da "I ricordi del Capitano d'Arce" (1891)
Né mai, né sempre!
Se un angelo del cielo fosse disceso a promettere sul serio la dolce
lusinga che Casalengo credevasi obbligato di tubare tratto tratto all'orecchio roseo della
signora Silverio, nei momenti buoni: - Per sempre uniti! - L'uno dell'altro! - Sempre! -
lei, no. Lei non ne diceva delle sciocchezze, neanche in quei momenti...
Ora poi, da che aveva corso il pericolo di vedersi cascare fra capo e collo
tanta felicità, per l'imprudenza di un domestico - da che suo marito stava in guardia e
minacciava una catastrofe, era diventata prudente, in modo da far disperare Casalengo,
l'imprudente! - Ah, no, mio caro! Se sapeste, che paura! -
La bomba scoppiò all'improvviso, quando meno la povera signora sentivasi
disposta a dar fuoco alle polveri: uno di quei colpi di vento o di follìa che vi fanno
perdere la bussola. E Casalengo l'aveva persa davvero dietro a quella donna che
rassegnavasi docilmente al supplizio di non riceverlo più da solo a solo - specie quando
la incontrava al ballo o in teatro, e non poteva neppure metterle un bacio sull'omero
nudo. Qualcosa gli diceva: - Bada, essa non è più quella di prima. C'è qualcosa, un
pensiero fisso, un segreto, un altro, negli occhi che ti guardano, nelle labbra che
ti sorridono, nel gesto, nel suono della voce. Proprio! il vostro peccato, che vi si
rivolta contro, e vi punisce...
- Ginevra! È impossibile durarla così... quando si ama... se mi amate
ancora...
- Ingrato! - ribatté lei, fermandosi un minuto solo, sull'uscio della sala da
giuoco.
- Perdonatemi... Avete ragione... sempre. Ma mettetevi nei miei panni, s'è
vero che mi amate...
- Lasciatemi! Lui s'è voltato a guardarci... Avete visto? -
Aveva ragione, sempre, lei; anche quando rideva e civettava in mezzo a una
folla di cicisbei per sviare i sospetti; mentre lui doveva tenersi in corpo il dubbio, la
febbre, la gelosia, in fino! la smania di sapere e di toccare con mano la sua disgrazia,
di stringersela fra le braccia, e di conficcarsela ben bene nel cuore - costretto a
mostrarsi disinvolto anche lui, onde evitare il ridicolo, allorché finalmente ella volle
offrirgli una tazza di thè, nel vano di una finestra.
- Grazie. Me la son meritata. È vero.
- Ma... secondo. Lasciatemi guardarvi in viso...
- Ah no! Non facciamo imprudenze! Io, per esempio, potrei vedere nel vostro
qualcos'altro...
- Che cosa?
- Lui...
- Lui, chi?
- Lui, quell'altro... Vedete se sono buono! -
Il poveretto arrivava a bruciarle sotto il naso il granellino d'incenso della
gelosia amabile. Una cosa deliziosa. Ella, ridendo, diceva di no, di no, col sì negli
occhi.
- Un altro, chi? Siete matto?
- Che so io... il sogno di stanotte, il chiaro di luna, la canzone che passa,
l'ultima parola che vi è rimasta nell'orecchio, fra tante... forse senza che ve ne siate
accorta voi stessa... -
Casalengo si batteva i fianchi, non potendo combattere il rivale incognito
ch'era inutile cercare, ch'ella non avrebbe confessato giammai, e che non osava forse
confessare a se stessa, ancora. Una voce gli diceva all'orecchio, a lui pure: - È
inutile, tutto ciò che farai aggraverà i tuoi torti di geloso che ha dei diritti, ed è
diventato un ostacolo. Non potrai essere con lei né magnanimo, né dispotico, e neanche
innamorato, quasi. Se minacci t'avvilisci, e se piangi sei ridicolo. L'ultimo di cotesti
imbecilli che le fanno la corte ha un gran vantaggio su di te. Non puoi mostrarti a lei
né umile, né minaccioso, né indifferente, né sospettoso. Comunque ella ti risponda,
sdegnosa, o docile, o tranquilla, o timida, ti butterà egualmente in faccia un
rimprovero, un'accusa, una di quelle parole che rompono braccia e gambe, e fanno chinare
il capo: «Seccatore!» Bisogna umiliarti colle finzioni, scendere alle indagini tortuose,
rassegnarti al supplizio stesso che hai inflitto al marito di lei: la pena del taglione,
il castigo di Dio, poiché c'è giustizia lassù anche per queste cose: e diventare odioso
come un marito, peggio ancora, perché tu sei legato a lei soltanto da quel vincolo
ch'essa vorrebbe mettersi sotto i piedi. Tu non hai la scusa della Famiglia e dello
scandalo da evitare, quando non hai il coraggio di rompere quella catena; non hai il
diritto e la legge, per costringere e dominare la donna di cui sei geloso; non puoi averla
sotto gli occhi a tutte le ore per spiarla; non hai l'interesse per difenderti, né la
scelta del momento per riconquistarla. Le stesse armi con le quali hai combattuto ti si
ritorcono contro: le astuzie, i ripieghi inesauribili che ella sapeva trovare, il sangue
freddo nei momenti difficili che ammiravi in lei, e il candore delle bugie che ti
sembravano deliziose nella sua bocca... E l'ebbrezza della vittoria, poi! il ricordo di
certi momenti che ti si ficca nelle carni col sospetto di un rivale latente fra te e
lei... -
Proprio un affare serio, anche per un uomo meno innamorato di Casalengo -
giacché l'immagine di un rivale passato, presente o futuro c'entra un po' in tutti i
romanzi del cuore. Una tentazione da farvi perdere il lume degli occhi.
- Sentite, Ginevra!... È assurdo... quando si ama... se si ama... non
cercare... non trovare in tutta Napoli un cantuccio, un momento per ritrovarsi, come
prima... fosse anche per cinque minuti soli... A meno che...
- A meno che, nulla! Lo sapete e avete torto -.
Pure gli aveva accordato quell'appuntamento, proprio perché non ne aveva
voglia, per lealtà, perché era un'imprudenza e un pericolo serio in quel momento, col
marito che le stava alle costole, e sembrava fiutasse in aria qualcosa anche lui.
Giel'aveva accordato fors'anche perché indovinava i sospetti di lui, e sentivasi
colpevole, in fondo in fondo.
Le donne hanno di coteste delicatezze che noi uomini non arriveremo mai a
comprendere.
- Ebbene, - gli disse, - giacché lo volete assolutamente... Sia pure. Ditemi
quando e dove... Non importa. Cercate voi -.
Casalengo aveva trovato: un alberguccio losco che essendo brutto assai
sembravagli non potesse essere scoperto da altri. Essa ripeté:
- Sia pure... dove volete. Non importa -.
Prese a due mani il suo coraggio e le sue sottane, e salì in punta di piedi
quella scaletta sudicia, sfidando alteramente gli sguardi avidi e indiscreti del servitore
bisunto, appena velata da un pezzetto di trina che si era cacciata in tasca, come non
s'era curata del viso che aveva fatto la cameriera vedendola uscire a quell'ora e vestita
così dimessamente, come s'era rassegnata all'insolenza del lazzarone che l'aveva
scarrozzata sino ai vicoletto oscuro, dopo mille andirivieni sospetti, ghignando ed
ammiccando alla gente che incontrava, per accusare il soffietto traballante sotto il quale
tentava di nascondersi la povera signora messa così alla berlina, rinfacciandole al
termine della corsa: - Cinque lire? A chi le date? Un servizio come questo! -
Casalengo aspettava dietro la finestra, colle tendine calate, il cuore in
sussulto, innamorato sino ai capelli, dopo tanto tempo che non si erano più visti... o
quasi. Essa entrò senza esitare, pallidissima, premendosi il petto anche lei. Ritirò la
mano che egli le aveva presa, e cavò dal manicotto una boccettina che fiutò a lungo,
senza rispondergli, senza muovere un passo, guardandosi intorno cogli occhi lucenti: degli
occhi in cui erano tante cose, all'infuori dello smarrimento e dell'abbandono che
aspettava lui. Però, in quel momento Alvise vide soltanto lei, bella, bianca, bionda,
odorosa, sola con lui. E la ringraziava colla voce tremante, col cuore traboccante di
riconoscenza e d'ardore, col viso acceso, colle mani tremanti. Accarezzava il manicotto e
i guanti di lei; le faceva dolce violenza per attirarla vicino a lui, sul canapè a grandi
fiori gialli e rossi: - Cara Ginevra... Bella e buona tanto!... Finalmente!... Povera
bimba... come le batte il cuore!... Qui, qui sul mio!...
- Ditemi, - rispose invece lei, sempre colla boccetta sotto il naso. - Non
potreste aprire quella finestra?
- Ah! - esclamò Casalengo, lasciandosi cadere le braccia. - Ah! -
Ella si pentì subito d'essersi lasciata sfuggire quelle parole che erano
state una fitta al cuore del povero innamorato, e sedette rassegnata, scusandosi col dire:
- Ma si soffoca qui!...
- Perdonatemi... C'è un mondo di gente alla finestra dirimpetto... Non ho
potuto trovare di meglio... per la vostra sicurezza...
- Vi ringrazio. Avete ragione -.
Adesso rimanevano in silenzio l'uno rimpetto all'altra, imbarazzati e quasi
cerimoniosi. Talché lei, buona in fondo, se ne avvide, e volle togliersi i guanti e la
veletta, per compiacenza, cercando ove posarli. Poi, a buon conto, cacciò ogni cosa nel
manicotto, che si tenne in grembo.
- Scusatemi, Alvise... Vi sembrerò strana... Sono tutta... così... -
Alvise continuava a tacere, seduto di faccia a lei, guardandola fissamente,
tristamente. E nei suoi occhi un sentimento nuovo, una grande amarezza balenava. Infine,
con voce mutata, nella quale tradivasi suo malgrado quell'angoscia, le disse:
- Ahimè, Ginevra... siete come una che non ama più! -
Anch'essa allora alzò gli occhi splendenti, guardandolo fisso, con un sorriso
amaro all'angolo della bocca.
- Avete ragione a dirmi ciò... adesso... e qui!...
- Ah! Non vedete quanto soffro? Non sentite che vi amo come un pazzo? Non
avete indovinato tutte le torture?... -
Vinto dalla commozione, dal desiderio, dalla passione, si lasciò trascinare a
dirle tutto: le angosce, i palpiti, il dubbio, le notti passate sotto le sue finestre, la
febbre che gli metteva addosso solamente quella breve striscia del suo polso nudo, i
castelli in aria, i sogni, le follie... tutto, tutto, proprio come un bambino: l'abbandono
intero che tanto piace alle donne. Essa gli posò infatti le mani sui capelli, quasi per
accarezzarlo, commossa di vedersi ai piedi la forte giovinezza di quel fanciullo di
trent'anni, come abbandonandosi anche lei, per riconoscenza. Soltanto, vedendogli
luccicare le lagrime negli occhi, tornò fredda come prima.
- No... ecco... Ho avuto una gran paura... Ecco cos'è...
- Paura di che, povera bimba?...
- Ma di lui, mio caro. Si fa presto a dire... Vorrei vedervici voi! -
E anch'essa sciorinò allora tutto ciò che aveva patito e temuto, dal giorno
che suo marito era entrato in sospetto. Non si riconosceva più quell'uomo. Un Otello
addirittura! Dormiva col revolver sotto il guanciale. Una paura atroce, un batticuore
continuo... Se incontrava lui, Casalengo... se non lo vedeva... temendo che un gesto o una
parola lo tradisse... trasalendo a ogni lettera che portava la posta... se udiva il
campanello... Ogni cosa che la metteva sottosopra... l'umore del marito, il contegno dei
domestici...
- Insomma una cosa da far venire i capelli bianchi, amico mio!
- Ebbene! - esclamò Casalengo raggiante, stringendole le mani da farle male,
seduto ai piedi di lei, supplicandola cogli occhi innamorati, accarezzandola col sorriso
ebbro. - Ebbene!...
- Ebbene! che cosa?
- Fuggiamo insieme!... lontano da Napoli!... in capo al mondo!... Troveremo
pure un nido dove nascondere la nostra felicità!... -
Ella spalancò gli occhi, attonita, quasi le avessero proposto di condurla
alla luna in pallone, d'andare a un ballo in veste da camera, di camminare a testa in
giù. Sicché il lirismo e l'entusiasmo del povero innamorato caddero a un tratto. Ma lei,
vedendolo così mortificato, ripigliò immediatamente, mettendogli la mano sulla bocca:
- Zitto!... zitto!... per carità... -
Cercò di fargli intendere ragione, di farlo rientrare in se stesso, quel gran
fanciullone, proprio colle buone, con dolcezza, abbandonandogli le mani anche, purché non
ne parlasse più... Egli non ne parlava più infatti, baciava e ribaciava quell'epidermide
fine e profumata, risalendo lungo il braccio, sollevandosi sulle ginocchia.
Allora la bella Ginevra tornò ad avere la paura di prima.
- Badate, Alvise!... Siete proprio sicuro che nessuno m'abbia vista?... Voglio
dire che nessuno abbia potuto vedermi... mentre venivo?...
- Ma... certamente...
- Perché... m'è sembrato che qualcuno mi seguisse... una carrozzella, sì...
dalla Villa sino a Foria... E anche nel salir la scala... Lui non pareva risolversi ad
uscire. M'ha chiesto se andavo al concerto... Siete sicuro della gente di questa casa?
- Sicurissimo... Chi volete... Nessuno vi conosce... -
Alvise non connetteva più, dal momento che quella manina gli si era posata
sulla bocca. Cercava le parole, balbettava, tentava di rifarsi al punto di prima e di
riguadagnare il tempo perso, indispettito di vederselo fuggire a quel modo, stupidamente,
dopo tanti ostacoli e tante difficoltà per trovarsi un'ora insieme!... Ma lei però aveva
il coraggio di pensare a tante altre cose in quel momento; badava a difendere la sua
veletta e il manicotto!...
- No... davvero... Alvise... Ho paura!...
- Ah, sì!... la carrozzella... Foria... la scala!...
- Ecco! - rispose lei corrucciata. - Ecco come siete!
- Ma io sono come uno che ama, cara mia! Non ho i vostri ma e i vostri se...
E neanche voi li avevate, prima...
- Ecco! ecco! Me lo merito!
- Oh, Ginevra!... oh!... -
Ella si era messo il fazzoletto agli occhi: un'altra gran tentazione, il
profumo di quel fazzoletto, e le lagrime di quegli occhi! Alvise le afferrò di nuovo le
mani, baciandole, baciando il fazzoletto, gli occhi, il vestito, fuori di sé, delirante,
chiedendole se l'amava ancora, proprio, tutta tutta, se sentiva anche lei quello
struggimento e quella frenesia. Essa diceva di sì, di sì coi cenni del capo, col rossore
del viso, col tremito delle mani, abbandonandoglisi a poco a poco, mutandosi in viso,
fissandolo col turbamento delizioso negli occhi, balbettando anche lei, vinta alla fine:
- Non vedete... Non vedi... Sarei qui forse?... Vi pare che sia una cosa da
nulla?...
- Sì, è vero! Perdonatemi, povera bimba! Bimbetta bella e cara!... Come
batte quel cuoricino!... Anch'io, sai!... Ma è un'altra cosa... Non è vero?... Guardami!
Sorridimi! È stato un gran affare, eh, questa scappata?... Un colpo di testa?... Non siam
fatti per le tempeste grosse dell'amore! Preferiamo la maretta che ci culla e ci
accarezza!... Non è vero? di', confessalo! Siamo un po' civettuole anche! Ci piace di
vederci corteggiare e di far perdere la testa al nostro prossimo, eh?... Di'! di'!...
Tutti coloro che ti corrono dietro e sospirano alla luna!... Confessalo! Confessati!
Dimmi, chi è l'amante della luna adesso? colui che sospira di più per la mia Ginevra? Lo
sai? te ne sei accorta? ti piace, di'... ti piace far disperare il prossimo tuo?... -
Ella sorrideva proprio come una bimba, stordita, commossa, riconoscente di
quella nuova adulazione, dicendo di no, di no, che amava il suo Alvise, lui solo! E gli
buttò anche le braccia al collo. Tanto che lui non disse più nulla e ricominciò a
parlare soltanto coi baci, dei baci che se la mangiavano viva, e le facevano mettere dei
piccoli gridi soffocati:
- No!... no!... Davvero!... Zitto!... Sento proprio rumore. Lì... nella
scala, dietro l'uscio!... sentite?...
- Ah!... quella scala maledetta!... -
Ma Alvise s'arrestò lui pure a un tratto, udendo realmente il rumore di un
alterco sul pianerottolo, poiché il cameriere voleva guadagnarsi coscienziosamente la sua
mancia, e difendeva energicamente l'ingresso del santuario. Una voce li fece allibire
entrambi, la voce di Silverio. L'uscio sgangherato si spalancò a un tratto, e apparve
lui, il marito, Otello, cieco di rabbia e di gelosia - e stavolta poi con ragione, almeno
all'apparenza. - Il cuore le parlava, a lei!
Ciò che allora accadde può bene immaginarsi; perché anche dei gentiluomini,
in certe occasioni, perdono il lume degli occhi tale e quale come dei semplici facchini.
Una scena terribile e tale da guarire in un momento di ogni tentazione passata e futura la
povera donna che faceva sforzi disperati per svenirsi. Mai più, mai più poté levarsi
dagli occhi il gesto di Alvise che aggiustavasi la cravatta, cercando il cappello per
uscire insieme al suo nemico mortale, e andare a tagliarsi la gola d'amore e d'accordo.
Fuori di sé, derelitta, andò un'ora dopo a bussare alla porta di lui.
Alvise parve stupefatto.
- Voi!... qui!
- Oramai... - balbettò ella smarrita. - Oramai... siete il mio amante...
- Ma no, amor mio!... è impossibile!...
- E dove volete che vada adesso?
- A casa vostra. Non temete. Vostro marito è un gentiluomo. Tutto si è
accomodato.
- Accomodato, in che modo?
- Non sarà fatta parola di voi nella questione fra me e vostro marito... Ci
sarà di mezzo un'altra donna... una che non avrà nulla da perdere.
- Nessuno vi crederà.
- Non importa che credano. Ma bisogna che sia così. Vostro marito partirà
immediatamente per un lungo viaggio... Voi sarete libera...
- Ah!...
- Credetemi!... - diss'egli stringendole forte le mani, quasi colle lagrime
agli occhi. - Credetemi che darei tutto il mio sangue perché non fosse avvenuto tutto
ciò! -
Ella gli si buttò fra le braccia, piangendo tutte le sue lagrime,
abbandonandosi interamente all'uomo che un'ora prima cercava un nido in capo al mondo per
andare a nascondervi il loro amore e la loro felicità. Adesso invece cercava di calmare
la povera Ginevra, preoccupato dei riguardi che doveva alla riputazione di lei, ai ma
e ai se che le aveva rimproverato poco prima, cercando di farle comprendere le
esigenze mondane che un'ora avanti voleva farle mettere sotto i piedi, un po' pallido,
malgrado il suo coraggio provato, tutto un altr'uomo, imbarazzato, esitante, guardando
l'uscio e l'orologio ogni momento, rispettoso e delicato, uomo di mondo sino ai capelli,
è vero, ma un uomo di mondo cui sia caduta una tegola sul capo, e gli sia rimasta fra le
braccia una gatta da pelare, per usare la frase gentile che nessuno dice e tutti
pensano in casi simili.
- Infine... - proruppe, - cara Ginevra... aspetto qualcuno... Non potete farvi
trovare qui da questo qualcuno... -
Il senso morale è industrioso in tanti modi. E non è a dire che Casalengo ne
fosse peggio dotato degli altri. Quando il suo rivale se lo vide sotto la mira della
pistola, con quella faccia, disse piano agli amici che l'assistevano: - Ecco un uomo morto
-.
Certo non mancò per lui, che gli piantò due pollici di ferro fra le costole,
e lo mise a letto per un pezzetto. La signora viaggiò tutto quel tempo, almeno si disse.
E se pure andò a trovare il suo amico, di nascosto, proprio da suora di carità, non se
ne seppe mai nulla ufficialmente. Le lettere, per andare da lei a lui, facevano un lungo
giro, coll'aiuto di un'amica fidata. Talché quando la signora Ginevra riaprì il suo
appartamento in via Partenope, libera e sola, più bella e più elegante che mai, fu una
gara fra le signore e gli uomini in voga a darvisi ritrovo. Alvise vi andò cogli altri,
all'ora del thè, un giorno che il salotto era pieno di gente, e la bella Silverio faceva
gran festa a tutti.
- Ah, Casalengo! Bravo! Temevo che fosse partito, o che mi avesse dimenticata
-.
Egli vi ritornò altre volte, nei giorni di ricevimento e anche dopo. Si
fermava allo sportello della sua carrozza, al passeggio; e andava a salutarla nel
palchetto, al San Carlo. Era sempre uno degli intimi, come prima, il cavalier servente
dell'elegante mondana, mentre il marito di lei viaggiava lontano, talché non c'era
persona che sapesse vivere la quale invitando la signora Ginevra dimenticasse di invitare
Casalengo, e viceversa. Proprio il nido d'amore, tappezzato da Levera, e col terrazzino
sul golfo di Napoli per contemplare le stelle, e la luna di miele. Erano liberi, soli e
senza alcun sospetto. Ma non era più la stessa cosa, o almeno non era più la stessa cosa
di prima. Nella loro felicità aprivasi una lacuna, una crepa in cui s'abbarbicavano delle
male piante che aduggiavano il bel sole d'amore e facevano impaccio alle parole e alle
cose gentili. Lei, infine, non sapeva perdonare a Casalengo l'inchino profondo, l'aria
troppo rispettosa con la quale veniva a salutarla, in teatro, al ballo, fra i suoi amici.
Lui aggrottava le ciglia suo malgrado, tal quale come Silverio, se qualcheduno di essi
mostravasi più appiccichino degli altri, più assiduo e premuroso degli altri verso di
lei - tacendole le sue pene, oppure stordendola col cinguettarle alle orecchie delle
sciocchezze che la facessero ridere. - Le conosceva anche lui le arti di cotesti
seccatori... e anche lei un po' civettuola lo era stata sempre... per incoraggiare ogni
sciocchezza che le tubassero all'orecchio.
- Una noia, cara Ginevra!... Non capisco come certuni si buttino addosso a una
signora e le facciano gli occhi dolci per dirle magari: buona sera!
- Quello che facevate voi, mio caro... allora... nei bei tempi... Quando vi
dicevo: «Né mai, né sempre....» -.
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