da "Novelle rusticane " (1883)
La roba
Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un
pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi
di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di
Passanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il
cielo fosco dal caldo, nell'ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente
nell'immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere
canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: - Qui
di chi è? - sentiva rispondersi: - Di Mazzarò -. E passando vicino a una fattoria grande
quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a stormi accoccolate
all'ombra del pozzo, e le donne che si mettevano la mano sugli occhi per vedere chi
passava: - E qui? - Di Mazzarò -. E cammina e cammina, mentre la malaria vi pesava sugli
occhi, e vi scuoteva all'improvviso l'abbaiare di un cane, passando per una vigna che non
finiva più, e si allargava sul colle e sul piano, immobile, come gli pesasse addosso la
polvere, e il guardiano sdraiato bocconi sullo schioppo, accanto al vallone, levava il
capo sonnacchioso, e apriva un occhio per vedere chi fosse: - Di Mazzarò -. Poi veniva un
uliveto folto come un bosco, dove l'erba non spuntava mai, e la raccolta durava fino a
marzo. Erano gli ulivi di Mazzarò. E verso sera, allorché il sole tramontava rosso come
il fuoco, e la campagna si velava di tristezza, si incontravano le lunghe file degli
aratri di Mazzarò che tornavano adagio adagio dal maggese, e i buoi che passavano il
guado lentamente, col muso nell'acqua scura; e si vedevano nei pascoli lontani della
Canziria, sulla pendice brulla, le immense macchie biancastre delle mandre di Mazzarò; e
si udiva il fischio del pastore echeggiare nelle gole, e il campanaccio che risuonava ora
sì ed ora no, e il canto solitario perduto nella valle. - Tutta roba di Mazzarò. Pareva
che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli
uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo
dell'assiolo nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era
grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. - Invece egli era un omiciattolo,
diceva il lettighiere, che non gli avreste dato un baiocco, a vederlo; e di grasso non
aveva altro che la pancia, e non si sapeva come facesse a riempirla, perché non mangiava
altro che due soldi di pane; e sì ch'era ricco come un maiale; ma aveva la testa ch'era
un brillante, quell'uomo.
Infatti, colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba,
dove prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll'acqua,
col vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di cappotto; che tutti si
rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell'eccellenza,
e gli parlavano col berretto in mano. Né per questo egli era montato in superbia, adesso
che tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire
povero diavolo e cattivo pagatore; ma egli portava ancora il berretto, soltanto lo portava
di seta nera, era la sua sola grandezza, e da ultimo era anche arrivato a mettere il
cappello di feltro, perché costava meno del berretto di seta. Della roba ne possedeva fin
dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga - dappertutto, a destra e a sinistra,
davanti e di dietro, nel monte e nella pianura. Più di cinquemila bocche, senza contare
gli uccelli del cielo e gli animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza
contare la sua bocca la quale mangiava meno di tutte, e si contentava di due soldi di pane
e un pezzo di formaggio, ingozzato in fretta e in furia, all'impiedi, in un cantuccio del
magazzino grande come una chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci si vedeva,
mentre i contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio, quando il vento
spazzava la campagna gelata, al tempo del seminare, o colla testa dentro un corbello,
nelle calde giornate della mèsse. Egli non beveva vino, non fumava, non usava tabacco, e
sì che del tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed alte
come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio del giuoco,
né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale
gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto.
Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba,
quando andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso era sua, ed aveva provato
quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star colla
schiena curva 14 ore, col soprastante a cavallo dietro, che vi piglia a nerbate se fate di
rizzarvi un momento. Per questo non aveva lasciato passare un minuto della sua vita che
non fosse stato impiegato a fare della roba; e adesso i suoi aratri erano numerosi come le
lunghe file dei corvi che arrivavano in novembre; e altre file di muli, che non finivano
più, portavano le sementi; le donne che stavano accoccolate nel fango, da ottobre a
marzo, per raccogliere le sue olive, non si potevano contare, come non si possono contare
le gazze che vengono a rubarle; e al tempo della vendemmia accorrevano dei villaggi interi
alle sue vigne, e fin dove sentivasi cantare, nella campagna, era per la vendemmia di
Mazzarò. Alla mèsse poi i mietitori di Mazzarò sembravano un esercito di soldati, che
per mantenere tutta quella gente, col biscotto alla mattina e il pane e l'arancia amara a
colazione, e la merenda, e le lasagne alla sera, ci volevano dei denari a manate, e le
lasagne si scodellavano nelle madie larghe come tinozze. Perciò adesso, quando andava a
cavallo dietro la fila dei suoi mietitori, col nerbo in mano, non ne perdeva d'occhio uno
solo, e badava a ripetere: - Curviamoci, ragazzi! - Egli era tutto l'anno colle mani in
tasca a spendere, e per la sola fondiaria il re si pigliava tanto che a Mazzarò gli
veniva la febbre, ogni volta.
Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempivano di
grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire tutto; e ogni volta che
Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro, tutto di 12
tarì d'argento, ché lui non ne voleva di carta sudicia per la sua roba, e andava a
comprare la carta sudicia soltanto quando aveva da pagare il re, o gli altri; e alle fiere
gli armenti di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombravano le strade, che ci voleva
mezza giornata per lasciarli sfilare, e il santo, colla banda, alle volte dovevano mutar
strada, e cedere il passo.
Tutta quella roba se l'era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col
non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria,
coll'affaticarsi dall'alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col
logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava, pensando alla sua roba,
ch'era tutto quello ch'ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né
parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è
fatto per la roba.
Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, perché
la roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone che prima era
stato il padrone di Mazzarò, e l'aveva raccolto per carità nudo e crudo ne' suoi campi,
ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di tutti quei boschi, e di tutte quelle
vigne e tutti quegli armenti, che quando veniva nelle sue terre a cavallo coi campieri
dietro, pareva il re, e gli preparavano anche l'alloggio e il pranzo, al minchione,
sicché ognuno sapeva l'ora e il momento in cui doveva arrivare, e non si faceva
sorprendere colle mani nel sacco. - Costui vuol essere rubato per forza! - diceva
Mazzarò, e schiattava dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel di dietro, e si
fregava la schiena colle mani, borbottando: - Chi è minchione se ne stia a casa, - la
roba non è di chi l'ha, ma di chi la sa fare -. Invece egli, dopo che ebbe fatta la sua
roba, non mandava certo a dire se veniva a sorvegliare la messe, o la vendemmia, e quando,
e come; ma capitava all'improvviso, a piedi o a cavallo alla mula, senza campieri, con un
pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi covoni, cogli occhi aperti, e lo
schioppo fra le gambe.
In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del
barone; e costui uscì prima dall'uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, e poi
dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso, che non passava giorno che non firmasse
delle carte bollate, e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava croce. Al barone non era
rimasto altro che lo scudo di pietra ch'era prima sul portone, ed era la sola cosa che non
avesse voluto vendere, dicendo a Mazzarò: - Questo solo, di tutta la mia roba, non fa per
te -. Ed era vero; Mazzarò non sapeva che farsene, e non l'avrebbe pagato due baiocchi.
Il barone gli dava ancora del tu, ma non gli dava più calci nel di dietro.
- Questa è una bella cosa, d'avere la fortuna che ha Mazzarò! - diceva la
gente; e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti pensieri,
quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera, e come quella testa
che era un brillante avesse lavorato giorno e notte, meglio di una macina del mulino, per
fare la roba; e se il proprietario di una chiusa limitrofa si ostinava a non cedergliela,
e voleva prendere pel collo Mazzarò, dover trovare uno stratagemma per costringerlo a
vendere, e farcelo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca. Ei gli andava a vantare,
per esempio, la fertilità di una tenuta la quale non produceva nemmeno lupini, e arrivava
a fargliela credere una terra promessa, sinché il povero diavolo si lasciava indurre a
prenderla in affitto, per specularci sopra, e ci perdeva poi il fitto, la casa e la
chiusa, che Mazzarò se l'acchiappava - per un pezzo di pane. - E quante seccature
Mazzarò doveva sopportare! - I mezzadri che venivano a lagnarsi delle malannate, i
debitori che mandavano in processione le loro donne a strapparsi i capelli e picchiarsi il
petto per scongiurarlo di non metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o
l'asinello, che non avevano da mangiare.
- Lo vedete quel che mangio io? - rispondeva lui, - pane e cipolla! e sì che
ho i magazzini pieni zeppi, e sono il padrone di tutta questa roba -. E se gli domandavano
un pugno di fave, di tutta quella roba, ei diceva: - Che, vi pare che l'abbia rubata? Non
sapete quanto costano per seminarle, e zapparle, e raccoglierle? - E se gli domandavano un
soldo rispondeva che non l'aveva.
E non l'aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti ce ne
volevano per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un fiume
dalla sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba,
e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra; perché
voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re, ché il
re non può ne venderla, né dire ch'è sua.
Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra
doveva lasciarla là dov'era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi
logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste
ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a
guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano di
spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un
ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli
lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: - Guardate chi ha i
giorni lunghi! costui che non ha niente! -
Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare
all'anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di
bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vientene con me! -
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