da "Vita dei campi" (1880)
L'amante di Gramigna
A Salvatore Farina.
Caro Farina, eccoti non un racconto, ma l'abbozzo di un racconto. Esso almeno
avrà il merito di essere brevissimo, e di esser storico - un documento umano, come dicono
oggi - interessante forse per te, e per tutti coloro che studiano nel gran libro del
cuore. Io te lo ripeterò così come l'ho raccolto pei viottoli dei campi, press'a poco
colle medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare, e tu veramente
preferirai di trovarti faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo
fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore. Il semplice fatto umano farà
pensare sempre; avrà sempre l'efficacia dell'essere stato, delle lagrime vere,
delle febbri e delle sensazioni che sono passate per la carne. Il misterioso processo per
cui le passioni si annodano, si intrecciano, maturano, si svolgono nel loro cammino
sotterraneo, nei loro andirivieni che spesso sembrano contradditori, costituirà per
lungo tempo ancora la possente attrattiva di quel fenomeno psicologico che forma
l'argomento di un racconto, e che l'analisi moderna si studia di seguire con scrupolo
scientifico. Di questo che ti narro oggi, ti dirò soltanto il punto di partenza e quello
d'arrivo; e per te basterà, - e un giorno forse basterà per tutti.
Noi rifacciamo il processo artistico al quale dobbiamo tanti monumenti
gloriosi, con metodo diverso, più minuzioso e più intimo. Sacrifichiamo volentieri
l'effetto della catastrofe, allo sviluppo logico, necessario delle passioni e dei fatti
verso la catastrofe resa meno impreveduta, meno drammatica forse, ma non meno fatale.
Siamo più modesti, se non più umili; ma la dimostrazione di cotesto legame oscuro tra
cause ed effetti non sarà certo meno utile all'arte dell'avvenire. Si arriverà mai a tal
perfezionamento nello studio delle passioni, che diventerà inutile il proseguire in
cotesto studio dell'uomo interiore? La scienza del cuore umano, che sarà il frutto della
nuova arte, svilupperà talmente e così generalmente tutte le virtù dell'immaginazione,
che nell'avvenire i soli romanzi che si scriveranno saranno i fatti diversi?
Quando nel romanzo l'affinità e la coesione di ogni sua parte sarà così
completa, che il processo della creazione rimarrà un mistero, come lo svolgersi delle
passioni umane, e l'armonia delle sue forme sarà così perfetta, la sincerità della sua
realtà così evidente, il suo modo e la sua ragione di essere così necessarie, che la
mano dell'artista rimarrà assolutamente invisibile, allora avrà l'impronta
dell'avvenimento reale, l'opera d'arte sembrerà essersi fatta da sé, aver
maturato ed esser sòrta spontanea, come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di
contatto col suo autore, alcuna macchia del peccato d'origine.
Parecchi anni or sono, laggiù lungo il Simeto, davano la caccia a un
brigante, certo Gramigna, se non erro, un nome maledetto come l'erba che lo porta,
il quale da un capo all'altro della provincia s'era lasciato dietro il terrore della sua
fama. Carabinieri, soldati, e militi a cavallo, lo inseguivano da due mesi, senza esser
riesciti a mettergli le unghie addosso: era solo, ma valeva per dieci, e la mala pianta
minacciava di moltiplicarsi. Per giunta si approssimava il tempo della messe, tutta la
raccolta dell'annata in man di Dio, ché i proprietarii non s'arrischiavano a uscir dal
paese pel timor di Gramigna; sicché le lagnanze erano generali. Il prefetto fece
chiamare tutti quei signori della questura, dei carabinieri, dei compagni d'armi, e subito
in moto pattuglie, squadriglie, vedette per ogni fossato, e dietro ogni muricciolo: se lo
cacciavano dinanzi come una mala bestia per tutta una provincia, di giorno, di notte, a
piedi, a cavallo, col telegrafo. Gramigna sgusciava loro di mano, o rispondeva a
schioppettate, se gli camminavano un po' troppo sulle calcagna. Nelle campagne, nei
villaggi, per le fattorie, sotto le frasche delle osterie, nei luoghi di ritrovo, non si
parlava d'altro che di lui, di Gramigna, di quella caccia accanita, di quella fuga
disperata. I cavalli dei carabinieri cascavano stanchi morti; i compagni d'armi si
buttavano rifiniti per terra, in tutte le stalle; le pattuglie dormivano all'impiedi; egli
solo, Gramigna, non era stanco mai, non dormiva mai, combatteva sempre,
s'arrampicava sui precipizi, strisciava fra le messi, correva carponi nel folto dei
fichidindia, sgattajolava come un lupo nel letto asciutto dei torrenti. Per duecento
miglia all'intorno, correva la leggenda delle sue gesta, del suo coraggio, della sua
forza, di quella lotta disperata, lui solo contro mille, stanco, affamato, arso dalla
sete, nella pianura immensa, arsa, sotto il sole di giugno.
Peppa, una delle più belle ragazze di Licodia, doveva sposare in quel tempo
compare Finu «candela di sego» che aveva terre al sole e una mula baia in stalla, ed era
un giovanotto grande e bello come il sole, che portava lo stendardo di Santa Margherita
come fosse un pilastro, senza piegare le reni.
La madre di Peppa piangeva dalla contentezza per la gran fortuna toccata alla
figliuola, e passava il tempo a voltare e rivoltare nel baule il corredo della sposa,
«tutto di roba bianca a quattro» come quella di una regina, e orecchini che le
arrivavano alle spalle, e anelli d'oro per le dieci dita delle mani: dell'oro ne aveva
quanto ne poteva avere Santa Margherita, e dovevano sposarsi giusto per Santa Margherita,
che cadeva in giugno, dopo la mietitura del fieno. «Candela di sego» nel tornare ogni
sera dalla campagna, lasciava la mula all'uscio della Peppa, e veniva a dirle che i
seminati erano un incanto, se Gramigna non vi appiccava il fuoco, e il graticcio di
contro al letto non sarebbe bastato a contenere tutto il grano della raccolta, che gli
pareva mill'anni di condursi la sposa in casa, in groppa alla mula baia. Ma Peppa un bel
giorno gli disse:
- La vostra mula lasciatela stare, perché non voglio maritarmi -.
Figurati il putiferio! La vecchia si strappava i capelli, «Candela di sego»
era rimasto a bocca aperta.
Che è, che non è, Peppa s'era scaldata la testa per Gramigna, senza
conoscerlo neppure. Quello sì, ch'era un uomo! - Che ne sai? - Dove l'hai visto? - Nulla.
Peppa non rispondeva neppure, colla testa bassa, la faccia dura, senza pietà per la mamma
che faceva come una pazza, coi capelli grigi al vento, e pareva una strega. - Ah! quel
demonio è venuto sin qui a stregarmi la mia figliuola! -
Le comari che avevano invidiato a Peppa il seminato prosperoso, la mula baia,
e il bel giovanotto che portava lo stendardo di Santa Margherita senza piegar le reni,
andavano dicendo ogni sorta di brutte storie, che Gramigna veniva a trovare la
ragazza di notte in cucina, e che glielo avevano visto nascosto sotto il letto. La povera
madre teneva accesa una lampada alle anime del purgatorio, e persino il curato era andato
in casa di Peppa, a toccarle il cuore colla stola, onde scacciare quel diavolo di Gramigna
che ne aveva preso possesso.
Però ella seguitava a dire che non lo conosceva neanche di vista quel
cristiano; ma invece pensava sempre a lui; lo vedeva in sogno, la notte, e alla mattina si
levava colle labbra arse, assetata anch'essa, come lui.
Allora la vecchia la chiuse in casa, perché non sentisse più parlare di Gramigna,
e tappò tutte le fessure dell'uscio con immagini di santi.
Peppa ascoltava quello che dicevano nella strada, dietro le immagini
benedette, e si faceva pallida e rossa, come se il diavolo le soffiasse tutto l'inferno
nella faccia.
Finalmente si sentì che avevano scovato Gramigna nei fichidindia di
Palagonia.
- Ha fatto due ore di fuoco! - dicevano; - c'è un carabiniere morto, e più
di tre compagni d'armi feriti. Ma gli hanno tirato addosso tal gragnuola di
fucilate che stavolta hanno trovato un lago di sangue dove egli era stato -.
Una notte Peppa si fece la croce dinanzi al capezzale della vecchia e fuggì
dalla finestra.
Gramigna era proprio nei fichidindia di Palagonia - non avevano potuto
scovarlo in quel forteto da conigli - lacero, insanguinato, pallido per due giorni di
fame, arso dalla febbre, e colla carabina spianata.
Come la vide venire, risoluta, in mezzo alle macchie fitte, nel fosco chiarore
dell'alba, ci pensò un momento, se dovesse lasciar partire il colpo.
- Che vuoi? - le chiese. - Che vieni a far qui?
Ella non rispose, guardandolo fisso.
- Vattene! - diss'egli, - vattene, finché t'aiuta Cristo!
- Adesso non posso più tornare a casa, - rispose lei; - la strada è tutta
piena di soldati.
- Cosa m'importa? Vattene! -
E la prese di mira colla carabina. Come essa non si moveva, Gramigna,
sbalordito, le andò coi pugni addosso:
- Dunque?... Sei pazza?... O sei qualche spia?
- No, - diss'ella, - no!
- Bene, va a prendermi un fiasco d'acqua, laggiù nel torrente, quand'è così
-.
Peppa andò senza dir nulla, e quando Gramigna udì le fucilate si mise
a sghignazzare, e disse fra sé:
- Queste erano per me -.
Ma poco dopo vide ritornare la ragazza col fiasco in mano, lacera e
insanguinata. Egli le si buttò addosso, assetato, e poich'ebbe bevuto da mancargli il
fiato, le disse infine:
- Vuoi venire con me?
- Sì, - accennò ella col capo avidamente, - sì -.
E lo seguì per valli e monti, affamata, seminuda, correndo spesso a cercargli
un fiasco d'acqua o un tozzo di pane a rischio della vita. Se tornava colle mani vuote, in
mezzo alle fucilate, il suo amante, divorato dalla fame e dalla sete, la batteva.
Una notte c'era la luna, e si udivano latrare i cani, lontano, nella pianura. Gramigna
balzò in piedi a un tratto, e le disse:
- Tu resta qui, o t'ammazzo com'è vero Dio! -
Lei addossata alla rupe, in fondo al burrone, lui invece a correre tra i
fichidindia. Però gli altri, più furbi, gli venivano incontro giusto da quella parte.
- Ferma! ferma! -
E le schioppettate fioccarono. Peppa, che tremava solo per lui, se lo vide
tornare ferito, che si strascinava appena, e si buttava carponi per ricaricare la
carabina.
- È finita! - disse lui. - Ora mi prendono -; e aveva la schiuma alla bocca,
gli occhi lucenti come quelli del lupo.
Appena cadde sui rami secchi come un fascio di legna, i compagni d'armi
gli furono addosso tutti in una volta.
Il giorno dopo lo strascinarono per le vie del villaggio, su di un carro,
tutto lacero e sanguinoso. La gente gli si accalcava intorno per vederlo; e la sua amante,
anche lei, ammanettata, come una ladra, lei che ci aveva dell'oro quanto Santa Margherita!
La povera madre di Peppa dovette vendere «tutta la roba bianca» del corredo,
e gli orecchini d'oro, e gli anelli per le dieci dita , onde pagare gli avvocati di sua
figlia , e tirarsela di nuovo in casa, povera, malata, svergognata, e col figlio di Gramigna
in collo. In paese nessuno la vide più mai. Stava rincantucciata nella cucina come una
bestia feroce, e ne uscì soltanto allorché la sua vecchia fu morta di stenti, e si
dovette vendere la casa.
Allora, di notte, se ne andò via dal paese, lasciando il figliuolo ai
trovatelli, senza voltarsi indietro neppure, e se ne venne alla città dove le avevano
detto ch'era in carcere Gramigna. Gironzava intorno a quel gran fabbricato tetro,
guardando le inferriate, cercando dove potesse esser lui, cogli sbirri alle calcagna,
insultata e scacciata ad ogni passo.
Finalmente seppe che il suo amante non era più lì, l'avevano condotto via,
di là del mare, ammanettato e colla sporta al collo. Che poteva fare? Rimase dov'era, a
buscarsi il pane rendendo qualche servizio ai soldati, ai carcerieri, come facesse parte
ella stessa di quel gran fabbricato tetro e silenzioso. Verso i carabinieri poi, che le
avevano preso Gramigna nel folto dei fichidindia, sentiva una specie di tenerezza
rispettosa, come l'ammirazione bruta della forza, ed era sempre per la caserma, spazzando
i cameroni e lustrando gli stivali, tanto che la chiamavano «lo strofinacciolo della
caserma». Soltanto quando partivano per qualche spedizione rischiosa, e li vedeva
caricare le armi, diventava pallida e pensava a Gramigna.
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