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Martello, Pier Jacopo

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Pier Jacopo Martello fu un arcade intelligente (col nome di Mirtilo Dianidio). Arcade peraltro fino al midollo, nei pregi e nei limiti.

Nacque a Bologna nel 1665. Insegnò eloquenza all'Università e fu segretario maggiore del senato. A Bologna morì nel 1727.

Scrisse saggi e versi, fra i quali sono state ripubblicate (una trentina d'anni fa) le Rime per la morte del figlio. Ciò che lo impegnò maggiormente fu il teatro, cui si dedicò vagando fra tutti i generi con spirito enciclopedico, col programma di dotare la scena italiana di un repertorio in grado di affrancarla da quello francese. Fra il 1697 e il 1725 compose trentacinque lavori. Tragedia, commedia, commedia eroica, tragicommedia, dramma, dramma sacro, melodramma, pastorale, oratorio, favola marittima, favola pescatoria, ditirambo, farsa, satira, dialogo "atto a rappresentarsi", burattinata.

Volle inventare un verso che entrasse in competizione con l'alessandrino del teatro francese: era fiducioso che la metrica fosse di per sé un valido aiuto a rendere la scena più efficace. Il verso martelliano di sua invenzione, che gli fu ingenerosamente rimproverato, fu pressappoco un'invenzione tipografica: due settenari stampati su una sola riga, ricavandone quattordici sillabe con forte cesura, a rima baciata. Lo stesso Starnuto di Ercole è scritto in martelliani; per quanto, in omaggio ai personaggi lillipuziani, solo Ercole allinei quattordici sillabe per riga; per gli altri, il tipografo ha istruzione di andare accapo per ogni settenario, rimati i versi pari.

Tutto ciò illustra piuttosto le pecche che i pregi di Martello. Ed egli s'intestardì a scrivere tragedie, perché gli parevano importanti, benché fossero remotissime dal suo temperamento placido e ragionativo. Le doti di fantasia e di sensibilità s'illustrano da sé nella sua bambocciata, che nel panorama non troppo ampio del teatro italiano occupa un suo posticino bizzarro, con decoro e delizia dei lettori o spettatori non troppo "ragazzini".

Note biografiche a cura di Serafino Balduzzi.


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Gli e-book (istruzioni e licenze)

titolo: starnuto di Ercole (Lo)
e-text del: 5 febbraio 2002
leggi subito: PDF
download: RTF + ZIP TXT + ZIP
note:

I testi del teatro delle marionette non sono ampiamente documentati, e non destano l'attesa di vette letterarie. Lo starnuto di Ercole (1717) sarà magari il tetto di questo piccolo mondo, vasto quanto un giardino. Ercole càpita nel Paese dei Pigmei e ne mette in ebollizione passioni e manie. Le signore s'innamorano, i signori s'ingelosiscono, i politici tramano, i traditori complottano, i soldati sognano la preda sterminata. Alla fine, quando quello sciame di moscerini muove all'assalto, a Ercole viene da starnutire, e li disperde ai quattro venti. Pier Jacopo Martello, l'autore, presenta il testo come "una bambocciata".

Non è un genere letterario, ma pittorico. Pieter van Laer, il Bamboccio, olandese ma attivo a Roma nella prima metà del Seicento, si specializzò in quadretti di genere con personaggi popolari o furfanteschi, in contrasto con la pittura ufficiale barocca. Il richiamo al genere promette vicende semplici, personaggi buffi e linguaggio corrente. Anche la speciale applicazione a un universo nano trova riscontro nella pittura. Se si volesse illustrare adeguatamente Lo starnuto, se ne ritroverebbero clima, colore e gusto nelle bambocciate di Enrico Albrici, bergamasco, dipinte nella seconda metà del Settecento; egli non ha illustrato direttamente il testo teatrale, ma è probabile che lo conoscesse.

Carlo Goldoni racconta d'aver messo in scena Lo starnuto a Vipacco nel 1726, per un'allegra compagnia. «Scommetterei di essere stato il solo che abbia immaginato di mettere in scena la bambocciata del signor Martello». Non è probabile che restasse un caso isolato, per quanto sia difficile accertarlo: il teatro delle marionette difetta di cronache. È rimasta traccia di un'esecuzione al Teatro San Girolamo di Venezia, nel carnevale del 1746, «dedicato a tutti li Ragazzini dell'uno e dell'altro sesso», giusto perché il testo venne adattato a "dramma per musica" (nel senso che gli attori davano voce alle marionette cantando dietro le quinte).


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