Vittorio Russo, "Santità!"


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"Dal giorno in cui, con l'editto di Milano del 313, al cristianesimo fu concessa la libertà religiosa, la chiesa ha denotato soltanto insofferenza e fanatismo. Con tutto ciò, nessun documento successivo della storia della tua chiesa è stato mai tanto liberale quanto quell'editto che la trasse dal buio delle catacombe. Per ironia della sorte, quell'editto l'aveva redatto un personaggio amorale e assetato di sangue che si chiamava Costantino il Grande."

"L'amore per l'ortodossia della fede dettava talvolta alla Chiesa scelte di severità. Ma io, ho sempre mostrato comprensione..."

"Ortodossia era scomunicare quelli che non pagavano l'obolo di Pietro, o sterminare gli Ebrei?" interferì Quello.

"Ma gli Ebrei, Eterno, avevano ucciso Tuo Figlio. Era comprensibile una reazione cristiana."

"E la chiesa s'è provata a vendicarLo!"

"Gli Ebrei stessi sapevano che il sangue benedetto di Cristo sarebbe ricaduto su di loro..."

"Tu insisti nel fingere di non sapere come andarono le cose!" si spazientì ancora l'Onnipotente corrugando minacciosamente la fronte imponente. "Mio Figlio non è stato ucciso dagli Ebrei ma dai Romani. Se leggi attentamente i Vangeli ne troverai ampia traccia.

"E' ridicolo attribuire loro un crimine che, anche volendo, non avrebbero potuto commettere visto che, sottoposti di Roma, non avevano lo ius gladii, il diritto di emettere condanne capitali. Mio Figlio fu crocifisso e la crocifissione era un supplizio romano. Se Lo avessero condannato gli Ebrei, ammesso che fosse stato in loro potere, Lo avrebbero lapidato, o strangolato, secondo i sani usi antichi. Ma queste non sono cose che devo ricordarti io."

"E' vero che Pilato Lo condannò, ma solamente quando il popolo lo impose decidendo che fosse salvata la vita a quel ladrone di Barabba, piuttosto che a Gesù."

"Queste sono le fiabe che i tuoi gregari raccontano al popolino, tu, Santità, tu sei uomo di cultura e sai bene che i fatti andarono in altro modo. Intanto, ricorderai che i Romani prendevano molto sul serio le cose della giustizia. Sarebbe perciò ridicolo pretendere che, per emettere il suo giudizio, Pilato si tenesse agli umori o alle decisioni - come dici tu - di una folla schiamazzante. Se condannò è perché, per il diritto di Roma, Gesù aveva commesso reati politici. E tu sai che mio Figlio, sotto sotto, aveva mostrato simpatia per quelli che fra la Sua gente propugnavano la cacciata dei Romani dalla terra d'Israele.

"In quanto a Barabba, devo ricordarti che non era un ladrone, come tu dici, ma un rivoluzionario. Un lestos, come scrive l'evangelista, uno che a mano armata e a rischio della propria pelle si batteva nel mio nome contro gli oppressori del popolo. Non era quindi un furfante qualsiasi. Sta scritto questo pure nei Vangeli, ti è noto spero, come dovrebbe esserti noto che nel diritto romano non esisteva alcun istituto che sancisse la liberazione di un prigioniero colpevole a favore di un altro, parimenti colpevole."

"Ma gli Ebrei... d'accordo, Barabba sarà stato anche un furfante speciale, ma gli Ebrei..." balbettò Sua Santità annaspando, "gli Ebrei odiavano Tuo Figlio. Pur di vederLo condannato, Lo avevano accusato di bestemmia a Pilato..." aggiunse ingenuamente nel suo brancolare smarrito.

"E sai quanto se ne infischiavano Pilato e i Romani dei bestemmiatori del mio nome! Quelli avevano per la testa idee di grandezza, smania di potenza e per perseguire questi traguardi si ha bisogno di buon cervello e di legioni, non di me" decretò Quello perentorio. "Ma io non voglio giustificare gli Ebrei, che pure di preoccupazioni me ne hanno date parecchie. Però, quand'anche essi, tutti, avessero ucciso mio Figlio, questo avrebbe forse autorizzato la chiesa a perseguitarli per secoli e a segregarli nei ghetti, dove chi usciva di casa fuori orario commetteva in pratica suicidio? Grave è che oggi vi uniate al coro degli accusatori di un mostro sanguinario come Hitler."

"Ah, quello la Chiesa l'ha sempre condannato" intervenne pronto Sua Santità.

"Sempre? Il vostro passato silenzio ne giustificava piuttosto le azioni. Era forse perché, alla fin fine, apprezzavate che anche lui si provasse a vendicare la morte di mio Figlio? Di certo gli riconoscevate la buona volontà di fare contro il mio popolo, immediatamente, quello che voi avete fatto, poco per volta, per venti secoli.

"In quanto poi alla carità, alla quale pure hai fatto allusione, quella che tu predichi si chiama egoismo. Io volli che Mio Figlio nascesse in una stalla perché fosse un modello di povertà. Volli che vivesse da diseredato, che non possedesse neppure la tunica che indossava. Infatti, non era Sua nemmeno quella che i soldati di Roma Gli strapparono di dosso e si spartirono quando Lo appesero alla croce. E sulla croce volli che morisse, nudo come l'ultimo degli schiavi..."

"Se Tu così avevi voluto, perché mi addossi il peso della Tua decisione? La tunica, poi, Sua o non Sua, fu tirata a sorte fra i legionari e appartenne loro di diritto in virtù di una precisa legge romana: la lex pannicularia" specificò meticoloso Sua Santità.

Il Padre Eterno lo squadrò con sufficienza dalla frangia del guanciale, in cui Sua Santità affondava il capo, alla cimosa della coperta, che gli copriva i piedi e seguitò senza degnarlo di un commento.

"Il messaggio centrale di mio Figlio era incentrato sull'umiltà che, fra tutti gli insegnamenti, è quello che la tua chiesa ha spesso negletto e ancora più spesso calpestato, dalle origini ad oggi..."

"Eterno," abbozzò Sua Santità imbarazzato dalla pausa di Quello, "Tu sai quanto un pontefice abbia le mani legate, quanto fatalmente sia schiavo della storia e della tradizione, prigioniero della curia e del sistema. Ogni suo gesto è regolato minuziosamente. Tutto nel suo comportamento è il riflesso di regole ferree. Credi sia facile sgusciare come un'anguilla fra mille insidie? Io non posso dire quello che penso. Prima di aprir bocca devo tener conto di ciò che hanno detto quelli che m'hanno preceduto sul trono di Pietro, un anno fa o quindici secoli fa. Devo soppesare tutte le parole perché la Chiesa e la fede non ne subiscano un danno."

"Siete vittime delle vostre ragnatele!" sintetizzò Quello.

"Ma è perché la Chiesa non commetta errori" farfugliò Sua Santità. "Errori gravi, intendo dire" rettificò avendo notato che Quello aggrottava la fronte. Poi riprese: "Tu sai quanto sia difficile conservare l'umiltà, quando per due millenni si è avuto l'onere di difendere la dignità del Tuo nome. Ed è una dignità che povere spalle reggono a stento" disse scrutando nell'oscurità alla ricerca dei confini di Quello. "Eppure, l'umiltà la Chiesa l'ha sempre predicata."

"Della chiesa avete fatto il monumento più esemplare della superbia umana e sulla vostra bocca la parola umiltà è una bestemmia!" fulminò Quello. "L'umiltà l'avete predicata con parole astratte, nell'apparenza, mai nella sostanza. Con sfacciata boria, pretendevate il bacio del piede su un cuscino di velluto bordato d'oro e vi facevate trasportare in giro, nella sedia gestatoria, ammantati da imperatori, foderati di gemme rare ed ermellino, ossequiati e ventilati da flabelli come antichi faraoni. E ciò senza nemmeno il concetto del ridicolo, ma solo perché fosse chiaro a tutti il vostro potere e la vostra regalità, non la mia. Il mio povero Figlio aveva rifiutato qualsiasi titolo della terra. Il Suo regno - lo disse senza posa - non era di questo mondo. Chi l'ha mai imitato oltre quel serafico poveraccio di Assisi?"

"Se ci fossimo strettamente tenuti all'esempio di Tuo Figlio fatto di miseria, di umiltà e di carità, se la Chiesa avesse continuato a fabbricare màrtiri, vergini ed eremiti, se avesse rinunciato ai regni della terra per continuare a sognare quello dei cieli, di strada quella Chiesa non ne avrebbe fatta molta e forse oggi del Tuo nome e di quello di Cristo si sarebbe perso la memoria. In quanto alle manifestazioni esteriori, considera che sono usanze abolite ormai da tempo. Per quel che mi riguarda, io lavo umilmente i piedi ai miei cardinali, in occasione della Pasqua."

"Facciata!" divampò Quello. "Umiltà significa riserbo. E quale è il riserbo del tuo gesto se ad esso si dà la massima pubblicità, se diventa spettacolo quando è trasmesso dalla televisione, se ne parla la radio, se è fotografato, pubblicizzato dai rotocalchi e commentato al solo scopo di render noto a tutti che Sua Santità, il Sommo Pontefice, il Vicario di Cristo... perché da diversi secoli non vi dite più vicari di Pietro, ma di Cristo stesso..."

"Ma, Eterno," Lo interruppe Sua Santità, "se il papa è il Vicario di san Pietro e san Pietro è il Vicario di Cristo, il papa è automaticamente il Vicario di Cristo. Non è forse così?"

"E pertanto addirittura mio vicario! Senza nessun rispetto per me. Con una rappresentanza del genere ho perso la faccia agli occhi miei. Io sconfesso questa logica della proprietà transitiva, questa logica della deduzione, la logica di pontefici come Innocenzo III, che già nel 1203, poteva osare di affermare: Noi non siamo il Vicario di Pietro, né di nessun altro Apostolo. Noi siamo il Vicario di Cristo, davanti al quale ogni ginocchio si piegherà. Questa è arroganza dell'assolutismo."

"Innocenzo, però, qualche anno dopo, fu colui che promosse la crociata contro gli Albigesi e canonizzò Pietro di Castelnau, da essi trucidato..."

"Sterminò gli Albigesi vuoi dire. Certo, a migliaia, senza pietà... e senza contare la mia clemenza. In quanto a quel tuo Castelnau, da me non s'è mai visto ben sapendo che non avevo avallato la scellerata decisione di Innocenzo."

"Ma san Pietro di Castelnau scomunicò Raimondo di Tolosa, perché sosteneva gli Albigesi e gli Albigesi praticavano l'eresia, Eterno, predicavano che il corpo è male, negavano i sacramenti..."

"E soprattutto aborrivano la corruzione della chiesa di Roma, diventata sentina di ogni vizio, e del suo capo, che per essi era l'incarnazione del demonio stesso."

"Ma predicavano che Tu sei un Dio malvagio, l'origine del mondo materiale, la fonte di ogni sventura. Insegnavano che il sesso è male, che il matrimonio è empietà, che una donna incinta ha in corpo il diavolo stesso e che, incredibile a dirsi, il suicidio diventa virtù... Insomma non se ne poteva più. Avresti voluto che si restasse indifferenti alle offese fatte a Te?"

"E quale fu il rimedio?" smaniò Quello con sguardo furente. "La distruzione, la morte! Nell'anno 1209 il capo di una prima spedizione punitiva, Arnaldo di Citeaux, pagato con le indulgenze di Innocenzo, con la sua masnada di cinghiali dalle zanne insanguinate, fece irruzione nelle chiese di Béziers e nella cattedrale stessa. Scannò, trucidò e squartò gente indifesa, che aveva creduto di scampare nascondendosi dietro gli altari. La città fu ridotta ad una catasta di macerie e quel prode capitano si compiacque di scrivere che ventimila cittadini erano stati passati a fil di spada, senza tener conto dell'età e del sesso. Di vivo non era rimasto in giro che la calce di cui furono coperti i cadaveri.

"Né meno empio fu il cavaliere di Monfort, che completò l'opera. A Lavaur, con un unico gigantesco rogo, mi immolò quattrocento persone. Tutte in una volta sola. Innocenzo ringraziò entrambi i suoi condottieri e me, è ovvio, per la clemenza mostrata attraverso l'azione purificatrice di quei due eroi. Lo sterminio si protrasse per quasi vent'anni. Furono arse vive centinaia di migliaia di persone il cui più grande crimine era stato quello di non piegarsi all'autorità del pontefice."

"Le azioni militari comportano sempre degli eccessi e in quella circostanza certamente ne furono compiuti molti. L'eresia, in ogni caso, da che mondo è mondo, è stata sempre punita con il fuoco, stando ai Tuoi insegnamenti. Occorrevano esempi che limitassero il dilagare di quel morbo così pernicioso per la fede. Esempi forti e, indubbiamente, in quel frangente, ne furono dati parecchi."

"Sì, perché quegli eretici erano così incalliti nel peccato e così ciechi, da rifiutare la clemenza della spada offerta dalla chiesa. Si precipitarono perfino tra le fiamme di propria volontà, pur di non essere toccati dalle mani dei loro giustizieri. Ritenevano, pensa, che fossero impure!" commentò sarcastico Quello.

Poi ridivenne severo.

"Le persecuzioni romane avevano generato tanti màrtiri che la tua chiesa ne riempì il calendario. Eppure, in una sola volta, Innocenzo riuscì a farne più di quanti ne avessero fatti tutte le carneficine romane insieme. Ma andiamo avanti" troncò sdegnato. "Quale umiltà, dicevo, c'è in un gesto enfatico come quello del pontefice che, in ginocchio, lava simbolicamente i piedi ai suoi subordinati? Questa non è umiltà, è farsa, poiché il tuo rito è compiuto unicamente perché sia veduto e se ne parli. Mio Figlio ha predicato che umiltà e carità non devono apparire. Che ha fatto invece la tua chiesa? Si è compiaciuta di mostrarsi. E' stata sfacciatamente in prima fila esibendomi come uno spaventapasseri e minacciando interdetti, anatemi e scomuniche a coloro che non intendevano sottostare al suo volere."

La collera di Quello andava crescendo perché ora le Sue parole erano roventi, infocato lo sguardo e lo stesso il triangolo intorno al capo era diventato incandescente.

"Chi l'avrebbe mai detto" osservò, "che dal dialogo incerto tra un ignorante pescatore di Bethsaida di nome Pietro e quel sognatore che fu mio Figlio sarebbe nata una potenza temporale, che per secoli è stata il terrore della terra! Mio Figlio nacque in una grotta e non ebbe una pietra su cui posare il capo. Tu, Suo vicario, abiti in un palazzo di diecimila stanze, escludendo Castel Gandolfo dove vai in ferie, dotato anche di piscina. Mio Figlio conobbe soltanto l'acqua delle Sue abluzioni e, una sola volta, quella corrente: quando fu battezzato nel Giordano. Mio Figlio predicò di vendere i beni e destinarne il ricavato ai poveri e voi per secoli avete accumulato ricchezze profane."

"Eterno, l'immagine serve ad onorare il Tuo nome, ad accrescere la Tua gloria..." motivò Sua Santità.

"Non è di quest'immagine che ha bisogno la mia gloria. Di essa rende testimonianza la mia creazione. Di' piuttosto che il fasto serve ad irretire le masse, a confonderle, a destarne l'ammirazione e il timore. Ma il timore della tua superbia non corrisponde al rispetto del mio nome. Tu sei come quelli che ti hanno preceduto: un re sprezzante, sprofondato nei tuoi tesori pagani, senza nemmeno il senso dell'umorismo quando, abbigliato di tessuti preziosi, predichi la carità e l'umiltà agli sventurati. Non posso aggiungere uno iota a chi ha scritto che si può piegare la fronte al suolo davanti a te, ma per timore della tua potenza, non per rispetto della tua probità.

"Solamente per scherno mio Figlio fu re dei Giudei, tu per secoli sei stato il sovrano della terra, ti fai chiamare ancora: Vostra Grazia, Santo Padre, Eccellenza, Beatitudine, Santità, Reverendissimo, Santissimo, Eminentissimo ed altro ancora."

"Eterno, sono una semplice forma di ossequio. Non la merita forse chi deve rappresentare Te e Tuo Figlio? Non ne sei orgoglioso?"

Quello lo ignorò sdegnato e procedette inflessibile.

"I tuoi cardinali, rutilanti e solenni come aironi, formavano un tempo la tua corte gaudente e libertina. Vestivano come antichi satrapi, trascinavano dietro di sé le frange dei propri mantelli purpurei, sebbene accorciate oggi di parecchi metri, e portavano in giro le loro guance paffute sotto il cappello rosso. E questi gentiluomini, tu stesso, sareste i miei servi, i rappresentanti del mio povero Figlio morto in croce? Qualcuno si è chiesto attraverso quali arcani e quali tortuose manovre si è colmata la distanza che separa il Golgotha dal Vaticano? Lo chiedo anch'io perché non lo so... E per ultimo, osi affermare di essere infallibile."

"Solo se parla ex cathedra il pontefice è infallibile" volle distinguere Sua Santità.

"Già, come se il pontefice avesse un orario di lavoro. Quello che fa fuori dall'orario di lavoro non riguarda il titolare... che sarei io! Insomma, un incarico a responsabilità limitata."

"Nondimeno, Eterno, questo dogma ha radici profonde..."

"Infallibile sarebbe chi del peccato, del vizio e del crimine ha lordato e impregnato per palmi la crosta della terra? Infallibili i papi atei come te, i simoniaci, i sadici, i lussuriosi, i prelati sposati con figli, gli assassini, gli avvelenatori, i sodomiti, gli eretici, gli adoratori di Satana, i fornicatori, i massacratori di popoli e lo stuolo infinito di pontefici che morirono avvelenati, pugnalati, affogati, di malattie veneree, o strangolati nel letto delle loro amanti?" catalogò Quello con calore. Ma dovette interrompersi perché non Gli bastarono le dita di entrambe le mani. "Coloro del cui sangue o di quello che essi versarono, per secoli, il Tevere fu tale una cloaca a cielo aperto da far concorrenza al Gange!"

"Beh, talvolta qualche Pontefice non ha dato buona prova... non ha fatto una buona riuscita..."

"Qualche Pontefice? Talvolta?"

"Sì, magari stai per rinfacciare a me gli errori dei soliti Bonifacio VIII, Alessandro VI... arroganza, simonia... Ma occorre capire i tempi nei quali questi pontefici vissero."

"Bonifacio VIII ebbe grandi difetti," rispose Quello dopo una breve meditazione, "ma il peggiore fu quello di essere vissuto. In quanto all'arroganza lui le diede un corpo e una faccia decisivi. La espresse con parole che sono lo stendardo stesso della chiesa: Dichiariamo, annunciamo e definiamo che è indispensabile per la salvezza di ogni creatura sottomettersi al pontefice di Roma. Così affermò. Intendeva asserire che ci si poteva salvare, ma da lui soltanto, con una cieca ubbidienza. Non poteva riferirsi ad altre salvezze che non conosceva. E a questo principio votò la sua esistenza.

"Qualcuno disse di lui che era solo occhi e orecchi, perché il resto era marciume. E aveva ragione! Non volendo, m'era riuscito di esprimere anche in negativo la mia onnipotenza quando misi insieme la sua faccia schifosa e quell'anima anche peggiore.

"Bonifacio avversò con tutto il furore possibile quegli odiosi Colonna, successori dei Conti di Tuscolo, che consideravano il papato un bene di famiglia. Distrusse con avida gioia la loro roccaforte di Palestrina trucidando oltre cinquemila persone. Ma Sciarra Colonna, non richiesto, mi rese involontariamente un servigio, quando si vendicò di lui. Dopo averlo schiaffeggiato brutalmente, lo gettò in carcere. Bonifacio vi morì, nel 1303, mordendosi ferocemente, alla maniera dei cani idrofobi, proprio come gli aveva preannunciato quell'inetto di Celestino V, che egli aveva spinto ad abdicare."

"Bonifacio non fu certo un pio seminarista, ma va ricordato che il giudizio di Dante, che già in vita lo aveva bollato come simoniaco segregandolo nell'Ottavo Cerchio del suo Inferno, ha contribuito alla sua fama di reprobo."

"Io non ho potuto fare di meglio. L'ho lasciato là dove ha voluto il poeta: conficcato nella roccia con la testa in giù, perché mai più si vedesse la sua faccia empia.

"In quanto ad Alessandro VI, Rodrigo Borgia," continuò con scrupolo, "era, a modo suo, anche uomo di fede perché, una volta almeno, la manifestò senza ipocrisie. Fu quando per scuro rancore gli assassinarono il figlio Giovanni, duca di Gandía, il cui corpo, secondo il costume, era stato gettato nel Tevere. Il papa lo pianse per giorni e giorni e mi pregò di perdonare l'omicida, non potendolo, comprensibilmente, fare lui."

"Decise però di restaurare la Chiesa. Era devoto alla Vergine..." s'inserì Sua Santità.

"Sì, ma era labile. Della pia decisione infatti si dimenticò sùbito. In quanto alla Vergine, la fece dipingere con il volto di Giulia Farnese, la sua amante minorenne. E questo è tutto quello che di buono so di lui. Il resto è ripugnante.

"Cominciò per tempo: a dodici anni commise il primo omicidio. Visse un'adolescenza da depravato. Fu cardinale a ventiquattro anni per graziosa concessione di suo zio, papa Callisto III. Arrivò infine al pontificato con una disgustosa campagna per accaparrarsi i voti necessari. Trecentomila ducati d'oro gli costò quello di Giuliano della Rovere, che brigò in tutti i modi perché fosse deposto e ne attese trepidante la morte per subentrargli, dopo un breve intermezzo, con il nome di Giulio II. Il cardinale Savelli ottenne Civita Castellana e l'episcopato di Majorca. Al cardinale Orsini accordò la sede e gli introiti ecclesiastici di Cartagena, oltre al governatorato delle Marche. Il proprio voto decisivo fruttò al cardinale Sforza il castello di Nepi, il palazzo Borgia a Roma e tre o quattro muli carichi d'argento. Senza prendere in considerazione le abbazie, i conventi e gli altri opulenti privilegi che Alessandro promise a tutti i porporati con nipoti da sistemare. Ma era pur sempre poca cosa per lui che, di lì a poco, cominciò a distribuire continenti interi ai re di Spagna e Portogallo.

"Come stupirsi se a Roma si diceva allora che io non sono più Trino ma... quattrino?"

"Oso insistere, Eterno, perché credo che occorra giudicare tenendo conto del momento storico. Anche Alessandro va visto nell'ottica dei costumi o meglio dei malcostumi, del suo tempo" tentò di scagionarlo come poté Sua Santità. "Tradizionalista in teologia, egli era completamente assorbito dalle abitudini rilassate dell'epoca. Come si può pretendere santità da uno che magari l'ammirava pure, ma che certo non aveva il tempo e l'indole per indulgere ad essa? Era un capo di stato determinato e voleva fare del proprio il più potente della terra. Ci fu chi sostenne che gli stati non si reggono con i paternoster, e Alessandro VI lo sapeva benissimo. La sua condotta per pervenire alla meta ambiziosa non si poteva perseguire con la carità cristiana, fu perciò appropriata a quella di un principe temporale. E come principe temporale egli agì senza essere il peggiore, quantunque dai peggiori mutuò la scaltrezza, la perfidia e la mancanza di scrupoli."

Quello fece una smorfia, scosse il capo in segno di disapprovazione e procedette incurante:

"Una volta eletto, il Borgia volle ringraziarmi per aver così felicemente ispirato nella scelta quei coscienziosi cardinali. La cerimonia dell'incoronazione fu funestata da canaglieschi saccheggi e da centinaia di delitti, consueti in circostanze del genere. Essa fu celebrata con saturnali e festini di tanto splendore mondano da far esclamare a qualcuno, per vergognosa adulazione e sacrilegamente, che se Roma fu grande con Cesare, con Alessandro diventava grandissima, perché se quello fu un uomo, questi era addirittura dio.

"Quanti figli avesse papa Borgia non è certo che lo sapesse lui per primo. Fra gli altri, quella famosa Lucrezia che, si disse, gli fu filia, sponsa, e nurus, ovvero, figlia, sposa e nuora, per aver accordato i suoi favori - così dite voi eufemisticamente - a lui stesso, oltre che ai propri fratelli, Giovanni e Cesare. Alessandro fu anche il padre dell'ignavo Goffredo, sposo per ragion di stato della smaniosa Sancia d'Aragona, figlia dell'erede al trono napoletano. Essa pure godette della morbosa attenzione del pontefice e divenne regolarmente amante dei suddetti fratelli del marito.

"Ebbe quindi questo papa una spiccata propensione per il nepotismo. C'era spazio per tutti e, stravedendo per la bionda Giulia Farnese, non volle negare un galero, il cappello cardinalizio, nemmeno al fratello di lei, noto perciò come il cardinale della gonnella, divenuto in seguito vescovo di Roma con il nome di Paolo III. Per parte sua il guercio marito di Giulia, Orsino Orsini, lautamente ricompensato con il danaro della chiesa, aveva volentieri chiuso anche l'altro occhio sulla tresca della moglie con il pontefice.

"Alessandro ebbe ambizioni smodate che trasmise, pari pari, al figlio Cesare, e un'inclinazione quasi naturale per l'uso del veleno, la ben nota cantarella. La distribuiva con noncuranza, come le benedizioni e in dosi massicce, perché l'esito fosse certo."

"Molti storici però ritengono che non ci siano prove sicure che Alessandro abbia mai avvelenato qualcuno" puntualizzò Sua Santità.

"Alessandro avrà forse beffato gli storici mimetizzando i suoi assassini, ma non ha potuto certo ingannare me!" sanzionò Quello e senza indugiare osservò:

"Del veleno si serviva soprattutto per sopprimere quei cardinali che da lui avevano comprato la carica. Riusciva in questo modo a rimettere il titolo sul mercato, anche più volte. Vendit Alexander claves, altaria, Christum, si disse. Vendette tutto: altari, chiavi di Pietro e Cristo stesso. Con tali mezzi non gli fu difficile avere cospicue disponibilità di cassa per finanziare le guerre di Cesare. Più avanti non andò... anche perché non ne ebbe il tempo.

"Qualcuno ha scritto che fu l'incarnazione più sinistra del paganesimo sotto la tiara. Ma esagerava, perché, incredibile a dirsi, c'era stato chi l'aveva superato.

"No, non mi scandalizzo di Bonifacio VIII, di Alessandro VI e tanti altri di quel periodo. I papi che li avevano preceduti avevano fatto di peggio."

"Nei secoli bui del Medioevo..." tentò di spiegare Sua Santità, intuendo a chi Quello si riferiva. Ma non poté andare oltre.

"Quanti crimini, quante efferatezze commesse nel nome mio e di mio Figlio, utilizzati a comando! Quanti morti in nome di un'ipocrita pace!" continuò seguendo il filo del Suo pensiero e quasi stesse elencando a Se stesso le vicende più tetre della storia ecclesiastica. "Quante sciagure hanno funestato l'umanità per la vanagloria dei vescovi di Roma! La storia del genere umano è cosparsa del sangue innocente versato dai vicari di Pietro.

"Il papato stesso nacque nel sangue con la strage dei seguaci di Ursino, fatti a pezzi dai sostenitori di Damaso, nel 366. Fu a quel tempo che il passo del tuo Matteo diventò il fondamento teologico per l'affermazione del primato del pontefice romano. Seguirono lotte sanguinose per imporre questo o quel vescovo, per stabilire la propria autorità sul gruppo avverso. Due, tre e anche quattro papi erano investiti contemporaneamente da fazioni mosse solo da brama di potere e da irriducibile odio. Una avversa all'altra, una più determinata dell'altra, fino alla morte. Famiglia contro famiglia..."

"Tuo Figlio l'aveva annunciato ammonendo che non era venuto per portare la pace ma la spada, che era venuto per dividere il padre dal figlio, la figlia dalla madre..."

"Malauguratamente, non nel modo indicato da Gesù" rispose Quello, paziente per un momento. Poi soggiunse: "...Fratello contro fratello... scontri dove gli sconfitti eravamo costantemente io, mio Figlio e quelli che vi lasciavano la vita. Questa fu la storia della chiesa per i suoi primi 800 anni. E non mancò un vescovo di Roma donna e meretrice: la famigerata papessa Giovanna o Giovanni Anglico, al maschile, è chiaro, morta di parto mentre si recava in sedia gestatoria alla chiesa di san Clemente..."

"Ma, Eterno, la prostituzione c'è sempre stata..."

"Avrei dovuto chiudere un occhio anche su questo? Sulla prostituzione in casa mia? Dovevo proprio mettermi la dignità sotto i piedi, dunque!" esplose Quello.

"Dicevo la prostituzione in generale. In quante religioni, i commerci sessuali, la ierodulia, come è chiamata, era un'attività sacra e addirittura lucrosa? Volevo però ricordare che, in quanto alla papessa Giovanna, è noto a tutti che si tratta di una leggenda medievale priva di fondamento!" chiarì con contenuta veemenza Sua Santità.

"Quello che fanno gli altri nelle loro religioni non mi riguarda. Ma procediamo. Tu, dunque, sostieni che quella era una leggenda medievale? Non ricordi che, per evitare abusi di questo genere, si sentì la necessità di costruire una poltrona apposta, con un buco al centro, sulla quale dovevano sedere i pontefici neo-eletti per sottoporsi ad una sorta di visita ginecologica? Questa specie di trono di marmo rosso si conservava in san Giovanni in Laterano fino a qualche tempo fa."

"Io non ho subìto nessuna visita," precisò risentito Sua Santità, "ma se lo dici Tu!" ammise malvolentieri.

"Poi," Quello proseguì senza indulgere, "per più di un secolo si susseguirono papi uno peggiore dell'altro. E quante fosse orripilante Lucifero lo si seppe solo nell'896, quando fu nominato pontefice il figlio di un sacerdote: Stefano VII. Ebbe costui la sfrontatezza di far riesumare il corpo di papa Formoso e di indire il famoso sinodo cadaverico. Formoso era reo, secondo Stefano, di aver usurpato la sede apostolica solo perché, essendo vescovo di un'altra città, non poteva esercitare a Roma. Dimenticava di essere a sua volta vescovo di Anagni e quindi colpevole dello stesso sopruso. considerare

"Formoso era morto da almeno otto mesi, ma questo non impedì che il suo cadavere maleodorante fosse per burla rivestito dei paramenti sacri, portato in tribunale, giudicato e condannato. Stefano lo fece scaraventare nel Tevere, dopo avergli fatto amputare le tre dita benedicenti della mano destra. Onesti pescatori ne recuperarono la salma e le diedero una sepoltura più degna.

"Stefano VII, in ogni modo, ne fece tante che finì a sua volta strangolato in carcere."

"Era la punizione divina... Tua" commentò e corresse in cuor suo Sua Santità. Poi a voce alta: "Tempi bui!" annotò semplicemente non avendo nulla da aggiungere.

Quello andò avanti senza degnarlo di uno sguardo.

"Tempi maledetti! E quello degli Alberici, Conti di Tuscolo, fu il peggiore di tutti i tempi. Erano gli Alberici una razza malefica, che non ho mai potuto estinguere: i diavoli che non erano all'inferno erano tutti a casa loro. Di questa famiglia ho sopportato una dozzina di papi, tre o quattro antipapi e una quarantina di cardinali.

"In quel secolo X, che qualcuno definì della pornocrazia papale, regnava la lussuria più autentica. Il potere fu in pratica nelle mani di cortigiane di mestiere quali furono Teodora e le sue figlie. Fra di esse si distinse per la straordinaria depravazione, Marozia.

"Vescovo di Roma fu un Giovanni X, amante di Teodora, fatto soffocare da questa Marozia. E papa era stato, dal 904 al 911, Sergio III, amante della stessa Marozia non ancora sedicenne. Sergio aveva fatto trucidare in carcere Cristoforo, il pontefice che l'aveva preceduto, figlio a sua volta di papa Leone V, e aveva fatto riesumare per la seconda volta e per un secondo giudizio, quello che restava del cadavere di Formoso. Per la seconda volta questo pontefice fu condannato e per la seconda volta gettato nel Tevere. In questa circostanza però gli fu reciso il capo, oltre alle poche restanti dita."

"Ma è sempre la stessa vicenda, Eterno, il cronista confuse i nomi di Stefano e Sergio. Tutto qui." Corresse Sua Santità.

"E per questo, secondo te, Sergio sarebbe da beatificare?" chiese Quello caustico. E riprese:

"Divenne vescovo di Roma perfino Giovanni XI, figlio dell'orrido Sergio III e di Marozia. Fu designato che aveva vent'anni, nel 935, ma durò poco, per fortuna, perché fu presto imprigionato dal fratellastro Alberico. A questo Alberico si deve anche il merito di aver tolto di mezzo quel mostro di madre, Marozia la meretrice, che da quel momento rimase sepolta viva in Castel Sant'Angelo per cinquant'anni circa.

"Poi venne il figlio di Alberico, papa Giovanni XII. Nel 955, quando fu elevato al soglio, aveva sedici anni! Riepilogare le sue nefandezze e i peccati innominabili di cui si macchiò è complicato anche per me. Peccati innominabili, dico, tanto da temere che l'inferno stesso non bastasse per lui."

"Giovanni XI, Giovanni XII... ma erano dei ragazzi, bisogna capirli: esuberanti... sai i giovani! Hanno le loro esigenze. Frenarli troppo comporta inibizioni. Ma che avrà fatto, poi, di così innominabile questo Giovanni XII?" chiese Sua Santità, che a sua convenienza, amava non ricordare.

"Per te la chiesa sarebbe un'istituzione che avrebbero potuto governare anche dei ragazzi? La Chiesa fondata da mio Figlio? Santità, queste sono cose serie! Io, dileggio di giovinastri! Passi per mio Figlio, che è abituato ai sacrifici, ma oggetto di scherno io stesso! E' troppo! Almeno un po' di rispetto per i miei capelli bianchi! Dove vogliamo arrivare!

"Quel Giovanni lì si macchiò di tutti i delitti di cui la natura umana può essere capace. Li riassunse tutti in sé."

Sospirò e cominciò ad elencare:

"Ebbe rapporti incestuosi con la madre. Teneva un vero e proprio gineceo papale nelle mura stesse del palazzo Laterano. Ricompensava le sue prostitute con pissidi e calici d'oro del tesoro di Pietro. Possedeva migliaia di cavalli delle migliori razze, che nutriva con mandorle e fichi bagnati in vini pregiati. Giocava d'azzardo con le offerte dei pellegrini e, blasfemo come pochi altri, amava brindare a Satana e a Venere davanti agli altari. Di solito consacrava i diaconi nelle stalle. Fu ucciso con una randellata alla nuca infertagli, nel letto di un'amante, da un marito ingelosito..."

"Una randellata?" chiese incuriosito Sua Santità.

"Una bastò." Assicurò Quello e continuò: "Aveva ventiquattro anni. Fu così dissoluto che le donne di Roma evitavano di mettere piede in san Giovanni per non compromettere la propria reputazione. Si sostenne che fu uno dei pochi pontefici morto in un letto. Ma era il letto di un altro...

"E io avrei dovuto avere comprensione per l'esuberanza dell'età? Avrei dovuto perdonare chi, trastullandosi con il demonio, faceva il rappresentante di mio Figlio? Che idea s'era fatto della mia onorata famiglia? A quali mani era affidata la reputazione del mio nome?"

"Eterno, non ci sono dubbi su tante orride malefatte di Giovanni XII, spesso però quando mancano notizie sicure, è facile che certe dicerie si amplifichino e fissandosi diventino storia. Quanti cronisti di parte hanno gettato manate di fango su personaggi che erano talora rispettabili!" cercò di sbrogliarsi Sua Santità, che feriva e medicava al tempo stesso.

"Dicerie? Rispettabile quel demone?" eccepì Quello contrariato. "Per tua conoscenza le cronache dell'epoca e, in particolare, quelle di Liutprando, quantunque di parte, riportano queste vicende. Qualcuno aggiunge che Giovanni XII fu talmente malvagio che la gente mi pregava con le lacrime agli occhi, perché mi decidessi a toglierlo di mezzo. E io per pietà... infine mi decisi."

"L'uomo propone e..." tradusse mentalmente Sua Santità.

Quello non mostrò di cogliere l'osservazione e concluse:

"Ma quel qualcuno non sapeva, poverino, il peggio che sarebbe venuto dopo."

"Eppure, Giovanni avviò l'evangelizzazione dell'Ungheria, per la gloria del Tuo nome, e beatificò Dunstano, vescovo di Canterbury."

A tale irrilevante precisazione di Sua Santità, Quello inarcò la fronte, gli lanciò uno sguardo sdegnato e commentò:

"Questo Dunstano è un santo che non fa miracoli e io non l'ho certo accolto nell'Empireo al suon di tromba dei miei cherubini!" troncò senza indulgenza, quindi ripigliò:

"Le cose non andarono meglio con Giovanni XIII, figlio di un vescovo. Trucidò metà della popolazione di Roma, ma finì per tempo in catene a Castel Sant'Angelo. Sopravvisse per qualche tempo solo grazie all'appoggio di Ottone, l'imperatore sassone. Io, è scontato, mi ero guardato bene dal dargli il mio."

"Anche per lui, quel cronista partigiano che fu Liutprando usò i toni più spregevoli" obiettò Sua Santità. "Si deve infatti rammentare che Giovanni XIII visse in uno dei momenti più tempestosi del X secolo. In ogni caso si devono a lui opere meritorie in favore della vita monastica. Fu lui che avviò la conversione dei polacchi..."

"Il paradiso non ha bandiere. Io giudico una sola volta e lui è stato giudicato." Sanzionò Quello con parole pesanti come pietre di sepolcro.

"Anche in questo caso posso immaginare come!" arrischiò mentalmente Sua Santità mentre Quello infieriva imperterrito.

"Fu pontefice romano uno come Bonifacio VII che, nel 974, fece strangolare in carcere Benedetto VI e gli subentrò sul trono. Visse per la soddisfazione dei sensi, ma del fondamentale, il buonsenso, fu privo del tutto. Dopo aver disonorato una giovinetta, fuggì a Costantinopoli con il tesoro di Pietro. Ritornò a Roma soltanto a sostanza dilapidata per finirvi crivellato da un centinaio di coltellate, prima di essere gettato in una fogna. Era, per non cambiare, a letto con un'amante.

"Bonifacio VII, si disse, fece da solo tanto danno alla cristianità che Satana, in quegli anni, si grattò le corna sentendosi inutile. Il più iniquo dei mostri, lo definì quel pio ecclesiastico di Gerberto, ma neanche lui, ingenuo, poteva prevedere quello che sarebbe avvenuto in seguito."

Fece un'altra pausa. Poi ricominciò:

"Fu vescovo di Roma anche quell'altro bel difensore della fede in me, parlo di Gregorio V, figlio di Ottone di Carinzia e cugino dell'imperatore Ottone III. Aveva ventitré anni, nel 996, quando fu eletto e l'imperatore appena quindici. S'incoronarono a vicenda, come spesso avveniva in quel periodo, e a vicenda si giustificarono i rispettivi misfatti. Poi il papa dovette fuggire a precipizio da Roma davanti ad un popolo intero, inferocito per le sue malefatte. Morì a ventisette anni, avvelenato, e il cugino imperatore a ventidue. Il solo merito che ebbe Gregorio fu quello di aver fatto giustiziare la malefica Marozia, che s'era trascinata in carcere fino all'età di novantaquattro anni."

"Ma anche Gregorio qualcosa di buono fece." Intervenne Sua Santità.

"Cosa?" domandò accigliato Quello al dubbio che qualche dettaglio sfuggisse alla Sua onniscienza.

"Consacrò Erluino a vescovo di Cambray e sospese molti vescovi che tralasciavano i propri doveri."

"Mi stai forse criticando perché a mia volta avevo tralasciato di sospendere lui? Non saprei darti torto, perché Gregorio il proprio dovere lo confuse sempre con l'arbitrio. Per questo andava sospeso, certo, ...e anche molto in alto! In quanto al tuo oscuro Erluino, l'ho sistemato nei banchi dell'ultima fila. Ma, secondo te, avrei dovuto avere pietà di Gregorio proprio per la consacrazione di questo Erluino?"

"Oddio..."

"Non nominare il mio nome invano!" lo interruppe Quello burbero.

"E' un intercalare, Eterno," giustificò Sua Santità. "Dicevo oddio, pietà forse è esagerato... Erluino era un povero Cr..." si trattenne per tempo e cercò di divagare. "Signore, non stai mica chiedendo il mio parere?"

"Infatti no! Fuoco eterno decretai e fuoco eterno sia!" suggellò con parole di fuoco.

Poi riprese il filo:

"Tutte le cariche ecclesiastiche erano ottenute a prezzo di danaro e con il tradimento. Così fecero Benedetto VIII e suo fratello Giovanni XIX, entrambi pontefici della famiglia degli Alberici di Tuscolo."

Il Suo volto a questo punto s'intenebrò e quando ricominciò la voce Gli s'incavernì:

"Alla stessa famiglia apparteneva quella coda del maligno che fu Benedetto IX. Quando fu nominato papa, nel 1032, aveva nove anni. Quel miserabile sguazzò nell'immoralità dall'inizio alla fine del suo pontificato, ebbe a commentare quel mio devoto Pier Damiani, parlando di lui.

"Appena pochi anni dopo l'elezione, Benedetto aveva offuscato ampiamente in efferatezze i peggiori predecessori. Era Belial stesso, signore delle tenebre, vestito dei paramenti sacri. Visse nella dissolutezza più abietta e dedito ai vizi più raccapriccianti. In molti tentarono di farlo fuori per gli omicidi e le violenze commesse, ma egli riuscì regolarmente a sfuggir loro e a rifuggiarsi nei castelli della nativa Tuscolo. In una delle sue assenze fu eletto Silvestro III, ma quel seme di Satana ritornò sul trono con la forza delle armi.

"Poi si decise ad abdicare. Lo convinse una cugina, della quale s'era invaghito, il cui genitore, Gherardo de Saxo, diede il consenso alle nozze a patto che rinunciasse al pontificato. Ma ancor più convincente fu un tal Giovanni Graziano che gli comprò il triregno. Graziano, simonia fatta carne, divenne quindi pontefice con il nome di Gregorio VI."

"Fu però un buon cristiano" reagì sollecitamente Sua Santità.

"Il segno di croce con cui Gregorio firmava i documenti della chiesa non testimonia che fosse un buon cristiano, ma solo che era uno zotico. Infatti l'unica cosa che in lui richiamava la semplicità originaria del cristianesimo era l'analfabetismo completo che fu anche dei pescatori galilei, compagni di mio Figlio.

"Ma torniamo a Benedetto. La sua assenza da Roma non durò molto. Dopo aver assassinato due o tre papi, che nel frattempo erano stati nominati dalle fazioni in lotta, egli rioccupò la sede apostolica, ma ne fu cacciato dalle soldatesche imperiali e finalmente scomparve dalla scena."

"Però, superata la fase della sua alienatio mentis si riscattò forse di tutte le macchie. Senza contare che aveva canonizzato Simone, monaco di Siracusa" tentò di riparare Sua Santità. "Verso la fine dei suoi giorni non perdeva una messa, divenne seguace di san Nilo e si ritirò in preghiera nel monastero di Grottaferrata..."

"Questo c'entra come Pilato nel Credo. Ad ogni buon conto, quelle preghiere Benedetto non le ha rivolte a me. Forse a Belial suo compagno di crapula. E, in ogni caso, per questo ritiro, secondo te, io avrei dovuto farlo accomodare in paradiso, magari nella tribuna d'onore? Tu, uno così te lo saresti lasciato entrare in casa?"

"Beh, non dico questo, ma Tu che sei misericordioso e perdoni fino a settanta volte sette..."

"La sola cosa buona che fece quell'essere immondo fu quella di morire ed essere sepolto all'inferno, ma ci dovetti pensare io, va da sé, e in ogni caso lo feci tardi. Sta bene dove sta e non lo muovo. Ci resterà per l'eternità e non sono certo che l'eternità mi basterà per punirlo fino a settantamila volte sette!" bollò Quello più spietato che impietoso.

"Non intendo farTi recedere dalle Tue decisioni, Eterno, ma in una visione complessiva si deve ammettere che quello fu un periodo nero. Un periodo di profonda insicurezza della Chiesa. Essa fu distratta del falso bisogno di un potere temporale, fu vittima dell'ingordigia degli uomini e delle influenze nefaste di famiglie autorevoli, assetate solo di ricchezza e di potere. Radix omnium malorum est cupiditas, scrive san Paolo nella I Lettera a Timoteo. Ma, come si dice, a barca disperata Dio trova porto. E così è sempre stato."

"Autorità e ambizioni di egemonia sono stati l'obiettivo della chiesa fino al 1870. Ci sono volute le cannonate di Porta Pia e i bersaglieri di Cadorna per far desistere Pio IX dalla sua libido dominandi, la bramosia del potere ereditata dai suoi predecessori, dopo aver perso la quale, questo stesso pontefice scoprì di essere diventato infallibile."

"Eppure, la Chiesa non ha mai smarrito l'ideale della sua missione, pur fra tante tribolazioni e misfatti..."

"Sì, stringendo alleanze con i potenti della terra e invocandone l'aiuto militare per debellare i nemici del momento, ma prossimi a diventare gli alleati di domani. Questa era la missione in cui credevano pontefici pronti a dichiarare guerre, a mettersi essi stessi a capo di eserciti, a combattere con le armi in pugno, a covare tradimenti e aizzare l'un contro l'altro i prìncipi della terra. I destini di popoli interi erano nelle mani di forsennati, divorati dall'ambizione e indifferenti alle sofferenze che provocavano..."

"Lo scopo della guerra è quello di ristabilire la pace" osservò Sua Santità con un suo bizantinismo.

Due pieghe di dolore si disegnarono ai lati del volto di Quello, mentre emetteva un sospiro di amarezza.

"L'abuso di un potere sconfinato è stato il più duraturo delitto della chiesa. E il delitto è tanto più grave, perché quel potere è derivato da Chi in vita non ne ebbe mai alcuno" constatò tra Sé e Sé con sconforto.

"Nel Tuo nome," cercò di fuorviarLo Sua Santità, orientandoLo verso considerazioni meno dolorose, "la Chiesa ha espresso campioni di fermezza che hanno messo in ginocchio i signori della terra: sovrani boriosi che pretendevano di dettar legge sulle cose Tue. Il primo di questi campioni fu, al tempo della lotta delle investiture, Ildebrando di Soana, papa Gregorio VII. Egli proclamò il principio della Libertas Ecclesiae e si batté perché le nomine ecclesiastiche e dei pontefici avessero luogo per anulum et baculum e non più per sceptrum..."

Non l'avesse mai detto. Quello scurì in volto nuovamente e, infaticabile, riprese a discettare:

"Il gracile Gregorio VII, pupillo di quel Gregorio VI che con segni di croce al posto della firma spacciava per devozione il suo analfabetismo, si distinse per tutto il tempo del suo pontificato, dal 1073 al 1085, solo per una maggiore inflessibilità, ma accettò lo stesso compromessi con le autorità secolari, come tutti gli altri vescovi di Roma. Cambiò soltanto interlocutore: invece dei re sassoni e franconi, preferì i signori della Toscana e del sud italiano.

"Il suo fine era la supremazia del pontefice e combatté con tutti i mezzi perché essa fosse riconosciuta. Dunque trattava per sé, non per me. Distribuì scomuniche a mo' di scudisciate. Umiliò Enrico IV a Canossa e lo scomunicò in seguito tre volte ancora. Due volte scomunicò Roberto il Guiscardo e una volta Boleslao di Polonia. Ma sarebbe lungo elencare i nomi di tutti i prìncipi e di tutti i vescovi che egli interdisse. Armò braccia omicide contro i re della terra, aizzò i sudditi contro i signori, scagliò anatemi su popoli e su città, fulminò censure a quanti erano avversi alla sua volontà, fino a quando quella sua supremazia fu da tutti riconosciuta."

Si arrestò per un attimo e chiuse gli occhi, mentre traeva un respiro rumoroso. Sua Santità s'inserì pronto e pietoso e tentò di rimediare:

"Gregorio dovette affrontare infidi nemici in una lotta senza quartiere, per la vittoria della Chiesa e perché essa non divenisse strumento al servizio dell'impero, di prìncipi astuti, di feudatari feroci e di un clero scismatico e corrotto. Enrico IV conquistò Roma due volte e profanò il tempio di san Pietro. Gregorio fu deposto a più riprese, ma grazie alla sua forte personalità religiosa, alla sua fermezza e al disprezzo di lusinghe e sotterfugi, la Chiesa fu salva e con essa il nome di Cristo.

"Per aver amato la giustizia e odiato la colpa, come ebbe a dire prima di spirare, finì mestamente i suoi giorni lasciando in retaggio al mondo il messaggio di fede negli ideali spirituali cui aveva dedicato la sua esistenza."

"E non ricordi che a caratterizzare quella lotta furono le violenze più inaudite, gli incendi, le devastazioni, gli assedi interminabili, seguiti da stupri, da massacri sanguinosissimi e da epidemie? Questo, a parer tuo, Gregorio consentiva per difendere il nome di Cristo? Non era contro Cristo che il cristiano Enrico IV combatteva, ma contro un pontefice autoritario. Scomunicando l'imperatore, il vescovo di Roma scioglieva automaticamente i sudditi di quello dal dovere di obbedienza e scatenava la guerra civile. Ma che valore avevano per il papa le vite umane! Le orde normanne, invocate da Gregorio, corsero a difenderlo e lui soltanto difesero e salvarono dall'ira dell'imperatore.

"Dopo aver saccheggiato Roma, dopo averla ridotta ad un ammasso di detriti, dopo aver trucidato barbaramente la popolazione inerme, avversa al papa e dopo aver profanato Cristo sugli altari, quelle stesse orde si disputarono con tanto accanimento il bottino, che si dovette combattere ancora per separarle."

La voce di Quello era cupa di un'ira brumosa e incalzava con foga:

"Dopo tanto sfacelo, Gregorio, per te, è il salvatore di Cristo? Ti rammento - e vedo che ce n'è bisogno - che Cristo è morto sulla croce, Gregorio nel suo letto, di vecchiaia. Cristo s'è immolato per i peccati del mondo, Gregorio s'è battuto per il proprio orgoglio e tutto quello che ha immolato sono povere vittime, ignare delle sue trame, sull'altare della propria arroganza. Cristo perciò è solamente un pretesto nell'azione di Gregorio. E hai l'audacia di chiamare forte personalità religiosa ciò che ha il nome di superbia e di mancanza di scrupoli?

"I ventisette articoli del Dictatus papae di questo pontefice sono la summa della sua protervia: solo il romano pontefice è universale..., solo lui può usare le insegne imperiali..., lui solo può deporre gli imperatori..., il papa non può essere giudicato da alcuno..., la Chiesa non ha mai errato e mai errerà fino alla fine dei tempi..., solo la Chiesa può sciogliere i fedeli dalla fedeltà ai sovrani..., il papa è indiscutibilmente un santo...

"La malvagità è aliena dalla mia volontà, sempre, anche se Gregorio mi attribuì l'ispirazione di queste iniquità. Egli, è vero, riuscì a stabilire che le nomine dei vescovi e le loro deposizioni sarebbero state sancite dall'anello piscatorio e dal bastone di Pietro, come dici tu, e non più dallo scettro di un sovrano. Questo però solamente per fare affidamento su persone a lui devote, persone di cui servirsi per il controllo di domini temporali rivendicati ovunque, con pretese talvolta legali, mai in ogni modo legittime, dalla Corsica all'Ungheria, dalla Dalmazia alla Spagna.

"Quest'intento Gregorio perseguì con impeto forsennato e imponendo l'obbedienza con un'alterigia che nulla ha di cristiano. Piegò i sovrani alla sua tirannica fierezza costringendoli ad implorare clemenza e pietà, in ginocchio ai suoi piedi, e soltanto allora, con sottile arte politica e ipocrita magnanimità, fingeva di sciogliere i vincoli dell'anatema e di concedere il perdono cristiano.

"Gregorio lasciò dietro di sé solo rovine materiali e spirituali insanabili. Questa fu la sua eredità. E dopo tanto obbrobrio me lo avete anche santificato, confidando in una mia distrazione. Ma infine fece i conti con me, e ti assicuro che non quadrarono. Sono dieci secoli che lo tengo d'occhio: un uomo di tanta ambizione e arroganza è pericoloso in terra, in cielo e in ogni luogo."

E respirò finalmente dopo questa lunga tirata.

"Eppure, con Gregorio" replicò Sua Santità, "la Chiesa si risollevò. I princìpi autoritari dei quali questo pontefice è accusato erano i princìpi diffusi del suo tempo. Gregorio vinse difendendo una concezione spirituale e la causa della cristianità, contro una visione di supremazia laica del mondo, contraria alle sue convinzioni."

"Che c'era di spirituale in questa vittoria?" rimbeccò Quello prontamente. "Era questa l'affermazione delle leggi della carità e dell'umiltà alle quali la chiesa avrebbe dovuto richiamarsi? Niente affatto, era soltanto il trionfo della superbia su un'autorità altrettanto superba. E ti ricordo un'altra volta che il solo regno che mio Figlio predicò era quello eterno: il mio regno. Furono proprio i criteri che Gregorio era riuscito a far valere quelli ai quali la chiesa successiva si rifece, senza che nulla fosse riformato al suo interno, ma solo per affermare le sue brame, per vincolare l'uomo alla sua prepotenza, per bollare d'infamia e colpire inesorabilmente chi non riconosceva la mia ispirazione nella sua alienazione sanguinaria. La simonia, infatti, continuò ad imperare sovrana, come tutte le altre degenerazioni, anche se ufficialmente condannate."

S'interruppe per un momento, raddrizzò il triangolo sul capo con entrambe le palme e attaccò inarrestabile:

"Sisto IV, con quindici nipoti da sistemare, ai quali distribuì senza lesinare onorificenze e cappelli rossi di cardinale, fu la peggiore incarnazione del mercimonio delle cose sacre. Non ebbe idea di come risparmiare danaro, ma ne ebbe una, a suo modo geniale, per farne molto. E di danaro aveva urgente bisogno per far fronte alle stomachevoli prodigalità e alle orge di tanto parentado. Pensò che con la dottrina del purgatorio si potessero far soldi a palate. E non sbagliava.

"Ora, tu sai che il purgatorio io non l'ho mai istituito..."

"Il purgatorio, Tu non l'avrai istituito, ma è necessario. E' uno stato transitorio di espiazione di peccati. Peccati veniali, s'intende, da cui ci si redime con pene temporanee. Dove sarebbero la coerenza e l'equità della Tua giustizia se alla colpa non seguisse la pena? San Tommaso insegna che mentre la colpa è espiata dopo la morte, la pena si affronta nel purgatorio. L'utilità dei suffragi a favore dei defunti era stata messa in evidenza dal Concilio di Lione del 1274 e da quello di Firenze del 1439. Essi riconobbero le opere caritatevoli dei vivi a favore dei defunti. Attraverso queste opere le anime beneficiano di una riduzione della pena..." provò a rattoppare con puntiglio Sua Santità.

"Io non ho progettato nessun purgatorio e non ho ispirato nessuna delle dottrine che tu stai evocando" dissentì Quello. "Io ho solo parlato di grazia, di salvezza per grazia mia, concessa a chi ha fede in me. Oggi sarai con me in paradiso! furono le parole di mio Figlio sulla croce a Dismas, uno dei due condannati con Lui. E io non mi sono mai sentito di venir meno a quella promessa.

"Ad ogni buon conto, il tuo Sisto decise che le anime dei dannati potevano essere liberate a pagamento, o se ne poteva abbreviare il soggiorno in purgatorio contro pagamento. Abbreviare però significa poco quando non si conosce la durata della pena. Equivale a sottrarre un tempo noto da un totale ignoto. Quest'ignoranza del periodo di detenzione obbliga i vivi a pagare in perpetuo. In questo consiste la diabolica trovata di Sisto.

"Qualcuno, già a quel tempo, rilevò che il pontefice era un uomo spietato e indegno se, avendo il potere di liberare un'anima dal fuoco del purgatorio, non lo faceva fino a quando non avesse ricevuto il dovuto per il riscatto.

"Per quel che mi riguarda, io sarei diventato, sempre per decisione di Sisto, il suo guardiano di fiducia di questo purgatorio. Sempre pronto al suo comando a rilasciare o a far avanzare le anime di quelli per i quali aveva intascato il prezzo della liberazione."

"Nondimeno Sisto fu un vero difensor fidei" cercò di accomodare Sua Santità, "perché, nel 1482, ratificò la condanna dell'eresia."

"Sì, fai bene a ricordarmi ancora l'abominio dell'Inquisizione" folgorò come una saetta la voce di Quello.

"Tuttavia l'Inquisizione non era il male, ma lo strumento che doveva combatterlo. Essa nasceva proprio dal bisogno di difendere la purezza della fede con azioni preventive ed eventualmente repressive contro gli eretici."

"La storia della Chiesa e la storia dell'Inquisizione sono tutt'uno. Il modello fu l'atteggiamento anticristiano di alcuni imperatori romani. Ma, chiuse le catacombe, la chiesa assunse sùbito l'habitus della tracotanza violenta propria di quegli imperatori, in nome di una verità che era solo di parole. Gradualmente, quella stessa chiesa andò affinando gli strumenti con i quali la linea repressiva doveva essere espressa e, con il III Concilio Lateranense del 1179, sancì la giustezza della lotta all'eresia, perché fosse preservata la cosiddetta fede.

"Un bel velo di parole dietro cui si mascherava l'arbitrio demandato a tanti zelanti ecclesiastici, generalmente domenicani, affiancati dal braccio secolare, per la sola salvaguardia degli interessi del pontefice. Soltanto nel 1483, anno della sua entrata in carica, il grande inquisitore di Spagna, Tommaso di Torquemada, processò diciassettemila persone delle quali duemila furono arse vive. Quella follia provocò tante vittime che ancora non ho finito di contarle, a partire delle prime migliaia in Andalusia; innocenti e colpevoli tutti torturati e sgozzati alla stessa maniera..."

"Gesù aveva annunciato che il grano si sarebbe confuso con il loglio."

"Non era a questa folle invenzione che Egli si riferiva. Mio Figlio s'era immolato per tutta l'umanità e Sisto credette di ricambiarGli il favore immolandoGliene una parte. Sguazzava nel crimine fino alla mitra, disse di questo pontefice un contemporaneo che aveva osato aprire gli occhi, ma giusto quel tanto per non correre rischi. Straordinario concentrato della malvagità umana, quel Sisto avrei dovuto cancellarlo dal mio libro molto prima. Ammetto di essermi distratto" riconobbe candidamente.

"Come vorrei annullare dalla storia del tempo gli eccessi cui condusse l'aberrazione dell'Inquisizione!" esclamò poi combattuto fra pietà e imparzialità. Ma la ridda degli eventi di quella catastrofe doveva premere dentro di Lui e quasi costringerLo ad evocarli.

"Ma ho tutto scritto qui!" sbottò dopo, battendosi più volte la mano aperta sulla vasta fronte che ne rimbombò. Il triangolo gli tremolò per un momento sulla corona dei capelli, mentre il Suo sguardo penetrava furente la coscienza di Sua Santità. "Di quei protagonisti di tanto sterminio, nel giorno del giudizio, farò cenere e fumo per l'eternità!" s'impegnò solenne.

"Combattere l'eresia era sentito come il dovere primo della Chiesa cui ogni cattolico doveva concorrere. Gli inquisitori agivano invocando il nome di Tuo Figlio e Lo ringraziavano cantando in Sua lode il Te Deum! Accecàti dal fanatismo, essi credevano di mostrarGli devozione eliminando quegli eretici adoratori di Satana" cercò intanto di giustificare Sua Santità.

"Gli dedicavano delle vittime propiziatorie, insomma! Creatura blasfema!" lo redarguì Quello. "L'usanza dei sacrifici umani l'abbiamo cancellata da tempo nelle abitudini di famiglia. Mio Figlio non c'entra con gli abomìni dei cristiani. Quello poi sarebbe stato il modo per combattere l'eresia? No! Quello non era combattere: era perseguitare... schiacciare... estinguere..." modificò man mano al crescere del Suo ardore.

"Quello della tua chiesa fu il più barbaro dei crimini contro il genere umano, un crimine che dal 1231, anno in cui Gregorio IX ufficialmente la istituì, l'Inquisizione andò progressivamente attecchendo ed estendendosi come una piaga purulenta. Ed ancor più incupì nei secoli, da quando Innocenzo IV, nel 1252, con la bolla Ad Extirpanda, introdusse a sua volta la tortura come metodo per ottenere le confessioni degli inquisiti. Mai prima l'uomo era pervenuto ad aberrazioni così devianti nel nome mio.

"E come posso dimenticare, pur appellandomi a tutta la mia capacità d'indulgenza, l'accanimento da delirio di quei domenicani spagnoli contro Elvira del Campo?"

"Ricordo quel triste evento" ammise Sua Santità apparentemente contristato.

"Nel 1568, a Toledo," riprese Quello, e la Sua voce era un sospiro, tanto sembravano turbarLo quei ricordi, "fu intentato contro di lei un processo per eresia. Quella poveretta era sospettata di simpatie verso il Giudaismo."

"Ma era di origini ebraiche, ...lo so, questo non giustifica..." si destreggiò ed emendò sùbito Sua Santità.

"Era ebrea soltanto perché non mangiava carne di maiale e usava cambiare la biancheria di sabato! Anche mio Figlio era ebreo e preferiva il pesce alla carne di maiale. La tua chiesa, che pure L'ha torturato in mille modi, non l'ha mai fatto per le Sue abitudini alimentari. Quella donna fu sottoposta alla tortura dell'acqua: ne dovette ingurgitare litri e litri, a goccia a goccia, attraverso una pezzuola ficcata in gola, fin quasi a morirne soffocata..."

"Tuttavia quel tribunale riconobbe l'innocenza di quella povera donna..."

continua >>>