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François
Rabelais nacque nel 1494 ('96?) nei pressi di Chinon.
Studiò legge e teologia e, nel 1520, si fece frate francescano.
Negli anni successivi, attorno a lui e ad un altro monaco, Pierre
Amy, si creò una sorta di cenacolo umanistico nel quale si
reputava fondamentale lo studio dei classici; ma un decreto della
Sorbona del 1525 vietò ai religiosi l'uso e la lettura di
testi greci.
Rabelais, trasferitosi a Parigi, continuò tuttavia i suoi
studi ed ebbe due figli dalla relazione con una vedova; esercitò
tra l'altro la professione di medico per l'ospedale pubblico di
Lione. Costretto a fuggire dalla Francia a causa dell'affare dei
plaquards (manifesti) affissi a Parigi ed Amboise contro la Chiesa
romana, si rifugiò in Italia.
Nel 1542 pubblicò insieme i due libri di "Gargantua
e Pantagruele" che furono immediatamente condannati dalla
Sorbona; la stessa sorte toccò anche al "Terzo libro
di Pantagruele", a causa del quale l'autore rischiò
l'arresto.
Morì a Parigi nel 1553, forse in un convento.
Rabelais si rivela un autore affascinante non solo per la sua vita
movimentata, ma soprattutto per l'originalità della sua opera,
nella quale affiorano gli argomenti principali dell'Umanesimo: il
rifiuto della cultura e del modo di pensare del passato recente,
l'esaltazione della fisicità, la conoscenza del mondo classico.
Ma in Rabelais appare anche qualcosa di più: dalla sua minuziosa
ed attenta descrizione della cultura popolare (mai esclusivamente
da erudito, ma da soggetto partecipe), emerge ciò che un
grande teorico del romanzo, il russo Bachtin, chiamò "bivocalità",
ossia la capacità di far trasparire dallo scritto il non
scritto, di evocare dalle pagine la complessità ed il pensiero
della società "bassa" a lui contemporanea.
Note biografiche a cura di Maria Agostinelli.
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