato nel 1976, non menzionava espressamente i programmi per computer come opere proteggibili sebbene l'orientamento prevalente anche in giurisprudenza fosse ormai inequivocabile. Quindi, fu subito sentita la necessità di un'apposita normativa e a tal fine fu nominata una commissione di esperti (CONTU, National Commission on New Technological Uses of Copyrighted Works) che, terminati i lavori il 31 luglio 1978, pubblicò un ampio rapporto finale in cui si affermava che il diritto di autore era la forma più conveniente di protezione dei programmi per elaboratore e suggerì opportune modifiche al Copyright Act del '76. Infatti, con la Public Law 96-517 del 2 dicembre 1980, la legge sul diritto d'autore americana fu riformata rendendo esplicita la protezione dei programmi attraverso il diritto d'autore.

Successivamente leggi a tutela dei diritti sui programmi per elaboratore sono state emanate in molti altri Paesi. In Italia prima della legge 518/92 erano stati presentati alcuni progetti di legge: il progetto Fabbri, la proposta Tedeschi, il disegno di legge governativo e il progetto ASSOFT, i quali, come vedremo, davano una sistemazione alla materia.

Ma prima di addentrarci nella specifica normativa giuridica della tutela del software nel nostro ordinamento, è bene procedere per ordine e rilevare come già dalla fine degli anni sessanta l'interesse per la materia, seppur a livello dottrinale, era tutt'altro che scarso. Alcuni autori affermavano che i programmi per elaboratore potevano essere considerati opere dell'ingegno (25); altri, riferendosi alla natura tecnica dei programmi e al loro scopo (che non è quello di comunicare ad altri idee e sentimenti, ma quello di far funzionare una macchina), ritenevano l'impossibilità di ricomprenderli nell'elencazione delle opere dell'ingegno di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 633/1941 (26).

Ettore Luzzato, dapprima commentando una legge di riforma del sistema francese dei brevetti, con specifico riferimento ai programmi di una calcolatrice (27) e, successivamente, argomentando sulla crisi del software (28), ha ampiamente spiegato le ragioni a favore della brevettabilità del software.

La legge francese n. 68-1 del 2 gennaio 1968, dopo aver precisato all'art. 6 la brevettabilità di ogni invenzione che riguardi un prodotto, un procedimento, un'applicazione o una combinazione di mezzi (purché l'invenzione abbia i requisiti dell'industrialità, novità e attività inventiva), all'art. 7 elenca quali siano le invenzioni non industriali e tra queste espressamente nega la brevettabilità dei "programmi e serie di istruzioni per lo svolgimento delle operazioni di una macchina calcolatrice". Lo stesso art. 7 continua: "è considerata industriale ogni invenzione che concorra nel suo oggetto, nella sua applicazione e nel suo risultato, sia a mezzo dell'uomo che a mezzo della macchina, alla produzione di beni e di risultati pratici", con esplicita esclusione (non sono cioè invenzioni industriali) oltre che dei metodi finanziari e contabili anche dei principi, scoperte puramente scientifiche e delle creazioni di carattere esclusivamente ornamentale.

L'autore si interroga innanzitutto sulla necessità dell'art. 7 nella parte in cui opera la suddetta esclusione. Nessuno dubiterebbe mai che sistemi di caratteri "astratto" (come i metodi finanziari, contabili, ecc.) siano invenzioni industriali. La stessa macchina calcolatrice o meglio i programmi da essa utilizzati se servono per conseguire risultati numerici più rapidamente di quanto possa fare l'uomo attraverso una serie astratta di operazioni, è sicuramente un sistema astratto non già un'invenzione industriale brevettabile. Allora, o la norma è stata introdotta proprio allo scopo di escludere la brevettabilità di "programmi e istruzioni per lo svolgimento di operazioni di una macchina calcolatrice" oppure detta esclusione va riferita solo a quei programmi che si risolvono in "sistema di carattere astratto".

L'autore approfondisce il discorso affermando che i programmi di una calcolatrice non sono soltanto istruzioni per risolvere un problema puramente matematico che sarebbe lungo e tedioso risolvere, per così dire, a mano; non forniscono quindi solo i risultati di un calcolo astratto, ma possono essere, per esempio, adibiti al controllo di processi o utilizzati in nuovo processo industriale: questa altro non è che un'applicazione industriale di quel programma capace di apportare un contributo alla produzione di beni e un risultato pratico. E allora, perché escluderne la brevettabilità?

Quando si afferma che una determinata macchina o un determinato processo è brevettabile si vuol dire che sono state brevettate le regole e le istruzioni per fare la macchina o per svolgere attività (29). Naturalmente il risultato finale deve avere una rilevanza nel regno delle cose concrete, deve risolvere cioè un problema tecnico in modo nuovo ed originale. Ogni qualvolta che queste condizioni vengono rispettate si è di fronte ad un'invenzione che in quanto tale è brevettabile.

La stessa ricerca industriale essendo in continua evoluzione crea spesso realtà nuove: l'invenzione non si traduce soltanto in dispositivi meccanici, ma può essere il risultato di un'operazione complessa che, avvalendosi di "concetti intellettuali", di operazioni astratte, dà effetti pratici tecnici od economici.

Se taluno brevetta nuove condizioni per attuare un processo chimico, egli dà alla persona che attua la sua invenzione solamente delle istruzioni sul modo di fissare delle variabili del processo, cosicché il messaggio che il brevetto trasmette al tecnico è essenzialmente mentale, ed è difficile vedere come perfino l'atto di una persona che coordina certe temperature o pressioni o altre variabili del processo possa essere considerato altro che un atto mentale. Ma il risultato finale, essendo la trasformazione di certe sostanze o un miglioramento di tale trasformazione, è sicuramente "concreto".

Così "se il software risolve un problema tecnico, è assurdo dire che è un processo astratto e che non può essere un'invenzione per questa ragione".

E, l'assurdità di tale conclusione viene ulteriormente confermata dall'autore quando affronta l'argomento dei calcolatori "general purpose": dato un certo programma per un calcolatore general purpose, è sempre possibile progettare e costruire un calcolatore speciale che farà esattamente quel particolare lavoro che il calcolatore generale fa quando è programmato in quel tale modo. Ed è assurdo sostenere la concretezza, e quindi la brevettabilità, del calcolatore speciale e considerare invece un'attività mentale astratta, e quindi escluderla dalla brevettabilità, la corrispondente programmazione del calcolatore generale. Anzi una invenzione di programmazione di calcolatore è una vera e propria invenzione di macchina (30).

Un calcolatore general purpose non è una macchina in senso tradizionale, ma è un magazzino di parti che si possono collegare in un qualsiasi numero di modi per creare un qualsiasi numero di macchine. Solo quando il calcolatore generale viene programmato in uno specifico modo diventa una macchina specifica (31) capace di cambiare un determinato input in un determinato output, "così come una macchina utensile trasformerà un input di pezzi grezzi in un output di pezzi finiti".

Il programma è per l'appunto ciò che rende possibile il collegamento funzionale delle parti che compongono il calcolatore.

Certo non si può dire che qualsiasi nuovo sviluppo di software sia brevettabile: può darsi che esso non risolva un problema tecnico e pertanto non sia un'invenzione, oppure che risolva un problema tecnico ma sia facilmente ottenibile da qualsiasi programmatore esperto e perciò non comporti originalità e ancora una volta non sia una invenzione.

Come si vede anche il software, insieme alle altre categorie protette, può formare oggetto di protezione brevettuale solo se concorrono tutti i requisiti richiesti dal sistema brevettuale.

L'autore ha così più volte risposto alle opposizioni mosse alla brevettabilità del software da parte di coloro che lui stesso chiama "i nemici della brevettabilità" e ha ribadito la piena adeguatezza del sistema brevettuale (visto come istituto che promuove il progresso incentivando la creazione e pubblicazione di invenzioni) a recepire nuove realtà.

Se ci spostiamo dalla legge francese al sistema italiano vediamo che la nostra legge precisa all'art. 2585 c.c.. che possono formare oggetto di brevetto le nuove invenzioni atte ad avere un'applicazione industriale e ne detta alcuni esempi. L'introduzione di specifiche esclusioni sono motivate da ragioni di interesse pubblico (ordine pubblico, buon costume, ecc.), ragioni che l'autore non riesce ad intravedere con riferimento alla esclusione del software. Non occorrono leggi proibitive o che stabiliscano se un ritrovato sia un'invenzione industriale, saranno i giudici caso per caso a stabilirlo con l'ausilio di norme esistenti e un'assistenza tecnica competente. Per questo l'autore considera la legge francese "un esempio da non imitare".

Sempre alla fine degli anni Sessanta particolare importanza, per le diverse conclusioni cui approda, rivestono le riflessioni condotte sul problema da Santini (32). Il programma quale serie di istruzioni impartite all'elaboratore rientra nel campo del diritto d'autore. L'autore dimostra innanzitutto le difficoltà di applicazione della disciplina sulle invenzioni. Infatti, se da un lato supera l'obiezione alla privativa dei programmi (pur se nuovi ed originali) voluta da coloro che vedono in questa un freno all'uso dei calcolatori (con conseguenti danni alla scienza e all'industria), dall'altro afferma che il vero ostacolo all'inclusione del programma fra le invenzioni brevettabili è rappresentato dalla mancanza in esso di un'applicazione industriale immediata.

Escluso che il programma sia destinato ad operare sempre in combinazione con un computer determinato è anche superata la possibilità di identificare un'invenzione di procedimento nel loro congiunto operare. Il programma può essere applicato a qualunque calcolatore elettronico, anzi affiancandosi a numerosi altri programmi, è capace di formare una "biblioteca" di programmi utilizzabili in virtù di linguaggi universali da un'intera gamma di computer. Separato dalla macchina e tradotto in linguaggio naturale o matematico gli schemi di cui consta, il programma costituisce l'elaborazione di quelle che vengono chiamate le leggi di pensiero. Se così è, esso rimane piuttosto nel campo della scienza pura (come una espressione matematica) che in quello di applicazione industriale (come una formula chimica). Così raggiunta una soluzione negativa circa la tutelabilità del programma alla luce delle norme sulle invenzioni, l'autore si sposta nel campo del diritto d'autore.

Naturalmente il programma deve essere originale, cioè deve avere quel "carattere creativo" che lo elevi al di sopra della banale combinazione di alternative note al pubblico. Se è originale non incontra ostacoli all'inserimento nella legge sul diritto d'autore.

Gli argomenti avanzati da coloro che, facendo leva sul modo di comunicazione dei programmi utilizzando linguaggi convenzionali (33), volessero escludere la tutela del diritto d'autore, non sono da prendere in considerazione: anche la musica è graficamente tradotta in segni convenzionali eppure gode della piena protezione della legge. L'importante è che il mezzo o sistema prescelto renda possibile la comunicazione dell'opera al pubblico.

Quando però la forma espressiva diventa l'unico modo tecnico di rappresentare il dato, cioè si afferma la presenza di un linguaggio universale, l'uso del quale, al pari di quello matematico, non può essere impedito ad altri, allora si dubita della sua riconduzione nel diritto d'autore. La tutela dell'opera, seppure esiste, copre comunque solo il programma nella forma scritta ed orale (impedendone la pubblicazione ad opera di terzi), ma non si estende alla fase operativa, cioè all'attuazione del programma tramite computer: risultato che Santini ritiene certamente deludente.


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