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Swift, Jonathan

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Jonathan SwiftLa vita di Swift presenta punti oscuri e svolte nevrasteniche, che hanno alimentato fra i suoi biografi ipotesi e valutazioni divergenti. Certo, nel cammino divagante sulla via di divenire un principe delle lettere, egli si portò dietro un bel fardello di guai e un pessimo carattere.

Nacque e morì a Dublino (1667-1745), ma visse a zig zag fra Irlanda e Inghilterra (già negli studi: BA al Trinity College di Dublino, quattro anni dopo MA a Oxford, dieci anni dopo dottore in teologia di nuovo al Trinity).

Era figlio di un avvocato inglese da poco stabilitosi in Irlanda, e morto prima della sua nascita lasciando la vedova priva di mezzi (è stata formulata, ma poi contestata, l'ipotesi che facesse parte della copiosa prole illegittima dei Temple, grande casata inglese di politici e diplomatici). Presto divenne segretario di William Temple. Si trovò afflitto allora e sempre dalla sindrome di Ménière (labirintite con acufeni, ipoacusia, vertigini, nausee). Abbandonò repentina­mente la casa dei Temple a Moor Park (Farnham, 42 miglia da Londra), per divenire misero parroco anglicano in una misera parrocchia della contea di Antrim. In breve ritornò a Moor Park, dove aiutò Sir William a preparare le sue memorie per la pubblicazione. Quando questi morì, le sue manovre per sistemarsi degnamente non gli valsero nulla più di altre minuscole parrocchie nei dintorni di Dublino.

Libro parlatoLibro parlato

Ascolta il libro parlato di Jonathan Swift (vedi in progetto Libro parlato > Audioteca > Swift, Jonathan)

Ritornò nuovamente a Londra e si tuffò nella politica. Non furono i Temple a sostenerlo. Corteggiò i wighs, che delusero le sue ambizioni; poi si mise coi tories, che alla lunga non fecero meglio. Era un libellista ingegnoso e micidiale, da farsi rispettare e temere come un ordigno bellico. Però strinse amicizie letterarie (Pope, Gay, Arbuthnot), senza contare il lontano parente Dryden (che commentava così le sue prove in versi: «Cugino Swift, voi non sarete mai un poeta»).

Alla caduta del governo tory, si ritirò «come un topo nel suo buco» in Irlanda e nella professione ecclesiastica, in cui - a suo giudizio - si trovò tarpato dai precorsi libelli politici. Il modesto culmine in quella carriera fu la posizione di decano a St. Patrick, Dublino, la quale gli valse il busto che ancora si vede nella cattedrale. Fu allora che si guadagnò rinomanza di patriota irlandese. Lo fece a modo suo. Una proposta ragionevoleper evitare che i bambini degli irlandesi poveri siano di peso ai loro genitori e al paese e per renderli utili al pubblico suggerisce di vendere quei bambini a chi se li faccia cucinare «tanto in stufato che arrosto, tanto al forno che a lesso, e sono certo che saranno altrettanto buoni in fricassea o come spezzatino». Quanto al target commerciale: «Riconosco che questo cibo sarà un po' caro, e quindi molto adatto per i proprietari di terre, che avendo ormai divorato quasi del tutto i genitori, hanno già un buon titolo per mangiarsi anche i figlioli» (trad. Mario M. Rossi). Un normale J'accuse sarebbe scomparso sotto la polvere del tempo; questo digrigna ancor oggi i denti, quantomeno nella storia letteraria.

Aveva per musa l'occasione polemica, e sapeva metterla in opera con una scrittura semplice, precisa e spietata - bandito ogni alone suggestivo eccetto il sarcasmo. Il livello del suo linguaggio - anche in versi - poteva scendere dal medio all'infimo. Ma non scriveva per il consumo occasionale: guardava lontano. Era un moralista apocalittico e irto d'aculei, con un efficacissimo controllo del proprio narrare/argomentare. La sua testa tormentata continua a esercitare sul lettore un fascino tormentoso.

Ecco il suo giudizio universale, che dà un'idea anche del tipo di religiosità del decano (l'immagine che l'umanità gli suggeriva del "disegno intelligente" del creatore), nonché dell'amore che nutriva per le sue pecorelle. Dio, nella valle di Giosafat, sbotta in queste parole:

The World's mad business is o'er,
And I resent these Pranks no more.
I to such Blockheads set my Wit!
I damn such Fools - Go, go, you're bit.
  L'affare storto del Creato è chiuso,
Non me la prendo più per queste balle.
Pensare tanto a voi, zucche balorde?
Vi dànno e basta - marsch! siete fottuti.

Aveva detto di sé: «Farò la fine di quell'albero, morirò a partire dalla testa». Negli ultimi anni perse la parola e scivolò nella demenza. La sua eredità fu destinata alla fondazione di un manicomio, che esiste ancora.

Note biografiche a cura di Serafino Balduzzi.


Se noti errori di qualsiasi tipo, per favore segnalaceli tramite la pagina "segnalazione degli errori".

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Gli e-book (istruzioni e licenze)

titolo: Viaggi di Gulliver (I)
e-text del: 19 ottobre 2008
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note:

Traduzione di Aldo Valori. Si ringraziano gli eredi di Aldo Valori che hanno concesso il permesso di pubblicazione del testo elettronico.

Jonathan Swift
Jonathan Swift
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«Soltanto Voltaire (e soltanto nel Candide) e Diderot (e soltanto nel Neveu de Rameau) sono giunti attraverso un fatto particolare a una così comprensiva denunzia universale, e in essi manca ancora quello sfondo di nube temporalesca che incornicia tutta l'opera di Swift» (Tomasi di Lampedusa, Letteratura inglese).

A nessuno dev'essere mai venuto in mente di proporre Candido o Il nipote di Rameau come libri per fanciulli. Invece questo è accaduto proprio al feroce Gulliver- almeno alle prime due delle sue quattro parti, i viaggi nei paesi dei lillipuziani e dei giganti. È buffo vedere come l'orco Swift, che proponeva di cucinare i bambini, subisse la pena del contrappasso, quando l'editoria infantile cucinò lui ad uso di merendina.

All'atto della pubblicazione, il libro si presentò come una satira pseudonima del mondo politico, della corte, della Royal Society, degl'inglesi - e infine dell'umanità intera. I suoi lettori originari (che immediatamente ne fecero esaurire quattro tirature fra il novembre 1726 e il gennaio 1727) davano riscontri d'attualità a episodi, e nomi veri a personaggi; del resto scoprirono ad apertura di pagina chi si nascondesse dietro lo pseudonimo. L'editore aveva fatto vari tagli per evitare troppi guai, tanto che in seguito divenne problematico ricostruire il testo; quando Swift stesso se ne occupò, non disponeva più del manoscritto originario e riscrisse qua e là, nuocendo all'immediatezza.

Ciò che è giunto a noi è sempre satira, ma non più un libello, bensì il gran monumento della misantropia.

«La "commedia umana" di Swift procede in senso inverso alla Divina Commedia. Il capolavoro dantesco s'inizia col tetro abisso dell'Inferno e progressivamente se ne allontana pei gradi del Purgatorio, fino alla radiosa serenità del Paradiso […] Il capolavoro di Swift s'inizia con l'allegretto dei lillipuziani, e via via si fa più fosco attraverso le esperienze grottesche e nauseabonde di Gulliver nel paese dei giganti, attraverso quella rassegna dell'umana stoltezza e vanità che è il viaggio a Laputa e a Lagado, specie di "elogio della follia", fino alla disperazione delle ultime parti, la visita agli immortali e la scoperta dell'uomo primitivo ed elementare nella razza degli ya­hoos» (Mario Praz, Letteratura inglese).

Ci si è scervellati sui suoi houyhnhnms, cavalli saggi (contrapposti agli yahoos), che sono certo le bestie che agli uomini piacerebbe di essere, ma non saranno mai; però, ad un tempo, si sospetta che rechino in sé i germi dell'incipente "fardello dell'uomo bianco", e addirittura delle successive civiltà dei campi di sterminio.

Il protagonista - oltre ad essere addetto a stilare resoconti meticolosi di folli fanfaluche, e satireggiare le narrazioni dei viaggi di scoperta - per conto suo satireggia l'inglese medio: bravo, volenteroso e un po' minchione. Il nome Gulliver ricorda gullible, sempliciotto, credulone: "in italiano, traduciamolo Grulliver", si è proposto. Peraltro qua e là egli presenta tratti di portavoce dell'autore, o di tramite del suo sarcasmo, e alla fine si trasforma in uno spaventoso maniaco a immagine di Swift: il gran misantropo estende il dileggio alla propria misantropia.

Il testo che utilizziamo è tratto dalla collana Classici del ridere dell'editore modenese Formìggini. Essa comprende varie accurate "prime traduzioni integrali italiane", alcune delle quali restano memorabili, perché colmarono incredibili lacune secolari della nostra editoria: come questo Gulliver, appunto, pubblicato la prima volta nel 1913, Gargantua e Pantagruel (già riportato nella biblioteca di Liber Liber) e Tristram Shandy. Ovviamente sono traduzioni datate, come lo è ogni cosa e persona; ma sono tanto fresche e appassionate, da competere vantaggiosamente ancor oggi con altre traduzioni più recenti.

Il traduttore Aldo Valori (giornalista e storico), primo a disincagliare Gulliver dalle secche dell'editoria infantile, vi aveva peraltro trascorso una sua stagione. Per esempio aveva fondato con Luigi Bertelli (Vamba) il Giornalino della Domenica e - secondo una tradizione di famiglia - era stato lui a descrivere il matrimonio clandestino in una chiesa di campagna del socialista avvocato Maralli, nel Giornalino di Gian Burrasca. La medesima fonte afferma che la traduzione nacque in collaborazione con il fratello Francesco, che conosceva l'inglese, mentre Aldo era giunto a Swift attraverso la traduzione francese.

Scheda a cura di Serafino Balduzzi.

Libro parlato:

Attenzione: questo libro è disponibile anche in formato audio. Vedere: progetto Libro parlato > Audioteca > Jonathan Swift.


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