Gli Sbagli di Vostro Onore, di Luigi GrandeLiber Liber

Copertina | Indice | Introduzione | Parte 01 | Parte 02 | Parte 03 | Parte 04 | Note

Note

[1] Per la precisione l'art. 13 della legge costituzionale 11 marzo 1953 n. l dice: «Il Parlamento in seduta comune, nel porre in istato di accusa il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri, o i Ministri, elegge, anche tra i suoi componenti, uno o più commissari per sostenere l'accusa».

[2] «Affermo che questo schiavo mi appartiene per diritto quiritario».

[3] A. Camus, La caduta, trad. di Sergio Morando, Bompiani, Milano, 1958, p. 16. Le ultime frasi sono state citate nella lettera-saggio che il compianto amico e collega Marco Ramat, già componente del Consiglio superiore della magistratura, premise al mio romanzo L'onore, Todariana Editrice, Milano, 1969.

[4] Vediamo che cosa ha immaginato su questo furto Camus: «A proposito, vuol aprire quell'armadio a muro, per favore? Quel quadro, sì, lo guardi. Non lo riconosce? Sono I Giudici Integri. Non fa un sobbalzo? Possibile che ci sia una lacuna nella sua cultura? Se leggesse i giornali, si ricorderebbe il furto nel 1934 a Gand nella cattedrale di Saint-Bavon di uno dei pannelli del famoso polittico di Van Eyck, l'Agnello mistico. Quel pannello s'intitolava I Giudici Integri. Rappresentava dei giudici a cavallo che vengono ad adorare il santo animale. È stato sostituito con un'ottima copia perché l'originale è rimasto introvabile. Ebbene, eccolo. No, io non c'entro per niente. Un cliente di Mexico-City, che lei ha intravisto l'altra sera, l'ha venduto al gorilla per una bottiglia, una sera in cui era ubriaco. Prima consigliai al nostro amico di appenderlo bene in vista, sicché per un bel po', mentre li cercavano in tutto il mondo, i nostri devoti giudici troneggiavano a Mexico-City, sul capo di ubriaconi e di mezzani. Poi il gorilla, dietro mia richiesta, l'ha messo in deposito qui. Arricciava un po' il naso, ma quando gli ho spiegato la cosa ha avuto paura. Da allora, quei degni magistrati costituiscono la mia sola compagnia. Laggiù, sopra il banco, lei ha visto il vuoto che han lasciato.

«Perché non l'ho restituito? Ah, ah, lei ha il riflesso del poliziotto. Ebbene, le risponderò come al giudice istruttore, ammesso che qualcuno possa mai pensare che quel quadro sia venuto a finire in camera mia. Primo, perché non è mio, ma del padrone di Mexico-City, che certamente lo merita quanto l'arcivescovo di Gand. Secondo, perché, fra coloro che sfilano davanti all'Agnello mistico, nessuno saprebbe distinguere la copia dall'originale e perciò nessuno è leso per colpa mia. Terzo, perché così io esercito un dominio. Falsi giudici vengono offerti all'ammirazione della gente, ed io sono il solo a conoscere i veri. Quarto, perché così c'è la possibilità che mi mandino in prigione, idea allettante, in un certo qual modo. Quinto, perché questi giudici vanno all'appuntamento dell'Agnello, e non c'è più agnello né innocenza, quindi l'abile filibustiere che ha rubato il quadro era uno strumento di quella giustizia ignota che non conviene contrariare. Da ultimo, perché così tutto è in ordine. La giustizia definitivamente distinta dall'innocenza, questa in croce, quella in un armadio, ho campo di lavorare secondo i miei convincimenti. Posso esercitare con tranquilla coscienza la difficile professione del giudice-penitente, abbracciata dopo tante delusioni e contraddizioni». (A. Camus, op. cit. pp. 78 e 79).

[5] Erodoto, Le storie, trad. di Luigi Annibaletto, Mondadori, Milano, 1956, voI. II, pg. 545

[6] Diego Curtò. La pelle del giudice. All'insegna del pesce d'oro di Scheiwiller, Milano. 1984

[7] Questo e gli altri brani sopra riportati sono nella traduzione di Ludovico Magugliani (Esiodo, Le opere e i giorni e Lo Scudo di Eracle, Rizzoli, Milano, 1958).

[8] Meglio della vicenda non si potrebbe parlare di come ha fatto il collega e amico carissimo Nino Peppe nel suo libro L'ultima bandiera:

«Ricorda in particolare una pagina della Bovary, in cui Homais impreca contro il suo inserviente il quale contro ogni suo ordine ha aperto il "cafarnao" per prendere (là dove egli racchiude gli acidi e gli alcali caustici), una bacinella di riserva; una bacinella con coperchio di cui forse non si servirà mai: "Tutto ha importanza nelle delicate operazioni della nostra arte. Come no? Bisogna tenere ben ferme certe distinzioni e non adoperare per usi quasi domestici quel che è destinato ad usi farmaceutici! È come se si tagliasse la testa a una gallina con uno scalpello, come se un magistrato...". Quel che Homais avrebbe voluto precisare circa il mestiere di magistrato non si è mai saputo. La frase rimasta in sospeso, forse anche nel pensiero di Flaubert, sta ad indicare il profondo disagio di un farmacista che ha in mente perfino il paragone, quanto mai odioso, col mestiere di droghiere, ma che non riesce a formulare quello con il mestiere di magistrato. Flaubert tentò, alla fine della sua vita, di dare - soltanto per bocca del suo Pécuchet - un'idea della sua opinione in proposito. Nel noto romanzo, nel breve processo cui sono sottoposti Bouvard e il suddetto suo compagno di avventura (rivoluzione) culturale, indirizzandosi quest'ultimo ai suoi giudici li interpella con scherno: "Loro magistrati, dall'avere intelligenza sono dispensati dalla legge". Non è escluso che Flaubert, oltre che da scherno come il suo personaggio, fosse portato dall'ira contro questa benemerita categoria di potere per i noti motivi che lo avevano visto imputato di oscenità in arte». (Nino Peppe, L'ultima bandiera, Trevi, Roma 1979, pp. 28 e 29).

[9] Dante Troisi, Il diario di un giudice, Einaudi, Torino, 1955.

[10] Guido De Ruggero, Storia della filosofia, L'età cartesiana, Laterza, Bari, 1968, pg. 14.

[11] Non so quante fossero le "superpotenze" tra i secoli XV e XVI, se quattro o cinque, ma certo la Serenissima era tra queste e non aveva perciò bisogno, per i suoi negozi pubblici, di toscaneggiare.

[12] Morari, Prattica de' reggimenti di Terraferma, Padova, 1708, pg. 258. Il brano è riportato dal trattato di Diritto Processuale Penale di Vincenzo Manzini, VoI. I, Torino, UTET 1952, pg. 69.

[13] G. Mazzoni, "L'Ottocento" in Stona Letteraria d'Italia, voI. II, pp. 944 e seg., Milano, Vallardi, 1939

[14] Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, Rizzoli, Milano, 1950, pp. 45 e 52. Il libro fu stampato, anonimo, la prima volta a Livorno nel 1764.

[15] Si veda la critica all'espressione nella voce "Diritto positivo" su Novissimo Digesto, redatta da Giacomo Gavazzi, UTET, Torino, 1960.

[16] F. D'Antonio, La Giustizia - Studio di filosofia giuridica, Firenze, La Nuova Italia, 1938, pg. 121.

[17] Voltaire, Trattato della tolleranza, trad. e introduzione di Piero Bianconi, Rizzoli, Milano, 1952, pg. 9.

[18] Voltaire, op. cit. pg. 14.

[19] Voltaire, op. cit. pg. 15.

[20] Franco Cordero, La fabbrica della peste, Bari, Laterza, 1982, pg.215.

[21] Giovanni Villani, La cronaca, con introd. e commento di G. Luzzatto, Vallardi, Milano, s.a., cap. VIII.

[22] Oltre a vari studiosi in Francia e allo storico Michelet, del processo si occupò Gaetano Salvemini in Studi storici, Firenze, 1901, pp. 91-136.

[23] Sull'ipotesi che questa "testa" altro non fosse che la Sindone oggi a Torino, ripiegata e da identificarsi con il Mandilion, un volto impresso in una stoffa, esistente come preziosa reliquia di Cristo a Costantinopoli e scomparsa nel saccheggio effettuato dai Crociati nella IV crociata, 1204, si veda Jan Wilson, The Shroud of Turin, riportata e ripresa nel libro di K.E.Stevenson - G.R.Habermas, Verdetto sulla Sindone, Ed. Queriniana, Brescia, 1982, pp. 24-34; secondo Wilsan "ai membri iniziati dell'ordine era riservata una speciale cerimonia, mediante la quale essi potevano avere per un istante la massima visione di Dio che è possibile ottenere su questa terra: di fronte ad essa si prostravano in adorazione".

[24] Valentin Gitermann, La rivoluzione russa, nel vol. IX de I Propilei, Grande storia universale Mondadori, Milano, 1966 pg.233.

[25] Giuseppe Ripamonti, La peste di Milano del 1630, trad. di F. Cusani, nota al libro II del traduttore, Milano, Pirotta, 1841 (ediz. anastatica Verona, 1969), pg. 149.

[26] Franco Cordero ha voluto polemicamente intitolare La fabbrica della peste il suo, già citato, polemico e dottissimo libro, quasi a significare, suppongo, che sconfinata è la malvagità umana che oggi ipotizza guerre batteriologiche e nel sec. XVII progettava pesti spopolatrici, "per spiantare Milano", a dirla col Manzoni.

[27] N. Peppe, La Colonna Infame, su "La Magistratura", genn/marzo 1968.

[28] Ma è stato proprio inventato tale personaggio? No, ci risponde Franco Cordero nel suo libro più volte citato, La fabbrica della peste. Esistono infatti due documenti epistolari cui attinse il Manzoni e da lui citati nella prima redazione della Colonna Infame (la citazione poi scomparve dal testo definitivo, come osserva con la consueta acredine antimanzoniana il Cordero). Si tratta di una lettera in cui Agostino Mascardi (1590 - 1640), uno storico e teorico della storiografia, chiede notizie sulla "diceria" - la chiama esattamente così - che ci sia gente che sparge la peste con gli "unti" a un "dotto" del tempo. Si tratta del giurista e poeta Claudio Achillini (1574 - 1640), noto a noi posteri soprattutto per quel suo buffo verso "Sudate, o fuochi, a preparar metalli" in un sonetto di adulazione al re di Francia. La risposta dell'Achillini (che è il secondo documento) si articola così a fil di... filosofia: la peste non è "accidente", perciò non può essere che sostanza. Ma se è sostanza o è semplice o è composta. Se è semplice o è aerea o è liquida o è terrea o è ignea. Ma all'Achillini non pare che possa rientrare in nessuna di tali categorie. Dovrebbe essere allora composta, ma in tal caso si dovrebbe vedere... ma la peste né si vede né si tocca... ma solo spedisce all'altro mondo...

[29] Ripamonti, op. cit. pp. 60 e 61.

[30] Ripamonti, op. cit. pg. 59.

[31] Manzoni, ed. cit. della Colonna Infame (Sellerio), pg. 145.

[32] Appendici al libro II del Ripamonti, pg. 144.

[33] Sciascia, nota all'ed. cit. della Colonna Infame, pg. 177.

[34] Idern, pg. 180.

[35] F. Cordero, op. cit., pg. 194.

[36] Manzoni, op. cit. nell'ed. cit. pp. 34 35.

[37] Il caso è narrato da Corrado Pallenberg nel gustoso, vivace e veritiero libro Culla del diritto tomba della giustizia, (Palazzi, Milano, 1973) nel quale si possono trovare altri esempi dell'inefficienza della giustizia penale italiana.

[38] Chi avesse piacere di approfondire il problema potrebbe leggere gli articoli Riparazione dell'errore giudiziario di Scardia e Riparazione alle vittime degli errori giudiziari di Tranchina rispettivamente su Enciclopedia del diritto (voI.XV), Milano, Giuffrè, 1966, pg. 325 e su Novissimo Digesto (voI. XV), Torino, UTET, 1968, pg. 1191.

[39] Livio Pepino, "Speciale: storia e analisi di una unanimità presunta" (a proposito del conflitto Cossiga-Csm) su Questione giustizia, trimestrale di mag. dem., De Angeli ed., Milano, n° l del 1986.

[40] C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Rizzoli, Milano 1950, pg. 73

[41] Corrado Pallenberg, Culla del diritto tomba della giustizia, Palazzi ed., Milano, 1973, pg. 16 e pp. 80-82.

[42] L. A. Muratori, Dei difetti della giurisprudenza, a cura di G. Bami, Rizzoli, Milano, 1958, pg. 152.

[43] L. A. Muratori, op. cit., pg. 153.

[44] L. A. Muratori, op. cit., pg. 156.

[45] La frase è contenuta in un'intervista concessa dall'on Felisetti; si veda "Sul nuovo codice il PSI darà battaglia" di Bruno Corbi, su La Repubblica del 29 dicembre 1981.

[46] Eccone un brano significativo: «Con la riforma novellistica del 1955 e poi a seguito di numerosi interventi della Corte costituzionale sono cadute quelle norme del codice del 1931 in contrasto con il diritto di difesa, con l'inviolabilità della libertà personale, con il principio del contraddittorio e dell'eguaglianza delle parti, con la presunzione di non colpevolezza; ma l'innesto di queste garanzie sul meccanismo del sistema inquisitorio, doveroso per adeguarsi ai dettati costituzionali, ha progressivamente paralizzato la funzionalità del processo. In altre parole, il sistema inquisitorio è funzionale a uno schema di codice autoritario, che escluda la partecipazione della difesa alle fasi istruttorie scritte e segrete; se, invece, fermo restando il sistema inquisitorio, la difesa viene chiamata a partecipare a tutti gli atti - da quelli di polizia giudiziaria a quelli del pubblico ministero e del giudice istruttore - in quanto atti scritti destinati ad essere utilizzati nelle ulteriori fasi del giudizio, ne deriva un appesantimento del processo tale da provocarne la paralisi..

[47] Il Ponte, Firenze febbraio-marzo, 1973.

[48] Nessuno sia ristretto in carcere, prima di essere stato riconosciuto colpevole pienamente.

[49] Tullio Padovani, L'utopia punitiva, Giuffrè, Milano, 1981.

[50] "La Repubblica", del 15 agosto 1986.

[51] Era una misura per liquidi e aridi corrispondente a un quarto di litro.

[52] Tucidide, La guerra del Peloponneso, Trad. di Luigi Annibaletto, Mondadori, Milano, 1961, Vol. II, pg. 216.

[53] Di tutti i ritocchi che oggi si compendiano sotto la voce "riforma istituzionale" il più utile mi pare quello di fare approvare da una sola Camera le singole leggi, dividendo fra esse il lavoro della produzione legislativa.

[54] Portatori di questi convincimenti si son fatti i giudici di "Magistratura democratica" e di "Impegno costituzionale" e in parecchi saggi hanno divulgato queste idee. Notevoli i libri di Vincenzo Accattatis (Istituzioni e lotte di classe, Feltrinelli, Milano, 1976) e di Guido Neppi-Modona (Sciopero, potere politico e magistratura, Laterza, Bari, 1975).

[55] Todariana Editrice, Milano, 1969, op. cit.

[56] M.G. Losano, "Introduzione a Lo scopo nel diritto di Rudolf von Jhering", Einaudi, Torino, 1972, pg. LXXXV.

[57] Cesare Beccaria, op. cit. pg. 32.

[58] Sull'argomento si può consultare la voce "Procedimento d'accusa e giudizio davanti alla Corte costituzionale", di Renato Moretti su Novissimo Digesto Italiano, Vol. V dell'Appendice, UTET, Torino, 1980, pg. 1298

[59] «Fatti salvi i procedimenti disciplinari e il diritto di richiedere un indennizzo allo Stato, secondo le leggi nazionali, i giudici non possono essere fatti oggetto in via personale di un'azione civile a causa di abusi od omissioni nell'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali». Si veda in proposito quanto scrive Francesco Marzachì nell'"editoriale" del fascicolo del I trim. 1987, della rivista La Magistratura.

[60] M. Pivetti e A. Rossi, I referendum sulla giustizia in "Questione Giustizia", l del 1986, pg. 16.

[61] Si veda in proposito la voce "Responsabilità del giudice, dei suoi ausiliari e del pubblico ministero" di Sergio Costa su Novissimo Digesto Italiano, UTET, Torino, 1968, voI. XV, pg. 702 e la vasta bibliografia ivi citata.

 
<<< indietro avanti >>>