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Tartaglia, Niccolò

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Niccolò TartagliaNiccolò Tartaglia, matematico (Brescia 1499 - Venezia 1557); si chiamava in realtà Nicolò Fontana, ma assunse il cognome di Tartaglia a causa di un difetto di pronuncia causatogli da un tremendo fendente alla testa infertogli, quand'era ragazzo, da un soldato francese durante il sacco di Brescia nel 1511.

Poverissimo, fu praticamente un autodidatta, riuscendo peraltro a raggiungere una considerevole notorietà già ai suoi tempi, mentre oggi, a buon diritto, è considerato uno dei maggiori algebristi italiani del '500. Insegnante di matematica a Verona nel 1521, nel 1534 andò a Venezia, ove rimase fino alla morte.

Ben noto è il suo contributo alla risoluzione delle equazioni di terzo grado. Scipione del Ferro (nato a Bologna nel 1465) trovò per primo tale soluzione verso il 1515, ma non la rese pubblica, limitandosi a comunicarla per lettera ad alcuni studiosi del tempo. Ne venne a conoscenza, tra gli altri, Anton Maria Fiore che, nel 1534, secondo il costume dell'epoca, lanciò una pubblica sfida, ponendo alcuni quesiti relativi alla soluzione di equazioni di terzo grado (o come si diceva allora a "cose e cubo equal numero") del tipo: x³ + p x + q = 0.

Tartaglia rimase dapprima esitante poiché Fiore si andava vantando che "già trenta anni tal secreto gli era stato mostrato da un gran mathematico il che mi fece dubitar che 'l fusse vero, e per questo io posi ogni mio studio, cura ed arte per ritrovar regola a tal capitolo e così per bona mia sorte... la ritrovai" (Quesiti et inventioni diverse de Nicolò Tartaglia, Venezia 1546 - Riproduzione in fac simile a cura di A. Masotti, Ateneo di Brescia 1959). Tartaglia dette la risposta giusta ai quesiti proposti, risolvendo così l'equazione di terzo grado ridotta.

Da questa scoperta derivò una lunga polemica col matematico milanese e medico di fama europea Girolamo Cardano (che dà la propria versione della vicenda nelle pagine autobiografiche De vita propria liber dove rivendica i suoi meriti di scienziato e si difende dalle accuse degli avversari - Cardano era infatti personaggio controverso, esperto di magia naturale, in odore di eresia, giocatore di dadi, abile spadaccino, interprete di sogni e facitore di oroscopi). Tartaglia infatti non rese pubblica la sua scoperta, ma la rivelò invece a Cardano in seguito a pressioni e insistenze di questi che, in cambio, promise di mantenere il segreto. Tartaglia comunicò a Cardano la scoperta "suppressa demonstratione" con delle terzine in rima diventate poi celebri:

Quando chel cubo con le cose appresso
se agguaglia a qualche numero discreto
trovan dui altri differenti in esso.
Da poi terrai questo per consueto
che 'l lor produtto sempre sia equale
al terzo cubo delle cose neto,
el residuo poi suo generale
delli lor lati cubi ben sottratti
varrà la tua cosa principale

Nelle terzine seguenti Tartaglia dava poi la regola per il caso "chel cubo restasse lui solo". Nelle rime di Tartaglia si celava uno dei contributi più significativi alla teoria delle equazioni algebriche, il cui significato verrà messo in luce compiutamente solo da Lagrange più di due secoli dopo.

In realtà Cardano, atteso invano che Tartaglia si decidesse a pubblicare la scoperta, e avendo continuato le ricerche assieme al suo allievo Ludovico Ferrari (matematico bolognese autore di importantissimi contributi alla teoria delle equazioni) la pubblicò nella sua Ars Magna (Artis Magnae, sive de regulis algebraicis liber unus stampato nel 1545 a Norimberga), insieme con la più generale impostazione che dette alla teoria delle equazioni di terzo grado. Il modo di procedere apparve sleale, anche se sarebbe ingiusto parlare di pura copiatura, data la maggiore generalità cui è stato accennato e che va oltre la risoluzione di Tartaglia. Inoltre Cardano pare si sentisse svincolato dal giuramento nel momento che apprese da Annibale della Nave che la regola non era esclusiva invenzione di Tartaglia, ma era stata trovata parecchio tempo addietro da Scipione del Ferro. Tartaglia, nonostante i ripetuti ed espliciti riconoscimenti alla sua scoperta contenuti in Ars Magna, non perdonò mai Cardano, e dall'episodio nacque una lunga polemica con cartelli e controcartelli di sfida, che ebbe vasta risonanza negli ambienti scientifici del tempo.

Se quanto è stato detto costituisce l'episodio più noto dell'attività di Tartaglia, questa non può certamente ridursi a esso. Nel più generale quadro del Rinascimento, la rivalutazione del mondo della pratica e della tecnica lo porta ad affrontare anche problemi pratici, in quella linea che porterà alla nuova fisica galileiana. Si interessò infatti di balistica (mostrò di conoscere che la massima gittata dei cannoni corrisponde a un angolo di 45°), di fabbricazione di esplosivi, ecc. Tutto ciò è contenuto nella sua opera: Quesiti et inventioni diverse, pubblicata a Venezia nel 1546 e comprendente anche problemi d'algebra, tra cui, tardivamente, la sua teoria delle equazioni di terzo grado, cui ritorna anche nel suo General trattato di numeri et misure scritto nel 1556, ma di cui solo una parte vide la luce durante la sua vita (il seguito apparve postumo, da suoi manoscritti, nel 1560). L'opera, vero corso completo di matematica pura e applicata, contiene regole d'aritmetica, algebra, geometria e fisica, e presenta diverse cose interessanti tra cui l'abbozzo del triangolo numerico di Pascal (triangolo di Tartaglia). Sia nei "quesiti..." che nel General trattato Tartaglia ribadisce la propria versione della lunga contesa con Cardano.

Un'altra opera di Tartaglia che merita citazione, è la Nova Scientia (1537), in cui già aveva esposto i suoi principi di balistica fondati sull'accettazione del principio dell'impetus, che costituisce un altro filo che riallaccia Tartaglia alla nuova scienza che si va profilando. Il suo spirito innovatore e antiaccademico non gli impedì però di studiare e di valutare l'importanza degli antichi. Per la prima volta (Venezia 1543) tradusse in italiano gli Elementi di Euclide cui aggiunse interessanti commenti. Di Archimede, di cui si considerò discepolo, tradusse in latino e poi in italiano il De Insidentibus aquae.

Bibliografia:

  • Quarto centenario della morte di Tartaglia, in Atti del Convegno di Storia delle matematiche, 1957 a cura di A. Masotti (Supplementi e commentari dell'Ateneo di Brescia, 1960).
  • R. Bombelli, Opera su l'algebra (1572) a cura di E. Bortolotti, Milano 1960.
  • G. Cardano, Della mia vita (Trad. di A. Ingegno), Milano 1982.
  • R. Franci e L. Toti Rigatelli, Storia della teoria delle equazioni algebriche, Milano 1979.
  • G. Loria, La storia delle matematiche dall'alba delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Milano 1950.
  • L. Ferrari - N. Tartaglia, Cartelli di sfida matematica. Riproduzione in fac simile delle edizioni originali, 1547-1548, a cura di A. Masotti "Supplementi e commentari dell'Ateneo di Brescia" 1974.

Note biografiche a cura di Paolo Alberti e Catia Righi.


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titolo: Euclide megarense acutissimo philosopho, solo introduttore delle scientie mathematice. Diligentemente rassettato, et alla integrita ridotto, per il degno professore di tal scientie Nicolo Tartalea brisciano. Secondo le due tradottioni. Con vna ampla espositione dello istesso tradottore di nuouo aggiunta, di Euclides
e-text del: n.d.
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Il testo, di Euclide, è stato tradotto da Niccolò Tartaglia.

In senso stretto questi tradotti da Tartaglia (1543) non sono Gli Elementi come li conosciamo oggi. L'editio princeps del testo greco di Oxford, ad opera di David Gregory, è del 1703, posteriore quindi di quasi due secoli. Tartaglia conosceva invece Euclide attraverso due traduzioni latine: la prima, dall'arabo, era di Giovanni Campano da Novara, un matematico che era stato anche cappellano di Urbano IV (sec. XIII); la seconda, dal greco, opera di Bartolomeo Zamberti, era molto differente dalla precedente ed era stata stampata a Venezia nel 1505.

Tartaglia ha cercato di creare un'opera omogenea, in base a criteri di tipo matematico, mettendo insieme le traduzioni del Campano e dello Zamberti. Il risultato, a giudizio di Frajese e Maccioni (curatori di una edizione degli Elementi, UTET, 1970) non fu coronato del tutto da successo. Poco dopo la traduzione di Tartaglia, venne pubblicata un'edizione latina, da antichi manoscritti greci, di Commandino da Urbino; il quale diede poco dopo avvio a una nuova traduzione italiana. L'edizione di Commandino, assieme a quella oxfordiana, è considerata la più autorevole. In dettaglio, gli Elementi di Euclide sono in tredici libri; Tartaglia ne ha tradotti due di più (sembra che gli ultimi due siano di Ipsicle, un matematico del II secolo a.C.).

Ugualmente, c'è un postulato di più (Tartaglia li chiama "petitioni"): quelli di Euclide sono cinque, Tartaglia ve ne aggiunge un sesto ("due linee rette non chiudere alcuna superficie"). Fra l'altro, ai tempi di Tartaglia l'autore non era l'Euclide matematico. Si pensava che l'autore de Gli Elementi fosse "Euclide megarense", ossia il filosofo Euclide di Megara, vissuto nel V-IV secolo a.C. Il matematico è invece vissuto all'incirca un secolo dopo. Ma formalmente Tartaglia ha tradotto un testo del megarense, non del matematico di Alessandria.

Note sul testo a cura di Ferdinando Chiodo.


titolo: nova scientia (La)
e-text del: 19 ottobre 2005
leggi subito: PDF
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