da "Don Candeloro e C." (1894) Fra le scene della vita Quante volte, nei drammi della vita, la finzione si mescola talmente alla
realtà da confondersi insieme a questa, e diventar tragica, e l'uomo che è costretto a
rappresentare una parte, giunge ad investirsene sinceramente, come i grandi attori! -
Quante altre amare commedie e quanti tristi commedianti! Quest'altra da tribunale correzionale invece: lui buttandosi fra le fiamme
che aveva appiccato di nascosto al magazzino, dicevasi, onde salvarsi dal fallimento, e
cercando di spegnerle colle sue stesse mani: le mani arse, i panni che gli fumigavano
addosso, i capelli irti, il viso stravolto e terreo di un disperato o di un delinquente -
e la moglie seminuda, i figliuoli atterriti che s'avvinghiavano a lui. - Lasciatemi!...
perdio!... È la rovina!... Meglio la morte! - Il vocìo della folla, il crepitare
dell'incendio, il getto delle pompe, lo squillare delle cornette dei pompieri. - E dei
visi arrossati, delle ombre nere che formicolavano nel chiarore ardente, le placche dei
carabinieri che l'abbacinavano. - Che vedeva egli, che sentiva in quel momento torbido? Le
mani convulse che si stendevano verso di lui, fra il luccicare delle baionette; la
fanciulla brancicata senza riguardo da cento sconosciuti, il figliuolo dibattendosi
furioso fra i soldati: - Papà! papà mio! - E i sogghigni dei malevoli, il sussurro
avverso della voce pubblica: - Trecentomila lire d'assicurazione!... Si capisce!... Tanto
più che la barca faceva acqua da tutte le parti! - Due volte il forsennato tentò di
rompere il cordone di truppa che isolava l'incendio, e due volte fu respinto urlante e
traballante sul marciapiedi: - È la mia roba, vi dico!... La mia roba!... Lasciatemi
morire! - E noi, papà? Siamo noi! Ascolta - Ah, figli miei! Poveri figli miei! - E il
piangere che faceva, lì in mezzo alla strada, le lagrime che gli rigavano il viso sporco
di fumo e di polvere - le lagrime della moglie e dei figli! Erano finte anche quelle?
Erano complici pietosi ancor essi della turpe commedia? Piangevano sulla colpa del padre,
o sulla loro rovina? Avevano letto prima in quel volto venerato ed amato le angustie
segrete, le ansie, le lotte che il negoziante onorato e stimato fino a quel giorno aveva
dovuto dissimulare fra loro, a tavola, in teatro, nell'intimità della famiglia e al
cospetto del pubblico che bisognava illudere colle apparenze di una costante prosperità?
Era la disperata necessità della menzogna istessa che li contaminava tutti adesso per la
comune salvezza? Sino a qual punto erano finte le lagrime del colpevole, lì, sotto gli
occhi della moglie e dei figli, la sua tenerezza, il suo orgoglio, le sue vittime, i suoi
giudici primi e più inesorabili nel segreto della coscienza? Chi avrebbe potuto dirlo? -
Voi uomo di banca, che giuocate alla Borsa col sigaro in bocca delle partite di vita o di
morte, e di rovina per altri mille che hanno fede soltanto nella vostra bella
indifferenza? - O voi uomo di toga, che avete fatto piangere i giudici per salvare
l'omicida? - Tutt'a un tratto la folla, i soldati, gli stessi pompieri indietreggiarono
atterriti, dinanzi all'orror dell'incendio, fra un urlo immenso. Egli solo, il
disgraziato, si strappò dalle braccia dei figli per slanciarsi nella voragine ardente,
rovesciando quanti gli si opponevano, lottando come un forsennato contro tutti, respinto,
percosso, tornando a cacciarsi avanti a testa bassa, grondante sangue, colla schiuma alla
bocca, la bocca da cui usciva un grido che non aveva più nulla d'umano: - La cassa! I
libri! - E la commedia di tutti i giorni, nella casa patrizia, sotto lo stesso
tetto, alla stessa tavola, al cospetto dei figli e dei domestici, rappresentata per
vent'anni, colla disinvoltura del gran mondo, tra il marito offeso e la moglie colpevole,
se il triste segreto era realmente fra di loro. - La moglie di Cesare non deve essere
neppure sospettata, - ed entrambi, legati alla medesima catena da un casato illustre,
osservavano perfettamente il codice speciale della loro società. Né il mondo ci aveva
nulla da vedere. Forse qualche capello bianco di più sulle tempie delicate di lei; ma non
un riguardo, né un'attenzione di meno della cortesia implacabile del marito. Se la dama,
moglie e madre onorata e insospettata sino al declinare della giovinezza, era caduta
tutt'a un tratto, e caduta male, giacché il pleonasmo è ammesso nel suo mondo,
come una povera creatura delicata e fiera, avvezza soltanto a camminar a testa alta sui
tappeti e che non sappia mettere le mani avanti, il marito la sorresse tosto con braccio
fermo, perché continuasse a portare degnamente il nome suo e quello dei figli. Certo è
che essa non gridò né pianse, né fece piangere le anime caritatevoli sulla pietà del
caso. - E anche il marito ebbe gran parte di merito nel tenere la cosa in famiglia;
poiché l'altro era un uomo di mondo lui pure, della stessa casta e quasi dello
stesso casato, bel cavaliere e bel giuocatore alle carte e in amore, che correva alla
rovina e alla morte col sorriso alle labbra e il fiore all'occhiello, e sapeva vivere
- e morire, al bisogno, evitando ogni scandalo. Egli non le aveva scritto che due o tre
lettere, nei casi più urgenti, quando si era trovato proprio coll'acqua alla gola o colla
rivoltella sotto il mento. Il male fu che una di quelle lettere, la più breve e grave,
l'ultima, cadde in mano del marito, mentre stavano per recarsi a una gran festa, e la
carrozza aspettava a piè dello scalone, e la povera donna già pettinata e vestita,
pallida come una morta, seduta dinanzi a un gran fuoco, aspettava i gioielli che aveva
impegnati per l'amante, e che questi le aveva promesso di restituirle per quella sera a
ogni costo. - A ogni costo. - Perciò le chiedeva scusa, scrivendole, se per la prima
volta, e l'ultima, mancava alla sua parola. La poveretta ne aveva già il triste
presentimento, giacché aveva il cuore stretto da quella immensa angoscia ed era così
pallida dinanzi a quel gran fuoco? Aveva visto balenare l'idea del suicidio, ed era stata
la pietosa attrattiva che l'avea data a lui, quando lo aveva visto perdere tutto, calmo e
impenetrabile, in una terribile partita? - Una terribile partita che faceva disertare il
ballo e attirava anche le dame nella sala da giuoco. Egli, incontrando gli occhi di lei,
tristi e pietosi, le aveva detto allora con un pallido sorriso: - Perché viene a vedere
queste brutte cose, duchessa? - E lei... - Perché?... Perché fa questo, Maurizio? -
balbettò essa con un filo di voce. Egli si strinse nelle spalle, chinandosi a baciarle la
mano, e non rispose altro, fissandola in viso con gli occhi chiari e fermi, e decisi a
tutto. Quante altre! Quante! - Il sorriso procace della disgraziata che deve
guadagnarsi il pranzo. - Le lagrime dello scroccone che viene a chiedervi venti lire «in
prestito». - L'eleganza dello spiantato che cena colle paste del the. - Gli occhi bassi
della ragazza che cerca un marito. - E la più desolante, infine, la commedia dell'amore,
quando l'amore è morto, e resta la catena. O braccia delicate che vi allacciaste
all'amplesso stanche e illividite! Quando Alberto strinse in quella festa da ballo la
piccola mano che doveva avvincergli così tenacemente la catena al collo, non sapeva che
essa se ne sarebbe svincolata così presto. E anche lui allora non sapeva di lasciarsi
prendere all'ardore che simulava e alla lusinga delle proprie frasi galanti. - Il sorriso
trionfante di lei che si inebbriava all'omaggio di quel bell'avventuriero d'amore
disputato e ammirato - il sottile eccitamento della danza - la carezza della musica che
accompagnava la carezza delle parole - gli occhi bramosi che cercavano i suoi, e il
fulgore ch'essa vi scorse allorché chinò il capo biondo ad assentire: - Sì! Sì! - con
qual altra ebrezza e qual smarrimento negli occhi ella ascese la prima volta quella scala
e spinse quell'uscio, premendosi forte il manicotto sul seno ansante! Con qual altro
sbigottimento vi ritornò poi, guardandosi intorno e buttandosi a sedere appena entrata,
col viso pallido e una ruga sottile fra le sopracciglia. - Mi son fatta aspettare, non è
vero? - No... non importa ormai... Sei qui!... - Ah, son mezzo morta... Sapeste!... Mio
marito!... Quel portinaio che mi vede passare! - Insomma tutte quelle cose che non vedeva
prima, quando aveva gli occhi abbacinati dal sogno d'oro. - Lasciatemi, Alberto!... Ve ne
prego! Vi prego!... |