da "Don Candeloro e C." (1894)
Don Candeloro e C.
Don Candeloro era proprio artista nel suo genere: figlio di burattinai,
nipote di burattinai - ché bisogna nascerci con quel bernoccolo - il suo pane, il suo
amore, la sua gloria erano i burattini. - Non son chi sono se non arrivo a farli parlare!
- diceva in certi momenti di vanagloria come ne abbiamo tutti, allorché gli applausi del
pubblico gli andavano alla testa, e gli pareva di essere un dio, fra le nuvole del
palcoscenico, reggendo i fili dei suoi «personaggi».
Per essi non guardava a spesa. Li perfezionava, li vestiva sfarzosamente,
aveva ideato delle teste che movevano occhi e bocca, studiava sugli autori la voce che
avrebbe dovuto avere ciascuno di essi, Almansore o Astiladoro. Quando
declamava pei suoi burattini, nelle scene culminanti, si scaldava così, che dopo rimaneva
sfinito, asciugandosi il viso, nel raccogliere i mirallegro dei suoi ammiratori sfegatati,
come un attore naturale.
Di ammiratori ne aveva da per tutto, alla Marina, alla Pescheria, certuni che
si toglievano il pan di bocca per andare a sentire da lui la Storia di Rinaldo o Il
Guerin Meschino, e se l'additavano poi, incontrandolo per la strada, colla canna
d'India sull'omero e la sua bella andatura maestosa, che sembrava Orlando
addirittura. Era un gran regalo quando egli rispondeva al saluto toccando con due dita la
tesa del cappello. Se nasceva una lite in teatro, e venivano fuori i coltelli, bastava che
don Candeloro si mostrasse fra le quinte, e dicesse: - Ehi ragazzi!... - con quella bella
voce grassa.
Giacché s'era fatta anche la voce, come il gesto e la parlata, sul fare dei
suoi «personaggi» e pareva di sentire un Reale di Francia anche se chiamava il
lustrastivali dal terrazzino.
Con queste doti innamorò la figliuola di un oste che teneva bottega lì
accanto. La ragazza era bruttina, ma aveva una bella voce, e doveva avere anche un bel
gruzzolo. - La voce è tutto! - le diceva don Candeloro sgranandole gli occhi addosso, e
accarezzandosi il pizzo. - Grazia! Che bel nome avete pure! - Andava spesso a far
colazione all'osteria per amore della Grazia, e le confidò che pensava d'accasarsi,
dacché aveva voltato le spalle alla vecchia baracca del padre, e messo su di nuovo teatro
che rubava gli avventori al SAN CARLINO, e al TEATRO DI MARIONETTE. Si mangiavano fra di
loro come lupi, padre e figlio, e i suoi colleghi erano giunti ad ordirgli la cabala, e
fargli fischiare la Storia di Buovo d'Antona. - Spenderò i tesori di Creso! -
aveva fatto voto quel dì don Candeloro battendo il pugno sulla tavola. - Ma non son chi
sono se non li riduco a chiuder bottega tutti quanti! -
Lui con dei contanti avrebbe fatto cose da sbalordire. Insino il balletto e la
pantomima avrebbe portato sul suo teatro; tutto colle marionette. - Ci aveva qualcosa lì!
- e si picchiava la fronte dinanzi alla Grazia, fissandole gli occhi addosso come volesse
mangiarsela, lei e la sua dote. Si scervellò un mese intero, col capo fra le mani, a
cercare un bel titolo pel suo teatrino, qualcosa che pigliasse la gente per gli occhi e
pei capelli, lì, nel cartellone dipinto e coi lumi dietro. - Le Marionette parlanti!
- Sì, com'è vero ch'io mi appello Candeloro Bracone! parlanti e viventi meglio di voi e
di me! Non deve passare un cane che abbia un soldo in tasca dinanzi al mio teatro, senza
che dica: «Spendiamo l'osso del collo per andare a vedere cosa sa fare don Candeloro!» -
L'oste veramente non si sarebbe lasciato prendere a quelle spampanate,
perché sapeva che gli avventori seri preferiscono andare a bere il buon vino nel solito
cantuccio oscuro; e del resto, lui voleva un genero con una professione da cristiano, come
la sua, a mo' d'esempio, e non un commediante con la zazzera inanellata, che parlava come
un libro e gli incuteva soggezione.
- Quello è un tizio che ci farebbe muovere a suo piacere come i burattini, te
e me! - disse alla figliuola. - Bada ai fatti tuoi: le buone parole, qualche risatina
anche, con gli avventori. E poi orecchie di mercante. Hai inteso? -
Ma il tradimento gli venne da un finestrino che dava sul palcoscenico, al
quale la ragazza correva spesso di nascosto a mettere un occhio, e dove si scaldava il
capo con tutte quelle storie di paladini e di principesse innamorate. Don Candeloro,
dacché s'era dichiarato con lei, lasciava socchiusa apposta l'impannata, e le sfuriate di
amore, Rinaldo e gli altri personaggi, le rivolgevano lassù; tanto che la ragazza
ne andava in solluchero, e aveva a schifo poi di lavare i piatti e imbrattarsi le mani in
cucina.
«Non pur me, ma infiniti signori questo amore ha fatto suoi vassalli,
principessa adorata!...»
- Tu non me la dài a intendere! - brontolava l'oste colla figliuola. - Che
diavolo hai in testa? Mi sbagli il conto del vino... Gli avventori si lamentano... Questa
storia non può durare -.
La catastrofe avvenne alla gran scena in cui la bella Antinisca
ritorna alla città di Presopoli, e Guerino «quando la vidde» dice la storia
«s'accese molto più del suo amore». Smaniava per la scena, sbalestrando le gambe di qua
e di là, alzando tratto tratto le braccia al cielo, squassando il capo quasi colto dal
mal nervoso. Diceva, con la bella voce cantante di don Candeloro:
«O Dio, dammi grazia ch'io mi possa difendere da questa fragil carne, tanto
ch'io trovi il padre mio, e la mia generazione».
E la bella Antinisca, dimenandosi anch'essa, e lagrimando (si capiva
dalle mani che le sbattevano al viso):
«O Signor mio, io speravo sotto la vostra spada di esser sicura del Regno che
voi mi avete renduto, per questa cagione vi giuro per li Dei che come saprò, che voi
siete partito, con le mie proprie mani mi ucciderò per vostro amore, e se mi promettete,
che finito il vostro viaggio ritornerete a me, io vi prometto aspettarvi dieci anni senza
prender marito».
«Non per Dio, sarete vecchia» disse il Meschino. «Questo non curo,
pur che voi giuriate di tornare a me, di non pigliare altra donna». (Veramente la bella
Antinisca aveva una voce di grilletto che faceva ridere gli spettatori, giacché don
Candeloro per le parti di donna aveva dovuto scritturare a giornata un ragazzetto che
cominciava adesso a farsi grandicello, e per giunta recitava come un pappagallo, talché
alle volte il principale, sdegnato, gli assestava delle pedate, dietro la scena). Allora
la bella Antinisca cadde d'un salto fra le braccia del Guerino, piegata in
due dalla tenerezza, e Grazia, arrampicata al finestrino, si sentì balzare così il cuore
nel petto, che le sembrava proprio di essere nei panni dei due felici amanti, allorché il
Meschino, in presenza di Paruidas, Armigrano e Moretto, giurò
per tutti i sagramenti di farla sua donna e legittima sposa.
- Quando saremo marito e moglie, le parti di donna le farai tu! - le aveva
detto don Candeloro. E la ragazza, ambiziosa, si sentiva gonfiare il petto dalla gioia, a
quelle scene commoventi che facevano drizzare i capelli in capo ad ognuno, e si vedevano
degli uomini con tanto di barba piangere come bambini, fra gli applausi che parevano
subissare il teatro. - Sì! sì! - disse Grazia in cuor suo.
Il babbo invece disse di no. C'erano continuamente delle scene fra padre e
figlia; quello ripetendo che la storia non poteva durare, e minacciando la ragazza di
tornare a maritarsi, e metterle sul collo la matrigna. Lei dura nel proposito: o don
Candeloro, o la morte! Quando don Candeloro andò a far domanda formale, vestito di tutto
punto, l'oste rispose:
- Tanto onore e piacere. Ma ciascuno sa i fatti di casa sua. Sono vedovo, non
ho altri figliuoli, e mi abbisogna un genero che mi aiuti...
- Allora vuol dire che non son degno di tanto onore! - balbettò don Candeloro
facendosi rosso, e piantandosi di tre quarti, colla canna d'India appoggiata all'anca.
- Nossignore, l'onore è mio.
- L'onore è vostro, ma vostra figlia non me la date...
- Nossignore. Come volete sentirla?
- Va bene. Umilissimo servo! - conchiuse don Candeloro calcandosi con due dita
la tuba sull'orecchio, e se ne andò mortificatissimo.
- Senti - disse poi alla Grazia dal finestrino. - Tuo padre è un ignorante
che non capisce nulla. Bisogna prendere una risoluzione eroica, hai capito? -
La ragazza esitava a prendere la risoluzione eroica di infilare l'uscio e
venirsene a stare con lui, per costringere poi il babbo ad acconsentire al matrimonio. Ma
don Candeloro aveva il miele sulle labbra, e sapeva trovare delle ragioni alle quali non
si poteva resistere. Le diceva di fare nascostamente il suo fagotto... con giudizio,
s'intende... - C'era anche la sua parte nei denari del padre, - e venirsene dove la
chiamavano i cieli. - Non hai giurato per gli Dei di essere mia donna e legittima sposa? -
Il vecchio però era un furbo matricolato, il quale cantava sempre miseria, e
nascondeva i suoi bezzi chissà dove. Grazia non portò altro che quattro cenci in un
fazzoletto, e quelle poche lire spicciole che aveva potuto arraffare al banco. - Come? -
balbettò don Candeloro che si sentiva gelare il sangue nelle vene. - In tanto tempo che
ci stai, non hai saputo far di meglio?... -
Questo era indizio che non sarebbe stata buona a nulla, neppure per lui; e le
questioni cominciarono dal primo giorno. Basta, era un gentiluomo, e la promessa di
Candeloro Bracone era parola di Re. Il bello poi fu che lo stesso giorno in cui andarono
all'altare, lui e la sposa, il suocero volle fargli la burletta di andarci lui pure,
insieme a una bella donnona colla quale aveva combinato il pateracchio lì per lì. -
Senza donne non possiamo stare né io né il mio negozio, cari miei, - gli piaceva
ripetere, con quel sorrisetto che mostrava le gengive più dure dei denti, e faceva venire
la mosca al naso. - State allegri e che il Signore vi prosperi e vi dia molti figliuoli.
Alla mia morte poi avrete quel che vi tocca -.
I figliuoli vennero infatti a tutti e due, genero e suocero, uno dopo l'altro.
Ma l'oste prometteva di metterne al mondo quanto il Gran Sultano, e di campare gli
anni del Mago Merlino. Ogni volta che gli partoriva la moglie o la figliuola,
invitava tutto il parentado a fare una bella mangiata.
Crescevano i figliuoli, e i pesi del matrimonio; ma viceversa poi
diminuivano gli introiti e il favore popolare. Quella gran bestia del pubblico s'era
lasciato prendere a certe novità che avevano portato Bracone il vecchio e il proprietario
del SAN CARLINO. Adesso nei teatrini di marionette recitavano dei personaggi in carne ed
ossa, la Storia di Garibaldi, figuriamoci, ed anche delle farsacce con Pulcinella;
e vi cantavano delle donne mezzo nude che facevano del palcoscenico un letamaio. La gente
correva a vedere le gambe e le altre porcherie, tale e quale come le bestie, che don
Candeloro ne arrossiva pel mestiere, e preferiva piuttosto fare il saltimbanco o il
lustrascarpe, prima di scendere a quelle bassezze. Per non recitare alle panche era
arrivato a far entrare in teatro gratis dei vecchi avventori, fedeli alle belle Storie
d'Orlando e dei Paladini antichi, coi quali almeno si sfogava dicendo vituperi
dei suoi colleghi:
- Perché non mettere le persiane verdi alle porte, come certi
stabilimenti?... Sarebbe più pulito. Dovrebbe immischiarsene la Questura, per Satanasso!
-
Però l'ignoranza e l'ingratitudine del pubblico gli facevano cascare le
braccia. Non valeva proprio la pena di sudare coi libri, e spendere dei tesori per dare
roba buona a degli asini. - Volete lavare la testa all'asino? - Gli stessi burattini
recitavano svogliatamente, vestiti come Dio vuole. - Ci si perdeva l'amore dell'arte e
d'ogni cosa, parola di gentiluomo! - Dov'erano andati i bei tempi in cui si facevano due
rappresentazioni al giorno, la domenica e le feste, e la gente assediava la porta,
quend'era annunziato sul cartellone un «personaggio» nuovo? Don Candeloro, colla barba
di otto giorni e la zazzera arruffata, passava le giornate intere nella bettola del
suocero, a dir corna dei suoi colleghi, o a litigare colla moglie, ora che in casa pareva
l'inferno. Grazia, adesso che aveva visto cosa c'era dietro le belle scene
impiastricciate, stava con tanto di muso a rammendar cenci anche lei, a stemperar colori,
e rompersi braccia e schiena, vociando come un pappagallo per le Artemisie e le Rosalinde,
dall'avemaria a due ore di notte; che specie quando il Signore le mandava dei figliuoli (e
succedeva una volta all'anno) era proprio un gastigo di Dio.
- Tu non sai far altro, per Maometto! - le rinfacciava il marito furibondo.
L'oste dava soltanto buoni consigli: - Non vedete che gli avventori corrono al
vino nuovo? Cambiate il vino -. Ma don Candeloro non si piegava. Piuttosto avrebbe tolto
su baracca e burattini, e sarebbe andato pel mondo a far conoscere chi era Candeloro
Bracone, giacché i suoi concittadini non sapevano apprezzarlo. La piazza «non faceva
più» per lui! Se c'era ancora un po' di buon senso e di buon gusto dovevasi andare a
cercarlo in provincia, dove non erano ancora penetrate quelle sudicerie. Finalmente
spiantò davvero il teatro, mise ogni cosa su di un carro, e via di notte, per non dar
gusto ai nemici. L'oste prese lui a pigione il magazzino per metterci delle botti, e
allargare il negozio, ora che la figliuolanza era cresciuta.
- Te l'avevo detto, - disse alla Grazia. - Quello non è mestiere da
cristiani. Se fossi rimasta a vendere del vino. non saresti ridotta adesso a far la
zingara. Ben ti stia! -
Don Candeloro viaggiò per valli e per monti, come i cavalieri antichi, con
tutto il suo teatro ammucchiato in un carro, e la moglie e i figliuoli sopra. Il guaio era
che non si trovava con chi combattere. Quei contadinacci ignoranti ed avari, sfogata la
prima curiosità, voltavano le spalle alle «marionette parlanti» o s'arrampicavano sul
tetto del teatrino per godersi la rappresentazione gratis. Arrivando in un
villaggio, don Candeloro scaricava la roba sulla piazza, pigliava in affitto una bottega,
un magazzino, una stalla, quel che trovava, e si mettevano a inchiodare e incollare tutti
quant'erano. Le stagioni duravano otto, quindici giorni, un mese, al più. Dopo, si
tornava da capo a correre il mondo, e in quel va e vieni la roba andava in malora; si
mangiavano ogni cosa le spese d'affitto e di viaggio, con dei carrettieri ladri ch'erano
peggio dei saracini, e non usavano riguardi neanche a Cristo. Don Candeloro, avvezzo ad
essere rispettato come un Dio da simile gentaglia, voleva farsi ragione colle sue mani, in
principio, sinché si buscò una grandinata di calci e pugni.
E ci dovette arrivare anche lui, Candeloro Bracone, a fare il pagliaccio se
volle aver gente nel suo teatro, e a rappresentare le pantomime nelle quali pigliavasi le
pedate nel didietro dal minore dei suoi ragazzi per far ridere «la platea». Quando vide
che il pubblico non ne mangiava più in nessuna salsa delle «marionette parlanti», e ci
voleva dell'altro per cavar soldi da quei bruti, ebbe un'idea luminosa che avrebbe dovuto
fare la fortuna di un artista, se la fortuna baldracca non ce l'avesse avuta a morte con
lui... - Ah, vogliono i personaggi veri?...-
Un bel giorno si vide annunziare sul cartellone che la parte di Orlando,
nei Reali di Francia, l'avrebbe sostenuta don Candeloro in persona «fatica sua
particolare!» E comparve davvero sul palcoscenico, lui e tutta la sua famiglia, in
costume, e armato di tutto punto: delle armature ordinate apposta al primo lattoniere
della città, e che erano costate gli occhi della testa. Il pubblico sciocco invece, al
vedere quei ceffi di giudei che toccavano i cieli col capo, e suonavano a ogni passo come
scatole di petrolio, si mise a ridere e a tirare ogni sorta d'immondizie sui Paladini,
massime allorché ad Orlando cadde di mano la spada, ed egli, tutto chiuso
nell'armi, non poté chinarsi per raccattarla. Urli, fischi e mozziconi di sigari in
faccia ai Reali. Un putiferio da prendere a schiaffi tutti quanti, o da passar loro
la spada attraverso il corpo, se non fosse stata di latta, pensando a tanti denari spesi
inutilmente.
Da per tutto, ove si ostinava a portare i Paladini di Francia «con
personaggi veri» trovava la stessa accoglienza: torsi di cavolo e bucce d'arance. Il
pubblico andava in teatro apposta colle tasche piene di quella roba. Non li volevano più
neanche «coi personaggi veri» i Paladini! Volevano le scempiaggini di Pulcinella,
e le canzonette grasse cantate dalle donne che alzavano la gamba.
- E tu fagliele vedere le gambe! - disse infine alla moglie don Candeloro
infuriato. - Diamogli delle ghiande al porco! -
Lui stesso, colle sue mani, dovette aiutare la Grazia ad accorciare la
gonnella, litigando con lei che pretendeva di non esser nata per quel mestiere, e si
vergognava all'udire i complimenti che il pubblico indirizzava ai suoi stinchi magri. -
Per che cosa sei nata? per far la principessa? Il pane te lo mangi, però! - Lui invece
era preso adesso dalla rabbia di mostrare ogni cosa, a quegli animali, la moglie, la
figliuola ch'era più giovane e chiamava più gente. - Anch'io, se vogliono vedermi!...
Voglio calarmi le brache in faccia a quelle bestie! - Faceva delle risate amare, povero
don Candeloro! Cercava le farsacce più stupide e più indecenti. Si tingeva il viso per
fare il pagliaccio. Sputava sul pubblico, dietro le quinte! - Porci! porci! -
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