da "Vagabondaggio" (1887)
Il bell'Armando
Ecco quel che gli toccò passare al Crippa, parrucchiere, detto anche il
bell'Armando, Dio ce ne scampi e liberi!
Fu un giovedì grasso, nel bel mezzo della mascherata, che la Mora gli venne
incontro sulla piazza, vestita da uomo - già non aveva più nulla da perdere colei! - e
gli disse, cogli occhi fuori della testa:
- Dì, Mando. È vero che non vuoi saperne più di me?
- No, no! quante volte te l'ho a dire?
- Pensaci, Mando! Pensa che è impossibile finirla del tutto a questo modo!
- Lasciami in pace. Ora sono ammogliato. Non voglio aver storie con mia
moglie, intendi?
- Ah, tua moglie? Essa però lo sapeva quello che siamo stati, prima di
sposarti. E oggi, quando t'ho incontrato a braccetto con lei, mi ha riso in faccia, là,
in mezzo alla gente. E tu, che l'hai lasciata fare, vuol dire che non ci hai né cuore,
né nulla, lì!
- Be', lasciamo andare. Buona sera!
- Dì, Mando? È proprio così?
- No, ti dico! Non voglio più!
- Ah, non vuoi più? No? -
E il Crippa, colpito lì dove la Mora diceva che non ci aveva né cuore né
nulla, andò annaspando dietro a lei, come un ubbriaco, e gridando: - Chiappatela!
chiappatela! - Poi cadde come un masso, davanti alla bottega del farmacista.
Le guardie e la folla a inseguirla, strillando anche loro: - Piglia! piglia! -
Finché un giovane di caffè la fece stramazzare con un colpo di sedia sul capo; e tutti
quanti l'accerchiarono, stralunata e grondante di sangue, col seno che gli faceva
scoppiare il gilè dall'ansimare, balbettando:
- Lasciatemi! lasciatemi! -
Appena la riconobbero, così rabbuffata, a quel po' di luce del lampione,
scoppiarono improperi e parolacce:
- È la Mora! quella donnaccia! l'amante del Crippa! -
Come se gli avesse parlato il cuore, al disgraziato! Giusto in quei giorni,
era stato dal maresciallo a denunziargli la sua amante, che voleva giocargli qualche
brutto tiro: - La Mora non vuole lasciarmi tranquillo, ora che ho preso moglie, signor
maresciallo -. E il maresciallo aveva risposto: - Va bene - al solito, senza pensare a
ciò che potesse covare dentro di sé una donna come quella. Ora le guardie arrivavano
dopo che la frittata era fatta, sbracciandosi a gridare: - Largo! Largo! -
In quel momento si udì un urlo straziante, e si vide correre verso la bottega
del farmacista, dove stavano medicando il ferito, una donna colle mani nei capelli. Era
l'altra, la moglie vera, che piangeva e si disperava, gridando: - Giustizia! Giustizia,
signori miei! Me l'ha ucciso, quell'infame, vedete! - Il Crippa, abbandonato su di una
seggiola, tutto rosso di sangue, col viso bianco e stravolto, la guardava senza vederla,
come stesse per lasciarla dopo soli due mesi di matrimonio, poveretta! La folla voleva far
giustizia sommaria della Mora, ch'era rimasta accasciata sul marciapiedi, in mezzo agli
urli e alle minacce della folla, come una lupa. Arrivarono sino a darle delle pedate nel
ventre; tanto che le guardie dovettero sguainare le daghe per menarla in prigione, in
mezzo ai fischi, che sembrava una frotta di maschere.
Dopo, al cospetto dei giudici, quando le mostrarono i panni insanguinati della
sua vittima, non seppe che cosa rispondere.
- Questa donna ch'è stata di tutti, - tonava il pubblico accusatore,
coll'indice appuntato verso di lei, come la spada della giustizia; - questa donna che, per
ogni trivio, fece infame mercato della propria abbiezione, e della cecità, voglio anche
concedere alla difesa, della acquiescenza del suo amante, questa donna, o signori, osò
arrogarsi il diritto delle affezioni pure e delle anime più oneste; osò esser gelosa, il
giorno in cui il suo complice apriva gli occhi sulla propria vergogna, e si sottraeva al
turpe vincolo, per rientrare nel consorzio dei buoni, ritemprandosi colla santità del
matrimonio! -
Ella udì pronunziare la sua condanna, disfatta, cogli occhi sbarrati e fissi,
senza dir verbo. Si alzò traballando, come ubbriaca, e nell'uscire dalla gabbia di ferro,
batté il viso contro la grata.
Prima l'aveva fatta cadere il signorino - se ne rammentava ancora come un bel
sogno lontano, svanito. - Aveva pianto e supplicato. Indi, a poco a poco, vinta dal
rispetto, dalla lusinga di quella tenerezza prepotente, dalla collera di quel ragazzo
abituato a fare il suo volere in casa, s'era abbandonata timorosa e felice. Era stato un
bel sogno, ch'era durato un mese. Egli saliva furtivo nella cameretta di lei, colle scarpe
in mano, e si abbracciavano tremanti, al buio. Il giorno in cui il giovanetto dovette far
ritorno all'Università, pioveva a dirotto; essa si rammentava pure dello scrosciare
malinconico e continuo di quella grondaia. L'avevano sentito tutta la notte, colle braccia
al collo l'una dell'altro, cogli occhi sbarrati nelle tenebre, contando le ore che
sfilavano lente sui tetti. Poi lo vide partire coll'ombrello sotto l'ascella e la
cappelliera in mano, senza dirle una parola davanti ai suoi. La signora però,
coll'istinto della gelosia materna, indovinò le lacrime che doveva soffocare la ragazza
in quel momento, e si diede a sorvegliarla. Un giorno, dopo averla mandata fuori con un
pretesto, salì nella cameretta di lei, si chiuse dentro, e quando la Lena fu di ritorno
colla spesa, trovò la padrona seria e accigliata, che le aggiustò il conto su due piedi,
le ordinò di far fagotto, e la mise alla porta con una brutta parola.
La povera Lena, non sapendo che fare, schiacciata sotto la vergogna, prese la
diligenza per la città, e andò a trovare il suo amante. Egli non era in casa. L'aspettò
sulla porta, seduta sul marciapiede, col fagottino accanto. Dopo la mezzanotte lo vide che
rientrava insieme a un'altra. Allora si alzò, colle gambe rotte dal viaggio, e si
allontanò rasente al muro zitta zitta. Il giovane non ne seppe mai nulla.
Era sopravvenuto un altro guaio, il suo fallo che era visibile a tutti. Cercò
inutilmente di collocarsi. Spese quei pochi quattrini che le avanzavano, e infine, per
vivere, fu costretta a prendere alloggio in un albergaccio dove la Questura veniva, di
tanto in tanto, a far le sue retate. Lì ebbe a fare la prima volta con quella gente.
Padrona e avventori ridevano delle paure sciocche di lei, quando le guardie entravano
all'improvviso di notte, e frugavano sotto i letti. Uno di quegli avventori, detto il
Bulo, uomo sulla cinquantina, colla faccia dura, il quale arrivava ogni quindici o venti
giorni, senza bagaglio, ed era sempre in moto di qua e di là, s'innamorò di lei. Ella
disse di no. Allora egli le offerse di sposarla. Lena disse ancor di no, sbigottita da
quella faccia, e vergognosa di dover confessare il suo passato. Poscia, quando fu
all'ospedale, e che lui soltanto venne a trovarla, colle mani piene d'arance, vinta da una
gran debolezza, chinò il capo piangendo, e gli confessò il suo fallo.
Il Bulo protestava che non gliene importava nulla - acqua passata - purché
non si ricominciasse da capo - e così si accordarono. Il Bulo non era affatto geloso; la
lasciava sola per mesi e settimane, e continuava ad andare sempre in giro pel suo
mestiere, che non si sapeva quale fosse. Il Crippa, suo compagno, bazzicava solo in casa,
aiutandolo nei negozi ai quali ei solo aveva mano, aspettandolo quando non c'era, avendo
sempre qualche cosa da dirgli sottovoce, prima che il Bulo si mettesse in viaggio.
Nel medesimo tempo faceva l'asino alla comare, s'irritava alla resistenza di
lei, abituato a fare il gallo della Checca, sempre vestito come un figurino, coi capelli
arricciati e lucenti. Le portava dei vasetti di pomata, delle boccette di profumeria. Ella
ribatteva che suo marito non se lo meritava. - Era stato tanto buono con lei! - Il Crippa,
che certe storie non le capiva, badava a ripetere: - Or bene, giacché vostro marito ha
chiuso gli occhi una prima volta... -
Fu un giorno che il marito tardava a venire, e il Crippa la colse nella stanza
di sopra, col pretesto di cercare un pacchettino che il compare gli aveva scritto di
mandargli. La Lena, china sul cassetto del mobile, cercava insieme a lui, col seno gonfio,
quando il bell'Armando tutt'a un tratto l'afferrò pei fianchi e le accoccò un bacio alla
nuca.
- No! no! - balbettava essa tutta tremante, bianca come cera; ma il sangue le
avvampò all'improvviso in faccia; arrovesciò il capo, cogli occhi chiusi, le labbra
convulse, che scoprivano i denti. Dopo rimase tutta sottosopra, tenendosi la testa fra le
mani, quasi fuori di sé.
- Cosa ho fatto, Dio mio! Cosa m'avete fatto fare! -
Il Crippa, contento come una Pasqua, cercava di chetarla. Oramai... suo marito
non ne avrebbe saputo mai nulla, parola di galantuomo, se avesse avuto giudizio anche lei.
Il Bulo però lo seppe o lo indovinò, al vedere l'aria smarrita della Lena,
che ancora non aveva fatto il callo a certe cose. Crippa, il bell'Armando, più sfacciato,
gli faceva le solite accoglienze da fratello, buttandogli le braccia al collo, dandogli
conto dei loro negozi per filo e per segno.
Il Bulo lo guardò colla faccia dura, e gli rispose secco secco:
- Vi ringrazio, compare, di tutto quello che avete fatto per me, e un giorno o
l'altro ve lo renderò -.
La Lena sentì gelarsi il sangue a quelle parole. Ma il Crippa, che aveva
mangiato la foglia anche lui, le disse all'orecchio, mentre il compare era andato di sopra
un momento, a mutarsi i panni:
- Stai tranquilla, che ci penso io! -
La notte stessa vennero le guardie ad arrestare il Bulo, e misero sottosopra
tutta la casa, rimovendo perfino i mattoni del pavimento per vedere quel che c'era sotto.
Il Bulo, mentre lo menavano via ammanettato, le lasciò detto per ultimo addio:
- Salutami il compare, e digli che ci rivedremo al mio ritorno -.
Il giorno dopo arrivò il Crippa, fresco come una rosa. La Lena, che aveva
qualche sospetto, non seppe nascondergli la brutta impressione. Però egli si scolpò
subito giurando colle braccia in croce. Due giorni dopo arrestarono anche lui, come
complice del Bulo, mettendoli a confronto l'uno con l'altro. Ma prove non ce n'erano; il
Crippa dimostrò ch'era innocente come Dio, e per ribattere l'accusa spiattellò innanzi
ai giudici la storia della comare, un tiro che cercava di giocargli il marito per gelosia.
- Pelle per pelle, cara mia!... - disse poi alla Lena. - Da mio compare non me l'aspettavo
questo servizio!... Quante ne ho passate, vedi, per causa tua!... -
Ormai non c'era più rimedio. Tutto il paese lo sapeva. Perciò ella si mise
col Crippa apertamente.
E si rammentava anche di questo - che un giorno, dopo che gli si era data
tutta, anima e corpo, dopo che per amor suo aveva sofferto ogni cosa, la fame, gli
strapazzi, la vergogna del suo stato, dopo che per lui era arrivata a vendere sin la lana
delle materasse, il bell'Armando l'aveva piantata per correre dietro a una stracciona che
gli spillava quei pochi soldi strappati a lei. E quando, pazza di dolore e di gelosia,
cercava di trattenerlo, cogli occhi arsi di lagrime, dicendogli: - Guarda, Mando!...
Guarda che ti rendo la pariglia!... - egli si stringeva nelle spalle, per tutta risposta.
Poi, allorché s'incontrarono di nuovo, era passato tanto tempo! tanto tempo!
e tante vicende! Anch'essa era mutata, tanto mutata! Ma quell'uomo non se l'era potuto
levare mai dal cuore, e adesso, la sciagurata, chinava il capo e si sentiva venir rossa
come una volta.
Fu una sera tardi, che ella tornava a casa tutta sola, per combinazione. Egli
la chiamò per nome, guardandola negli occhi con un certo fare, con un risolino che la
rimescolava tutta. Lei voleva scusarsi balbettando, tentando di giustificarsi umilmente,
mentre sentiva che il cuore le balzava verso quell'uomo. Lui le tappò la confessione in
bocca con un bel bacio, un bacio che la fece impallidire, e le passò il cuore come un
ferro.
Avrebbe preferito una coltellata addirittura. Ma egli non era geloso, no.
Ormai!...
Un giorno le capitò dinanzi tutto rabbuffato. Aveva bisogno di denari; ma si
fece pregare un bel pezzo prima di confidarglielo. Lena glieli diede il giorno dopo.
D'allora in poi tornò spesso a domandargliene, senza farsi più pregare. E infine quando
la poveretta, colla nausea alla gola, come una costretta a mandar giù delle porcherie, si
arrischiò a dirgli: - Ma dove vuoi che li pigli questi denari? - per tutta risposta Mando
le voltò le spalle.
- Senti, - esclamò la Lena con un impeto di tenerezza selvaggia,
buttandoglisi al collo; - se li vuoi... se li vuoi proprio questi denari... Ma dimmi
almeno che mi vorrai bene lo stesso... -
Egli si lasciò abbracciare, ancora accigliato, brontolando fra i denti.
Lena glielo diceva spesso:
- Vedi, lo so che tu non mi vuoi bene. Ma non me ne importa; perché te ne
voglio tanto io; tutto il male che ho fatto, l'ho fatto per te, intendi? -
E il giorno in cui venne a sapere che egli prendeva moglie, l'ultima volta che
ebbe ancora il coraggio di comparirle dinanzi col sorrisetto ironico e la giacchetta
nuova, gli disse:
- Lo so che la sposi pei quattrini. Ma ora tu devi fare quel che io ho fatto
per te -.
Il bell'Armando fingeva di non capire. Allora Lena lo afferrò pei capelli
profumati, colle labbra bianche, e gli disse:
- Guarda, Mando! Guardami bene negli occhi! E dimmi s'è possibile finirla
così, del tutto, dopo quel che abbiamo fatto tutti e due! Dimmi se potresti dormire senza
rimorsi nel letto di tua moglie... -
Il Crippa campò, per sua fortuna; mise giudizio, ed ebbe figliuoli e sonni
tranquilli, in quel buon letto morbido e caldo, mentre la Mora scontava la pena sul
tavolaccio dell'ergastolo.
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