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Ferdinando Paolieri nacque a Firenze il 2 maggio 1878.
Spirito irrequieto e sempre alla ricerca di una propria strada, sperimentò differenti forme d'arte, dalla pittura alla poesia, alla novellistica, al teatro. Rifiutò la comoda strada dell'avvocatura, caldeggiata dal padre, preferendo la vita da bohemien dell'ambiente dei macchiaioli toscani, specialmente sotto l'influsso del Fattori. La sua vocazione per la pittura, rafforzata dal successo di due sue tele esposte a Monaco nel 1903, si concretizzò con l'apertura di uno studio da pittore a Firenze assieme ad altri amici che avevano condiviso fino a quel tempo la sua vita libera.
Ma presto si dedicò più compiutamente alla scrittura e già nel 1908 compose la sua prima opera, il poemetto in ottave, Venere agreste, ispirato alla sensualità pastorale di cui già si era fatto portatore il D'Annunzio e che rappresenta l'unico cedimento del Paolieri alle mode e correnti del suo tempo. Infatti questo autore restò sempre fuori dalle mode letterarie del primo Novecento (futurismo, realismo magico, parnassianesimo, ecc.). Egli mantenne quasi costantemente la sua opera nel solco della tradizione della letteratura regionale, che in quegli anni era segnato soprattutto da Fucini.
Dapprima appassionato anticlericale, fondò a Siena nel 1913 con Federigo Tozzi e Domenico Giuliotti il settimanale "La Torre", che si autodefinì «organo della reazione cattolica». Partecipò alla prima guerra mondiale distinguendosi per atti di valore.
Aveva già iniziato la sua attività di novelliere con i racconti di Scopino e le sue bestie (1911). Nello stesso anno di fondazione de "La Torre" pubblicò le Novelle toscane (1913), e successivamente le Novelle Selvagge (1918), le Novelle incredibili (1919), Uomini, bestie, paesi (1920), Novelle per soldati (1926), Novelle agrodolci (1925): tutti bozzetti ricchi di vivacità e sapore, ma volutamente limitati da un ambito di provincialità. Lo stesso carattere hanno i romanzi: Storia di un orso e di una gatta (1921); Natio borgo selvaggio (1922), che è giudicata la sua opera più matura e interessante; La maschera celeste (1922); I fuggiaschi (1924); Amor senz'ali (1928): serie di quadretti, di scenette, non privi di argutezza e di vigore di linguaggio, nonché di sapiente dosaggio dei sentimenti.
Fu per lunghi anni redattore de "La Nazione", su cui tenne la rubrica letteraria e drammatica.
Tutta l'opera di Paolieri si situa nell'ambito di un tenace conservatorismo letterario e culturale di tradizione toscana, da cui egli riprende il gusto per una lingua ricca di compiacimenti dialettali, di ornamenti, di preziosismi, e la misura del bozzetto, descrittivo o narrativo, sullo sfondo di paesaggi e di contorni descritti con compiacimento come primitivi e selvaggi: la maremma, l'Isola del Giglio, l'Impruneta. Ma quello che gli manca è un tessuto fantastico che lo porti su un piano letterario diverso da quello, limitato, delle personali esperienze.
Paolieri scrisse pure per il teatro, in lingua e in dialetto; tra le opere si ricordano le commedie I' pateracchio (1910), in vernacolo chiantigiano molto arguto e felice, rappresentata nel 1911 dalla compagnia Niccóli; Il chiù (1911); Gli antidiluviani (1912), scene maremmane piene di colore rusticale; e infine il dramma religioso La mistica fiamma (1927), dedicato a S. Caterina da Siena. In collaborazione con Giovacchino Forzano scrisse Stenterello e il granduca.
Fu pure librettista di operette: La marchesa nuda (1912, per R. Leoncavallo); Bacco in Toscana.
Morì a Firenze nel 1928.
Fonti:
- Giulio Bucciolini, Ferdinando Paolieri, Firenze 1921.
- Mario Puccini, Scrittori di ieri e di oggi, Napoli, Guida, 1933.
- Silvio D'Amico, Il teatro italiano del Novecento, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli 1933.
- Luigi Ugolini, Ferdinando Paolieri, trent'anni dopo, in «Nuova Antologia» XI 1959.
- Albani-Vacca (a cura di), Ferdinando Paolieri. Atti del convegno di studio. Vita e Opere. Impruneta 27-28 maggio 1988. Bologna, Printer, 1991.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti.
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