da "I ricordi del Capitano d'Arce" (1891)
Commedia da salotto
- Badate! Egli sa tutto! -
La signora Ginevra era pallidissima lasciando cadere quelle parole a fior di
labbra, rapidamente, mentre fingeva di rispondere con un sorriso al profondo inchino di
Alvise Casalengo, allungandogli, nel passare, una stretta di mano breve e confidenziale.
Egli, inquieto, cercò cogli occhi il marito di lei nell'altra sala.
Ma non poté chiederle altro. La folla li separò tosto. Ella, sorridente
sempre, scollacciata sino al dorso, scintillante di gioie, aggiravasi fra i tavolinetti
preparati per la cena, chinandosi a odorare i fiori, ad ammirare tutte quelle graziose
ventoline colorate; rispondeva gaiamente ai saluti, agli auguri, alle strette di mano. In
fondo alla sala, nel gran specchio inclinato sul caminetto, si mirò un istante ad
assicurare la stella di brillanti che le tremolava fra i capelli, pallidissima, quasi la
sfumatura livida che le accerchiava i begli occhi si fosse allargata a un tratto per tutto
il viso delicato.
- Sola? - esclamò la contessa Maio. - Libera e sola? Che miracolo!
- Sì - rispose Ginevra collo stesso tono allegro. - Una volta ogni fin d'anno
almeno!... Ho lasciato Silverio in anticamera... coll'ammiraglio... Sono fuggita... -
Le parole e le labbra ridevano. Ma gli sguardi erravano inquieti, come
cercando ancor essi. Alvise, sempre vicino all'uscio, stava a discorrere col suo amico
Gustavo, tranquillamente, lisciandosi i baffi tratto tratto per dissimulare una ruga
sottile che gli si contraeva di tanto in tanto all'angolo della bocca, e l'ansietà acuta
che balenava suo malgrado negli occhi, i quali volgevansi spesso verso il salotto
d'ingresso. Dietro a un vecchietto calvo, dinanzi a cui tutti s'inchinavano, entrò il
marito della bella Ginevra, col fiore all'occhiello, salutando gli amici, baciando la mano
alle signore, solamente un po' duro e un po' rigido nel vestito nero, con un lieve
aggrottar di sopracciglia appena incontrò lo sguardo fermo e rispettoso di Casalengo, il
quale lo aspettava sull'uscio, piantandosi militarmente.
- Ah, lei, tenente?... Ha terminato quel rapporto? -
Casalengo stava per rispondere, quando la signora Gemma, ad una parola dettale
rapidamente sottovoce dalla sua amica Ginevra, la quale aveva seguìto ansiosa
quell'incontro, con occhi che luccicavano intensi, quasi tutti i suoi lineamenti si
alterassero all'improvviso, mentre passava macchinalmente il fazzolettino sulle labbra,
attraversò la sala rapidamente, per andare a impadronirsi del Comandante.
Poscia tornando trionfante al braccio di lui, le chiese:
- Ha caldo?
- No... Sì, veramente... Un po'...
- Sei pallida. Fa troppo caldo qui, cara Ginevra.
- No, no... Non importa... -
La buona Gemma, intanto, aveva sequestrato il Comandante nel vano di una
finestra, tenendolo a bada con delle chiacchiere, interrompendosi con delle risate
argentine che squillavano in mezzo al brusìo della sala, facendo di tutto per sedurre
quell'orso, saettando di tempo in tempo alla Ginevra un'occhiata lucente che voleva dire:
- Che diavolo è successo? - Indi prese il braccio dell'Ammiraglio e lo condusse verso il
canapè, stordendo anche lui col suo cicaleccio allegro, continuando a guardar come
distratta, come a caso, la sua amica e il marito di lei ch'era preso adesso nel circolo
della contessa, voltandosi più guardinga verso il salotto dov'era andato a cacciarsi
Casalengo insieme al suo camerata Gustavo. Infine Gemma abbandonò l'Ammiraglio alle altre
signore, e passò nel salotto anche lei. Ginevra li vide che discorrevano animatamente con
Casalengo. Egli coll'aria grave, rispondendo a monosillabi, Gemma diventata seria, con un
interesse che tradivasi dai minimi gesti, per quanto fosse abituata a padroneggiarsi in
pubblico. Gustavo s'era dileguato al par di un'ombra.
Una domanda a lei rivolta la fece trasalire in quel punto: Serravalle che le
chiedeva un valzer e insisteva per averne la promessa: - Le fo paura? Non vuol vedermi
neppure? È ancora in collera, dopo tanto tempo? -
Essa lo guardò un istante come trasognata, battendo le palpebre, col bel
sorriso pallido che stentava a rifiorire sui lineamenti disfatti: - Ah, lei?... No! Mai
più... Del resto non si ballerà...
- Sì, sì, dopo cena, me l'ha detto la contessa... per cominciare l'anno
nuovo... Cominci l'anno con una buona azione, lei!... Non ce n'è un'altra che balli il
valzer come lei!... Dica di sì! dica di sì!... un giro solo!... l'ultimo...
- Mai più! mai più!... Sarebbe il primo dell'anno nuovo, se mai... Non
voglio passare tutto l'anno a svenirmi nelle sue braccia... Sul serio, lei gira troppo in
furia... Mi fa girare il capo... Si rammenta?
- Ah! per l'amor di Dio... Non me lo rammenti, piuttosto! Non me lo faccia
perdere il capo, lei!... Ha detto di sì!... Consegno qui la sua promessa!... -
Ella rideva tutta quanta, come una bambina, a scatti, con una fossetta sulla
gota, con certi movimenti che facevano sbocciare gli omeri delicati dalla scollatura del
vestito. Altri giovanotti le fecero ressa intorno, mentre Serravalle se ne scappava
segnando nel taccuino il valzer che le aveva quasi strappato a forza. Ciascuno la
supplicava d'accordargli un posto al suo tavolinetto, nel va e vieni degli invitati che
sedevano a cena a piccoli gruppi di tre o quattro, con delle esclamazioni giulive, degli
scrosci di risa, dei nomi barattati da un tavolino all'altro, un fruscìo di seta, un
luccicare di gemme, delle spalle nude che si chinavano con movimenti graziosi. Ella
tenendo testa a tutti quanti, schermendosi col ventaglio, ribattendo i frizzi e le
galanterie, spiava sottecchi ogni atto, ogni gesto di suo marito e di Casalengo, il quale
stava cercando il suo posto anche lui. I loro sguardi si evitarono d'accordo, non appena
s'incontrarono, per caso. Il Comandante, dando il braccio alla contessa, le parlava nel
viso, allegro e disinvolto anche lui. La signora Ginevra, ritta dinanzi al posto dove
aveva letto il suo nome sul cartoncino litografato, cavava adagio adagio le mani
scintillanti di anelli dall'apertura del guanto che le saliva sino al gomito, avvolgendoli
mezzi intorno al polso... Gemma, che aveva potuto raggiungerla finalmente senza dar
nell'occhio, le chiese sottovoce, brevemente:
- Cos'è stato?
- Nulla... Ti dirò poi... -
Ella così dicendo s'era chinata a leggere i nomi dei suoi compagni di tavola.
Ma scorgendo quello di Alvise di faccia a lei, un'attenzione delicata della contessa, che
studiavasi di mettere insieme bene i suoi invitati, non seppe reprimere un moto come di
sgomento.
- No, no... per carità... -
Gemma colse a volo il significato di quelle poche sillabe: - Casalengo, faccia
il piacere... venga qui, con me... Mi liberi da Sansiro, che è una vera persecuzione... -
Sansiro, il quale dovette prendere il posto di Alvise Casalengo, di faccia
alla signora Ginevra, fece un inchino troppo profondo, che gli valse un'occhiata
fulminante di lei. Però in mezzo all'allegria generale lui solo rimaneva
straordinariamente grave e taciturno, senza la più piccola freddura, senza permettersi
con la bella Ginevra una sola delle spiritosaggini che facevano scappare le signore, quasi
avesse voluto protestare col suo contegno contro l'accusa della signora Gemma. Affettava
di volgere le spalle a Casalengo; chinava gli occhi sul piatto se la signora Ginevra
volgeva i suoi verso il tavolinetto vicino. Mostravasi servizievole e premuroso; ma
discretamente, con un certo sussiego, parlando poco e di cose serie. Bruni, che era il
terzo, faceva lui per tutti e tre.
Nondimeno la festa languiva in quell'angolo della sala, malgrado gli sforzi di
Casalengo che stuzzicava e tormentava peggio di Sansiro la signora Gemma. La povera
Ginevra s'era fatta seria, quasi sentisse pesare di tanto in tanto sulla sua graziosa
testolina gli sguardi acuti del marito, il quale dal canto suo battevasi i fianchi per
tener desta l'allegria nel crocchio della contessa. Gli uomini fingevano di essere
occupatissimi nel fare onore alla cena, le signore sfioravano appena un'ala di fagiano o
accostavano il bicchiere alle labbra. Sembrava che un'invincibile musoneria si propagasse
da quel cantuccio per tutta la sala, senza che una parola fosse stata detta, senza che
un'indiscrezione fosse sfuggita, senza che un gesto avesse tradito il segreto, quasi
l'istinto di tutti quei complici mondani li avesse avvertiti insieme del dramma che
celavasi sotto il sorriso. Il Comandante, vuotando l'uno dopo l'altro dei gran bicchieri
d'acqua, animava però da solo il circolo della padrona di casa, la quale coll'occhio
vigile intorno, col sorriso amabile per tutti quanti, guardava di tratto in tratto
l'orologio posto di faccia a lei sul caminetto. A un dato momento, quand'essa toccò il
bicchiere del Comandante con un dito di champagne spumante in fondo al suo, gli
invitati si alzarono frettolosi. Degli auguri, dei baci, degli accenni, dei saluti
s'incrociarono da un punto all'altro, da un tavolino all'altro. Un muovere di seggiole,
uno scomporsi di gruppi, una cordialità generale e un po' chiassosa che voleva essere
sincera. Dei sorrisi che si cercavano, e degli sguardi che si spiavano a vicenda. La
signora Ginevra aveva chinato i suoi per tornare ad infilarsi i guanti. Gemma, nello
scambiare con lei il bacio d'augurio, le disse all'orecchio:
- Bada, Ginevra! Non ti far scorgere. Hai tutti gli occhi addosso!
- Ah, Dio mio! Dio mio! -
Poscia mentre s'avviavano a braccetto verso il pianoforte, dove una folla di
signore assediava l'Ammiraglio che sorbiva lentamente il caffè, essa balbettò:
- Tieni a bada mio marito... per carità.. due minuti soli... -
E siccome Gemma insisteva per sapere cosa fosse avvenuto, infine, aggiunse:
- Ti dirò poi... ti dirò poi... -
L'Ammiraglio narrava una storiella allegra, con tutti i punti e le virgole,
senza lasciarsi intimidire dal coro delle proteste, dalle esclamazioni di rimprovero, dai
ventagli che lo minacciavano. Gemma facendo coro alle sue amiche, coll'indignazione
anch'essa nella bocca sorridente, era riuscita ad insinuarsi fra il Comandante e l'uscio
del salottino dove si fumava: - Che orrore!... Siete un orrore!... tutti quanti! Anche
lei, Silverio! Sì, anche lei che trova da ridere a coteste infamie! - Col busto inarcato,
volgendo indietro la testolina accesa, ella seguiva colla coda dell'occhio la sua amica
che aveva l'aria di fuggire lei pure Gustavo e Serravalle troppo insistenti dietro di lei.
- No, no, Ginevra! non stare ad ascoltarli!... Sono diventati impossibili!... tutti
quanti! -
Così dicendo tornò a prendere il braccio dell'amica, giusto sull'uscio del
salotto in fondo al quale Casalengo stava fumando una sigaretta, appoggiato alla spalliera
della poltrona.
- Che vuoi fare, Ginevra? No, per l'amor di Dio! Sta' attenta! Tuo marito ha
un certo viso questa sera!
- Bisogna ch'io gli parli... assolutamente!... Non ho avuto tempo
d'avvertirlo... Se mio marito riesce a trovarsi solo con lui prima che io l'abbia
prevenuto nascerà qualche disgrazia!... -
La poveretta era convulsa mentre balbettava quelle parole, sottovoce,
coll'aria più indifferente che poteva, nello stesso tempo che accostava il capo ad
ammirare la bella croce di brillanti sul petto dell'amica. - Ah, Dio!... -
Suo marito entrava in quel momento nel salottino, diritto, calmo, arrotolando
fra le dita una sigaretta. Poi si chinò per accenderla a quella di Casalengo, mentre la
moglie in fondo alla sala, sentivasi venir meno, colla visione di quei due uomini che si
trovavano faccia a faccia negli occhi stralunati. La contessa, che vedeva ogni cosa dal
suo posto, si mosse subito, e passò immediatamente nella stanza dove fumavasi.
- Ah, Dio mio! - balbettò la povera Ginevra.
- Via, mia cara!... Vedi!... È lì la contessa. Non c'è pericolo pel
momento... -
Essa, interrottamente, con un soffio di voce, le labbra smorte e convulse, gli
sguardi erranti qua e là, disse cosa era stato.
- L'ordinanza l'ha visto venire ieri sera... tardi... Ha detto ogni cosa a mio
marito... io non ho avuto tempo di suggerire una scusa a lui... -
Intanto davano mano a sgombrar la sala per far quattro salti. I giovani
aiutavano, allo scopo di impietosire la padrona di casa e strapparle un sì. Ma la
contessa tappavasi le orecchie per non lasciarsi sedurre, ostinata, inflessibile, tossendo
in mezzo al fumo delle sigarette, diceva sempre di no, ridendo e colle lagrime agli occhi.
- No, no... Dite anche di no, voialtri signori mariti!... Aiutatemi!... Lo
faccio per voialtri... È tardi... Me ne dispiace, miei cari giovinotti, ma questo non era
nel programma... Non voglio farmi tanti nemici... - Il Comandante Silverio l'appoggiava
ridendo. Anzi, si avvicinò alla moglie, per farle osservare dolcemente ch'erano circa le
due, che essa aveva l'aria un po' stanca, che si sarebbe affaticata troppo e sarebbe stata
una vera imprudenza per lei così delicata... così cagionevole... Invano Gemma frapponeva
le sue preghiere, il suo ventaglio, l'impegno con Serravalle. La sua amica, in un momento
che nessuno poteva udirla, l'aveva supplicata:
- Non mi lasciare andare!... Ho paura!... -
I giovanotti muovevano cielo e terra. Infine, come la vinsero, appena
risuonarono le prime battute festanti del valzer, la bella peccatrice si lasciò prendere
dal ballo, tutta, diventata tutt'altra donna da un momento all'altro, col viso acceso, gli
occhi ebbri, il seno palpitante, spensierata, gaia, una bambina, dimenticando ogni cosa,
passando da un ballerino all'altro senza un'esitazione o una preferenza. Quando incontrò
la mano di Alvise, febbrile e parlante, nella contraddanza, essa gli porse due dita
inguantate, come a tutti gli altri. Casalengo ballava anche lui disperatamente, senza
riposarsi un minuto, senza lasciare il tempo a un pensiero o ad una parola molesta di
intromettersi fra lui e le ballerine che andava invitando una dopo l'altra, quasi
indovinando e obbedendo a una parola d'ordine. A un dato punto, nel bel mezzo d'uno
sfrenato galoppo, la signora Gemma gli buttò sul viso poche parole rapide.
Le signore s'accomiatavano infine, ancora anelanti, un po' rosse,
coll'allegria e l'eccitazione nelle parole e nel gesto. Alvise Casalengo, che era venuto a
salutare fino in anticamera la signora Ginevra, disse tranquillamente al marito di lei che
l'aiutava ad infilare la pelliccia:
- Comandante, per terminare quel rapporto che mi ha ordinato mi occorrono
alcuni schiarimenti... Ero venuto a chiederglieli... ieri sera...
- Ah! - rispose Silverio piantandogli gli occhi in faccia. - Va bene. Mi
spiegherà poi... -
Alvise vide biancheggiare fugacemente le sottane di lei che montava in
carrozza senza neppure osare di volgere il capo, e rimase inquieto sulla porta, lasciando
spegnere il sigaro, colpito dallo sguardo del marito, il quale esprimeva chiaramente di
non credere alle sue parole, e dal tono brusco di quella risposta che gli faceva
immaginare ciò che sarebbe accaduto più tardi in casa Silverio.
Accadde che a quattr'occhi, nel disordine profumato dello spogliatoio, dove la
Ginevra, poveretta, s'era lasciata prendere dalle convulsioni, discinta, coi bei capelli
sciolti, fra le lagrime calde e le calde parole, e il dottore per giunta, chiamato in
fretta e in furia, e ch'era lì sempre fra i piedi, a tastarle polso e ordinare calmanti,
il marito dovette convincersi che Casalengo era proprio venuto a cercarlo per un motivo
innocentissimo, e il giorno dopo, quando Alvise venne a prendere gli ordini come al
solito, in tenuta bianca, un po' pallido soltanto per la stanchezza della notte, gli disse
battendogli sulla spalla:
- Quel benedetto rapporto ci ha dato un gran da fare, a lei e a me! Se ne
sbrighi in due parole, e mi dica subito quali schiarimenti le occorrono, senza bisogno di
tornare a incomodarsi stasera -.
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