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Marchesa Colombi è lo pseudonimo letterario di Maria Antonietta Torriani. Nata a Novara nel 1846, in seguito al matrimonio con Eugenio Torelli Violler, fondatore e primo direttore del Corriere della Sera, si stabilisce a Milano, dove continua a vivere anche dopo la separazione dal marito.
Attiva frequentatrice degli ambienti letterari, si interessa in particolare alla riflessione sui contenuti e sulle forme veristiche del romanzo.
Si impegna sin dal 1870 nel movimento femminile lombardo - che vede tra le sue massime esponenti Anna Maria Mozzoni - soffermandosi in particolare sull'analisi delle condizioni del lavoro femminile, tema che traspone in parte nei suoi testi. La vena di ironia pariniana, cui allude anche la scelta dello pseudonimo, si coniuga felicemente infatti, in alcune sue opere, come in In risaia, edita da Trevers nel 1878, oppure in Un matrimonio in provincia, pubblicata nel 1885 dalla casa editrice Galli, con un impegno sociale polemico e fortemente sentito.
Pur nella diversità dei risultati stilistici, i suoi testi sono caratterizzati sempre da una forte capacità comunicativa, che la tonalità ironica e a tratti sarcastica , così rara nella nostra tradizione letteraria - e quasi inesistente nella produzione delle scrittrici tardo ottocentesche - rende in molti casi altamente originali. Muore a Milano nel 1920.
Le opere
I testi di Marchesa Colombi rivelano una predilezione per le tematiche care al verismo, le quali vengono analizzate in alcuni casi in relazione alle problematiche sollevate dalla nascente "questione femminile" (sono gli anni del primo femminismo): nel romanzo In risaia, per esempio, l'analisi della dura vita dei campi è svolta attraverso la vicenda della protagonista Nanna, che perde i capelli in seguito alle febbri contratte durante la mondatura del riso.
Nelle opere della scrittrice è inoltre centrale il tema amoroso, indagato come caratteristica propria dell'immaginario femminile, motivo che però assume forme diverse in rapporto al contesto sociale in cui è inserita la protagonista: mentre Nanna, contadina, pur non dichiarando esplicitamente il suo amore a Gaudenzio, civetta con lui fino al momento in cui la perdita della bellezza e le offese verbali dell'antico amore non la fanno rinchiudere in un silenzio ostinato e rancoroso, Denza, protagonista di Un matrimonio in provincia, appartenente ad una famiglia proprietaria di terre seppur non benestante, consuma la giovinezza in appassionati "scambi di sguardi" con Onorato, illudendosi di esserne la fidanzata finché il ragazzo invece non sposa un'altra.
Le novelle presentano storie di profili differenti: Scene nuziali, raccolta edita dalla casa editrice Roux e Favale nel 1877, contiene un racconto umoristico e quasi surreale, Un velo bianco, dove il tema della novella sentimentale è riletto attraverso una mordace ironia; una vicinanza ai motivi della Scapigliatura si ritrova invece in Cavar sangue da un muro - presente nella raccolta Racconti di Natale del 1878 - in cui si narra la storia di un anziano emarginato e solo che alla fine vede, durante un accesso di follia, un muro gettare del sangue, o anche in Curare, novella raccolta in Cara Speranza del 1896, che narra la vicenda dello spirito di un uomo, da poco morto, rimasto imprigionato nel corpo ormai cadavere.
Anche nei racconti, inoltre, è possibile rinvenire la costante attenzione della scrittrice per la vita delle donne a lei contemporanee: in Storiella pedante, contenuta nella raccolta Scene nuziali, è presente il motivo tematico della "zitella", che si ripete anche in In risaia e in Un matrimonio in provincia, elemento che testimonia una riflessione non occasionale intorno ai modelli e ai tabù sociali dominanti coercitivi verso il soggetto femminile; nella stessa novella, inoltre, troviamo la figura di Odda, lavoratrice "d'arte" perché pittrice.
Marchesa Colombi è anche raffinata e divertita compositrice di un piccolo galateo, La gente per bene, pubblicato nel 1877, ed autrice di un saggio, Della letteratura nell'educazione femminile, edito nel 1871, che approfondisce la questione della lettura e della cultura come elementi di un percorso di formazione al femminile.
Si dedica inoltre alla letteratura per l'infanzia, producendo opere come I più cari bambini del mondo, del 1882, I bambini per bene a casa e a scuola, del 1884, I ragazzi d'una volta e i ragazzi d'adesso, edito nel 1888, e Il piccolo eroe, del 1890.
Per il teatro scrive nel 1882 due testi, La creola, in collaborazione con Eugenio Torelli Violler, e Il violino di Cremona.
Note biografiche a cura di Sonia Riosa.
Se noti errori di qualsiasi tipo, per favore segnalaceli tramite la pagina "segnalazione degli errori". |
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Gli e-book (istruzioni e licenze)
titolo: |
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gente per bene (La) |
e-text del: |
2 gennaio 2001 |
leggi subito: |
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download: |
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note: |
Si ringrazia la casa editrice Interlinea che ci ha messo a disposizione una copia dell'opera.
La Gente per bene, leggi di convivenza sociale è un piccolo galateo, dedicato in modo privilegiato alle donne, scritto dalla Marchesa Colombi (pseudonimo, tratto da una commedia di Paolo Ferrari, di Maria Antonietta Torriani Torelli Viollier) e dato alle stampe la prima volta nel 1877, a Torino. In quegli anni la Marchesa Colombi collaborava a diversi giornali e riviste, come opinionista esperta di moda e buone maniere (La Gente per bene è stato pubblicato dal Giornale delle donne!). Si tratta, come sostiene l'autrice nella prefazione «Agli editori» contenuta nell'edizione del testo del 1891, di «leggi di cortesia messe giù alla buona in meno di un mese», che ebbero subito un notevole successo.
Il libro è suddiviso in sei parti, rispecchianti sostanzialmente il ciclo della vita della donna (si va dalla “bambina”, alla “signorina”, alla “signora” alla “vecchia”), articolate a loro volta in capitoli che toccano varie altre figure sociali (dalla “sposa” alla “mamma”, alla “zitellona”). Il testo rappresenta un tipico esempio della cifra stilistica della scrittrice: il periodare è asciutto e ironico, pervaso da uno humour leggero, e va ben oltre gli stereotipi narrativi dei galatei di tutti i tempi; vi sono annotati i cambiamenti avvenuti nella borghesia italiana, arrivando così il libello a trasformarsi in una vera e propria analisi della società ottocentesca di fine secolo.
La Marchesa Colombi non rinuncia a stigmatizzarvi usi consueti ma non più condivisibili nella società di allora, dando particolare rilievo (come non sorprende in una scrittrice che ha fatto della lotta femminista un punto fermo della sua esistenza sociale e del suo impegno letterario) alla promozione del ruolo della donna e al rispetto della persona in generale. Anche in questo testo, come nei più celebri scritti della Marchesa Colombi, troviamo l'idea di una scrittura che deve avere una forte valenza sociale: scrivere è l'unica cosa che si poteva (e soprattutto si doveva) fare per rispondere alle necessità del tempo. Una scrittura intenzionale e interpersonale, tutta calata nella socialità, che, anche in un genere letterario come il trattato di buone maniere, generalmente ingabbiato in una struttura fissa percorsa da motivi topici, riesce ad essere antiretorica, a denunciare l'ipocrisia dell'epoca, senza per questo valicare i confini della propria tradizione culturale di riferimento. La scrittrice infatti, come si evince chiaramente dal sottotitolo dell'opera, si pone comunque nel solco della tradizione inaugurata nel XVI secolo dal Della Casa («i galatei di tutti i tempi che verranno, non sono altro che l'eredità di Monsignor Della Casa»): le piccole virtù delle buone maniere non sono mere affettazioni formali ed esteriori di buona educazione, ma rispecchiano ancora le grandi leggi della società, del viver civile. La volontà di porsi “dentro” la tradizione è d'altronde presente anche nell'introduzione dell'edizionedell'opera sopra citata: qui la scrittrice ripone modestamente il merito del successo del suo libro nelle «buone regole di vita» attinte nei galatei antichi e moderni, italiani e stranieri, presentando la sua operazione come la raccolta di «cose sparse», raccolta che doveva fare del suo elaborato uno strumento di «utilità pratica».
La gente per bene è stato quindi concepito come un “galateo moderno”, guida per chi, per ragioni storico-familiari, non era potuto venire in contatto con doveri e convenienze sociali, in questo modo aiutando a non sfigurare nelle circostanze della socialità. Se in questo testo “d'intrattenimento” il tono è comunque cauto, garbato, modesto, la vena ironica che lo pervade mostra tutta la sua forza dissacratoria nei confronti di quella cultura che vuole fare guardare il mondo come «un perpetuo idillio». Quelle che la Marchesa Colombi racconta sono storie moderne, scritte con uno stile semplice ma di grande capacità comunicativa: la scrittrice conosce la consolazione che la letteratura poteva dare al suo pubblico di donne, l'importanza che per esse poteva avere la lettura, nell'ottica di un loro riscatto sociale. Ecco un esempio di come la scrittrice si rivolge alle sue connazionali: «La civiltà francese fa della fanciulla una bambola, muta, compassata, insignificante, tutta artificio. Le inglesi sono severe, fredde, vaporose. Le americane sono emancipate. Le tedesche sono libere. Loro sono italiane; hanno lo spirito vivace, l'immaginazione pronta; sono entusiaste ed espansive. Volerle ridurre come automi modellati su figurine straniere, sarebbe una profanazione, una finzione. Siano loro stesse». La denuncia sociale, presente in questo libello d'evasione come in tutta la produzione “impegnata” della Marchesa Colombi, ha tanta efficacia proprio perché il suo stile è sì ironico ma mai esasperato.
Nota a cura di Sara Ciccolini.
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