Violante: seduta 30
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  AUDIZIONE DEI RAPPRESENTANTI DEI SINDACATI SIULP E SAP
                  DELLA POLIZIA DI STATO
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                           indi
     DEI VICEPRESIDENTI PAOLO CABRAS E CARLO D'AMATO
                          INDICE
                                                        pag.
Audizione dei rappresentanti dei sindacati SIULP e SAP
della Polizia di Stato:
Violante Luciano, Presidente .................... 1433, 1438
                    1443, 1445, 1449, 1450, 1451, 1455, 1456
                          1457, 1464, 1466, 1467, 1469, 1470
Cabras Paolo, Presidente ........................ 1447, 1448
                                            1449, 1458, 1459
D'Amato Carlo, Presidente ................. 1451, 1461, 1462
Bargone Antonio ....................................... 1446
Calvi Maurizio .................................. 1446, 1450
D'Amelio Saverio ................................ 1464, 1465
Fioriti Carmine, Segretario generale del SAP .......... 1443
              1449, 1456, 1457, 1458, 1459, 1465, 1466, 1470
Florino Michele ................................. 1463, 1464
Giardullo Claudio, Segretario nazionale del
SIULP ..................................... 1466, 1467, 1469
Grasso Gaetano ........................................ 1460
Izzo Nicola, Segretario generale aggiunto del
SAP ............................................. 1459, 1465
Nicotra Giovanni, Segretario nazionale del
SIULP ................................................. 1459
Rapisarda Santi ........................... 1462, 1465, 1466
Sgalla Roberto, Segretario generale del SIULP ......... 1433
                    1438, 1449, 1450, 1451, 1455, 1456, 1469
Taradash Marco ............................ 1445, 1448, 1449
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Sulle dimissioni dell'onorevole Cafarelli da segretario
della Commissione:
Violante Luciano, Presidente .............. 1451, 1452, 1453
Bargone Antonio ....................................... 1452
Cabras Paolo .......................................... 1452
Calvi Maurizio ........................................ 1452
Florino Michele ....................................... 1453
Taradash Marco ........................................ 1452
Tripodi Girolamo ...................................... 1453
Seguito della discussione e votazione della relazione
sulle risultanze del Forum con le direzioni nazionali e
distrettuali antimafia:
Violante Luciano, Presidente .............. 1453, 1454, 1455
Bargone Antonio ....................................... 1455
Calvi Maurizio ........................................ 1455
D'Amelio Saverio ...................................... 1455
Florino Michele ....................................... 1455
Ranieri Umberto ....................................... 1455
Taradash Marco .................................. 1454, 1455
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La seduta comincia alle 16,45.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione dei rappresentanti dei sindacati SIULP e SAP
della Polizia di Stato.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei
rappresentanti dei sindacati SIULP e SAP della Polizia di
Stato.
   Ringrazio i rappresentanti dei sindacati intervenuti e do
subito la parola al segretario generale del SIULP.
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. A
nome di tutti i colleghi ringrazio il presidente della
Commissione antimafia e gli onorevoli commissari per averci
offerto questa importante occasione nella quale potremo
illustrare le nostre posizioni. Riteniamo utile leggere la
relazione che abbiamo già distribuito. Ringrazio i colleghi
della segreteria che mi hanno aiutato nella stesura del
documento ed in particolar modo Claudio Giardullo.
   La questione degli apparati che compongono il sistema di
sicurezza nel nostro paese riveste un'importanza determinante
ai fini di una credibile politica anticrimine, perché in grado
di condizionare le possibilità di riuscita anche della
migliore strategia di contrasto.
   Dunque non è più rinviabile una verifica di produttività
del sistema di sicurezza e quindi la ripresa di un processo di
riforma che, incidendo sul complesso dei corpi di polizia,
investa anche il circuito di giustizia e quello penitenziario,
in virtù di un rapporto che esprime ormai una sempre maggiore
interdipendenza dei sistemi.
   Il SIULP considera il coordinamento dei corpi di polizia
una condizione irrinunciabile di una gestione delle risorse
che, stanti gli attuali allarmanti livelli di aggressione
criminale, non può che muoversi verso una sempre maggiore
integrazione e non divisione delle forze messe in campo dallo
Stato.
   Del coordinamento si è avuta tuttavia un'applicazione
minimale, cioè quella delle sole direttive politiche di massa.
E' mancato infatti in questi anni uno sforzo vero per farne
una regola operativa da utilizzare a livello centrale e
periferico. Un fattore di ottimizzazione delle risorse in
grado di assicurare un impiego pianificato e unitario di tutti
gli apparati di polizia e superare quindi le naturali
disarmonie del nostro sistema di sicurezza. Naturali perché
quello italiano - vale la pena di ricordarlo - è un sistema
misto di polizie civili e militari, dipendenti da dicasteri
diversi e con una limitatissima competenza esclusiva per ogni
singolo corpo. Un sistema quindi che sconta elevate
probabilità di separatezze, duplicazioni e reciproche
interferenze tra i corpi, se non vengono assicurati strumenti
di direzione unitaria agli organi che hanno la responsabilità
politica, come il ministro dell'interno, o quella
amministrativa, come il dipartimento della pubblica sicurezza.
   Quello degli strumenti concreti di coordinamento è dunque
il vero nodo, ancora non sciolto, della capacità dello Stato
di contrapporre alla forza dirompente
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 degli apparati criminali un'organizzazione di sicurezza
altrettanto forte e strutturata.
   Naturale conseguenza di questa impostazione è il giudizio
assolutamente negativo che il SIULP esprime rispetto al
progetto di istituzione di un segretariato generale.
   Questo organismo, infatti, lungi dal garantire un
rafforzamento della capacità di direzione unitaria del
sistema, si limita a sottrarre alcune fondamentali
attribuzioni operative alla Polizia di Stato, lasciando
inalterati la struttura e i rapporti delle altre forze e
quindi le possibilità reali di un loro maggiore coinvolgimento
unitario nelle politiche della sicurezza, con la malcelata e
singolare motivazione che in fondo nel nostro paese il
coordinamento non è attuabile a causa delle resistenze delle
forze di polizia a status militari.
   A parte la gravissima responsabilità politica di chi
intenderebbe introdurre delicate modifiche all'assetto dei
corpi di polizia, guardando esclusivamente alle resistenze
corporative delle alte burocrazie militari e non all'interesse
generale, ad un sistema in grado di sviluppare le necessarie
sinergie contro la minaccia criminale, appare del tutto
evidente che un semplice appesantimento del vertice del
sistema non avrebbe alcuna ricaduta positiva per la quotidiana
e concreta attività delle forze dell'ordine.
   L'effetto deleterio di una tale figura è, oltretutto,
quello di aumentare ulteriormente la parcellizzazione delle
competenze e quindi delle responsabilità sostanziali (non
quelle formali), già oggi così difficilmente individuabili. E
ciò con riguardo al centro e soprattutto alla periferia, dove
il disconoscimento delle autorità locali e provinciali di
pubblica sicurezza sta conducendo ad uno scoramento e ad una
conseguente deresponsabilizzazione pericolosi.
   Il tipo di coordinamento di cui si avverte veramente il
bisogno in questa fase (come confermano anche le recenti
vicende della cattura di Madonia e della tragica uccisione di
un agente di polizia da parte di una pattuglia dei carabinieri
in provincia di Messina) è quello operativo, ai diversi
livelli di responsabilità e sui diversi terreni informativo,
investigativo e di controllo del territorio.
   Non si comprende allora come l'ipotizzato organismo possa,
attraverso l'incerto strumento delle conferenze e in assenza
di un complesso di norme vincolanti per tutti i componenti il
sistema, assicurare un risultato che vada al di là della
semplice unicità di indirizzo per corpi (quelli militari) che
conserverebbero comunque una subordinazione di tipo
esclusivamente funzionale, spesso più formale che sostanziale
e comunque non diversa da quella che già esiste.
   Altre perplessità suscita la volontà di intervenire con
ulteriori deleghe di potere e frammentazione di responsabilità
su un sistema che nel settore dell'unificazione delle forze di
polizia contro il crimine organizzato attende ancora di essere
sottoposto a sperimentazione, dal momento che la DIA,
istituita ormai da tempo, fatica a decollare anche per le
resistenze degli stessi soggetti che si pretenderebbe di
coordinare senza alcun incisivo strumento e che mirano a farne
più un ulteriore organo di coordinamento di mera facciata o,
tutt'al più, un'ulteriore polizia piuttosto che la sintesi di
quelle esistenti, nella quale sommare organici, esperienze e
risorse attualmente divisi per tre.
   Ulteriore riprova dell'incapacità strutturale di questo
organismo ad assicurare maggiori livelli di coordinamento
operativo è infatti la previsione della sopravvivenza di una
funzione di coordinamento in capo ai singoli corpi attraverso
le strutture centrali esistenti (SCO, ROS, GICO) che
porterebbe inevitabilmente ad un rapporto di interferenza e
non di sintonia con le altre strutture di coordinamento
dell'ipotizzato segretariato.
   Si coglie inoltre nel progetto una certa confusione di
indirizzo strutturale dal momento, ad esempio, che non si è
valutato adeguatamente il fatto che la
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funzione del casellario centrale di identità non è di sola
catalogazione e registrazione dei dati, ma ha una prevalente
componente valutativa e quindi è inscindibilmente legata alla
più complessiva attività della polizia scientifica e
all'attività investigativa e non troverebbe quindi
giustificazione in un organismo come il segretariato.
   Da non trascurare infine sarebbero i riflessi di maggior
chiusura nel clima interno e impermeabilità della Polizia di
Stato, qualora con l'istituzione del segretariato venisse
accentuata una sua natura di corpo, che porterebbe
inevitabilmente ad una sua composizione assolutamente omogenea
anche nei livelli direttivi e dirigenziali e quindi alla
fuoriuscita di appartenenti ad altre amministrazioni, con un
evidente passo indietro rispetto agli indirizzi di apertura al
sociale ed alle istituzioni che la riforma del 1981 ha
consentito a questo istituto.
   Sarebbe infatti intollerabile che a gestire la Polizia di
Stato fossero anche dirigenti di altra amministrazione, con
incomprensibili quanto evidenti anomalie rispetto agli altri
corpi, amministrati e diretti da propri dirigenti.
   Sembra dunque evidente che se l'atto Senato 600 dovesse
diventare legge, i problemi di coordinamento si
aggraverebbero, perché il semplice smantellamento di qualche
struttura non fa che indebolire l'ossatura di un sistema che
oggi più che mai ha bisogno di compattezza e dinamismo.
   E tuttavia la gravità dei problemi che sono sul tappeto
impone risposte innovative, soluzioni concrete e radicali che
incidano direttamente sulle cause delle attuali, inaccettabili
disarmonie. Queste dipendono, in buona parte, dalle
caratteristiche strutturali del sistema sicurezza del paese,
cioè di un sistema misto di polizie civili e militari,
dipendenti da dicasteri diversi e con aree estremamente
limitate di competenza esclusiva per ogni singolo corpo. Un
sistema quindi che sconta elevate probabilità di separatezze,
duplicazioni e reciproche interferenze tra i corpi, se non si
assicurano le condizioni di unificazione reale dei poteri e
delle responsabilità degli organi politici e amministrativi di
direzione.
   Solo un potere coordinatorio che fosse sostenuto da norme
vincolanti per tutti i soggetti, e quindi da strumenti reali
di controllo, verifica e rettifica dei comportamenti, su un
piano quindi eminentemente gerarchico, consentirebbe di
superare malintese autonomie e vecchie e nuove separatezze
nelle forze dell'ordine, che ancora impediscono la necessaria
unità d'azione dello Stato sul fronte anticrimine.
   E' dunque necessario uscire completamente dall'ottica
ispiratrice del progetto di legge in questione ed imboccare
decisamente la strada della chiarezza nei poteri e nelle
responsabilità in materia di sicurezza pubblica.
   Se è veramente la cultura del coordinamento e non della
competizione tra le forze dell'ordine quella che anima le
scelte di governo sul terreno della lotta al crimine, allora
questo è il momento giusto per dimostrare che l'unicità di
indirizzo sta al di sopra di ogni chiusura corporativa e che
si è pronti, per questo obiettivo, anche alle difficoltà di un
ambizioso progetto di riforma.
   Determinante in questo senso è l'affermazione, in
concreto, della centralità dell'autorità civile e quindi del
dicastero dell'interno, nella tutela della sicurezza pubblica
del paese, sulla stessa linea tracciata dalla legge n. 121 del
1981, con l'attribuzione specifica al ministro dell'interno
della qualifica di autorità nazionale di pubblica sicurezza.
   Accentuare l'unicità della responsabilità politica vuol
dire fissare le premesse perché in sede amministrativa e
tecnico-operativa non ci siano zone d'ombra sulle competenze e
la dipendenza delle diverse forze di polizia.
   Il passaggio dell'Arma dei carabinieri nell'ambito del
Ministero dell'interno conservando inalterato lo status
militare, costituirebbe dunque una soluzione allo
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stesso tempo di grande efficacia e di rispetto di alcuni
principi considerati di garanzia.
   Questa riforma infatti avrebbe il pregio di rafforzare,
con riferimento al vincolo gerarchico, gli strumenti di
impulso e gestione unitaria delle strategie anticrimine, senza
dover rinunciare al pluralismo delle forze e alla diversità di
status e tradizioni delle singole componenti di un
sistema misto come quello italiano.
   Necessario corollario di questo progetto è l'ipotesi di
riforma della Guardia di finanza, che segni una sua maggiore
caratterizzazione sul fronte della polizia tributaria.
   Questa proposta ha già un modello di riferimento
nell'ambito dell'Europa comunitaria, ed è quello spagnolo. Il
sistema di sicurezza di questo paese prevede infatti la
dipendenza gerarchica dal ministro dell'interno sia della
Guardia civile, che notoriamente ad onta del nome è un corpo
militare, sia del Corpo nazionale di polizia che è invece una
struttura ad ordinamento civile. Il sistema prevede inoltre la
dipendenza funzionale della Guardia civile dal ministro della
difesa.
   Ora è evidente che in questa nuova prospettiva il concetto
di coordinamento tende ad una maggiore connotazione del
rapporto gerarchico. Ma è l'esperienza di questi undici anni a
dimostrare che la strada delle autonome disponibilità dei
soggetti coordinati non consente di andare al di là
dell'ossequio formale della legge, mentre di ben altra
compattezza ed univocità avrebbe bisogno il nostro sistema
anticrimine.
   Ed è sempre la stessa esperienza a sconsigliare altre
strade per affermare la centralità dell'interno che non siano
quella del passaggio dell'arma in questo dicastero, perché
ipotesi di affidamento della funzione di coordinamento ad un
livello politico che non sia quello del ministro, devono
comunque fare i conti con le difficoltà che il titolare del
dicastero ha avuto in questi anni, nonostante un'esplicita
normativa contenuta nella stessa legge n. 121.
   Assolutamente inadeguata, oltre che rischiosa, è inoltre
la proposta, avanzata in sede di riordino dello stato maggiore
della difesa, di sottrazione dell'Arma dei carabinieri dalla
dipendenza di questo organo, e quindi della sua configurazione
di forza armata assolutamente autonoma.
   Questa soluzione infatti aggraverebbe ulteriormente i
problemi di coordinamento oggi esistenti, perché renderebbe
meno stringenti i poteri funzionali di direzione del ministro
dell'interno e quelli gerarchici del ministro della difesa
nell'attuazione delle politiche dell'ordine e sicurezza
pubblica, alimentando quella anacronistica separatezza dei
corpi dello Stato che, in generale, non ha mai fatto bene alla
democrazia del paese.
   Dunque al di fuori di una riforma radicale, come quella
del passaggio dell'Arma dei carabinieri alle dipendenze del
Ministero dell'interno, l'unica opzione in grado di costruire
accettabili, sufficienti livelli di coordinamento è ancora il
modello introdotto dalle legge n. 121.
   Ogni altro riequilibrio che puntasse alla frantumazione e
non al rafforzamento di quel modello, segnerebbe un'inversione
di tendenza rispetto a un autentico processo di riforma.
   Sono oggi possibili e necessarie alcune soluzioni che
guardando al ruolo centrale dell'amministrazione della
pubblica sicurezza consentirebbero, all'interno dell'attuale
modello organizzativo, di ridurre i margini di interferenza
tra i corpi, recuperando maggiore dinamicità al sistema.
   Occorre abbandonare l'ottica delle malintese primazie tra
le forze dell'ordine, che sono e restano organi esecutivi
delle strategie anticrimine, e puntare al rafforzamento
funzionale, al centro e in periferia, dell'autorità di
pubblica sicurezza. Grazie anche alla sua duplice componente
politico-amministrativa e tecnico-operativa, è infatti l'unico
organo, in linea con il carattere civile di questa funzione,
che sia in grado di conciliare il pluralismo dei corpi con
l'unicità di direzione, e quindi soddisfare le esigenze di
efficacia complessiva del sistema.
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   Per realizzare questo rafforzamento sono necessarie
modifiche legislative - ed in questa direzione ci sentiamo di
avanzare alcune proposte concrete - da prevedere comunque
attraverso l'iter ordinario in ragione della delicatezza dei
temi affrontati, che si muovano nel senso di attribuire
esplicitamente al direttore generale della pubblica
sicurezza-capo della polizia la qualifica di autorità
nazionale di pubblica sicurezza (l'ambigua qualifica di
autorità centrale di pubblica sicurezza, che il progetto
istitutivo vorrebbe attribuire al segretario generale, è uno
degli elementi di scarsa chiarezza nelle prospettive di questo
organismo); di restituire al questore la piena titolarità
delle funzioni tecnico-operative, e di accentuare il suo ruolo
di autorità provinciale di pubblica sicurezza, più che
responsabile di uno dei corpi di polizia operanti in
provincia. In questo senso andrebbero riconosciuti a questo
organo incisivi strumenti di pianificazione di tutta
l'attività di sicurezza pubblica nella provincia, ben oltre le
responsabilità sul solo terreno dell'ordine pubblico, per
altro di scottante attualità. Analoga soluzione andrebbe
adottata nei confronti dei dirigenti i commissariati
distaccati che rivestono la qualifica di autorità locale di
pubblica sicurezza.
   Le modifiche legislative dovrebbero inoltre prevedere
l'emanazione di un regolamento generale del coordinamento,
riguardante ogni livello di attività operativa, sul piano
informativo, del controllo del territorio e delle
investigazioni preventive, cioè quelle che fuoriescono ancora
dalla competenza del pubblico ministero, e che hanno
conosciuto con la legge del 6 agosto 1992 un rimarchevole
ampliamento della loro sfera d'azione; l'avvio di un processo
di snellimento di un sistema attualmente composto dal Comitato
nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dal Consiglio
generale per la lotta alla criminalità organizzata, dal
dipartimento della pubblica sicurezza, dai comandi generali
dei corpi, dalla DIA, dai prefetti, dai superprefetti e dai
questori, i cui poteri e reciproci rapporti non sono
disciplinati in maniera da evitare interferenze e dubbi sulle
rispettive responsabilità.
   Tali modifiche dovrebbero altresì favorire il processo di
integrazione delle culture professionali di ogni corpo,
attraverso l'istituzione di istituti di specializzazione e
aggiornamento interforze, con particolare riferimento
all'attività investigativa ed infine avviare l'istituzione di
sale operative comuni della Polizia di Stato e dell'Arma dei
carabinieri.
   I compiti e la dislocazione delle forze di polizia sul
territorio sono due aspetti certamente non secondari di una
gestione coordinata delle risorse impegnate sul fronte della
lotta al crimine.
   Da una parte infatti la tendenza di ogni corpo ad ampliare
la propria sfera di competenza, spesso in un'ottica
concorrenziale e comunque al di fuori di un'unica
pianificazione nell'impiego delle risorse, ha via via
incrementato quelle duplicazioni strutturali e operative che
costituiscono, oggi, una delle maggiori cause di spreco dei
mezzi e di minore riconvertibilità del sistema. Dall'altra
l'istituzione di nuovi uffici territoriali da parte dei
singoli corpi di polizia, attuata al di fuori di un piano
unico nazionale di distribuzione delle forze, ha spesso
determinato situazioni di sovrapposizione o, viceversa, di
insufficiente presenza, specie di fronte ad una rapida
evoluzione degli indici di criminalità in alcune zone del
paese.
   Premesso che il problema riguarda quasi esclusivamente i
due corpi a competenza generale, cioè la Polizia di Stato e
l'Arma dei carabinieri, vista la specificità delle funzioni
assegnate al corpo della Guardia di finanza, occorre prevedere
soluzioni diverse in relazione alla natura delle funzioni
svolte dagli uffici dei due corpi.
   Così nel settore delle cosiddette "specialità" è
necessaria una distribuzione delle forze che miri intanto ad
evitare le duplicazioni palesemente inutili, come la
coesistenza di uffici dell'Arma dei carabinieri
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 in quei luoghi (scali ferroviari e aeroportuali) dove la
presenza di un ufficio di polizia è già sufficiente a
fronteggiare le esigenze operative.
   Per i comparti di specialità, cioè stradale, ferroviaria,
frontiera e postale per la Polizia di Stato (rispetto alle
quali vi è una prevalente funzione di sicurezza pubblica) e
tutela del patrimonio artistico, antisofisticazioni e sanità,
ecologia, tutela del lavoro, agricoltura e foreste, Banca
d'Italia e Ministero degli affari esteri per l'Arma dei
carabinieri è dunque indispensabile una rigida suddivisione
delle sfere d'azione, pena uno spreco di risorse organizzative
che non trova alcuna giustificazione sul piano operativo.
   Non è invece ipotizzabile, per gli uffici territoriali dei
due corpi, alcuna rigida suddivisione, per materia o per
territorio, della loro competenza. Non lo è perché la
molteplicità delle attribuzioni riconosciute a queste due
forze impone sovente l'impiego delle stesse strutture
operative in attività sia di prevenzione, sia di ordine
pubblico o di polizia giudiziaria. Da quest'ultimo punto di
vista, il nostro ordinamento considera inaccettabile che una
qualsiasi indagine su fatti di piccola o grande criminalità
possa arrestarsi, o anche solo rallentare, di fronte alla
competenza esclusiva di un corpo in un determinato territorio
su cui l'attività investigativa dovrebbe essere sviluppata.
   E' dunque la pianificazione permanente nella dislocazione
dei presidi, la strada per riequilibrare la presenza degli
uffici territoriali delle forze dell'ordine. Una presenza
ancora non assicurata in tremila comuni su ottomila, alcuni
dei quali ad alta densità abitativa, mentre la consistenza dei
corpi si riscontra talvolta anche nei centri minori.
  PRESIDENTE. Avete un elenco dei tremila comuni?
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Si
può facilmente ottenere.
  PRESIDENTE. Vi prego di farlo pervenire alla
Commissione.
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Una
presenza che non può essere tuttavia riequilibrata utilizzando
il solo criterio, per altro di massima, della ripartizione tra
capoluoghi di provincia (polizia) e centri minori
(carabinieri) - si è registrata la tendenza ad urbanizzare la
Polizia di Stato ed a ruralizzare l'Arma dei carabinieri -
perché anche nella distribuzione delle risorse andrebbe
soddisfatta l'esigenza di far svolgere all'autorità di
pubblica sicurezza, sia nei grandi centri sia in provincia, il
necessario ruolo di direzione di tutte le attività di ordine e
sicurezza pubblica sul territorio.
   Ma anche in questo settore, come per il coordinamento, si
avverte ormai l'esigenza di strumenti di pianificazione che
siano realmente vincolanti per tutti i corpi di polizia
interessati. Strumenti che abbiano ben altra forza della
direttiva del febbraio dello scorso anno con cui l'allora
ministro dell'interno si è pure occupato della questione.
Strumenti che consentano quindi di governare un programma di
potenziamento degli apparati di polizia nel territorio,
attraverso un'unica scala di priorità operative e univoci
indirizzi di impiego delle risorse.
   L'esigenza di impedire sovrapposizioni di impiego va
affermata, infine, anche rispetto alla sfera d'azione dei
corpi di polizia municipale. Accenniamo brevemente a questo
tema, convinti come siamo che occorrerà sviluppare su di esso
una riflessione più approfondita.
   E' sulla strada della specializzazione che va immaginata
una funzione più accentuatamente amministrativa di questi
corpi.
   Non quindi qualche facile trovata ad effetto
sull'utilizzazione dei vigili urbani contro la criminalità
organizzata, ma un impiego più specializzato nei settori di
competenza locale e regionale, come la sanità, l'igiene,
l'ambiente, il commercio o l'edilizia, che contribuisca a
superare quella generale crisi dei controlli che non poco peso
ha avuto rispetto al diffondersi
                        Pag. 1439
di fenomeni di corruzione, nella gestione della cosa pubblica
in ambito locale.
   Un progetto di rafforzamento del sistema sicurezza non può
non affrontare la questione dell'adeguamento delle strutture
di investigazione che operano nel territorio, rispetto agli
attuali livelli di aggressione criminale e agli strumenti
normativi di contrasto che sono oggi disponibili.
   Potenziare gli organismi ordinari di indagine è l'unica
alternativa credibile ad una concezione emergenziale della
lotta alla criminalità, che sinora ha generato operazioni dal
sapore prevalentemente spettacolare.
   Le recenti modifiche al codice di procedura penale,
contenute nel pacchetto di misure antimafia del luglio scorso,
hanno creato condizioni di maggiore agibilità dello strumento
processuale rispetto al crimine organizzato. Hanno introdotto
misure che valorizzano alcune potenzialità del sistema
investigativo, senza fare passi indietro sul terreno della
civiltà giuridica. E tuttavia l'ampliamento degli spazi di
iniziativa della polizia giudiziaria, voluto dalla legge n.
306 del 1992, non solo non annulla ma conferma l'esigenza di
una riorganizzazione profonda del sistema investigativo
periferico.
   L'ampliamento dei termini per la chiusura delle indagini,
i maggiori spazi di iniziativa autonoma e la conservazione in
dibattimento di alcuni elementi probatori potranno
trasformarsi in una svolta vera dell'azione giudiziaria e
dell'attività anticrimine, se una parte significativa delle
risorse verrà impiegata perché i servizi di polizia
giudiziaria nel territorio, e non soltanto a livello centrale,
costituiscano un sistema avanzato di competenze scientifiche
ed operative, l'unico in grado di contrastare
un'organizzazione criminale in possesso di raffinatissime
tecnologie.
   Anche nell'impiego degli uffici investigativi sono ormai
urgenti chiari mutamenti di rotta per liberare squadre mobili,
DIGOS e centri Criminalpol da un carico di servizi di scorta
che compromette sovente la stessa continuità delle indagini
(miriadi di scorte definite "occasionali" sfuggono, non
vengono riportate nei dati ufficiali forniti anche dal
Ministero dell'interno e dal capo della polizia; sono quelle
che pesano in misura rilevante sull'operatività, sottraendo
uomini anche all'attività operativa); affidare ai
commissariati la trattazione dei delitti che non sono legati
al livello organizzato di criminalità; attivare indagini "per
obiettivi" in cui possano trovare corretta collocazione le
squadre di polizia giudiziaria dei commissariati e delle
specialità.
   E' questo un primo pacchetto di misure che costituirebbe
un significativo passo avanti sulla strada di un più
qualificato modello di intervento investigativo. Quel modello
di cui lo stesso codice di procedura penale ha bisogno, per
essere concreto strumento di giustizia, prima ancora che mezzo
di lotta alla criminalità.
   Di particolare rilievo è, ancora, la questione del ruolo
che le sezioni di polizia giudiziaria presso gli uffici
giudiziari dovranno svolgere in una prospettiva di
rafforzamento e di integrazione del sistema investigativo.
   Una revisione delle piante organiche che tenga conto
dell'esperienza di questi primi anni di applicazione del
codice di rito, una ristrutturazione interna delle sezioni che
favorisca la reale integrazione operativa delle forze (le
sezioni di polizia giudiziaria sono interforze, ma non
sommano, anzi dividono le forze già presenti) e il
riconoscimento dei mezzi tecnici necessari sono misure
indifferibili per impedire che la maggior parte di queste
strutture svolgano soltanto un ruolo di notifica degli atti
processuali, senza alcuna possibilità di gestione
dell'attività di indagine.
   Ed è in questo quadro di maggiore funzionalità delle
sezioni di polizia giudiziaria che può essere ipotizzata - a
fronte del ruolo di servizio svolto dalla DIA, e senza alcun
decremento per gli organici delle sezioni esistenti -
l'istituzione
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 di sezioni di polizia giudiziaria presso le procure
distrettuali.
   L'urgenza di un programma di potenziamento delle strutture
di polizia è ovviamente maggiore con riferimento allo
specifico fronte della lotta alla criminalità mafiosa.
   Condizioni imprescindibili per la realizzazione di una
risposta istituzionale adeguata alla gravità dell'aggressione
criminale sono sia il superamento di ogni particolarismo tra
organi dello Stato, sia l'adozione di avanzati modelli
operativi e organizzativi per gli uffici giudiziari e delle
forze dell'ordine. Una proposta concreta vorrebbe, per
esempio, che nelle sezioni di polizia giudiziaria la direzione
venisse assunta dal più alto in grado indipendentemente dalla
forza di polizia cui appartiene.
   Di qui l'iniziativa congiunta di CGIL, CISL, UIL,
Associazione magistrati e SIULP della presentazione, ai
ministri dell'interno e di grazia e giustizia, di una
piattaforma di misure urgenti da attuare nelle sedi di Palermo
e Caltanissetta, sulla base di progetti-pilota, di
potenziamento dell'attività giudiziaria e di polizia, i cui
risultati potrebbero costituire un preciso punto di
riferimento di una più ampia azione di riforma.
   L'azione di contrasto si muove ormai verso una sempre
maggiore saldatura dei due momenti, preventivo e repressivo.
Questo costituisce un motivo in più per ridefinire un sistema
di prevenzione che, anche dal punto di vista del territorio, è
condizionato dai limiti di un basso livello di sintonia tra i
corpi.
   Una questione tuttavia che va preliminarmente affrontata,
in materia di risorse da impiegare sul fronte del controllo
del territorio, è quella dell'impiego di personale militare
nelle attività di polizia, con riferimento al diverso tipo di
professionalità, apparati e moduli operativi richiesti nello
svolgimento delle due funzioni.
   In alcuni ambienti governativi è presente la tentazione di
riconvertire le risorse militari, che in modo massiccio erano
destinate alla difesa dell'est, non in un nuovo modello di
difesa e quindi nelle tecnologie e professionalità richieste
dal nuovo scenario internazionale, ma in un riscoperto impegno
sul terreno della sicurezza interna, con la motivazione che
tra difesa e sicurezza non vi sarebbe un confine preciso, e
quindi lo stesso modello, quello militare, potrebbe essere
utilizzato in ambedue i settori.
   Questo è un nodo politico da sciogliere senza ambiguità:
il nuovo modello di difesa e un efficace sistema di sicurezza
richiedono professionalità elevate ma diverse. Modelli
operativi che non sono intercambiabili perché in tutti e due i
campi le strategie vincenti non consentono più generiche masse
di manovra, ma conoscenze specializzate e strutture mirate.
   Prevedere ulteriori impieghi di personale militare in
servizio di prevenzione e ordine pubblico senza affrontare
fino in fondo un'analisi concreta dei costi e dei benefici che
questo tipo di impiego ha già avuto in alcune regioni vuol
dire eludere i nodi veri della lotta alla criminalità
organizzata. Vuol dire illudere l'opinione pubblica, facendo
credere che si possa supplire alle insufficienze delle
strutture investigative o giudiziarie con l'occupazione
militare del territorio.
   Anche sul fronte della prevenzione occorre dunque uscire
dalle spettacolarità di una semplice ottica di emergenza. Una
rete di controllo delle forze dell'ordine a maglia certamente
più stretta di quella attuale è lo strumento che può
costituire un'efficace e duratura remora in sede preventiva, e
un tempestivo strumento di reazione in sede di repressione
penale.
   Vanno allora superati gli attuali, farraginosi piani di
coordinamento delle autoradio della Polizia di Stato e
dell'Arma dei carabinieri, perché risentono di un improduttivo
clima di separatezza, che è testimoniato, per esempio,
dall'assenza di flussi informativi costanti sull'attività di
ognuna delle due organizzazioni, assenza purtroppo provata,
ancora una volta, dal tragico episodio di Patti.
                        Pag. 1441
   L'attuazione di piani unici di controllo del territorio
sotto la diretta responsabilità del questore nella sua qualità
di autorità provinciale di pubblica sicurezza è dunque l'unica
soluzione in grado di consentire un impiego coordinato di un
alto numero di unità operative, e quindi di assicurare elevati
standard di efficacia nel settore della prevenzione.
   L'istituzione di sale operative comuni resta un
fondamentale obiettivo strategico. Ma nell'immediato una
scelta non più rinviabile è l'interconnessione reale di questi
organismi, cioè l'impiego unitario delle autovetture in
servizio di controllo del territorio, sulla base di una
conoscenza reciproca, momento per momento, dello sviluppo di
ogni intervento e dell'esigenza di spostare risorse
originariamente destinate ad altro servizio. Anche sul piano
dei costi l'interconnessione delle sale operative non presenta
particolari problemi.
   Ma una concreta svolta nella gestione delle risorse
richiede, anzitutto, significative revisioni di un modulo
operativo ancora arretrato perché fondato in buona misura sui
servizi di scorta e vigilanza fissa, cioè su misure di tutela
individualizzata, il cui costo organizzativo è divenuto ormai
insostenibile, stanti le aumentate e diffuse esigenze di
sicurezza generale.
   Occorre rendere trasparenti i criteri per l'assegnazione e
la revoca dei servizi di scorta e vigilanza fissa; fissare un
tetto massimo di impiego giornaliero da parte dei singoli
corpi; prevedere per il comitato per l'ordine e la sicurezza
pubblica una speciale procedura che attesti le eccezionali
esigenze che hanno dato luogo all'ulteriore prelievo di forze
oltre il tetto programmato per questo tipo di servizio;
assicurare la rotazione tra il personale specializzato nelle
scorte a più alto rischio, e adottare i mezzi tecnici e i
moduli operativi integrati con i servizi di controllo del
territorio che rendano questi servizi ben più di una semplice
difesa da ultima spiaggia.
   Sono queste le urgenti misure di svolta nell'uso delle
scorte e della vigilanza, necessarie a far cessare quello che
spesso è uno spreco che la coscienza del paese non può
accettare, a garantire maggiore tutela al personale e
continuità di azione a uffici, come i commissariati, squadre
mobili e DIGOS, che agiscono oggi in un clima di continua
emergenza organizzativa.
   E' stato autorevolmente rilevato che vi sono segnali di
difficoltà di integrazione operativa tra l'attività della DIA
e quella svolta dalle forze di polizia a carattere ordinario.
   Queste difficoltà - che non sembrano certamente diminuire
con il passare del tempo - sono in massima parte connesse al
più generale nodo, ancora non sciolto, del ruolo della
Direzione investigativa antimafia e dei suoi rapporti con gli
apparati ordinari.
   Errore gravissimo sia sul piano politico sia su quello
operativo è quello di immaginare che questi rapporti debbano
essere di tipo concorrenziale, anziché ispirati al principio
della sintonia e della unità d'azione degli organi
investigativi impegnati sul fronte antimafia.
   Un organo specializzato, composto quindi da un limitato
numero di operatori che hanno a disposizione un apparato
organizzativo avanzato ma necessariamente snello ed
essenziale, non può e non deve competere con una macchina
organizzativa estesa e capillare, che conta tra Polizia di
Stato, Arma dei carabinieri e corpo della Guardia di finanza
un organico di circa 260 mila operatori.
   Soprattutto nelle più importanti e difficili indagini di
mafia non è pensabile una netta divaricazione operativa tra la
struttura (DIA) cui è affidata la direzione investigativa,
anche attraverso gli strumenti di conoscenza che vengono da un
osservatorio centrale, e gli organi territoriali delle forze
dell'ordine, che attraverso i terminali operativi presenti su
tutto il territorio sono in grado di raccogliere ed elaborare
aggiornati flussi informativi.
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   Solo una stretta integrazione tra gli organismi di
indagine ordinari e quelli specializzati può dunque assicurare
quella forte unità di indirizzo nella politica criminale che,
a fronte della frantumazione nel territorio del potere
giudiziario, consenta all'attività di indagine di superare
agevolmente anche i confini nazionali.
   Occorre allora scongiurare ogni tendenza di esasperato
autonomismo nella gestione della DIA, che si è per esempio
manifestata con l'apertura diretta di propri uffici negli
scali aerei, accanto a quelli degli organismi ordinari, perché
finirebbe per farle assumere quel ruolo di ulteriore forza di
polizia, in un rapporto quindi di interferenza anziché di
sintonia con le forze dell'ordine, che ha già provocato in
passato il fallimento dell'esperienza dell'Alto commissario
per la lotta alla mafia.
   Un rischio di ulteriore fallimento di cui il paese non
avverte certamente il bisogno e che può essere evitato a
condizione che si esca dall'ottica della straordinarietà, e si
favoriscano le sintonie valorizzando anche l'attività di
quegli uffici territoriali che conducono l'azione di contrasto
determinante, magari in zone ad elevatissima presenza mafiosa.
   Dunque in strettissima aderenza a questo orientamento è
sicuramente da evitare ogni progetto di istituzione di un
ruolo separato degli investigatori della DIA, o di
divaricazione organizzativa o finanziaria rispetto ai tre
corpi di polizia o all'organo funzionalmente sovraordinato,
cioè il dipartimento della pubblica sicurezza, perché ciò
determinerebbe il suo progressivo isolamento, e quindi
indebolimento, in un delicato contesto operativo che invece
richiede, oggi più che mai, sintonia e compattezza sul piano
organizzativo, professionale e umano.
   Il successo dell'attività investigativa, sia preventiva
sia giudiziaria, è sempre più legato, specie nelle indagini di
maggiore complessità, alla qualità del supporto scientifico
messo a disposizione degli organi inquirenti, alla
tempestività di esecuzione delle analisi e degli accertamenti
tecnici, e alla concreta possibilità di una lettura integrata
dei dati da parte dei diversi organi giudiziari e di polizia.
   Di qui l'esigenza di dar vita ad una struttura, il centro
nazionale di criminalistica, a cui affidare sia lo svolgimento
delle attività tecnico-scientifiche richieste dall'attività
giudiziaria e investigativa - da soddisfare attraverso una
rete di laboratori dislocati su tutto il territorio nazionale
- sia la conservazione, classificazione e distribuzione dei
dati risultanti da tutte le operazioni tecniche eseguite per
gli stessi scopi investigativi e giudiziari, comprese quindi
le perizie e consulenze affidate, dai magistrati competenti,
in sede locale.
   Questo organismo, da inquadrare ovviamente nell'ambito del
dipartimento della pubblica sicurezza, potrebbe avere un
essenziale ruolo di raccordo dell'attività di investigazione
tecnica svolta dai singoli corpi di polizia, ma anche una
funzione di coordinamento di indirizzi e metodiche, che
puntino sempre a garantire elevati standard di
attendibilità scientifica rispetto a dati dai quali spesso
dipende la scelta tra diversi orientamenti investigativi, o
tra diverse decisioni giurisdizionali.
   Si devono, in buona parte, al ruolo svolto dai
collaboratori della giustizia alcuni dei più importanti
risultati ottenuti negli ultimi tempi sul fronte delle
indagini di criminalità mafiosa e la cattura di grandi
latitanti.
   L'importanza riconosciuta al fenomeno del pentitismo, e le
dimensioni che questo sta via via assumendo, richiedono
strumenti e strategie che sappiano andare al di là di una pura
ottica di emergenza, e consentano di pianificare gli
interventi in questo delicato settore con la consapevolezza
che nella gestione di un pentito - a differenza di quanto
avviene con un semplice collaboratore delle forze di polizia
che rimane nell'ombra - la questione della protezione riveste
un ruolo centrale, tale da condizionare la stessa gestione
investigativa.
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   L'emanazione, in questi giorni, del decreto istitutivo il
servizio centrale per l'applicazione dello speciale programma
di protezione, nell'ambito della direzione centrale della
polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza,
potrà assicurare migliori condizioni operative a questo
organismo che, costituito in via amministrativa da circa un
anno e mezzo, ha dovuto affrontare la delicata materia in una
situazione di vuoto legislativo e di emergenza organizzativa.
Necessario e urgente appare dunque il completamento
dell'organico dell'Arma dei carabinieri e del corpo della
Guardia di finanza previsto nella tabella allegata al decreto,
specie in riferimento al personale dell'arma assegnato al
servizio in aggiunta a quello a suo tempo previsto per l'ex
Alto commissariato per la lotta alla mafia e già confluito al
servizio stesso.
   Ma necessario e urgente è anche un adeguamento più
generale delle risorse da impiegare rispetto alle nuove e
crescenti dimensioni che il fenomeno sta assumendo.
   Alcuni indirizzi investigativi nella utilizzazione dei
collaboratori stanno determinando un certo ampliamento del
numero dei parenti dei pentiti rispetto ai quali si ritiene
necessaria l'applicazione del programma di protezione.
   Ciò determina, da una parte, l'esigenza di un incremento
degli organici delle forze di polizia che nelle diverse
province devono provvedere alla protezione diretta, in qualche
caso, anche di decine di famiglie, e, dall'altra, l'esigenza
della creazione, all'interno del servizio di protezione, di un
collegio di legali, commercialisti, ed esperti in materia
previdenziale che possano coordinare i vari tipi di assistenza
da garantire in sede locale ai destinatari del programma,
specie in quelle zone dove questa assistenza non può essere
assicurata, magari a causa delle riserve mentali di qualche
libero professionista.
   Ma il nodo centrale della piena efficacia dei programmi di
protezione è la questione, ancora non risolta, delle procedure
di cambio delle generalità.
   Sicuramente complesso, specie per i profili civilistici
che sono interessati, è comunque un problema che va affrontato
con urgenza, poiché, nonostante l'impegno e la disponibilità
dimostrati dal personale del servizio nell'assicurare
l'assistenza alle persone protette attraverso l'uso di nomi
provvisori, non sempre è possibile - per ostacoli oggettivi o
per riserve avanzate da qualche amministrazione statale o
locale a causa dell'assenza di una specifica disciplina
legislativa - garantire in modo assolutamente riservato alcuni
diritti, come quelli previdenziali o alla frequenza degli
istituti scolastici da parte dei figli dei pentiti, o tanto
meno l'inserimento nelle attività lavorative, che
costituirebbe evidentemente il miglior canale di reinserimento
sociale, sia pur in condizione di necessaria riservatezza.
  PRESIDENTE. La ringrazio molto, dottor Sgalla, per la
sua relazione che ha un ottimo impianto, anche se
evidentemente sulle singole parti si potrà poi discutere.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP.
Signor presidente, onorevoli commissari, noi del SAP siamo
in piena sintonia con la tesi testé espressa dal segretario
generale del SIULP. E questo non sembri un caso o un fatto di
circostanza, dal momento che proprio all'interno della Polizia
di Stato, tra i sindacati di polizia maggiormente
rappresentativi, si è avvertita l'esigenza di unirsi nel
momento in cui la stessa polizia vive un momento particolare
insieme al paese. Quando le forze vanno verso un obiettivo
comune è possibile sia coordinare sia farsi coordinare.
   Dopo la lunga relazione del rappresentante del SIULP mi
limiterò a sottolineare alcuni problemi peraltro già toccati,
al fine di meglio precisare i problemi oggi in esame.
   Quello del coordinamento è diventato il problema dei
problemi tra le forze di
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polizia. Esso va assolutamente analizzato e meglio sviscerato
per individuare laddove tale coordinamento non esiste.
   I compiti della polizia sono duplici. C'è una polizia
giudiziaria e una di sicurezza. Si è tentato di risolvere il
problema del coordinamento con l'istituzione della figura del
segretario generale, ma si è poi usato il termine improprio di
"superpoliziotto", mentre i compiti che la legge può affidare
- lo stesso disegno di legge lo prevede - sono esclusivamente
di sicurezza pubblica. Sono dunque compiti che non vanno ad
intaccare il coordinamento della polizia giudiziaria, cioè un
settore in cui si registrano oggi i maggiori problemi.
   Un anno fa, in provincia di Padova, morì un carabiniere e
oggi piangiamo la scomparsa di un nostro collega causata dalla
mancanza di coordinamento. Ci troviamo però in un campo in cui
ha scarsa rilevanza l'aspetto relativo alla sicurezza pubblica
ed in cui il coordinamento deve essere fatto dalla
magistratura, sulla base dei poteri che la legge dovesse ad
essa delegare. Con l'istituzione degli attuali uffici di
polizia giudiziaria non abbiamo per nulla risolto
l'increscioso problema.
   Tornando al problema della sicurezza, aggiungo che una
legge dello Stato, approvata a larghissima maggioranza dal
Parlamento nel 1981, aveva risolto definitivamente il problema
del coordinamento per la polizia di sicurezza, affidando al
ministro alcune competenze nazionali in materia di
coordinamento ed ai prefetti ed ai questori altre competenze
di coordinamento. Oggi ci troviamo a ridiscutere questa legge
nonostante non sia accaduto assolutamente nulla nel campo
della sicurezza pubblica. Se esistono problemi infatti - lo
ripeto ancora una volta - essi non attengono al settore del
coordinamento della polizia di sicurezza. Anzi, se c'è
qualcosa che può supportare tale tesi è proprio il fatto che
la Polizia di Stato fornisce oggi un notevole contributo di
uomini a fronte addirittura di una "latitanza" delle altre
forze di polizia che hanno dimezzato il proprio organico
destinato a servizi di ordine pubblico.
   Ad avviso del SAP non esiste un problema di coordinamento
della polizia di sicurezza. L'istituzione di un qualsiasi
sistema al di sopra delle attuali competenze affidate al
dipartimento della pubblica sicurezza sarebbe un sistema del
tutto inutile, un doppione che non servirebbe a nulla e che
avrebbe l'effetto di determinare ulteriori problemi, questa
volta dalla parte della Polizia di Stato. Quest'ultima,
infatti, trovandosi ad essere un corpo "stretto" e non
incardinato all'interno di una amministrazione di pubblica
sicurezza farebbe né più né meno quanto oggi fanno altre forze
di polizia.
   Siamo dunque assolutamente contrari a tale figura perché a
nostro avviso essa non risolverebbe alcunché. Occorre invece
ridare vigore alla stessa legge del 1981 specificando meglio i
compiti del questore e quelli del prefetto, senza ricorrere a
soluzioni oggi che possono davvero squilibrare tale settore.
   Il SAP accetta senza alcun problema la proposta, poc'anzi
avanzata dal rappresentante del SIULP, di inserire all'interno
del Ministero dell'interno tutte le forze di polizia
esistenti. Ma in proposito noi del SAP siamo ancora più
radicali; vorremmo addirittura che nel 1993, l'anno in cui si
va verso l'unificazione dell'Europa, si parlasse anche in
Italia di una polizia unica. Dico questo perché nel nostro
paese oltre alle cinque polizie più grandi ve ne sono
attualmente ancora tante altre che agiscono all'interno di
settori specialistici.
   A nostro avviso il problema potrebbe essere risolto con
una decisione coraggiosa. Del resto, oggi non riusciamo più a
capire i motivi che si possono opporre ad una scelta del
genere, dal momento che non esistono più quei pericoli che
potevano esserci nell'immediato dopoguerra.
   Se ciò non sarà possibile, si compia almeno un passo
avanti prevedendo la dipendenza di tutte le forze da un unico
ministero. Certo, in questo modo il problema
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 verrebbe risolto solo parzialmente perché potrebbero
sussistere ancora quelli che noi chiamiamo campanilismi di
giubba, ma tutto sommato vi sarebbe almeno un'unica direzione
politica che potrebbe garantire un maggior coordinamento tra
le diverse forze di polizia. Per quanto riguarda il resto,
condividiamo interamente le tesi del SIULP ed è perfettamente
inutile che io ripeta quanto ha poc'anzi detto il dottor
Sgalla.
   Vorrei tuttavia soffermarmi brevemente sul problema delle
scorte, correlato strettamente alla lotta contro la
criminalità mafiosa. Ad esso va posto rimedio una volta per
tutte, non più con le parole ma con i fatti. Spesso infatti si
dice che le scorte siano state ridotte ma nella realtà non è
così.
   Moltissimi anni fa, nel corso di un'altra audizione
dinanzi alla Commissione antimafia sul tema del coordinamento
e sul controllo del territorio nelle aree più interessate dal
fenomeno della mafia, abbiamo proposto di distinguere i
settori urbani da quelli metropolitani, affidandoli al
controllo delle varie forze di polizia. Nel nostro caso
avremmo lo stesso effetto prodotto dalla vigilanza militare
nelle zone siciliane.
   Un altro punto che ci preme evidenziare è che oggi la
regione Puglia deve, per forza di cose, essere inquadrata tra
le regioni cosiddette a rischio. Lo diciamo per il semplice
fatto che mentre per i poliziotti, i carabinieri e in generale
le forze dell'ordine dislocate in Sicilia, Campania e Calabria
esiste oggi un trattamento differenziato, questo non è
previsto per coloro che operano in Puglia, nonostante che
vengano affrontati gli stessi problemi, magari accentuati per
effetto di quell'attività mafiosa che è stata individuata di
recente.
   Nel corso di un'altra lontana audizione avemmo modo di
sottolineare la questione relativa ai pentiti, che sicuramente
avrebbe potuto contribuire alla soluzione di alcuni problemi.
A fronte di alcuni episodi chiediamo oggi che le norme vengano
applicate così come sono previste dal nuovo codice di
procedura penale. Chiediamo che vi sia, soprattutto a monte,
un riscontro probatorio delle dichiarazioni dei pentiti, al
fine di evitare di ottenere il risultato opposto a quello che
la legge si prefigge di raggiungere.
   Quanto al problema delle scorte, sottolineo la necessità
di ampliare i nostri organici e quello dei carabinieri.
Relativamente alla DIA mi limiterò a rilevare che non vorremmo
assolutamente che essa diventasse una quarta polizia che
invece di risolvere i problemi esistenti li andrebbe ad
accentuare.
  PRESIDENTE. La ringrazio vivamente, dottor Fiorito,
anche per la capacità di sintesi dimostrata nel suo
intervento.
  MARCO TARADASH. Desidero ringraziare il dottor Sgalla e
il dottor Fiorito per averci dato un quadro assai interessante
e concreto dei problemi: il che, per la verità, non sempre
siamo abituati a constatare.
   Desidero affrontare due questioni toccate da entrambi i
rappresentanti sindacali ed aprirne una terza.
   Per quanto riguarda l'unificazione delle forze di polizia,
il SIULP ha fatto riferimento ad una unificazione del comando
mentre il SAP ha parlato di unificazione vera e propria delle
forze di polizia. Credo che questa problematica sia aperta e
che sia opportuno risolverla al più presto. Desidererei
pertanto ottenere da entrambi i nostri interlocutori una
valutazione sui prevedibili costi e benefìci riferiti alle due
ipotesi in oggetto.
   Circa l'utilizzazione dell'esercito in funzioni di ordine
pubblico, si è giustamente rilevato che le forze di polizia
dispongono di professionalità, competenze e formazioni
diverse, essendo ad esempio abituate a tener conto dei diritti
civili dei cittadini, mentre i militari non sono affatto
addestrati in tal senso, fatte salve possibili infarinature.
Ebbene, mi interessa una valutazione sul fatto storico
rappresentato dalla presenza dei militari in Sicilia e in
Sardegna.
                        Pag. 1446
   Da ultimo vorrei affrontare il problema che come è noto
sta a cuore a me, ma interessa anche i lavori della
Commissione, della legalizzazione della droga. So che il SIULP
si è espresso più volte in sede regionale, in Sicilia e in
Toscana (e forse anche in campo nazionale), a favore di tale
ipotesi. Il SAP, invece, ha sempre fermamente sostenuto la
necessità del proibizionismo. Vorrei quindi conoscere le
valutazioni di entrambi i nostri interlocutori in ordine ai
pro ed ai contro dell'attuale politica e di una eventuale
politica alternativa.
  MAURIZIO CALVI. Desidero ringraziare i rappresentanti
del SIULP e del SAP per la loro esposizione e per le proposte
avanzate in materia di politica dell'ordine e della sicurezza
pubblica.
   Desidero affrontare alcune grandi questioni che riguardano
in parte, stando a quanto ho desunto dalle introduzioni del
dottor Sgalla e del dottor Fiorito, una sorta di pregiudiziale
ideologica nei confronti dell'atto Senato n. 600. E' stato
espresso un no secco al riguardo; ho avvertito inoltre
insofferenze nei confronti della DIA, ed in particolare
all'impiego di forze militari nelle aree a rischio del nostro
paese. Nelle relazioni non si rinviene un giudizio sulla
legislazione antimafia varata nell'ultima legislatura, circa
il fatto che essa sia o meno in sintonia con lo sforzo che il
nostro paese intende produrre in materia di ordine e di
sicurezza pubblica; non risulta con chiarezza se gli
importanti risultati colti grazie alle nuove norme siano
ritenuti coerenti; infine non si coglie un riferimento alla
centralità dei flussi informativi, che ritengo centrali nelle
zone a rischio del nostro paese.
   Si tratta di questioni non marginali sulle quali prego i
rappresentanti dei sindacati di polizia di formulare,
naturalmente dal loro punto di vista, un giudizio utile a
comprendere se alla fine del processo avviato siano
conseguibili le opportune sintonie politiche in materia.
  ANTONIO BARGONE. Ringrazio i rappresentanti del SIULP e
del SAP per le loro interessanti introduzioni e per le
proposte sottoposteci.
   La mia prima domanda riguarda la direzione investigativa
antimafia, nella cui gestione il dottor Sgalla ha affermato
che occorre scongiurare ogni tendenza di esasperato
autonomismo.
   Vorrei una risposta più chiara al riguardo. Esiste
l'esempio dell'apertura diretta di uffici in scali
aeroportuali, ma chiedo se vi sia qualcosa di più strutturale
sul piano dei rapporti che impedisce che l'azione della DIA
possa svolgersi come previsto dalla legge in termini di
coordinamento e di utilizzazione dell'attività investigativa
delle forze di polizia sul territorio.
   Mi preoccupa che il giudizio di esasperato autonomismo sia
legato ad una separazione di funzioni tra la DIA e le forze di
polizia che in questo momento sta determinando qualche
preoccupazione. Il dottor Fioriti ha rilevato che sarebbe
inopportuno creare una quarta polizia: vorrei maggiori
precisazioni in merito, perché la questione è assai rilevante
e va rapidamente affrontata.
   Per quanto riguarda la polizia giudiziaria, si è detto che
occorre una utilizzazione diversa degli apparati ordinari di
investigazione. Non è stato invece detto molto circa i
rapporti con il magistrato, che è il titolare dell'azione
investigativa. Vorrei sapere che tipo di rapporto esista con
gli uffici giudiziari, se l'attività investigativa delle forze
di polizia sia da questi utilizzata e quali sinergie si
determinino. Desidero altresì sapere se il magistrato sia
veramente il titolare delle investigazioni e se questa
impostazione funzioni, soprattutto in relazione alle procure
distrettuali antimafia e quindi ad una fruizione dell'attività
investigativa sul territorio.
   In materia ho una preoccupazione che voglio sottoporvi
come una riflessione e come una domanda: mi chiedo se con una
centralizzazione delle investigazioni che persegue certi
obiettivi, si rischia di
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disperdere quanto può essere fatto sul piano territoriale da
chi può svolgere funzioni di antenna e di terminale, per la
sua conoscenza degli ambienti e delle persone.
   Esiste in merito solo un problema di potenziamento o vi è
anche un problema di rapporti? La questione attiene anche alla
qualità dell'investigazione e non solo all'aspetto
dell'ampliamento degli organici, di cui spesso sentiamo
parlare, pur sapendo che il numero degli addetti alle forze
dell'ordine è altissimo, mentre essi non sono utilizzati al
meglio dal punto di vista della dislocazione territoriale e
della qualità della formazione professionale.
   Per quanto riguarda ad esempio gli accertamenti
patrimoniali, nell'aggresione ai patrimoni mafiosi, che è una
delle questioni più rilevanti, non si registra un consistente
impegno della Guardia di finanza essendo tale corpo - come è
stato più volte affermato nel corso delle nostre audizioni -
condizionato da compiti di istituto assorbenti rispetto alla
attività antimafia, delegata ai GICO. Bastano questi organismi
a svolgere i compiti in questione o sono necessari
coordinamenti e sinergie diversi tra le forze dell'ordine
anche per quanto riguarda la competenza e la formazione
professionale in tema di lettura di bilanci e di comprensione
degli assetti societari?
  PAOLO CABRAS. Ho apprezzato la relazione del dottor
Sgalla e l'intervento del dottor Fiorito perché, fatti salvi
quegli argomenti sui quali è opportuno un confronto e sui
quali possono esistere differenze di opinione, l'impianto
generale delle posizioni sindacali a mio parere riesce a
coniugare realismo e necessità di ottenere una
razionalizzazione ed un migliore utilizzo delle forze.
Appartengo al novero di coloro che non sono mai stati fautori
della reazione emotiva, secondo la quale ad ogni vittoria
della criminalità organizzata occorre rispondere aumentando
gli organici della polizia e dei carabinieri; non sono neanche
tra coloro che ritengono che l'occupazione del territorio, e
non la qualità dell'azione di contrasto, sia il segno della
presenza dello Stato. Quest'ultima visione è un po' gretta ma
prevale soprattutto in seno alla grande stampa di opinione: mi
piacerebbe verificare analiticamente quando sia accaduto che
un inviato di un importante quotidiano o di un importante
periodico, recatosi sul luogo dopo un crimine o una strage di
mafia, non abbia scritto che, circolando per le terre di
Sicilia, di Calabria o di Campania, gli sia stato impossibile
vedere ad ogni angolo un poliziotto, un carabiniere, una
divisa.
   Vi è invece esigenza di razionalizzare e di migliorare la
qualità dell'azione di contrasto, in quanto l'articolazione
della criminalità organizzata richiede una risposta sempre più
pronta in termini di efficacia e di continuità.
   Ritengo giusto il vostro approccio al problema del
coordinamento. Ho sempre ritenuto che, quando il problema del
coordinamento si confronta con una realtà (comprendo le
tensioni del SAP) difficilmente modificabile, quella del
pluralismo delle storie, delle tradizioni e delle esperienze
che connotano le diverse forze di polizia del nostro paese (in
campo civile e in campo militare), è difficile pensare ad un
coordinamento che non abbia una connotazione gerarchica.
   L'obiezione maggiore che si può muovere all'idea di un
coordinamento affidato ad una figura dell'apparato
amministrativo è che questa sarebbe sempre ridotta alle
dimensioni di una sovraordinazione di carattere funzionale.
   Vi è allora da chiedersi se una figura dell'apparato
burocratico-amministrativo dello Stato, pur ad altissimo
livello di responsabilità, sarebbe in grado di ottenere quel
coordinamento che l'autorità politica ha difficoltà ad
ottenere. Ho avuto occasione di esprimere questa mia
valutazione nella discussione che si sta svolgendo in
Commissione al Senato sul disegno di legge del Governo,
affermando che non è possibile pensare che un segretario
generale, pur dotato di poteri più cartolari che effettivi,
ottenga dall'Arma dei carabinieri quella risposta sul
                        Pag. 1448
terreno del coordinamento, e quindi sul terreno
dell'obbedienza alle indicazioni, che persino i ministri hanno
difficoltà ad ottenere. Avendo una certa esperienza in campo
parlamentare come anche su talune questioni in tema di ordine
pubblico, non possiamo dimenticare che il ministro
dell'interno, pur rappresentando l'autorità nazionale di
pubblica sicurezza, non è in grado di ottenere dall'Arma dei
carabinieri un flusso di informazioni pari a quello che gli
viene dalla Polizia di Stato. Questo è un fatto, e contro i
fatti è vano rompersi la testa.
   Credo quindi che sia giusto ricondurre questo problema, se
lo vogliamo vedere in maniera realistica, ad un'autorità
politica che superi la necessità storica dell'articolazione
dei regimi diversi, non solo dell'obbedienza. Non si tratta
della dipendenza gerarchica dell'Arma dei carabinieri dal
ministro della difesa: si tratta di regole, di formazione, di
cultura e di professionalità diverse anche se concorrenti allo
stesso fine sul terreno dell'ordine pubblico.
   Dobbiamo dunque pensare sempre di più ad un miglioramento
del coordinamento funzionale, immaginando - se è possibile -
anche nuovi istituti; tuttavia la cosa più importante è
affermare che la vera competenza del coordinamento è politica,
perché è l'autorità di Governo che risponde al Parlamento del
modo in cui viene effettuato il coordinamento tra le forze di
polizia. Dobbiamo ispirarci al realismo tenendo presente che
l'atteggiamento dei sindacati di polizia maggiormente
rappresentativi è unitario su questo tema. Sempre in
Commissione al Senato abbiamo ascoltato il COCER dei
carabinieri, che ha addirittura avanzato rivendicazioni sulla
legge n. 121 del 1981, sostenendo che tanti anni fa il
Parlamento ha compiuto un sopruso, espropriando i carabinieri
di tale questione. Bisogna dunque trovare una soluzione del
problema che tenga conto di sensibilità così diverse, a volte
esasperate...
  MARCO TARADASH. Non l'avete trovata tanti anni fa!
  PAOLO CABRAS. Collega Taradash, le soluzioni
apparentemente semplici - come nel caso della legalizzazione
della droga - complicano i problemi invece di risolverli
perché storie, esperienze ed istituzioni non si possono
distruggere in maniera velleitaria. Si tratta di un differente
approccio culturale, altrimenti mi sarei anch'io iscritto al
partito radicale: l'hanno fatto tanti democristiani,
immaginiamoci se non l'avrei potuto fare anch'io che mi sento
molto più libertario di altri colleghi che pure si sono
iscritti!
   Occorre quindi operare nei limiti di un razionale
contemperamento di regole e storie diverse, essendo tuttavia
molto precisi negli obiettivi strategici e negli strumenti da
adoperare. In questo senso, quando i rappresentanti dei
sindacati di polizia richiamano il coordinamento a livello
provinciale, nutro qualche dubbio sull'indicazione del
questore; preferirei infatti, anche per le funzioni attribuite
ai comitati provinciali, puntare piuttosto sul prefetto. Se
infatti si pensa di rivendicare in termini di coordinamento un
potere oppure un ruolo maggiore o più evidente al questore, ho
paura che si vada incontro piuttosto all'acuirsi di polemiche
e di contrapposizioni. Credo che occorra tener ferma la figura
unificante del prefetto, cui la legge istitutiva della polizia
civile ed anche quelle successive (pensiamo alle stesse leggi
antimafia ed a quelle sui poteri del prefetto per quanto
riguarda l'azione di prevenzione della criminalità organizzata
nella vita degli enti locali ed in genere nella vita pubblica)
hanno conferito una funzione che può e deve essere valorizzata
anche ai fini del coordinamento.
   Anch'io, come il collega Calvi, ho notato nelle relazioni
dei nostri ospiti una sorta di freddezza nei confronti della
DIA. Sono d'accordo sul fatto che la DIA non debba diventare
una quarta polizia: l'abbiamo affermato nel dibattito
parlamentare ed abbiamo modificato il testo originario della
legge proprio per evitare tale rischio. Vi è comunque il
pericolo che la DIA divenga una quarta polizia se
                        Pag. 1449
non risolviamo la questione dei corpi speciali: SCO, ROS,
GICO ...
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP.
Anche delle squadre mobili!
  PAOLO CABRAS. Sì, ma a livello centrale vi è una certa
esosità della polizia come dei carabinieri nel voler rendere
queste strutture sempre più concorrenziali rispetto alla DIA.
Anche per questa strada si può arrivare ad una concorrenza che
riguarda la quarta polizia. Mi rendo conto che, come affermano
sia il prefetto Parisi sia alcuni dirigenti dello SCO, per
rimanere nel vostro ambito, vi sono compiti di quest'ultimo
che non sono completamente riducibili alla lotta alla mafia.
Questo è vero, però mi sembra che vi sia stata una certa
avarizia della polizia e dei carabinieri nel concedere alla
DIA, in termini di risorse umane, di competenze e di
strumenti, quel che ad essa andava dato nella sua veste di
agenzia speciale integrata ai fini investigativi. Allo stesso
modo non rifiuterei un'autonomia finanziaria ad un'agenzia che
deve avere un modulo di speditezza nel settore informativo, il
che non significa incentivarla ad uscire fuori dal suo ambito
istituzionale, ma evitare di farla soggiacere ad un modulo
burocratico che appesantisce la vita di ogni struttura e di
ogni parte dell'amministrazione pubblica del nostro paese.
Siete troppo profondi conoscitori di questa amministrazione
per non condividere un'esigenza di autonomia della DIA, per lo
meno finanziaria.
   Sono questi gli elementi che volevo sottolineare,
esprimendo anche alcune riserve ed alcuni dubbi sulla vostra
impostazione, pur avendo manifestato la mia convergenza sul
problema del coordinamento. Senza togliere nulla al
potenziamento qualitativo ed anche alla strategia operativa
(condivido quanto affermate in ordine al controllo del
territorio), credo che si possa arrivare ad utilizzare,
attraverso la DIA, uno strumento che, pur concorrendo alle
stesse finalità, non diventi mai ripetitivo rispetto alle
funzioni sia della polizia giudiziaria sia in genere dei corpi
di polizia. Ritengo che questo sia importante ai fini del
chiarimento che vi deve essere tra di noi.
  MARCO TARADASH. Vorrei sapere se sia possibile procedere
per blocchi di risposte, al fine di evitare l'accavallarsi
delle questioni.
  PRESIDENTE. Sta bene. Do pertanto la parola al
rappresentante del SIULP, avvertendo sia il dottor Sgalla sia
il dottor Fioriti che, qualora talune questioni comportassero
analisi complesse, essi potranno riservarsi di rispondere per
iscritto.
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP.
Poiché alcune domande sono molto specifiche, i miei colleghi
potranno contribuire a fornire risposte più precise al fine di
evitare qualche mia dimenticanza. Ringrazio gli onorevoli
commissari per averci dato atto del nostro sforzo di non tener
solo conto, per così dire, del colore della giubba: la nostra
non è un'ottica di corpo e lo dimostra il nostro tentativo di
sintetizzare alcune idee sul coordinamento e sull'uso degli
apparati investigativi, affrontando il problema sul piano
istituzionale affinché la risposta dello Stato sia sempre più
efficiente.
   Riferendomi a quanto ha affermato l'onorevole Taradash,
ricordo che nella nostra relazione abbiamo sostenuto che
spesso l'uso dell'esercito è stata una risposta emergenziale e
spettacolare di fronte alle situazioni più gravi. Per esempio,
non si è fatto - e credo sia importante - un confronto tra i
costi ed i ricavi. Questo è un problema serio, che riguarda
tutta l'impalcatura del sistema sicurezza.
  PRESIDENTE. Si riferisce ai costi economici?
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Sì,
ai costi in termini di
                        Pag. 1450
uso di risorse umane e finanziarie. E' un problema che
attiene a tutto il sistema sicurezza; credo che a nessuno sia
sfuggito l'ingentissimo stanziamento a favore della polizia
nel bilancio del 1993, anche per far fronte ai costi dovuti
all'uso delle forze militari per determinati servizi, che non
ha sempre prodotto risultati adeguati.
  PRESIDENTE. Dottor Sgalla, può quantificare il costo
dell'impiego delle forze armate in Sicilia?
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Non
sono in grado di farlo, ma credo che l'uso dei militari...
  MAURIZIO CALVI. Ritengo che per meglio comprendere il
rapporto costi-ricavi sarebbe utile che il ministro della
difesa intervenisse in questa Commissione per fornire alcuni
dati.
  PRESIDENTE. Se i colleghi sono d'accordo, inseriremo
tale audizione nel calendario.
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Del
resto vi sono alcune nostre proposte tese a razionalizzare le
risorse destinate alle forze di polizia. Una volta con i
colleghi del SAP abbiamo calcolato che unificando alcune
strutture logistiche si sarebbero risparmiati diversi
miliardi.
   Per quanto riguarda la liberalizzazione della droga, vi
sono opinioni contrarie e molto differenziate tra loro.
Comunque, al di là della liberalizzazione o della
legalizzazione della droga (credo che l'onorevole Taradash
facesse riferimento alla legalizzazione), un collega della
segreteria del SIULP potrà fornire tutte le risposte in ordine
alle modalità con cui il nostro sindacato intende affrontare
il problema. Anche se in questa fase a noi preme di più
sottolineare gli aspetti investigativi della lotta alla droga,
rilevo che la legalizzazione non è più da considerarsi un
tabù, tant'è che molti operatori di polizia incominciano, sul
piano operativo, ad affrontare e risolvere il problema in
maniera per così dire più laica, eliminando qualche
pregiudizio che forse prima esisteva.
   Al senatore Calvi vorrei dire che da parte nostra non vi è
alcun pregiudizio nei confronti della DIA; più volte abbiamo
affermato che questo organismo deve funzionare, non fosse
altro per metterlo alla prova, per verificare se veramente è
lo strumento predisposto dal Governo per combattere la
criminalità organizzata. Abbiamo tuttavia formulato dubbi in
ordine alla sua funzionalità, e non a caso alcune modifiche
alla legge istitutiva sono frutto di nostre proposte: la
confluenza del GIS, del ROS e del GICO nella DIA, nonché la
soppressione della figura dell'Alto commissario, furono
appunto proposte che avanzammo nelle sedi opportune e che
furono accolte dal legislatore. Crediamo quindi che alla DIA
debbano essere dati tutti gli strumenti per operare. Ciò che
ci preoccupa è una possibile dilatazione delle sue competenze;
è pur vero che non è agevole distinguere quale tipo di
investigazione deve compiere (pensiamo a quelle condotte sul
terreno della lotta alla droga) e quale influenza abbia sulla
criminalità organizzata, per cui è difficile suddividere i
vari campi investigativi, però ci viene segnalata una
dilatazione delle sue competenze che si sovrappongono a
quelle...
  PRESIDENTE. Mi scusi dottor Sgalla, ma i rappresentanti
della DIA ci hanno detto che all'aeroporto di Fiumicino non è
presente un loro ufficio, bensì un loro uomo dotato di un fax
per comunicare tempestivamente con la sede centrale. E'
esatto? E se è esatto ciò modifica il vostro giudizio?
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP.
Dovremo verificare se si tratta veramente di un uomo o di un
ufficio aperto presso l'aeroporto di Fiumicino; in ogni caso
poiché vi è già un
                        Pag. 1451
ufficio di polizia in loco, questo potrebbe benissimo
fornire alla DIA tutte le notizie che le necessitano.
  CARLO D'AMATO. La DIA lamenta il fatto di non ricevere
informazioni dagli altri corpi di polizia. La legge prevede
espressamente che le forze di polizia diano tutte le
informazioni in loro possesso alla DIA.
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP.
Sarebbe quanto mai opportuno verificare quali sono gli organi
di polizia che non collaborano con la DIA. Mi sembra
importante a tale proposito sottolineare che la Polizia di
Stato assolve fino in fondo il proprio dovere di informare la
DIA, non fosse altro perché il dipartimento è competente sul
piano del coordinamento amministrativo in campo nazionale. E'
questo uno degli aspetti che ci preme sottolineare per
contrastare l'atto Senato n. 600 il quale, se approvato,
porterebbe ad una diminuzione dei flussi informativi. Mentre
oggi il capo della polizia è anche il direttore generale della
pubblica sicurezza, dividendo i due incarichi si correrebbe il
rischio di vedere diminuiti i flussi informativi della stessa
Polizia di Stato. L'impressione che noi abbiamo è che le altre
forze di polizia siano carenti su questo piano. Possiamo del
resto confermare che a livello periferico, rispetto ai piani
integrati di controllo del territorio (la famosa direttiva
dell'allora ministro Scotti), le forze di polizia carenti sul
piano dell'informazione sono l'Arma dei carabinieri e la
Guardia di finanza che non inviano le informazioni ai
questori, cosa che questi ultimi fanno nei confronti delle
stazioni dei carabinieri e degli uffici periferici della
Guardia di finanza.
  PRESIDENTE. A noi risulta che vi è una carenza del
flusso informativo per quanto riguarda la DIA. Vi è una norma
che stabilisce l'obbligo di comunicare tutte le informazioni a
quest'organo. Sembra che alcuni corpi di polizia diano tali
informazioni solo su richiesta della DIA; è ovvio che
quest'ultima non può richiedere alcunché se non è a conoscenza
delle informazioni. In pratica siamo di fronte al classico
cane che si morde la coda. La Commissione è dell'avviso che se
la legge c'è deve essere applicata fino in fondo; non vanno
quindi poste strategie di blocco, altrimenti si rischia di
creare confusione anche nel sistema informativo.
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Noi
siamo sempre stati contrari a qualsiasi forma di
pseudosabotaggio, affermando che occorre far funzionare la
DIA, anche per sperimentare nel concreto la sua efficienza.
  PRESIDENTE. Vorrei chiedere scusa a lei, dottor Sgalla,
ed ai colleghi se interrompo brevemente la trattazione di
questi argomenti per sottoporre all'attenzione della
Commissione due questioni importanti.
Sulle dimissioni dell'onorevole Cafarelli da segretario
                    della Commissione.
  PRESIDENTE. Comunico che mi è stata inviata dal collega
Cafarelli una lettera con la quale egli rassegna le sue
dimissioni da segretario della Commissione. La lettera è del
seguente tenore: "Mi è stato notificato questa mattina un
avviso di garanzia per concorso in concussione che avrebbe
attinenza con l'inchiesta ANAS in corso a Roma. Non so dirti
il mio stupore e la mia indignazione nel ritrovarmi coinvolto
in vicende alle quali, per costume e per valori, sono sempre
rimasto estraneo. In attesa che si faccia chiarezza e che la
mia estraneità venga rapidamente dimostrata, devo preservare
il prezioso lavoro della Commissione da attacchi e da
strumentalizzazioni interessate; per questo ti prego di
accettare le mie dimissioni da segretario".
   Siccome accettare le dimissioni non spetta a me ma alla
Commissione, le sottopongo ai colleghi, rilevando che
l'onorevole
                        Pag. 1452
 Cafarelli ha lavorato con grande impegno ed ha condotto una
battaglia difficilissima nella sua città contro gruppi di
potere imprenditoriali e criminali: recentemente, ignoti hanno
tentato di incendiare il suo studio, per cui la situazione è
estremamente complessa. Tuttavia, preso atto del suo lavoro e
del suo impegno, vi è un fatto oggettivo grave, dato anche dal
tipo di imputazione: un imprenditore dichiara di aver
consegnato una ingente cifra all'onorevole Cafarelli.
   Propongo che la Commissione esprima un giudizio di
apprezzamento per il gesto del collega Cafarelli ed accetti le
sue dimissioni.
  MARCO TARADASH. Esprimerò un voto di astensione perché,
anche se comprendo bene i motivi che hanno indotto l'onorevole
Cafarelli a rassegnare le sue dimissioni, continuo a rifiutare
il criterio per cui un avviso di garanzia significhi indegnità
a partecipare ai lavori di una Commissione o a ricoprire una
carica al suo interno.
  PRESIDENTE. Anch'io.
  MARCO TARADASH. Non sono certo in dialettica con lei,
signor presidente, non accetto però il principio per cui un
avviso di garanzia significhi indegnità o minor diritto di
svolgere una funzione nel Parlamento ed in questa Commissione.
Ma il clima è quello che è ed è sotto l'influenza di tale
clima che il collega Cafarelli ha assunto la sua scelta: per
questa ragione, mi asterrò.
  PAOLO CABRAS. Esprimo apprezzamento per il gesto
compiuto dall'onorevole Cafarelli. E' un collega che stimo,
che ha lavorato con me ed ha fatto parte di questa Commissione
anche durante la scorsa legislatura. Egli si è esposto
personalmente, vivendo in una realtà difficile come quella
della sua provincia e della sua regione. Anche io, come il
collega Taradash, non credo che un avviso di garanzia sia di
per sé un coefficiente di indegnità, però va certo apprezzato
il gesto di generosità di Cafarelli, il quale non vuole che in
qualche modo tutta la sua vicenda si ripercuota sull'attività
di una Commissione che svolge un compito istituzionale
estremamente delicato. Ciò che in altre vicende ed in altri
ambiti potrebbe essere considerato superfluo, quando coinvolge
compiti di rappresentanza diventa una dolorosa necessità.
Credo che in qualche modo la politica, oggi considerata come
un privilegio, debba comportare sacrifici e rinunce che ad
altri cittadini non vengono richiesti.
  MAURIZIO CALVI. Il gesto del collega Cafarelli è senza
dubbio da apprezzare, soprattutto se consideriamo che la
Commissione antimafia oggi rappresenta un delicatissimo snodo
delle istituzioni del nostro paese. Bisogna pertanto
preservare tale snodo da contraccolpi che in qualche modo
possano danneggiare il livello di risposta
politico-istituzionale di questa Commissione. Apprezzo
comunque il gesto, considerando soprattutto le condizioni in
cui il collega Cafarelli svolge la sua attività in una realtà
piena di problemi. Tuttavia, proprio per la delicatezza dei
problemi e del livello istituzionale che noi rappresentiamo,
sarebbe utile accogliere le dimissioni dell'onorevole
Cafarelli.
  ANTONIO BARGONE. Sono stupito dall'avviso di garanzia
ricevuto dal collega Cafarelli, che conosco per essere stato
membro di questa Commissione anche nella scorsa legislatura.
Accogliere le dimissioni dell'onorevole Cafarelli non è un
modo per avallare un automatismo tra l'avviso di garanzia e la
sua presenza in questa Commissione, tuttavia credo che
dobbiamo considerare l'eventuale disagio ed imbarazzo del
collega. Ritengo che le diverse esigenze da contemperare ci
inducano ad accettare le sue dimissioni. Credo che ciò serva
anche a sgomberare il campo da ogni dubbio ed equivoco, dando
all'onorevole Cafarelli la possibilità di tutelare la propria
immagine
                        Pag. 1453
 e la propria dignità rispetto al provvedimento giudiziario
di cui è stato fatto oggetto. Per tali ragioni, ritengo
opportuno accogliere le sue dimissioni.
  MICHELE FLORINO. Ritengo che le dimissioni
dell'onorevole Cafarelli debbano essere accolte proprio per la
funzione delicata che egli ricopre nell'ufficio di presidenza
della Commissione. Non mi pare opportuno richiamare, come
taluno ha fatto, argomentazioni di carattere giuridico o
ideologico: tutti sanno che, anche se l'avviso di garanzia non
presuppone la colpevolezza, comunque rappresenta il primo
segnale dell'avvio di una indagine.
  GIROLAMO TRIPODI. Desidero esprimere apprezzamento per
il gesto compiuto dall'onorevole Cafarelli - che mi auguro
possa dimostrare la propria estraneità ai fatti che gli
vengono addebitati - ritenendo che la sua sia stata una
decisione molto saggia, in quanto è volta ad impedire che la
vicenda si rifletta sulla Commissione, appannandone
l'immagine. Ritengo quindi che le sue dimissioni debbano
essere accolte.
  PRESIDENTE. Concordo con quanto ha affermato l'onorevole
Taradash e cioè che non deve esservi automatismo tra fatto
giudiziario e politico, nel senso che la politica deve
valutare con grande libertà ciò che accade, altrimenti
scattano meccanismi di condizionamento che fanno perdere
l'autonomia di giudizio. Occorre, quindi, valutare sempre
tutto e poi decidere caso per caso secondo criteri di
opportunità.
   Non essendovi obiezioni, rimane pertanto stabilito che
vengono accolte le dimissioni dell'onorevole Francesco
Cafarelli da segretario della Commissione.
   (Così rimane stabilito).
  Avverto che verrà divulgato un comunicato stampa in cui
si esprime apprezzamento per il gesto del collega Cafarelli,
auspicando che venga rapidamente accertata la sua estraneità
ai fatti.
Seguito della discussione e votazione della relazione
sulle risultanze del Forum con le direzioni nazionali e
distrettuali antimafia.
  PRESIDENTE. L'ufficio di presidenza, su mandato della
Commissione, ha redatto il documento finale della relazione
Brutti sulle risultanze del Forum con le direzioni nazionali e
distrettuali antimafia. Ne do lettura: "La Commissione
parlamentare antimafia, esaminate le risultanze del Forum
svoltosi il 5 febbraio con la direzione nazionale antimafia,
con le direzioni distrettuali e con il gruppo di lavoro per
gli interventi del Consiglio superiore della magistratura
nelle zone colpite dalla criminalità; premesso che si sono
manifestati recentemente positivi segnali di impegno di alcune
procure distrettuali e che, tuttavia, si avverte il pericolo
di un abbassamento della tensione ideale e professionale
nell'impegno delle istituzioni contro la mafia e che in
particolare risulta: la concessione in numerosissimi casi
della liberazione anticipata a criminali condannati con
sentenza definitiva per reati di mafia o per traffico di
stupefacenti, nonostante il conclamato permanere della loro
pericolosità e dei collegamenti con la criminalità
organizzata; il permanere di gravi carenze organizzative in
uffici giudiziari particolarmente esposti; è impossibile che
la procura della Repubblica di Palermo riesca a far fronte a
tutti i suoi impegni con un organico chiaramente
sottodimensionato almeno di dieci unità rispetto alle esigenze
ed agli organici di uffici di pari rilevanza, mentre
altrettanto insufficienti sono gli organici di Caltanissetta,
di Catania, di Reggio Calabria e di altre sedi giudiziarie
anche al di fuori delle tradizionali aree di insediamento
mafioso; che risulta un rendimento non omogeneo delle procure
distrettuali, tanto in aree di tradizionale insediamento
mafioso, quanto nelle zone di più recente penetrazione;
l'esistenza di ostacoli e difficoltà che rallentano la piena
esplicazione delle funzioni della DIA, come è emerso dalle
apposite audizioni e dalle stesse prese di
                        Pag. 1454
posizione del ministro degli interni; la mancata attuazione
di un razionale ed efficiente sistema di banche dati e di
circolazione delle informazioni tra le procure distrettuali e
la procura nazionale antimafia.
   Considerato che già più volte da momenti di alto impegno e
forte tensione ideale si è passati ad una fase di sbandamento
ed inerzia, che ha vanificato i successi ottenuti dalle forze
dell'ordine e dalla magistratura, ridando fiato alle
organizzazioni mafiose e causando nuove tragedie; rilevato che
non bisogna ripetere i tragici errori del passato e che
proprio l'esperienza già fatta impone di intervenire
immediatamente e di attivare tutte le possibili sinergie
istituzionali per far riacquistare efficacia e continuità
all'azione di contrasto; che esistono proposte efficaci sulle
quali si verifica una larga convergenza tra le forze
parlamentari e che su di esse vi è anche il consenso del
Governo; la Commissione delibera di proporre al Parlamento e
al Governo alcuni obiettivi immediatamente realizzabili; in
particolare, ai sensi dell'articolo 25 quinquies,
lettera b, della legge istitutiva propone che il Parlamento,
anche sulla base di parere che sarà opportuno richiedere al
Consiglio superiore della magistratura, fissi nuove norme per
istituire i tribunali distrettuali, con competenza per i
procedimenti relativi ai delitti di criminalità organizzata,
presso ciascun capoluogo di distretto; assegnare alle procure
distrettuali l'iniziativa processuale relativa alle misure di
prevenzione previste dalla legislazione antimafia; offrire
incentivi meno incerti nella riduzione delle pene a chi
intenda collaborare con la giustizia, restringendo i margini
troppo ampi di discrezionalità del giudice del dibattimento.
   La Commissione propone altresì, ai sensi dello stesso
articolo 25 quinquies, che il Governo provveda per una
revisione della pianta organica delle procure distrettuali, ai
fini di un rafforzamento dell'iniziativa investigativa e
giudiziaria, e ciò d'intesa con il Consiglio superiore della
magistratura, al quale spetterà l'individuazione di una scala
di priorità nella copertura dei posti vacanti; priorità, in
ogni caso, va data alla procura della Repubblica presso il
tribunale di Palermo, alla quale è obiettivamente attribuito
il maggior sforzo investigativo; garantire, nel trattamento
dei collaboratori con la giustizia, una netta separazione tra
gli organi dell'investigazione e quelli deputati alla
protezione del collaboratore; assegnare i collaboratori alla
custodia in strutture carcerarie, opportunamente individuate,
con un trattamento penitenziario meno rigido rispetto a quello
ordinario; assumere tutte le iniziative utili allo scopo di
sostenere e potenziare la scuola per la formazione e
l'aggiornamento dei magistrati del pubblico ministero che è
già operante per iniziativa del Consiglio superiore della
magistratura.
   La Commissione, preso atto con particolare soddisfazione
che nella seduta odierna il ministro di grazia e giustizia ha
condiviso il merito delle proposte e si è impegnato ad
assumere le conseguenti iniziative, delibera di verificare in
tempi assai rapidi la situazione penitenziaria degli imputati
e dei condannati per reati di mafia; di promuovere in tempi
brevi due ulteriori incontri: uno con i magistrati della
direzione nazionale antimafia; l'altro con i rappresentanti
delle procure non distrettuali operanti nelle zone
maggiormente colpite dalla criminalità organizzata".
   Avverto che il senatore Brutti, relatore sulle risultanze
del forum, ha provveduto a modificare la sua relazione tenendo
conto del documento approvato dall'ufficio di presidenza.
Ritengo pertanto che si possa procedere alla votazione della
relazione nel suo complesso.
  MARCO TARADASH. Ritengo che prima del voto...
  PRESIDENTE. Vi è anche la possibilità di rinviarlo.
  MARCO TARADASH. Vorrei che vi fosse la possibilità di
votare con consapevolezza.
                        Pag. 1455
 Non essendo stato presente alla precedente seduta della
Commissione, vorrei sapere se siano previste dichiarazioni di
voto.
  PRESIDENTE. Sono già state svolte. Mi sono permesso di
usare questa formula perché la relazione è già stata discussa.
  MARCO TARADASH. Però il documento non era stato
presentato, per cui ho immaginato che dopo la sua
presentazione vi fosse la possibilità di rendere dichiarazioni
di voto.
  PRESIDENTE. Possiamo trasmettere a tutti i colleghi la
relazione del senatore Brutti e rinviare la votazione alla
prossima seduta.
  MARCO TARADASH. Per me va bene.
  UMBERTO RANIERI. La relazione dell'onorevole Brutti è
stata già trasmessa.
  PRESIDENTE. Sì, però ad essa è stata apportata una serie
di correzioni.
  MAURIZIO CALVI. Il documento è in perfetta sintonia con
le conclusioni del dibattito e contiene le correzioni
suggerite da ciascun gruppo, per cui ritengo, a nome del
gruppo socialista, che esso possa essere approvato.
  SAVERIO D'AMELIO. Anch'io ritengo che il documento
rifletta con dovizia di particolari il dibattito che si è
svolto in Commissione. A nome del gruppo della democrazia
cristiana, ringrazio il senatore Brutti ed esprimo l'avviso
che sia opportuno procedere alla votazione.
  ANTONIO BARGONE. L'ufficio di presidenza ed il collega
Brutti hanno ricevuto l'incarico di apportare al documento le
modifiche concordate dalla Commissione nel corso della
precedente seduta. Tali modifiche sono il frutto di una
discussione puntuale che si è concretizzata in specifiche
proposte di emendamento. A questo punto, ritengo che il
documento possa essere votato.
  PRESIDENTE. Non avrei avuto nulla in contrario a
rinviare la votazione, però gli argomenti dei colleghi sono
tali da indurmi a porre in votazione il documento.
  MICHELE FLORINO. Non essendo presente il collega
Matteoli, ritengo di assumere una personale posizione di
adesione al documento, soprattutto perché in esso è implicita
l'intenzione di ognuno di noi di dare positivi segnali di
impegno nei confronti della lotta alla mafia. Inoltre, la mia
adesione è dovuta al fatto che ho assistito allo show di
Riina e ho ascoltato le sue dichiarazioni di ricatto nei
confronti dei pentiti, dichiarazioni minacciose che dimostrano
chiaramente quale sia il ruolo dei collaboratori di giustizia
nel nostro paese, ruolo evidenziato anche dai rappresentanti
dei sindacati di polizia intervenuti alla seduta odierna.
  MARCO TARADASH. Dichiaro di astenermi.
  PRESIDENTE. Pongo in votazione la relazione del senatore
Brutti.
(E' approvata).
                 Si riprende l'audizione
                dei sindacati SIULP e SAP.
  PRESIDENTE. Do la parola al segretario generale del
SIULP.
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP.
Abbiamo espresso nella relazione - e ritengo giusto
sottolinearlo - un giudizio positivo sulla legislazione
antimafia approvata fino ad oggi ed in particolare sulle
modifiche apportate al nuovo codice di procedura penale che
hanno dato maggiore vitalità all'azione della polizia
giudiziaria. A maggior ragione il nostro giudizio è positivo
sui risultati raggiunti. Però, anche noi, come
                        Pag. 1456
organizzazione sindacale che appartiene al mondo del lavoro,
abbiamo sempre manifestato l'esigenza di non adagiarsi sugli
allori: i risultati positivi raggiunti, a volte a costo di
sacrifici notevoli, non devono far abbassare la guardia. Ho
fatto questa precisazione perché, se dalla relazione traspare
una volontà diversa, è opportuno chiarire quale sia il nostro
giudizio.
   Per quanto riguarda i temi proposti dall'onorevole
Bargone, preciso che a noi interessa sottolineare gli aspetti
di formazione investigativa. Addirittura abbiamo proposto - e
credo che anche la Commissione si stia muovendo in questo
senso - che i processi di formazione investigativa per
funzionari, ispettori e ufficiali dell'Arma dei carabinieri e
della Guardia di finanza, potessero essere svolti insieme ai
pubblici ministeri perché, anche nell'attività investigativa,
ci sembra che manchi una cultura dell'indagine che dovrebbe
essere il prodotto del nuovo codice di procedura penale.
   Su questo terreno ribadiamo l'esigenza che venga
costituito un centro di formazione, un punto didattico
finalizzato alla preparazione degli investigatori, nonostante
la polizia possegga numerose scuole di buon livello.
   Condividiamo le affermazioni del senatore Cabras, con il
quale ci siamo confrontati nell'ambito della Commissione
affari costituzionali; riteniamo però che quando egli parla di
autorità politica, si riferisca al ministro. Siamo convinti
che debba essere il ministro l'autorità politica che in questi
casi assume non più una unicità di indirizzo - che sul piano
pratico non realizza il coordinamento - bensì l'unicità di
direzione. Non intendo tenere una lezione di diritto
amministrativo; credo però che unicità di direzione significhi
potestà gerarchica, di promozione, di mobilitazione, di
trasferimento e disciplinare, il che renderebbe sicuramente
più cogente la capacità di influire rispetto alle altre forze
di polizia, quanto meno per la Polizia di Stato e l'Arma dei
carabinieri.
   In ordine al coordinamento a livello provinciale, nutriamo
parecchie perplessità nell'individuare nel prefetto il
soggetto preposto. Ciò in quanto riteniamo che il prefetto
possa coordinare dal punto di vista politico-amministrativo,
non in senso tecnico-operativo, perchè non possiede gli
strumenti di conoscenza. La stessa ANFACI - che organizza i
prefetti - più volte ha ribadito il concetto che il prefetto
non è un poliziotto, di cui non ha gli strumenti, la capacità
e la professionalità.
  PRESIDENTE. Non è il suo mestiere!
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP.
Certo, non è il suo mestiere. Ripeto, il prefetto può
assolvere compiti di carattere politico-amministrativo, non
quelli tecnico-operativi per i quali occorre una
professionalità ed una conoscenza specifiche.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP.
Vorrei soffermarmi su alcuni punti in particolare. Nel caso si
procedesse all'unificazione di vari corpi di polizia si
otterrebbe non solo una riduzione incredibile di spese, ma
anche un risparmio a livello di impiego operativo.
Attualmente, nel campo delle indagini di polizia giudiziaria
spesso, quotidianamente direi, si svolgono le stesse indagini
senza saperlo. Su una determinata ipotesi di reato lavoriamo
insieme con altre forze: non è un caso se nei confronti di
determinati professionisti sono state eseguite perquisizioni
nella stessa giornata da due forze diverse di polizia.
  PRESIDENTE. Speriamo che la seconda perquisizione abbia
conseguito risultati migliori della prima.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP.
Purtroppo no, sono risultate ambedue negative.
   Certo, si è legati alle tradizioni ed alle motivazioni
storiche; ciò non toglie che bisognerebbe procedere ad un
aggiornamento
                        Pag. 1457
 alla luce dei cambiamenti intervenuti. Non sosteniamo che le
forze debbano confluire nella Polizia di Stato, si può
confluire anche nell'Arma dei carabinieri. Una scelta però si
impone, ossia quella di decidere se si vuole una polizia
militare oppure civile: su questo credo vada ricercata la
soluzione.
   E' vero che oggi esistono ben tre forze di polizia civile
in Italia, ossia noi, le guardie forestali e la polizia
penitenziaria - che è una realtà civile da pochissimo tempo -,
ma è altrettanto vero che le ultime due hanno chiesto, tramite
le loro rappresentanze sindacali, di far parte del Ministero
dell'interno. A livello di polizia civile qualcosa si muove in
direzione dell'unificazione ed i benefici sono evidenti. Da
una parte, infatti, si risparmierebbe a livello economico,
strutturale, di mezzi e di uomini; dall'altra, vi sarebbe una
maggiore competenza, incisività e dedizione perché verrebbero
meno la concorrenza e tutte le piccole disfunzioni che oggi si
registrano. Per altro, nel contempo si risolverebbe anche il
problema del coordinamento senza ricorrere ad altre
invenzioni.
   In relazione alla legalizzazione o liberalizzazione della
droga ...
  PRESIDENTE. Sono due concetti diversi.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. In
relazione alla legalizzazione della droga, ritengo - sulla
base all'esperienza acquisita con la direzione della sezione
narcotici - che la soluzione vada individuata o nella
legalizzazione oppure nella punizione del possessore di
modiche quantità. La via di mezzo non esiste. Diversamente il
problema verrebbe allontanato per effetto della schiera dei
piccoli consumatori o spacciatori che si verrebbe a creare.
   Mi pongo un problema di coscienza, perché non credo che lo
Stato possa legalizzare il suicidio di massa - ovviamente mi
riferisco alle droghe pesanti - né che si possa legalizzare la
vendita di sostanze letali.
   Per quanto riguarda l'utilizzazione delle forze armate,
non abbiamo sollevato difficoltà. Obiettivamente sono stati
registrati dei risultati in termini di reati non consumati e
di diminuzione della microcriminalità. Il problema è
rappresentato dal fatto che l'esercito, impiegato per
l'assolvimento di compiti legati alla sicurezza, deve essere
posto alle dipendenze di un'autorità civile di pubblica
sicurezza. Può essere anche il prefetto, non importa,
l'importante è - lo ripeto - la dipendenza da un'autorità
civile di pubblica sicurezza. Il conferimento di comandi
autonomi potrebbe significare tutt'altra cosa, il che può
farci paura.
   In ordine alle insofferenze che avremmo dimostrato, forse
abbiamo dato un'impressione sbagliata. Effettivamente abbiamo
reagito negativamente all'atto Senato n. 600.
              PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
                       PAOLO CABRAS
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP.
Poichè siamo convinti dell'assoluta inutilità dell'istituto,
abbiamo reagito in maniera drastica. Invece, per quanto
riguarda la DIA e le forze armate non vi è alcuna
insofferenza.
   Con riferimento alla DIA mi risulta che gli uffici di
polizia, specialmente quelli che conosco direttamente, ossia
del centro-nord, si siano attivati per fornire indicazioni
alla direzione investigativa. Al riguardo, consentitemi di
dire che si corre il rischio di creare un'altra polizia,
perchè nel momento in cui si concedesse l'autonomia
finanziaria - e siamo convinti che questa si debba concedere -
forzatamente si sarebbe portati, soprattutto nel nostro
ambiente, ad essere più autonomi rispetto alle altre forze, in
un regime di concorrenzialità che può diventare conflittuale
addirittura con i reparti operativi della periferia. Mi
riferisco alle squadre mobili o ai nuclei operativi dei
carabinieri. Nel momento in cui dovesse svilupparsi una
conflittualità tra la DIA e le squadre
                        Pag. 1458
mobili, obiettivamente si creerebbe un problema operativo non
indifferente: le stesse difficoltà che per converso possono
nascere tra un magistrato di tribunale ed uno assegnato alla
direzione distrettuale antimafia.
  PRESIDENTE. Le competenze sono diverse. Certo, il suo
esempio è calzante.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Non
ricordo chi avesse sollevato la problematica dei rapporti tra
forze di polizia e magistratura, ma la questione esiste anche
in questo campo e soprattutto nelle piccole province. Nelle 83
province italiane il problema esiste.
   Non si può affermare che la colpa sia del magistrato o del
funzionario dirigente una squadra mobile o un settore
operativo, spesso però la polizia è utilizzata più per motivi
futili che per attività di polizia giudiziaria. Lo diciamo con
molta franchezza.
   Con il nuovo codice abbiamo notato due effetti: da un lato
il coinvolgimento del pubblico ministero nelle indagini e il
calarsi in una realtà operativa, dall'altro l'arroccamento del
pubblico ministero il quale vuole svolgere compiti di
direzione tipo quelli esercitati dal dirigente di una squadra
mobile. In questo caso sono sorte numerose difficoltà.
   Riteniamo che la soluzione stia anche nella intelligenza
delle persone...
  PRESIDENTE. Ed anche nella professionalità.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP.
Certo, anche nella professionalità. Lei capisce però che in
una piccola questura, dove opera disgraziatamente un solo
sostituto procuratore, l'attività operativa ed investigativa
dell'intera provincia può essere messa in crisi.
   Nei rapporti con i magistrati non solleviamo problemi. Per
gli accertamenti patrimoniali la nostra amministrazione sta
attraversando una fase delicata. Stiamo esaminando un progetto
di riordino delle carriere scaturito a seguito della sentenza
della Corte costituzionale che ha parificato alcuni ruoli dei
carabinieri ai nostri. Praticamente l'ispettore, ossia la
figura che doveva essere il fiore all'occhiello della Polizia
di Stato, è diventato un sottufficiale dei carabinieri per
effetto, ripeto, di una sentenza di un'autorità che dovrebbe
essere giurisdizionale.
   Attualmente si sta procedendo al riordino delle carriere
ed il nostro sindacato ha proposto, al fine di rivalutare la
figura dell'ispettore, che tra l'altro gli sia concessa la
specificità delle indagini patrimoniali delegate dal questore,
perché a quest'organo è consentito compiere accertamenti. In
tal modo avremmo un organico di circa 8.800 unità le quali
potrebbero specializzarsi in un compito sicuramente
impegnativo e qualificante nella lotta contro la grossa
criminalità.
   Ci stiamo muovendo per garantire che all'interno della
Polizia di Stato possa esistere questa ulteriore possibilità
di indagine rispetto alla lotta contro la criminalità.
   Sul segretario generale ci siamo già soffermati. Per
quanto riguarda il ruolo del prefetto e del questore, vorrei
ribadire che al prefetto la legge affida il coordinamento
politico delle forze di polizia. In altri termini, se in una
realtà periferica esiste un problema il prefetto può
incentivare l'attività di sicurezza. Quanti uomini debbano
essere dislocati per quel servizio...
  PRESIDENTE. Voi fate il discorso sul piano
tecnico-operativo che non compete al prefetto, però attribuite
al questore un ruolo di coordinamento politico, il che è una
contraddizione.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP.
Forse mi sono spiegato male.
  PRESIDENTE. Teniamo fermo il prefetto che tutto sommato
è il "corrispettivo" del ministro; se vi riferite al questore,
introducete un elemento di conflittualità.
                        Pag. 1459
   CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Il
questore è un'autorità provinciale di pubblica sicurezza al
pari del prefetto. La scelta politica fu operata...
  PRESIDENTE. La funzione di coordinamento è opportuna.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. La
funzione di coordinamento è svolta dal prefetto. Stiamo
dicendo che nel momento in cui bisogna tradurre in pratica le
direttive di coordinamento date dal prefetto deve intervenire
il questore. La stessa legge attualmente vigente è così...
  PRESIDENTE. Sembrava che nel vostro documento si volesse
delineare un ruolo esorbitante. Vi darei in tal senso anche un
consiglio tattico, pregandovi di non insistere su questo,
perché ciò provocherebbe una reazione...
                PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
                     LUCIANO VIOLANTE
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP.
Assolutamente non proponiamo che il questore sia il
coordinatore di tutte le forze di polizia. Riteniamo che,
essendo egli autorità provinciale di pubblica sicurezza, gli
dovrebbe essere garantita la possibilità di attuare le
direttive del prefetto a livello tecnico. Credo che
quest'ultimo non possa carta in mano mettersi a dislocare gli
uomini sul territorio, anche perché - mi spingo un po' oltre -
siamo convinti che il coordinamento effettivamente si verifica
nel momento in cui il questore si pone tra il prefetto e le
altre forze di polizia; viceversa, qualora questi divenisse
l'unico interlocutore di tutte le altre forze, verrebbe a
trovarsi nella stessa situazione del questore, il quale deve
registrare scarsa attenzione verso i servizi che dirige.
  GIOVANNI NICOTRA, Segretario nazionale del SIULP.
Premesso che siamo qui a parlare di apparati amministrativi e
di norme procedurali, dato che è stato sollecitato, credo che
occorra fare un brevissimo passaggio su un aspetto del diritto
sostanziale.
   Al di là delle posizioni di punta, specie in materia di
droga, assunte dai singoli o dalle strutture territoriali del
SIULP, su un aspetto vi è un sufficiente accordo: siamo per
una effettività, non per una "fittizietà" dell'attività di
controllo di polizia; siamo per una complessiva
delegificazione penale che la renda più agevole.
   Del resto è un fatto e non un'opinione che per tagliare il
tessuto connettivo della mafia occorra tentare di ridurre la
sfera di controllo dell'attività economica extralegale ed
illegale delle organizzazioni criminali.
   Il tipo di proibizionismo previsto dalle leggi vigenti
(gioco d'azzardo, prostituzione, abusivismo in genere ed
edilizio e commerciale in particolare, quindi non soltanto la
droga) aiuta a far crescere i poteri criminali. Sosteniamo che
occorre disciplinare tali fenomeni dal punto di vista
sostanziale, in modo da renderli più facilmente controllabili,
sottraendoli così alla sfera di influenza criminale.
   Il proibizionismo è a nostro avviso un problema
complessivo, che non riguarda soltanto la droga ma tutti gli
aspetti previsti dalla legislazione. E' un fatto importante
che riteniamo debba essere tenuto nella giusta considerazione
dalla Commissione parlamentare.
  NICOLA IZZO, Segretario generale aggiunto del SAP.
Desidero fare solo una piccola precisazione.
   Credo che tutti gli onorevoli presenti conoscano la legge
n. 121 del 1981 per quanto riguarda l'istituto del
coordinamento. Mi sembra che non sia stata compiuta - l'atto
Senato n. 600 rappresenta in tal senso soltanto una terapia -
una diagnosi del motivo per cui il coordinamento previsto
dalla legge n. 121 non ha funzionato. Se non stabiliamo con
esattezza le ragioni di fondo che non hanno permesso la
realizzazione di tale
                        Pag. 1460
coordinamento, così come la legge lo disegnava, credo non
possa intervenire alcuna ulteriore scelta tesa a modificare
quella prima impalcatura legislativa.
   A ciò si unisca un'altra valutazione, che svolgo
riferendomi in modo particolare alle osservazioni prima
formulate dal senatore Cabras sulla figura dal prefetto come
coordinatore nell'ambito provinciale.
   Oggi abbiamo bisogno di un coordinamento prevalentemente
tecnico-operativo. Quello di tipo politico è coordinamento di
mediazione; credo che nella lotta alla criminalità sia
necessario non un momento di mediazione, ma di effettività, di
conoscenza precipua del problema, dovendosi conseguentemente
gestire l'indirizzo della polizia di sicurezza.
   In questo campo - e qui è la scelta politica - dobbiamo
deputare un responsabile (perché questo è un paese che ha
bisogno di responsabili), stabilendo se debba essere civile o
militare; questa è una decisione che deve assumere
esclusivamente la classe politica senza onde emotive e
conoscendo perfettamente la diagnosi che è a monte del mancato
coordinamento precedente.
   L'individuazione da parte nostra del questore non è
soltanto un fatto legato ad una rivendicazione di giubba o di
un ruolo che già la legge ci assegnava; viene fatta
esclusivamente perché siamo convinti che sia necessario un
coordinamento effettuato da un'autorità civile e non militare.
   Un altro difetto dell'atto Senato n. 600 sta
nell'attribuire al centro la soluzione del problema,
individuandolo nel segretariato generale. In realtà questa
riforma dovrebbe estendersi alla periferia e da questo punto
di vista il provvedimento è tronco, non prevede alcuna
estrinsecazione periferica di questa nuova figura, nessuna
sovraordinazione nei confronti della strutturazione
periferica.
   In un momento come questo, in cui il paese affronta una
fase politica di estrema incertezza, procedere ad una riforma
istituzionale - tale sarebbe la costituzione di un
segretariato generale che farebbe venir meno gli attuali
riferimenti - non potrebbe far altro che aggravare
ulteriormente la situazione dell'ordine pubblico per mancanza
di referenti. Ciò per altro si verificherebbe in un momento in
cui l'ordine pubblico va verso una maggiore tensione sotto il
profilo dei conflitti sociali.
  GAETANO GRASSO. Relativamente al capitolo riguardante il
controllo del territorio, avvertiamo il bisogno politico di
cercare di avviare a soluzione la questione del coordinamento.
   Non so se in proposito come Commissione antimafia possiamo
assumere una iniziativa rispetto all'organizzazione di un
forum simile a quello svolto con i magistrati per
discutere con tutti i soggetti, con tutte le forze di polizia,
le persone che le rappresentano, le organizzazioni sindacali,
cercando di giungere a un punto fermo sulla questione. Se ne
parla da decenni e a mio avviso non è sostenibile il suo
ulteriore protrarsi.
   Vorrei soffermarmi su due questioni. La prima è quella
delle scorte. E' opportuno che le organizzazioni sindacali,
tra l'altro autorevoli e dotate di una conoscenza nazionale
dei problemi, si facciano carico di indicare - ma non so se
sia possibile - quelle che a loro giudizio sono le cosiddette
scorte inutili o non giustificate da sufficienti motivi di
sicurezza.
   Ogni tanto leggiamo su qualche trafiletto pubblicato dai
giornali in merito ad un abuso di uso di scorta, ma abbiamo
bisogno di disporre di un quadro generale, di una valutazione
unitaria di tutti i servizi assicurati sul territorio
nazionale.
   Venendo alla seconda questione, gli uomini di scorta sono
fra i più esposti sul terreno della sicurezza. Ricordo tutto
il clamore e l'attenzione che dopo la strage di Capaci si
appuntò sul problema. In un mio articolo pubblicato dopo
l'altra strage, quella di via D'Amelio, ho raccontato un fatto
che è mi capitato. Trovandomi subito dopo, in occasione della
manifestazione nazionale dei sindacati a
                        Pag. 1461
Palermo, ho notato che gli uomini della scorta che mi
accompagnavano avevano acquistato di tasca propria la radio
ricetrasmittente portatile che consente di comunicare con la
macchina durante gli spostamenti a piedi.
   Sono stati assunti solenni impegni di potenziamento di
mezzi. Che cosa ci potete dire a questo proposito sia rispetto
a questo tipo di mezzi, sia rispetto alle automobili blindate
che girano nel nostro paese e alla loro utilizzazione?
   Un altro aspetto riguarda il livello di formazione degli
agenti impegnati nei servizi di scorta. A volte ho
l'impressione che la distribuzione degli operatori di polizia
in tali servizi avvenga in maniera del tutto casuale, senza
tener conto del livello di formazione e dell'attitudine
professionale a svolgere questo tipo di attività.
   In linea di principio considero la concessione della
scorta - mi è piaciuta l'espressione impiegata - l'ultima
spiaggia. Mi sono trovato personalmente a seguire alcune
realtà di imprenditori particolarmente esposti nella lotta al
racket e ho cercato insieme a loro di ragionare sul
problema complessivo della sicurezza. Voglio dire che alle
volte assicurare la scorta ad un imprenditore, ad un soggetto
esposto è un modo di mettersi la coscienza a posto rispetto ai
problemi della sicurezza della comunità. Sappiamo bene che
tale problema si integra attraverso vari fattori, non è mai
legato alla tutela personale. A volte l'assegnazione della
scorta diventa un alibi e situazioni di questo tipo
determinano un'attenuazione dell'impegno, perché a mio avviso
la sicurezza si gioca in primo luogo sul controllo del
territorio; quello è il punto più importante. Ho avuto modo di
sperimentare che, invece di avere cinque scorte per
altrettanti imprenditori in un territorio di 20 mila abitanti,
è più opportuno garantire un meccanismo di controllo che metta
al sicuro non solo quei cinque ma le altre dieci o venti
persone che sono in pericolo. Qui si pone, a mio avviso, una
esigenza di riflessione, dopo aver constatato un ritardo anche
politico. Spero vogliate perdonarmi questa riflessione di
natura più tecnica che politica, ma l'ho voluta fare perché la
ritengo di grande valore.
   La seconda questione riguarda l'uso dei militari nel
controllo dei territori. Condivido del tutto le vostre
valutazioni al riguardo. A mio giudizio, l'uso dell'esercito
ha avuto una gestione a volte demagogica, a volte politica, a
volte eccessivamente tesa a ricercare l'attenzione dei mass
media. Sappiamo che il problema della sicurezza richiede
una professionalità specifica ed autonoma rispetto a quella di
un operatore della difesa. Condivido le vostre considerazioni
anche perché il controllo del territorio non è mai legato ad
una presenza militare. Ci troviamo dinanzi a ragazzi che
vigilano una strada ma che non conoscono le persone che vi
transitano, che non fermano quei soggetti su cui nutrono
qualche dubbio. Il rischio, dunque, è che la loro attività
rischi di diventare quella tipica dei vigili urbani, che si
limitano ad impedire il parcheggio delle autovetture nelle
zone vietate.
   Ho voluto fare queste riflessioni per esprimere il mio
consenso sulle osservazioni che avete svolto.
  CARLO D'AMATO. Quello odierno è stato un incontro
proficuo perché ci ha consentito di svolgere una approfondita
riflessione sulle varie questioni del coordinamento.
   Avevo già avuto modo di rilevare come l'obiettivo del
coordinamento era ben lungi dall'essere conseguito. Ciò era
emerso per altro in maniera evidente dalle audizioni dei
rappresentanti dei vari corpi dello Stato svolte nei giorni
scorsi.
   Il tentativo in atto da parte del Governo, ed in
particolare del ministro dell'interno, di istituire la figura
del segretario generale aveva suscitato in me una serie di
perplessità. Le motivazioni addotte dal SIULP e dal SAP
nell'esprimere la contrarietà a questa iniziativa sono
convincenti anche se il discorso di una effettiva
concretizzazione del coordinamento
                        Pag. 1462
 e dell'utilizzazione coesa delle forze dell'ordine rimane
comunque in piedi. In ogni caso non posso non apprezzare una
serie di indicazioni che sono emerse dal documento e
probabilmente dovremo compiere un approfondimento su di esse.
   Un ulteriore giudizio di positività sull'incontro odierno
si basa su un'altra considerazione: il fatto che per la prima
volta il sindacato confederale e quello autonomo si presentano
uniti in una situazione particolarmente complicata, offrendo
non un fronte frastagliato, che di solito ha prestato il
fianco ad incursioni nei confronti delle organizzazioni
sindacali, ma un fronte unico che consente anche di elevare il
tono del confronto. Ciò vuol dire che alle proposte del
Governo sarà fornita una risposta univoca da parte del
sindacato, il che consentirà al Parlamento, e quindi alla
nostra Commissione, di avere punti di riferimento più precisi.
   Comprendo quanto ha dichiarato il collega Grasso sulla
questione dell'esercito. Per la verità, lo dico non per
spirito di parte o perché il ministro della difesa sia un
socialista, non ho riscontrato tutta questa demagogia sul tema
dell'utilizzazione dell'esercito. Credo che al riguardo la
decisione sia stata assunta sulla base di esigenze obiettive
che hanno dato una serie di riscontri positivi, se sono vere -
e non ho motivo di ritenerle infondate - le affermazioni e le
analisi sull'utilizzazione dell'esercito che il ministro della
difesa ha più volte fatto in Parlamento, ottenendone un pieno
ed incondizionato consenso.
   Indubbiamente si tratta di arrivare ad una diversa
utilizzazione dell'esercito, un aspetto per altro già
sollevato. Debbo rilevare che, analogamente a quanto accade in
Sicilia, anche in alcune zone a rischio della Campania (zona
dell'agro aversano, paesi come Casapesenna, Casal di Principe,
San Cipriano d'Aversa, Frignano) la presenza della malavita
organizzata è massiccia. Pur rilevando positivamente l'impegno
dei carabinieri e della polizia che hanno raggiunto una serie
di risultati, occorre dire che la gente è abituata a vedere in
maniera molto più frequente, all'angolo della strada davanti
al bar, il camorrista. Il che dà il segno di come la malavita
non molli nonostante la presenza per altro non continuativa
delle forze dell'ordine. Non saprei dunque dire se l'impiego
dell'esercito sia la risposta migliore non dico dal punto di
vista militare ma del controllo del territorio, al fine di
rendere visibile la presenza dei poteri dello Stato. In alcune
realtà bisogna ricreare un clima di fiducia dei cittadini nei
confronti delle istituzioni. Non parlerei tanto di
militarizzazione dei territori ma di una intelligente
utilizzazione di un corpo dello Stato in maniera sinergica con
le forze della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri
alleggerendo il compito di queste ultime e qualificando il
primo in una attività di investigazione, di ricerca di
latitanti e di prevenzione.
   Parlo sulla base della mia esperienza di amministratore
(sono stato sindaco di Napoli) e quindi so bene cosa
significhi oggi un'utilizzazione di circa 1500-1800 vigili
urbani in una città come Napoli. C'è, a monte, un problema di
qualificazione giuridica del corpo dei vigili urbani (una
vexata quaestio non ancora risolta) da ricondurre
nell'ambito di una visione di coordinamento tra le forze
dell'ordine e di una loro presenza sul territorio. Non
escluderei pertanto che per alcune operazioni, senza con
questo arrivare ad una soluzione del problema relativo alla
qualificazione giuridica dei vigili urbani, possano essere
assegnati ad essi compiti di polizia amministrativa, di
articolazione, di dislocazione sul territorio in modo da
evitare la presenza continua delle forze dell'ordine.
  SANTI RAPISARDA. Ma ciò comporta un aumento di
stipendio!
  CARLO D'AMATO. Il problema è quello di una loro
utilizzazione. C'è la necessità di vedere qualificata
l'attività dei vigili urbani, cercando di individuare
                        Pag. 1463
nello stesso tempo un meccanismo di coordinamento che possa,
in alcune grandi città, definire itinerari preferenziali e
protetti in cui una dislocazione dei vigili urbani ed una
diversa presenza dei carabinieri e delle forze di polizia
potrebbe dare quella sicurezza di cui oggi si avverte
l'esigenza in maniera palmare, anche al fine di ricreare un
clima di collaborazione con i cittadini. Sarebbe dunque
gradito oltre che proficuo un vostro contributo in proposito.
   E' stato detto che, su un totale di 8 mila, sarebbero 3
mila i comuni non presidiati (si tratta di un dato molto
significativo) e che in alcune zone vi sarebbero caserme dei
carabinieri che funzionano a tempo parziale. Avremmo dunque
una situazione in cui, da una parte, le forze di polizia sono
in servizio 24 ore su 24 e, dall'altra, quelle dei carabinieri
che, in alcune zone, dopo le 20,30 attivano il meccanismo di
trasferimento delle chiamate telefoniche, dirottandole al
servizio del 112 e, in taluni casi, del 113. Per questo motivo
penso che nell'ambito di un reale ed efficace coordinamento
occorrerà soffermarsi con attenzione su taluni aspetti
particolari.
   E' stata poi sollevata la questione - per altro assai
avvertita - relativa alle indagini patrimoniali. Tenuto conto
che la legge assegna al questore poteri di accertamento,
abbiamo rilevato che il GICO svolge un compito certamente
importante, trattandosi di un corpo specializzato ed in
possesso di una particolare professionalità, ma il suo
organico è obiettivamente insufficiente. Sarebbe dunque
opportuno prevederne un incremento in diverse zone (per
esempio in quella napoletana ciò è già una realtà), perché con
questo particolare corpo si potrebbero continuare ad ottenere
successi nella lotta contro la mafia.
   Nel corso di una missione, a Foggia, della Commissione
antimafia (da me presieduta in quell'occasione), si è
riscontrata una discrasia fra quanto sostenuto dal questore,
secondo il quale la dotazione dei mezzi sul territorio sarebbe
soddisfacente, e quanto affermato dai rappresentanti sindacali
che, oltre a rilevare un'insufficiente dotazione dei mezzi,
una loro inadeguatezza rispetto a quelli in possesso della
malavita organizzata, hanno evidenziato anche problemi
relativi ai turni di lavoro e ad una utilizzazione squilibrata
del personale addetto a vari uffici. Ebbene, mi chiedo se
tutti questi aspetti non debbano essere approfonditi
maggiormente. Voi vi siete giustamente soffermati sulle grandi
questioni, dando alla Commissione un notevole contributo, ma
io ritengo che gli aspetti sopra considerati non siano di
scarsa importanza perché da essi può derivare un miglioramento
del clima di partecipazione e di collaborazione degli agenti.
   Infine, vi è il problema del trattamento economico (in
particolare dello straordinario) e della distribuzione del
personale che dovrebbe essere considerato in una logica che
tenga conto degli atteggiamenti motivati di tutti gli agenti
che sono impegnati in una non facile battaglia.
  MICHELE FLORINO. Fra le molteplici questioni di ampio
respiro che sono state oggi toccate merita una particolare
riflessione quella di carattere ideologico anche perché in
questa sede si ha l'abitudine non tanto di porre domande
quanto di dissertare su aspetti di natura ideologica, in
particolare su quello relativo alla legalizzazione o meno
della droga, un tema su cui è nota la mia posizione,
considerandolo un problema prima di ordine ideologico e poi di
ordine pubblico.
   Sono d'accordo sulla inutilità della figura del segretario
generale anche perché essa sarebbe la fotocopia di quella
dell'Alto commissario per la lotta contro la mafia. In
proposito, non riesco a comprendere la posizione politica dei
gruppi che prima hanno criticato la figura dell'Alto
commissario, chiedendone la soppressione, e adesso chiedono a
gran voce l'istituzione di questa nuova figura che - lo ripeto
- ricalca in modo sbiadito ed opaco quella dell'Alto
commissario.
                        Pag. 1464
   Ritengo che il nodo da sciogliere sia quello del
coordinamento, cioè quello determinato dalla conflittualità
derivante dalla contrapposizione di sigle e di comandi. Su
tale problema, chiarendo che apprezzo lo sforzo notevolissimo
delle forze dell'ordine nella lotta alla criminalità, desidero
avanzare una domanda provocatoria per comprendere fino a che
punto la dissoluzione o l'inquinamento si siano introdotti tra
le forze di polizia. Rispetto ad episodi inquietanti che
coinvolgono tutori dell'ordine e funzionari dei servizi, quali
posizioni e suggerimenti avete dato e ritenete di dare per
evitare che in futuro accadano fatti analoghi?
   Gli operatori di polizia ritengono che le leggi attuali
non motivino l'azione degli investigatori nel lavoro
anticrimine e che le scarcerazioni troppo facili siano fonte
di demotivazione per le forze dell'ordine. Se ciò risponde a
verità, quali proposte potete avanzare al riguardo?
   La terza domanda concerne l'argomento forse più
inquietante. Quale posizione assume il sindacato sul ruolo dei
cosiddetti infiltrati, che il ministro dell'interno ha
definito in questa sede "sporco"? Ciò non tanto in relazione
al caso Contrada...
  PRESIDENTE. Contrada non era un infiltrato; se lo fosse
stato non sarebbero sorti problemi!
  MICHELE FLORINO. Si è parlato di una posizione di
infiltrato. Il ministro Mancino parlando di "posizione sporca"
ha fatto pensare a questo. Il confine è labile. Non so se
abbiate seguito la vicenda di Napoli, dove gli agenti della
questura centrale si sono ribellati nei confronti di un loro
collega che era un infiltrato e che è stato scagionato da ogni
accusa.
   In che modo ritenete che questo problema possa essere
risolto, attribuendo alla polizia chiari compiti di lotta alla
criminalità, al riparo da ogni ombra capace di ingenerare
inquietanti preoccupazioni nell'opinione pubblica?
  SAVERIO D'AMELIO. Ritengo di dover innanzitutto
ringraziare il SIULP per la sua relazione, che nella sostanza
condivido, anche se voglio esporre il mio punto di vista e
porre alcune domande.
              PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
                      CARLO D'AMATO
  SAVERIO D'AMELIO. Sono convinto che il problema del
coordinamento rappresenti la chiave di volta del successo
delle forze di polizia nella lotta difficile nei confronti di
forze criminali sempre più e meglio organizzate sul
territorio.
   Leggo nella relazione che il SIULP esprime l'opinione che
il coordinamento è solo teorizzato, conclamato, ma che in
sostanza non esiste. Questa affermazione mi trova
sostanzialmente d'accordo.
   Non condivido invece le soluzioni che il sindacato
individua, affermando che, per ottenere un coordinamento
efficace, valido e produttivo, nonché vincente, l'unificazione
delle diverse forze di polizia deve avvenire sotto un'unica
autorità, nel senso che esse devono dipendere da un unico
ministero.
   Tale dipendenza servirebbe soltanto a conferire al
ministro dell'interno la capacità di dare ordini destinati a
cadere certamente nel nulla. Sono d'accordo invece con voi nel
ritenere che l'esperienza della DIA confermi che il tentativo
di aggregare attraverso essa le rappresentanze di diverse
forze di polizia è l'ulteriore riprova della incapacità
strutturale di ottenere tale risultato, perché si ha la
sensazione che, per la composizione di SCO, ROS e GICO,
ciascuna forza scelga i propri uomini migliori non in funzione
di un maggior coordinamento; è mia impressione infatti che
all'interno della DIA si trovino le punte avanzate dei
carabinieri, della polizia e della Guardia di finanza, capaci
di far da referente alle proprie centrali di comando. Ancora
una volta quindi potrebbe riprodursi una tendenza allo
scoordinamento, perché ciascuna forza fa perno sulle proprie
caratteristiche
                        Pag. 1465
 e peculiarità per rafforzare se stessa e le proprie
prerogative.
   Se questo è - e mi pare che sia così -, siamo ancora molto
lontani dall'aver ottenuto quel coordinamento che appare ormai
irrinunciabile.
   Bisogna avere il coraggio di affermare che la nuova
polizia, quella che deve investigare sul territorio, deve
essere innanzitutto in grado di assicurare la propria presenza
in loco. Al cittadino, infatti, bisogna dare fiducia,
mentre spesso si dà una involontaria sensazione di
imboscamento. La mancanza di forze sul territorio è il primo
elemento destinato a scoraggiare i cittadini e ad incoraggiare
la delinquenza.
   Sono perplesso per la categoricità delle vostre
osservazioni nettamente contrarie al segretariato generale. E'
chiaro che questo istituto andrebbe meglio definito ma, se
vogliamo tendere ad una unicità di comando, esso rappresenta
un tentativo, anche se non un punto di arrivo. Personalmente
sono favorevole a decapitare i comandi delle tre forze, in
quanto ciò che avviene tra SCO, ROS e GICO è la chiara
dimostrazione della mancanza di una unicità di azione e di un
efficace coordinamento.
   Colgo l'occasione per porre al presidente della
Commissione una domanda: sperando che le cose che si dicono in
questa sede non restino, come spesso capita, affermazioni
accademiche, desidero ricordare che in occasione di una delle
prime audizioni i rappresentanti del comando generale dei
carabinieri ci assicurarono che tutte le caserme sarebbero
state presidiate. Ebbene, a distanza di sei mesi, ciò non è
avvenuto ed ho anzi l'impressione, a giudicare da quanto
accade nella mia regione, che nuove caserme, sia pure di
piccoli comuni, vengano utilizzate a tempo parziale, con il
ricorso alle segreterie telefoniche, che rinviano a non ben
identificati numeri, ai quali si riceve risposta quando è
ormai tardi per la segnalazione e quindi, a maggior ragione,
per l'intervento delle forze dell'ordine al fine di evitare un
atto delittuoso.
   Si tratta anche di un problema di impatto psicologico,
dovendosi tendere all'aumento dei presidi funzionanti sul
territorio. Il dato fornitoci dal vicepresidente D'Amato circa
il fatto che 3 mila comuni sono ancora sguarniti di caserma
rappresenta un esempio emblematico, capace di incoraggiare la
delinquenza organizzata. Si aggiunga, inoltre, che altri 4 o 5
mila comuni dispongono di presidi dei carabinieri funzionanti
a tempo parziale. Non so quale sia la situazione dei posti di
polizia.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Non
abbiamo questo problema!
  SAVERIO D'AMELIO. Pongo tale quesito, pregando il
presidente di interpellare l'Arma dei carabinieri al fine di
sapere a che punto sia l'eliminazione di questa stortura. Non
possono essere addotte in questo caso esigenze di servizio né
questioni di spesa. L'ordine pubblico va garantito, costi quel
che costi!
  NICOLA IZZO, Segretario generale aggiunto del SAP.
Se non ci riesce il Parlamento, si immagini se potrà riuscirvi
il segretario generale!
                PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
                     LUCIANO VIOLANTE
  SANTI RAPISARDA. Ai rappresentanti dei sindacati di
polizia desidero riferire che numerosi magistrati lamentano
che, soprattutto nei piccoli paesi, i sottufficiali e gli
agenti di polizia, restando per molti anni nello stesso posto,
finiscono per essere assorbiti nel contesto della società
civile del luogo e quindi per non operare più con il
necessario impegno nello svolgimento del loro dovere. Questo
comporta un allentamento del controllo del territorio
soprattutto in Sicilia.
                        Pag. 1466
   CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Il
problema risiede nella mancanza di alloggi da attribuire agli
appartenenti alle forze di polizia che devono trasferirsi da
un posto all'altro. La carenza di alloggi rende difficilissimi
i trasferimenti, soprattutto dalla Sicilia al nord.
  SANTI RAPISARDA. I comuni potrebbero contribuire a
superare questo problema facendo ricorso alla legge n. 167.
Durante la mia esperienza di sindaco ho sempre riservato una
parte degli appartamenti realizzati dagli IACP per gli alloggi
delle forze dell'ordine.
  PRESIDENTE. Desidero precisare che, in base ad alcuni
dati in nostro possesso, l'Italia è il paese d'Europa che
dispone del maggior numero di appartenenti per le forze di
polizia in relazione alla quantità degli abitanti, ma è solo
al sesto posto per quanto riguarda le unità effettivamente
utilizzate nei compiti di istituto. Il problema della
ottimizzazione dell'impiego delle forze posto dai due
segretari sindacali è quindi essenziale.
  CLAUDIO GIARDULLO, Segretario nazionale SIULP.
Desidero formulare alcune considerazioni con riferimento a
quanto affermato dal senatore D'Amelio circa la nostra
posizione categoricamente contraria al segretariato generale.
   Rilevo in merito, rispondendo anche agli interrogativi
posti dal senatore Calvi, che non vi è da parte nostra alcuna
presa di posizione ideologica. Noi compiamo un'analisi
estremamente concreta di come questo organismo potrebbe
consentire un miglioramento o un peggioramento (il nostro
giudizio è in tal senso) degli attuali livelli di
coordinamento.
   Il problema si pone, perché il coordinamento previsto
dalla legge n. 121 del 1981 (in modo rivoluzionario rispetto
al passato, perché fino a quel momento nessuno sosteneva in
Italia che le forze di polizia dovessero essere coordinate)
trova il suo limite nel fatto che la norma si è limitata ad
individuare i soggetti titolari del potere di coordinamento,
senza fissare strumenti capaci di consentire a questi ultimi
di verificare il comportamento delle forze da coordinare,
modificandolo eventualmente qualora non conforme alle
direttive.
   In tanti anni ci si è limitati ad accrescere il numero di
soggetti incaricati del coordinamento. L'esperienza dell'Alto
commissariato è fallita perché probabilmente si è trattato di
un ulteriore esempio di deresponsabilizzazione: quanto
maggiore infatti è il numero dei soggetti titolari degli
stessi poteri, tanto più facile, in mancanza di una chiara
individuazione delle responsabilità, è la fuga dalle
responsabilità.
   Il segretariato generale non risponde a requisiti di
efficacia per quanto riguarda l'azione di coordinamento
perché, analizzando gli strumenti a tal fine a sua
disposizione, scopriamo che si tratta esclusivamente di
conferenze di servizio. Mi auguro che tali conferenze
avvengano già senza bisogno di varare una legge; mi auguro
cioè che il ministro dell'interno e i comandanti delle varie
forze dell'ordine si vedano ben più spesso per stabilire cosa
bisogna fare assieme.
   Per fare questo non c'è bisogno di una legge. L'unico tipo
di rapporto ancora stringente il segretario generale lo
avrebbe solo nei confronti della Polizia di Stato perché tra
il segretario generale, il prefetto e l'eventuale capo della
polizia, anch'egli prefetto, vi è un rapporto di dipendenza
gerarchica; rispetto ai corpi militari continuerebbe invece a
persistere un rapporto di dipendenza funzionale che non
farebbe compiere un passo avanti rispetto all'attuale
situazione.
   La nostra proposta non è di unificare le forze di polizia,
perché riteniamo che il pluralismo sia un elemento di
garanzia, ma di consentire che ciascuna di esse conservi
status, professionalità e tradizioni, e da questo punto
di vista non intendiamo creare nessuna megapolizia.
L'esperienza concreta ha però dimostrato che un coordinamento
puramente funzionale
                        Pag. 1467
 - nonostante la legge n. 121 abbia dato al ministro
dell'interno, autorità nazionale di pubblica sicurezza, alcuni
strumenti - non sia sufficiente per ottenere il livello di
coordinamento di cui abbiamo bisogno. Riteniamo che solo un
rapporto più stringente, di tipo gerarchico, possa assicurare
quello che in termini di diritto amministrativo non può più
essere definito coordinamento; solo l'elemento gerarchico può
consentire piena coerenza fra le direttive emanate in materia
di ordine e di sicurezza pubblica e la loro concreta
esecuzione da parte di una o più forze di polizia. Questa è la
proposta del passaggio dell'arma al Ministero dell'interno.
   Vi sono due corpi, uno civile e l'altro militare: vi è un
esempio chiarissimo in Europa, quello della Spagna, dove la
Guardia civile, corpo militare, dipende dal ministro
dell'interno allo stesso modo del Corpo nazionale di polizia,
che è corpo civile; per tutte le questioni di difesa del paese
la Guardia civile dipende invece dal ministro della difesa.
Non penso che tale sistema abbia fatto gridare allo scandalo
in Spagna, paese che ha un ordinamento non troppo lontano dal
nostro dal punto di vista amministrativo.
  PRESIDENTE. E' il sistema istituzionale più moderno
d'Europa perché è stato messo a punto recentemente.
  CLAUDIO GIARDULLO, Segretario nazionale del SIULP.
A dimostrazione di quanto è moderno l'ordinamento spagnolo
ricordo che nel regolamento del Corpo della polizia nazionale
spagnola, che è di tipo civile, è prevista una sanzione
disciplinare in caso di mancata disponibilità ad attuare il
coordinamento. La nostra proposta, che - ripeto - è di
conservazione, di status e di tradizioni, riguarda
soltanto i due corpi con competenze di carattere generale,
perché uno dei problemi del coordinamento è la tendenza
espansiva a che ogni corpo faccia tutto, cioè si presenti come
un corpo a competenza generale che si occupi pertanto sia
delle specialità sia del territorio, svolgendo compiti di
polizia giudiziaria, di ordine pubblico e di polizia
tributaria.
   Sono d'accordo con quanto affermava l'onorevole D'Amato e
cioè che vi è l'esigenza di allargare le competenze in materia
di accertamenti patrimoniali; è comunque evidente che rispetto
alla Guardia di finanza vi è bisogno di un livello più spinto
di specializzazione. La Guardia di finanza deve innanzitutto
svolgere funzioni di polizia tributaria, anche ai fini delle
indagini sulla criminalità organizzata, e quindi sulle imprese
mafiose. Fra l'altro siamo uno dei pochissimi paesi al mondo
ad avere una polizia tributaria a carattere militare. Lo
status militare va bene per un altro tipo di impiego,
cioè per quello di massa: l'attività di polizia privilegia
spesso l'autonomia individuale, l'estrema specializzazione,
l'utilizzazione di unità operative abbastanza ristrette, e
questo vale anche per la polizia tributaria e per l'attività
investigativa connessa a questo tipo di compiti.
   Corollario della nostra proposta non è quindi il passaggio
della Guardia di finanza al Ministero dell'interno: la Guardia
di finanza, in quanto polizia tributaria estremamente
specializzata, trova la sua naturale collocazione all'interno
del Ministero delle finanze. La conclusione è che questa è
l'unica strada che consentirebbe di fare passi avanti rispetto
agli attuali livelli di coordinamento. Il segretariato non
sarebbe soltanto una soluzione di facciata, ma un vero e
proprio passo indietro compiuto nell'ottica dello
smembramento. Quando affermiamo che il questore deve svolgere
un ruolo di coordinamento sul piano tecnico-operativo, non
pensiamo assolutamente, senatore Cabras, ad un ruolo espansivo
del questore rispetto al prefetto, ma immaginiamo che la
pubblica sicurezza - che è l'istituto che, ben prima della
nascita della Costituzione, ha svolto nel nostro paese un
ruolo di guida civile di tutte le attività di pubblica
sicurezza - abbia due componenti: una politico-amministrativa,
                        Pag. 1468
rappresentata appunto dai ruoli prefettizi, ed una
tecnico-operativa rappresentata dalla Polizia di Stato. La
separazione di tali componenti - perché questo avverrebbe con
la creazione del segretariato - con la riduzione a corpo della
Polizia di Stato comporterebbe uno smembramento dell'organo al
quale è sempre stata attribuita la responsabilità dell'ordine
e della sicurezza pubblica. Per questo affermiamo che si
tratterebbe di un grosso passo indietro.
   L'unica alternativa, se i tempi non sono ancora maturi per
realizzare una riforma di struttura, è rafforzare il modello
della legge n. 121 del 1981, potenziando cioè il complesso di
organi politico-amministrativi e tecnico-operativi che devono
svolgere attività di guida al centro ed in periferia: al
centro dovrebbe esservi il direttore generale della pubblica
sicurezza, cui andrebbe attribuita anche la qualifica di
autorità nazionale (altrimenti ben difficilmente potrebbe
esercitare un qualunque potere sui comandanti dei corpi di
polizia), mentre in provincia dovrebbe operare il binomio
prefetto-questore, laddove quest'ultimo non può semplicemente
essere il capo di un corpo in provincia. E' infatti chiaro
che, se così fosse, interferirebbe con l'attività di altre
forze e non vi sarebbe mai accettazione, da parte dell'Arma
dei carabinieri o della Guardia di finanza, delle sue
direttive; il questore è, come prevede la legge n. 121,
autorità provinciale di pubblica sicurezza su un piano ben
limitato, cioè quello tecnico-operativo. Anche la suddivisione
della responsabilità fra troppi ministeri su un tema così
prioritario e delicato è sicuramente uno degli elementi che
alimenta la confusione; la centralità, l'unicità della
direzione politica consente al Governo di rispondere meglio,
sia in seno all'esecutivo sia di fronte al Parlamento,
dell'attività di pubblica sicurezza. Quando vi sono troppi
centri decisionali tra i quali è suddivisa la responsabilità
politica, ciò va sicuramente a scapito della chiarezza.
   L'onorevole Grasso ha richiamato la questione delle
scorte. I sindacati di polizia non possono indicare, perché
non ne hanno gli strumenti informativi, i criteri per
stabilire quali scorte siano utili e quali non lo siano;
riteniamo che sia più importante conoscere i criteri per
l'assegnazione e la revoca delle scorte perché siamo convinti
che da questo punto di vista si possa fare qualche passo
avanti. Circa un anno fa, al tempo di tremende stragi, avevamo
notato che si era in presenza del più alto numero di scorte
che l'Italia avesse mai avuto, maggiore persino rispetto agli
anni di piombo; anche se abbiamo notato che vi è stata
un'iniziativa di riduzione, denunciamo ancora che il numero
delle scorte è altissimo e non del tutto trasparente, nel
senso che spesso vengono indicati ufficialmente i numeri delle
scorte ordinarie, cioè quelle che ogni giorno sono effettuate
dai diversi uffici a livello centrale e periferico. Vi sono
però centinaia, a volte migliaia, di scorte cosiddette
straordinarie che vengono affidate una volta alla DIGOS, una
volta alla squadra mobile ed un'altra addirittura ad altri
uffici investigativi, che non risultano dai dati ufficiali:
spesso sono proprio queste che compromettono la continuità
dell'attività investigativa. Immaginate una squadretta
all'interno della squadra mobile che oggi deve svolgere
compiti di investigazione o di accertamento, domani dovrà fare
il pedinamento e dopodomani tre o quattro servizi di scorta:
la continuità, che è un elemento fondamentale dal punto di
vista dell'attività investigativa, viene in tal modo
compromessa. Abbiamo proposto di fissare il tetto massimo di
personale da utilizzare nei servizi di scorta e di vigilanza
pubblica. Se i comitati provinciali per l'ordine e la
sicurezza pubblica ritengono di dover superare tale tetto,
devono spiegare quali siano le esigenze eccezionali che lo
richiedono. In questo sta la trasparenza.
   Il presidente ha sollecitato qualche considerazione sulla
DIA: la nostra ottica è quella della riuscita di questo
esperimento,
                        Pag. 1469
 però abbiamo anche la preoccupazione che contemporaneamente
vi siano tendenze ed orientamenti...
  PRESIDENTE. Parlare di esperimento mi sembra un po'
riduttivo.
  CLAUDIO GIARDULLO, Segretario nazionale del SIULP.
L'esperimento è dal punto di vista della riuscita e non delle
esigenze. L'esigenza della DIA deriva dal fatto che sul piano
investigativo vi è bisogno di avere un'ottica unica; anche se
l'organo giudiziario è frantumato nel territorio, l'attività
investigativa, specie nel campo mafioso che travalica i
confini regionali e nazionali, ha bisogno di un centro di
informazione unico. Spesso l'attività della DIA è tesa non ad
utilizzare le informazioni, gli uomini ed i mezzi delle forze
di polizia, ma a recarsi direttamente nel territorio per
cercare le notizie di reato seguendo il proprio filone
investigativo: la nostra preoccupazione è che se per la DIA
verranno attuati progetti di ulteriore separazione, per
esempio istituendo un ruolo degli investigatori, ciò
provocherà inevitabilmente una reazione delle forze di
polizia. Questo è anche un problema di coordinamento.
   In ordine al coordinamento penso che dovremmo avere
imparato che non è sufficiente indicare i soggetti o le norme,
ma che è anche necessario prevedere ruoli diversi per
organismi che non confliggano fra di loro. La tendenza a
separare la DIA dalle altre forze di polizia porterebbe
inevitabilmente questo esperimento ad un fallimento che il
paese non si può permettere.
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP.
Premetto che nella nostra relazione non abbiamo minimamente
toccato gli aspetti di carattere sindacale, sui quali ci
riserviamo di farvi pervenire ulteriori informazioni per
iscritto.
   In secondo luogo, poiché abbiamo completa fiducia
nell'operato della magistratura, attendiamo l'esito di tutte
le iniziative che l'autorità giudiziaria ha intrapreso anche
nei confronti di qualche collega o ex collega transitato nei
ruoli speciali della Presidenza del Consiglio dei ministri,
augurandoci che vi sia un riscontro puntuale delle
dichiarazioni dei pentiti prima dell'assunzione di qualsiasi
misura.
   Per quanto riguarda gli infiltrati, la legislazione
antidroga prevede che determinati soggetti siano posti sotto
copertura. Credo che quella debba essere la strada da seguire
e che l'attività investigativa debba essere svolta con i
guanti bianchi e non sporcandosi le mani.
   Ringrazio vivamente la Commissione antimafia per la
possibilità offertaci di esprimere alcune nostre valutazioni;
ringraziamo anche per la condivisione, almeno in linea di
massima, di alcune nostre proposte. Rimaniamo comunque a
disposizione, come singoli e come organizzazioni sindacali,
per ulteriori approfondimenti di merito su temi specifici di
particolare interesse.
   L'onorevole Grasso ha ricordato la questione delle scorte.
Ho raccontato al presidente Violante un fatto emblematico: a
Palermo fino a qualche giorno fa non si era riusciti a dotare
i colleghi del nucleo scorte di Palermo, che sono circa
trecento, degli apparati radio Motorola, che consentono di
parlare a lunga distanza, perché il Ministero dell'agricoltura
e foreste non aveva concesso di installare un ripetitore nella
zona di Montagna Longa. Sono stati necessari otto mesi, ma
finalmente oggi abbiamo il ripetitore e gli apparati radio
sono a disposizione; è un caso fortuito che, dal mese di
luglio ad oggi, non si siano verificati avvenimenti gravi,
altrimenti saremmo stati nuovamente costretti a denunciare
questi fatti.
  CLAUDIO GIARDULLO, Segretario nazionale del SIULP.
Ed ancora nella provincia di Caltanissetta ci sono zone
d'ombra!
  ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP.
Rinnovo il mio ringraziamento per questa audizione, ribadendo
alla
                        Pag. 1470
 Commissione la nostra completa disponibilità, non solo come
poliziotti ma anche come sindacalisti.
  CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Da
parte nostra vi è la massima disponibilità a fornire tutte le
delucidazioni che la Commissione ci chiederà.
   Per quanto riguarda il problema del trattamento economico
percepito da alcuni colleghi in Puglia, devo precisare che
nelle zone interessate dal fenomeno mafioso il lavoro
straordinario viene maggiormente retribuito rispetto a quello
effettuato in altre zone del paese. Purtroppo per la Puglia il
dipartimento non ha ancora provveduto ad elaborare le relative
tabelle; ritengo tuttavia che tra breve il problema sarà
risolto.
   Per quanto concerne infine la questione delle scorte, devo
dire che a nostro giudizio esse devono essere ridotte e che il
servizio deve essere espletato meglio.
  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti per aver accolto
il nostro invito. Il fatto che il SIULP ed il SAP abbiano
partecipato insieme a questo incontro rafforza le proposte
avanzate. Inoltre le analisi da voi effettuate non sono state
formali, ma sono entrate nel merito delle questioni,
aiutandoci concretamente nel nostro lavoro. Attualmente ci
stiamo occupando del problema della sinergia tra le varie
forze di polizia; siamo convinti che il coordinamento verrà in
seguito. In questo momento ci accontentiamo che i vari corpi
lavorino in modo sinergico tra loro.
   La principale richiesta da voi avanzata riguarda la
rigorosa applicazione della legge n. 121 del 1981, ed infatti
il primo problema è proprio quello di applicare le leggi
esistenti, altrimenti non si fa altro che riempire e svuotare
lo stesso secchio.
   Vi ringraziamo nuovamente per aver partecipato ai nostri
lavori e vi invitiamo a considerarci vostri referenti
parlamentari per quanto riguarda sia il versante sindacale sia
gli altri versanti. Più specificatamente in ordine alla
questione sindacale sollevata da alcuni colleghi, vi saremmo
grati se ci inviaste delle vostre note al fine di integrare il
lavoro che stiamo compiendo.
La seduta termina alle 20,5.

 


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