
da "Per le vie" (1883)
Al veglione
C'era andato a portare un paniere di bottiglie, di quelle col collo
inargentato, nel palco della contessa, e s'era fermato col pretesto di aspettare che le
vuotassero; tanto, in cinque com'erano nel palchetto, non potevano asciugarle tutte, e
qualcosa sarebbe rimasta anche in fondo ai piatti. Sicch� alle sue donne aveva detto: -
Aspettatemi alla porta del teatro, in mezzo alla gente che sta a veder passare i signori
-.
L�, sull'uscio del palchetto, i servitori lo guardavano in cagnesco, coi loro
faccioni da prete, ch� i padroni stessi, l� dentro il palco, come li aveva visti da una
sbirciatina attraverso il cristallo, non stavano cos� impalati e superbiosi come quei
servitori nelle loro livree nuove fiammanti.
Nel palco era un va e vieni di signori colla cravatta bianca, e il fiore alla
bottoniera, come i lacch� delle carrozze di gala, che pareva un porto di mare. E ogni
volta che l'uscio si apriva arrivava come uno sbuffo di musica e d'allegria, una luminaria
di tutti i palchetti di faccia, e una folla di colori rossi, bianchi, turchini, di spalle
e di braccia nude, e di petti di camicia bianchi. Anche la contessa aveva le spalle nude e
le voltava al teatro, per far vedere che non gliene importava nulla. Un signore che le
stava dietro, col naso proprio sulle spalle, le parlava serio serio, e non si muoveva pi�
di l�, che doveva sentir di buono quel posto. L'altra amica, una bella bionda, badava
invece a rosicarsi il ventaglio, guardando di qua e di l� fuori del palco, come se
cercasse un terno al lotto, e si voltava ogni momento verso l'uscio del corridoio, con
quei suoi occhi celesti e quel bel musino color di rosa, tanto che il povero Pinella si
faceva rosso in viso, come c'entrasse per qualcosa anche lui.
Ah, la Luisina che era l� fuori, nella folla, non gli era sembrata fatta di
quella pasta nemmeno quando l'aspettava alla porta dei padroni, via S. Antonio, la
domenica, che s'erano picchiati col servitore del pian di sotto, il quale pretendeva che
la Luisina desse retta a lui, perch� ci aveva il soprabitone coi bottoni inargentati.
Quest'altro, quel faccione da prete, impalato dietro l'uscio, gli disse: - E
lei? Cosa sta ad aspettare qui?
- Aspetto le bottiglie, - rispose Pinella.
- Le bottiglie? Gliele daremo poi, le bottiglie; dopo cena. C'� tempo, c'�
tempo.
- Fossi matto! - pensava Pinella sgattaiolando pel corridoio. - Di qui non mi
muovo! -
Egli aveva visto che il suo padrone di casa per entrare in teatro aveva pagato
10 lire, sbuffando, ansimando pel grasso, rosso come un tacchino dentro il suo zimarrone
di pelliccia, tastando i biglietti nel portafogli colle dita corte. Fortuna che non aveva
scorto Pinella, se no gli chiedeva l� stesso i denari della pigione.
Egli era gi� salito due volte sino al quinto piano, soffiando, per
riscuoterli. Ma la Luisina aveva acchiappato un reuma alla gamba, collo star di notte a
vendere il caff� sotto l'arco della Galleria, e quei pochi soldi che buscava la Carlotta
vendendo paralumi per le strade e nei caff�, se n'erano andati tutti in quel mese che la
mamma era stata in letto.
Per le scale, e nei corridoi, c'era folla anche l�. Mascherine che
strillavano e si rincorrevano; signore incappucciate, giovanotti col cappello sotto il
braccio che le appostavano a chiacchierare sottovoce in un cantuccio all'oscuro. Pinella
riusc� a ficcarsi in un andito, fra le assi del palcoscenico, dietro una gran tela
dipinta, dove c'erano degli strappi che parevano fatti apposta per mettervi un occhio. L�
si stava da papa. Sembrava una lanterna magica. Vedevasi tutto il teatro, pieno zeppo,
dappertutto fin sulle pareti, per cinque piani. Lumi, pietre preziose, cravatte bianche,
vesti di seta, ricami d'oro, braccia nude, gambe nude, gente tutta nera, strilli, colpi di
gran cassa, squilli di tromba, stappare di bottiglie, un brulichio, una baraonda.
- Bello! eh? - gli soffi� dietro le orecchie un ragazzone che era entrato di
straforo come lui.
- Eccome! - esclam� Pinella - E' si divertono per 10 lire! - L� davanti, su
di una panca a ridosso della scena, erano sedute due mascherine, e cercavano di esser sole
anche loro, perch� avevano un mondo di cose da dirsi. Lui, il giovanotto, gliele lasciava
cascare sul collo, che la ragazza aveva bianco e delicato, cos� che quei ricciolini sulla
nuca tremavano come avessero freddo, e le spalle pure trasalivano, e si facevano rosse
mentre ella chinava il capo, non ricordandosi neppure che ci aveva la maschera sul viso.
- La ci casca! La casca! - gongolava il vicino di Pinella. Ma il povero
Pinella in quel momento osservava che la ragazza era magrolina e aveva i capelli castagni
come la Carlotta. E l'altro insisteva, insisteva, col fiato caldo sul collo di lei, che
avvampava quasi ci si scaldasse, e ritirava pian piano gli stivalini di raso sotto la
panca, come per nascondere le gambe nude, nella maglia color di rosa, che luccicava qua e
l�, e sembrava arrossire anch'essa.
Ah, la Carlotta aspettava di fuori, al freddo, � vero; ma Pinella era pi�
contento cos�. - La ci va! La ci va! - continuava il suo vicino. La ragazza s'era levata,
per forza, col mento sul petto, e il seno che si contraeva come un mantice, sotto i ricami
d'oro falso. L'altro le aveva preso il braccio, e la tirava, la tirava. Ella si lasciava
tirare, passo passo, colle gambe nude che esitavano l'una dietro l'altra. - Tombola! -
url� loro dietro il ragazzaccio. E sparvero nella folla.
Pinella se ne and� anche lui col cuore grosso, pensando che una volta aveva
sorpreso la Carlotta in piazza della Rosa, a chiacchierare con un giovanotto, proprio come
quest'altro, colle guance rosse e il mento sul petto. Ella aveva trovato il pretesto che
il giovanotto era un avventore il quale aveva bisogno di una dozzina di paralumi, a casa
sua.
A cavalcioni sul parapetto di un palco in prima fila si vedeva una ragazza,
vestita all'incirca tal quale l'aveva messa al mondo sua madre, e a viso scoperto, che era
bello come il sole, e non aveva bisogno di nasconder nulla. Colle gambe che lasciava
spenzolare fuori del palco, minacciava tutti quelli che le venivano a tiro, giovani,
vecchi, signori, quel che fossero, e se uno non chinava il capo nel passare dinanzi a lei,
glielo faceva chinare per forza. N� ci era da aversela a male, tanto era bella e allegra
col bicchiere in mano e le braccia bianche levate in alto; e conosceva tutti, e li
chiamava col tu per nome a uno ad uno. Ad un bel giovane che le sorrideva sotto il palco,
ritto e fiero ella gli vuot� sul capo il bicchiere di sciampagna.
- Questo qui, - disse uno nella folla, - s'� maritato che non � un mese, e
la sposa � l� che guarda, in seconda fila -.
La sposa in seconda fila, tutta bianca e col viso di ragazza, stava a vedere,
seria seria, e con grand'occhi intenti.
- Adesso, - pens� Pinella, l'� ora di andare dalla contessa, per le
bottiglie -.
Nel palco colle cortine rosse calate, dopo l'allegria di prima, s'erano fatti
tutti seri e taciturni, che non vedevano l'ora di andarsene, e posavano i gomiti sulla
tavola, carica di lumi e d'argenterie, coi mazzi di fiori da cento lire buttati in un
canto.
Nello stanzino dirimpetto i servitori mangiavano in fretta, mentre
sparecchiavano, imboccando le bottiglie a guisa di trombetta, appena fuori del palco,
cacciando i guanti nelle salse e nei dolciumi, lustri e allegri come mascheroni di
fontana. Quello del faccione, il superbioso, appena vide arrivare Pinella, cominci� a
sclamare: - Corpo!... - e voleva mandarlo via. Ma un vecchietto tutto bianco e
raggricchiato in una livrea color marrone, disse:
- No! No! lasciatelo stare. Ce n'� per tutti. � carnevale, allegria!
allegria! -
Anzi gli tagli� una bella fetta di pasticcio, e un altro, colla bocca piena,
bofonchi�:
- E' costa cento lire -.
Il vecchiotto, rizzando su la personcina, aggiunse: - Quando stavo col duca,
nel palco, a ogni veglione, si stappavano delle bottiglie per pi� di 1000 lire -.
- Presto! presto! - venne a dire il faccione, forbendosi il mento in furia con
una tovaglia sudicia. - I padroni hanno ordinato le carrozze -.
A Pinella, sembrava invece che andavano via sul pi� bello, e mentre
raccoglieva le bottiglie non sapeva capacitarsi perch� si sciupassero tanti denari e
tanti pasticci da 100 lire se ci si annoiava cos� presto. Ora che aveva bevuto si sentiva
anch'egli il caldo e la smania dell'allegria. I palchi cominciavano a vuotarsi, e dagli
usci spalancati intanto si vedeva la folla irrompere di nuovo in platea come un fiume, coi
volti accesi, i capelli arruffati, le vesti discinte, le maglie cascanti, le cravatte per
traverso, i cappelli ammaccati, strillando, annaspando, pigiandosi, urlando, in mezzo al
suono disperato dei tromboni, ai colpi di gran cassa; e un tanfo, una caldura, una
frenesia che saliva da ogni parte, un polver�o che velava ogni cosa, denso, come una
nebbia, sulla galoppa che girava in fondo a guisa di un turbine, e da un canto, in mezzo a
un cerchio di signori in cravatta bianca, pallidi, intenti, ansiosi, che facevano largo
per vedere, una coppia pi� sfrenata delle altre, cogli occhi schizzanti fuori della
maschera come pezzi di carbone acceso, i denti bianchi, ghignando, il viso smorto, la
testa accovacciata, gli omeri che scappavano dal busto, le gambe nude che s'intrecciavano,
con molli contorcimenti dei fianchi. E in seconda fila lass�, la bella sposina dal viso
di ragazza, tutta bianca, ritta dinanzi al parapetto, che spalancava gli occhi curiosi,
indugiando, mentre suo marito le poneva la mantiglia sulle spalle, e trasaliva al contatto
dei guanti di lui.
La Luisina e la Carlotta aspettavano alla porta del teatro, nella piazza
bianca di neve, col viso rosso, battendo i piedi e soffiando sulle dita in mezzo alla
folla che spalancava gli occhi per veder passare le belle dame imbacuccate nelle pellicce
bianche, dietro i vetri scintillanti delle carrozze. E ad ogni modesto legno di piazza che
si avanzava barcollando, la Carlotta guardava le coppie misteriose che vi montavano,
accompagnava le gambe in maglia color di rosa cogli stessi grandi occhi avidi e curiosi
della sposina tutta bianca, che era in seconda fila.

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