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Thomas More (noto anche col nome italianizzato Tommaso Moro) nacque a Londra nel 1478. Fu magistrato e gran cancelliere d’Inghilterra. Figlio dell’aristocrazia regia, fu educato da precettori privati in casa del cardinale John Morton, arcivescovo di Canterbury, poi nel 1492 proseguì gli studi presso l’università di Oxford.
Entrato nell’avvocatura, ben presto si fece apprezzare per l’acume e l’ingegno e la sua solida preparazione, ed arrivò a ricoprire incarichi di prestigio. Sotto Enrico VII passò momenti in disgrazia, soprattutto per aver appoggiato all'interno della Camera dei Comuni, nella quale era stato eletto, la protesta dei contribuenti contro le pretese fiscali del sovrano. Dopo aver superato una crisi religiosa che lo aveva portato vicino all'ingresso in un ordine monastico, nel 1520 assunse l’importante incarico di tesoriere dello Scacchiere, divenendo influente nella corte di Enrico VIII. Fu amico dei principali umanisti dell’epoca, aderendo alla Repubblica delle lettere in modo riconosciuto e determinante; in particolare fu amico intimo di Erasmo da Rotterdam, che proprio nella sua casa scrisse l’Encomium Moriae.
Occupato dalla vita politica, veniva spesso inviato come ambasciatore diplomatico. Fu impegnato nella difficile causa circa la questione del divorzio fra il re Enrico VIII e Caterina d’Aragona in favore del nuovo matrimonio con Anna Bolena; ma Tommaso respingeva quest’idea al punto che, dopo i solleciti continui e pressanti dello stesso re, fu costretto alla fine a dimettersi. In seguito, rifiutandosi di dichiarare illegale il matrimonio del re con Caterina d’Aragona e di validare giuridicamente gli atti di successione, fu imprigionato nella Torre di Londra e, inflessibile alla possibilità di ritrattare e riparare, preferì la condanna a morte per decapitazione avvenuta nel 1535. Respingendo la pretesa del monarca di erigersi a capo della chiesa d'Inghilterra e ribadendo la propria fedeltà alla gerarchia cattolica romana, si dimostrò consapevole di morire martire per la fede cattolica. Leone XIII lo beatificò nel 1886 e Pio XI nel quarto centenario della morte lo proclamò santo.
Fu latinista di squisita eleganza formale, prosatore inglese robusto. Egli deve la sua fama soprattutto al Libellus vere aureus nec minus salutaris quam festivus de optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia che scrisse tra il 1510 e il 1515 e pubblicò a Lovanio nel 1516. L’opera, influenzata dal platonismo, è in parte squisitamente letteraria e venata da sottile ironia. È una critica alle condizioni politiche, ma soprattutto sociali che si verificavano nell’Inghilterra alla fine del Medioevo e del nascente Rinascimento. È un classico nella storia del pensiero politico, tanto che il nome “Utopia” è entrato nel linguaggio comune a designare i progetti di riforma radicale destituiti di ogni possibilità di attuazione pratica immediata.
Altri scritti di Tommaso Moro si possono raggruppare in opere di erudizione umanistica, quali la traduzione dal greco (in collaborazione con Erasmo) dei Dialoghi di Luciano e di Epigrammi Greci (Progymnasmata, tra il 1518 e il 1520 in collaborazione con William Lily) e la redazione di una Vita di Pico della Mirandola (1510 circa); altri di meditazione religiosa, come il Dialogo del conforto nelle tribolazioni, scritto quando fu rinchiuso nella Torre.
Fonti
- Enciclopedia Cattolica; Tommaso Moro santo. Città del Vaticano, 1954, vol. XII., col. 299-300.
- Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, 1934, vol. XXIII; p. 808-809.
- Angelo Paredi: Vita di Tomaso Moro. O.R. Milano, 1987
Note biografiche a cura di Roberto Marzocchi e Paolo Alberti
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